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martedì 16 luglio 2019

Welcome Inside the Brain - Queen of the Day Flies

#PER CHI AMA: Psych Rock, The Doors, Iron Butterfly
Per prima cosa mi sono guardato il bel video di "Baptist Preacher", brano d'apertura del nuovo e terzo disco (uscito per la Tonzonen Records) dei tedeschi Welcome Inside the Brain, poi ho osservato la magnifica immagine di copertina, quell'irreale aria oscura e la sua folle, seria, magnificenza regale, cercando di capire come interpretare la musica di questo strano gruppo proveniente da Lipsia. Devo ammettere, che solo alla fine del disco, mentre ascoltavo la canzone di chiusura, "Hometown", ho realizzato quanto questo combo sia bravo, intenso ed artisticamente valido, con un sound ricercato e variegato, delle idee chiare e tanta cultura in campo psichedelico e progressivo. I brani, capitanati dalla voce stupenda di Frank Mühlenberg, psichedelica, istrionica come il signor Morrissey di "Something is Squeezing my Skull" (ascoltatelo in "Call Me a Liar"), glitterata come il miglior Jarvis dei Pulp (epoca del capolavoro 'Freaks') e dalle tastiere, piano e hammond di Johann Fritsche che sovrastano e danno corpo e colore a tutte le composizioni che si snodano attraverso un'infinità di rodati fraseggi e melodie psichedeliche di varie epoche. Ottima produzione e creazioni frizzanti che passano dall'heavy psych degli Iron Butterfly alle incursioni in territori vintage di hard rock blues di scuola Cream, attraversando il prog intellettuale alla Marillion/Echolyn e ultimi Anekdoten fino ad approdare sulle spiagge dell'avanguardia jazz di "zappiana" memoria nella già citata, conclusiva, favolosa "Hometown". Senza mai dimenticare che la band dimostra un'innata capacità di saper unire, grazia e tecnicismo, tanta bravura ed intuizioni progressive di tutto rispetto, un estro pop assai attraente e un'affinità da vera rock band, per un risultato finale pienamente soddisfacente. Sette brani da assaporare appieno, zeppi di sfumature colorate e geniali aperture, che forse talvolta peccano di derivazione ma sono ragionati e sviluppati in maniera molto personale, con una propensione allucinogena, delicata ed avvolgente, che punta all'acido suono dei The Doors quanto quello dei The Charlatans, sfiorando lidi stoner alla On Trial e pop di classe alla Paul Weller. Psichedelia, pop, '70 rock, avanguardia, rock progressivo, jazz rock, il tutto mescolato in una quarantina di minuti emozionanti che non guardano assolutamente alle mode ma solo alle emozioni e al piacere di ascoltare del buon sano sofisticato rock illuminato, dal suono caldo e senza effetti di moderna concezione, buoni solo a distrarre le menti dell'ascoltatore. Bravura, passione, fantasia ed un pizzico di (in)sana follia, ecco il segreto di quest'ottima band. (Bob Stoner)

Oui! The North - Make an O with the Ass of the Glass

#PER CHI AMA: New Wave/Electro Dark, Joy Division, The Cure
'Make an O with the Ass of the Glass' is the debut album by Peschiera del Garda (Verona) based band Oui! The North, from Marco Patrimonio and Marco Vincenzi (previously guitarists in the Italian rock band Le Pistole alla Tempia) with contributions from local musicians including Stefano Bonadiman (former LPAT bassist), Matteo Baldi (from WOWS) and Giorgia Sette, a local singer and songwriter, to name a few. The post New Wave journey begins with "Radio City Hall", which initially is light and uplifting and then descends into electronic darkness paying tribute to the New Wave sounds of the 80's. Following on from the opener we are treated to, what would sound like if Joy Division made a video game soundtrack, with simple heartbreaking lyrics, loaded with meaning, and as soon as the electronics kick in, we are racing towards a subdued Depeche Mode sound. "The Moon Of Tangeri" starts where "Radio City Hall" leaves off and feels like a twisting funky town training montage for the future. "Sermon" follows with it's stomping melody and the contradictory God loving preaching speech along with a funky electro sound that makes you realise, you need to see Oui The North live. "As Sincere As Never Before" has a tranquil Atari game accomplishment vibe, with ocean wave sounds mixed with aggressive jet engine sounds which somehow compliment each other making for a charming piece. "True Love" reminds us that Oui! The North can transition between darkness and tranquility with ease and "A Kind Of Aggression" reminds us just how good of musicians Oui! The North really are with their dark optimism that continues to surprise by never becoming repetitive. 'Make an O with the Ass of the Glass' by Oui! The North is a post New Wave romp, that delivers and is an album you didn't know you needed but definitely do. (Stuart Barber)

Pervy Perkin - Comedia: Inferno

#PER CHI AMA: Experimental Extreme Prog Metal, Devin Townsend, Opeth
"Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte". Cosi apre il nuovo lavoro degli spagnoli Pervy Perkin, tornati da poco con un nuovo capitolo discografico, 'Comedia: Inferno', che giustifica l'incipit dell'album. Un disco che si apre con "Abandon All Hope", una song che prosegue quel percorso iniziato nel 2016 con lo sperimentale e progressivo '.ToTeM.' e prima ancora da 'Ink'. Le coordinate sulle quali si muove questo terzo lavoro della band di Madrid sono sempre quelle del prog metal, venato da mille altre influenze che passano dalle scorribande death/black/speed/prog dell'opener, al brutal iniziale della seconda "The Tempest" che evolverà in un thrash metal di memoria "sanctuaryana" e successivamente prog rock sulla scia di Riverside e Porcupine Tree, sfoggiando lungo gli iniziali 13 minuti una miriade di atmosfere, influenze e vocals (sia in chiave growl che clean - complice anche la presenza di due guest al microfono, Kheryon degli Eternal Storm e Blue dei Bones of Minerva), da far impallidire. Considerate poi il fatto che più si ascolta il brano e più emergono nuovi dettagli, che ci portano anche all'alternative, al cyber metal e all'avantgarde, in un rincorrersi sonico davvero peculiare. Con "Three Throats" si cambia ancora registro visto che qui le voci sembrano provenire da un ambito blues hard rock, cosi come la musica, qui forse troppo morbida per i miei gusti. Passo oltre, sebbene il pattern musicale negli ultimi 120 secondi subisca un appesantimento importante a livello ritmico e un nuovo cambio di registro, questa volta verso l'elettronica negli ultimi istanti del brano. Eterogeneità, questo è il verbo che dimora nelle corde dei Pervy Perkin. Lo dimostra "All For Gold", un pezzo strano, oscuro, complicato, dove i vocalizzi somigliano a quelli più rochi di Dave Mustaine nei suoi Megadeth, mentre la musica viaggia in un mondo e in un modo davvero tutto suo, dove tutto sembra lasciato all'improvvisazione. Difficile anche star dietro a questi molteplici cambiamenti che confondono non poco l'ascoltatore, ma forse proprio qui risiede il punto di forza, ma qualcuno potrebbe obiettare di debolezza, della band originaria di Murcia. Io trovo che ci sia sicuramente un buon campionario di insana follia e grande creatività, sulla falsariga di Devin Townsend, ma che forse qui talvolta si vada oltre l'umana comprensione con dei cambi di stile davvero spaventosi. Ascoltare un pezzo come "All For Gold", tanto per citarne uno a caso, diventa veramente complicato e faticoso, nonostante i "soli" sette minuti di durata, perché necessita di un'attenzione non indifferente, visti i molteplici cambi di stile. "Row" fortunatamente dura meno e sembra - almeno in apparenza - anche più stabile caratterialmente, visto che da metà brano in poi emergono suoni stralunati e schizoidi, con il tutto che si conclude in un modo del tutto inatteso, quasi doom. "Open Casket" ci rimanda nuovamente al prog rock, ma è lecito attendere l'evolversi delle cose per non essere contraddetti un'altra scarrettata di volte, e faccio bene pure stavolta, visto che il quintetto madrileno parte per la tangente ancora una volta, con dei suoni debitori al free-jazz (ascoltate anche l'apertura di "Cult of Blood" per meglio comprendere, o forse non comprendere ls proposta dei nostri, considerata la vicinanza della band in questa traccia ai Testament). Insomma complicato affrontare sti ragazzi, soprattutto quando poi c'è da affrontare un pezzo di un quarto d'ora ("Malebolge"): quali contromisure adottare, cosa aspettarsi, come combattere il delirio di onnipotenza che sembra avvolgere la band? E i nostri ci rispondono rispolverando un techno death, voci schizoidi, frammenti rock, scorribande black folk, funk, musica classica, prog, campionamenti elettronici, industrial, cyber metal, thrash, che evocano mostri sacri quali Opeth, Leprous, Nine Inch Nails, Megadeth, Primus, Finntroll, Pink Floyd, Hawkwind, Meshuggah, King Crimson, Queensrÿche, Judas Priest, Nevermore, il tutto mischiato in uno spaventoso magico calderone. Sono arrivato al termine di questi settanta minuti di 'Comedia: Inferno' con "Worm Angel" e sapete una cosa? Non c'ho capito davvero nulla, meglio ricominciare daccapo e sperare di carpirne davvero l'essenza al secondo, terzo, milionesimo ascolto di questo delirante lavoro. (Francesco Scarci) 

(Self - 2019)

domenica 14 luglio 2019

Glincolti – Terzo Occhio/Ad Occhi Aperti

#PER CHI AMA: Prog/Stoner/Indie
Passarono gli anni e finalmente venne il giorno per Glincolti della prova live e questo nuovo disco, sfornato dalla GoDown Records, ne è il risultato. Le registrazioni sono avvenute durante l'esibizione dal vivo presso il Labirinto della Masone il 3 agosto 2017, vicino a Parma e mostrano la band trevigiana ancora molto in forma. Nei quattro brani del lato A di questa edizione deluxe, il combo si esprime egregiamente indicando chiaramente come la dimensione live sia la più consona ad esprimere il loro sound rigidamente strumentale, fatto di stoner e desert rock, digressioni prog alla Omar Rodriguez Lopez group, free rock e bicchieri di tequila dal tramonto all'alba, per una musica coinvolgente, ben strutturata, ben eseguita e fantasiosa. Il tocco indie li eleva dallo status riduttivo di solita o normale prog band e la bravura dei musicisti fa in modo che il live sia piacevole e frizzante con una buona registrazione che avvalora tutti gli strumenti, un calore nel suono che fa tanto piacere all'ascolto. Per ampliare la proposta, nel lato B, troviamo pubblicati tre brani inediti, registrati durante le session dell'album 'Ad Occhi Aperti', con alcuni ospiti d'eccezione, Sara B (Messa), Jason Nearly (Mad Fellaz, Sonic Wolves) e Andrea F. a supportare queste composizioni che fin'ora non erano mai state liberate. In "Triporno" il suono ha il sapore ed il groove di certo funk/acid jazz anni '90 ma, a mio modesto parere, la voce di Sara, doveva essere trattata in maniera più soul e nera, manca il calore giusto ed anche se l'interpretazione è assai buona, risulta troppo fredda, frenando leggermente la verve del pezzo. "Ad Occhi Aperti" è in linea con tutti i pezzi del precedente album e non si capisce perchè sia stato estromesso, polveroso e avvolgente, la perfetta colonna sonora da immaginare in sella ad una motocicletta sulla mitica Route 66, una versione vellutata del geniale tocco dei Fatso Jetson. "Insonnia" è l'ultimo brano, un esperimento ritmico/rumorista dal gusto etnico che spiazza un po' e che sinceramente non mi ha soddisfatto molto, quasi tre minuti che risultano un po' forzati nel contesto. Alla fine rimangono un buon documento live e tre inediti per i fans di questa buona band che può (e deve) ancora dire e dare molto nel panorama musicale alternativo italiano. (Bob Stoner)

(GoDown Records - 2019)
Voto: 68

https://www.facebook.com/GLINCOLTI/

venerdì 12 luglio 2019

Ordinul Negru - Nostalgia of the Full Moon Nights

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Norwegian Black Metal, Emperor, Immortal
Uscito originariamente nel 2011 per la Banatian Records, ma andato assai presto sold-out, 'Nostalgia of the Full Moon Nights' dei rumeni Ordinul Negru, viene a grande richiesta, riproposto dalla Loud Rage Music, in contemporanea con un'altra release dei nostri uscita nel 2008, 'Lifeless'. Per chi ancora non conoscesse la band di Timişoara, sappia che i nostri sono fautori di un acidissimo black metal, nelle ultime release corredato da aperture atmosferiche, ma che in questi primi episodi fanno in realtà capolino molto di rado. "In the Fullmoon Nights", l'opener del disco, è infatti una rasoiata che richiama i selvaggi anni '90 in Norvegia, un sound all'insegna di ritmiche tiratissime in blast beat e grim vocals. Echi di Dimmu Borgir (era 'For All Tid') affiorano in alcuni millisecondi sinfonici della seconda "Steps Over Time", che delinea accuratamente dove affondano le influenze dei quattro musicisti rumeni. La cosa si ripropone con più ardore nella terza "Crepuscul și Blestem", una traccia che oltre a mostrare ampi segni di sinfonicità, enfatizza con le classiche chitarre in tremolo picking, anche una certa vena malinconica, spezzata poi dalla tumultuosa veemenza black dei nostri. Il disco prosegue su questa falsa riga, infarcendo più o meno copiosamente, la violenta architettura ritmica dei nostri con spettrali inserti tastieristici che mitigano le intemperanze rabbiose offerte dal sound degli Ordinul Negru. I richiami al black anni '90 rimangono comunque molteplici: dai Burzum nella partitura iniziale di "Dark Realm" ai primi Ancient in "Forgotten in Apathy" ma pure echi di Gehenna, primi Immortal, Emperor e compagnia bella, sono più o meno udibili a 360 gradi in tutto il disco, anche quando emergono delle inattese clean vocals in "Beyond Twilight". Il disco alla fine è discreto, considerata peraltro una produzione non certo raffinata, un lavoro che deve stare assolutamente nella collezione dei fan della band rumena. Per gli altri, dò per scontato che nella loro collezione ci sianoin primis i grandi classici del passato, se poi rimane un po' di spazio, beh magari si potrebbe dare anche una chance agli Ordinul Negru. (Francesco Scarci)

Waldgeflüster - Mondscheinsonaten

#FOR FANS OF: Atmospheric Black Metal, Drudkh
Taking its Bavarian black metal style into a more anthemic and delicately adorned place, emotionally gripping high-resolution heartfelt heathendom travails twixt the timbers in search of the message within the 'forest whisperings' where Waldgeflüster finds its namesake. Far less dreary in production than the previous presentation but no less melancholic than 'Ruinen', these tickling strings through gruff folksy laments offer insights into how the fabled fury of black metal blasts and clip clopping cymbals can cry out through the deluges of choking atmospheric layering that make this band's music stand firmly within the boundary of black metal and curiously peek out to the lands beyond.

Epic anguished compositions consist of melancholic treble cries over humming rhythmic strums, the battle hardened black metal blast beat belabored by its forced march through this swirling nihil, and a majesty reached in “Der Steppenwolf” that is as proud as it is concerned with its struggle to endure has been brought to humbling fruition. Played in acoustic at the back end of vinyl versions of this album, these Jekyl and Hyde explorations of this strong song further express the turbulent dichotomous melancholy of being caught between the natures of man and wolf, an aperture through which Waldgeflüster both cherishes and laments the beauty in which it finds itself confined and simultaneously freed.

An echoing mix of awkward twanging and seas of reverb hammered into shape by blast beating makes “Gipfelstürmer” sound as much a storm as an echo of timelessness worn into stone as the longest piece on 'Mondscheinsonaten' dances a skyline of tempestuous gales and rides out a storm of withering emotions. Dense treble rainfall sloshes over thumping percussion as rhythmic vocals call out to the storm and attempt to subvert the deluge until drowning in the cries of cascading strings. Throughout this album is an expansive breadth of emotion with a focus on dragging out melancholic riffs, drowning them in the choral tones of a throaty choir, and accentuating the reverberating strings that twirl in the tremolo swirls of this clear and woeful sighing production.

Expressive sustain behind a trickle of guitar notes flourishes into a haze of grain, growing into a drastic gale of decaying strings struggling to hang on to their escaping breaths. The curvature of a chugging rhythm three minutes into “Rotgoldene Novemberwälder”, uplifted by more droning choral calls behind a rolling percussion, grips the heart with the psychedelic impact of Drudkh and the august heroism of Horn. Like reading the parallels between dramatic mythological rides into a deadly underworld, one is easily enwrapped in the throes of these decaying 'red-gold Novemeber forests' as life fades into another unquiet winter, hurriedly attempting to absorb the last nutrients of a time of plenty before enduring the coming cold. Thus “Und Der Wind...” and “Von Winterwäldern Und Mondscheinsonaten” take up a fierce anthemic mantle, cloaking the fading forest in swirling snow storms and making less distinct and more distant the cries of desperation emanating from the mouths of its victims as the onslaught of winter breeches the woodland refuge.

A breath caught in a whirlwind of emotions, imprisoned by the escapism of imagination within these arboreal walls, and falling to despair in a desperate struggle to stay upright, 'Mondscheinsonaten' strives to survive the privations of its station while still acknowledging the lustrous allure that such natural beauty can inspire in its meandering melodies. Yet still the tear of its fury must succumb to silence, the disquiet of its fitful attempts to survive fall to the desolation of existence's entropy. Such a knowledge is incredibly apparent throughout these foreboding forays yet still so mysteriously lingering between each heave of horrific glory, suggesting a beyond for which to strive despite such distinct decay and despair woven throughout these painstaking passages.

Where a song like “Und Der Wind...” flirts with the basics of a folk rock structure and energizes it with the fury of a black metal brutalization, the general cry of this cavalcade of corrosive textures becomes an understanding of the necessity of decay, the need to die in order to make life worth its struggle, and the endlessness that is entropy for fighting nonexistence through shout and shudder still realizes the same simple reality. Entropy cannot be reversed. (Five_Nails)

Score: 85
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Waldgeflüster is a German band coming from Munich. The German black metal scene is widely known and respected by the fans. There are tons of bands which play a quite orthodox form of black metal, while many others are more interested in playing a sort of black metal heavily influenced by the ancient history of their land, which is commonly known as the pagan black metal subgenre. The German scene of this subgenre is, in my humble opinion, one of the best and the range of bands playing this style is quite rich and interesting. While some bands have a heavy folk influence, using folk instruments more generously, other ones use them sparsely, being a secondary resource used to enrich the music in certain moments. I would place Waldgeflüster in this second group. Musically speaking, Waldgeflüster plays black metal with a certain somber touch, creating a melancholic atmosphere, without lacking the expected aggression in a band whose roots are the black metal genre.

'Mondscheinsonaten' is the fifth album of a band whose line-up has remained quite stable since it became a full band in 2014. Prior to this moment, it was a one-man band created by Winterherz. His talent was already clear in the first and impressive three records entitled 'Herbstklagen', 'Femundsmarka - Eine Reise in Drei Kapiteln' and 'Meine Fesseln'. Going back to the latest record, I can safely say that Winterherz´s touch and talent are still in a very good shape. 'Mondscheinsonaten' is a very nice piece of pagan influenced black metal with the aforementioned dark and somber touch, but with a good range of elements which make the album an excellent work. The album contains seven songs, being some of the quite long as the impressive "Gripfelstürme", probably one of the best if not the best track of this album. It´s a very varied and dynamic track with tastefully composed sections and melodies. This lengthy track includes excellent melodies, some powerful and pagan-esque clean vocals which accompany the usual high-pitched shrieks, as well as intelligently placed atmospheric keys . "Rotgoldene Novemberwälder" is the single of the album and summarizes perfectly the main characteristics of this album. It is an excellently structured song with impressive guitars and background vocals, which make the sound epic yet mournful. Once again the clean vocals, both in the front and in the background, play a major role in making these songs emotional. Even though the top-notch guitars and the already mentioned touching clean vocals are the ones which have the most import roles in 'Mondscheinsonaten', Waldgeflüster successfully use other resources to enrich this work, as some very nicely composed atmospheric keys which are one of the highlights in the very intense and hypnotic track entitled "Und der Wind". Acoustic guitars are also used in different tracks, mainly as a song opener, which is sometimes abruptly interrupted by a purely black metal-ish section or as an introduction to a acoustic esque sung section as it happens in the album closer "Staub in der Lunge". This song perfectly closes this excellent work leaving us a permanent feeling of melancholy.

'Mondscheinsonaten' is undoubtedly an impressive work which confirms Waldgeflüster as one of the best bands in the German pagan black metal scene. With songs having a strong black metal base, the German guys build an album rich in the use of different elements, which makes the listener keep interested from the very beginning to the end. It’s a emotionally very intense album, which I think is something great and makes the music even more special. (Alain González Artola)


Soulburner - Blessed by Fire

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Thrash/Death, At the Gates
L'Australis Records, croce e delizia mi verrebbe da dire: rilasciano un album eccezionale come quello dei Target, riesumano un lavoro del 2008, questo dei cileni Soulburner, che forse cosi interessante non era. Ma partiamo dal principio. 'Blessed by Fire' è il debut album del quintetto di Concepción, un disco che includeva un paio di pezzi dell'EP 'Broken Mind', quattro dal demo 'Between Darkness', oltre ad una manciata di inediti. La proposta? Un death melodico tritaossa che contiente tutti i clichè di un genere che andava di moda negli anni '90 e che nel 2008 già puzzava di vecchio, figurarsi se riproposto nel 2019. Diavolo, e ora che vi racconto? Che l'opener "Bloodshow" è una sassata brutal tipicamente spaccaculi, che miscela la veemenza del death con l'arroganza del thrash, tuttavia sentito una miriade di volte. "Deadly Sin" e tutte le altre, proseguono ahimé su questa scia, dispensando ritmiche dinamitarde tiratissime, growling (e screaming) vocals, rari sprazzi melodici di matrice svedese (penso agli At the Gates nella terza "Broken Mind" o in "Sentenced From Beyond", in cui convogliano anche un che di influenze di Eucharist, Cardinal Sin o Ceremonial Oath), qualche buon assolo e francamente poco altro che possa far gridare al miracolo o più banalissimamente, giustificare la ristampa di questo lavoro. Nella storia del death/thrash infatti, di dischi di questo tipo ne sono usciti a migliaia e sono abbastanza certo, di aver potuto vivere serenamente anche senza ascoltare 'Blessed by Fire'. A proposito, dopo questo cd, i nostri sudamericani hanno fatto uscire un altro paio di release (nel 2014 e nel 2017) che viaggiano sui medesimi binari, magari vi dovessero interessare. (Francesco Scarci)

(Australis Records - 2008/2019)
Voto: 55

https://soundcloud.com/soulburnerofficial

lunedì 8 luglio 2019

Lustre - Another Time, Another Place (Chapter Two)

#FOR FANS OF: Ambient Black, Burzum, Mesarthim
Allowing electric sustain to decay into itself, like an ouroboros circling a distant star, “The Light of Eternity” gleams, suspended in space and only slightly changing during its vast lifetime as twinkling sunspots appear and dissipate along the surface of this bubbling sphere of sound. Below is chaos, the grumble of high-efficiency fusion churning vibrations down to string level and hoisting the weight of this newly formed sound by the fabric of space-time. Lustre attempts to burn eternal.

Unlike the previous compilation, the desperation in the howls from the torture of experiencing “The Light of Eternity” takes Lustre into a more dichotomous and significant territory where the drama and majesty of its celestial twinkling transfixes the mind while the achingly static inanity of lesser beings intrigue an artist obsessed with the broad brushstrokes of his universe.

Unfortunately, there is an insufferable inanity to “Waves of the Worm” where no nobility is experienced in its endless undulation. Through seven and a half minutes of a static Pink Floyd synth intro that would not be out of place throughout the opening moments of 'Wish You Were Here' and no songwriting to speak of backing its incessant idleness, this track has less appeal to it than the average Lustre experience and becomes a frustratingly placid piece of pretense even for this artist. For a band as low key and pedestrian as Lustre's music can get, this is a painfully slow disappointment with no redeeming qualities whatsoever.

Where Lustre's previous theme of gradually moving between the seasons and enduring the privations of the most desperate times of year made its early work enchant and lure a listener into its voluminous verses, this second segment of Nachtzeit's compilation series shows the inconsistency that even such a glacial ambient sound can have when a musician has yet to truly nurture his theme and hone his craft. This second chapter in Lustre's 'Another Time, Another Place' series consists of the Swedish bedroom band's earliest demo, 'Serenity' from November 2008, and rounds itself out with the September 2013 EP 'A Spark of Times of Old'. Clocking in only twenty-seven seconds longer than the previous seasonal styled release, this wider scope and breadth of scale from the concerns of the celestial to the minutiae of the minute have some difficulty in capturing the imagination despite displaying the musician's apparent desperation.

Despite “Waves of the Worm” coalescing into a lackluster track, synthetic xylophone returns, clinking along its counterpointing scale in a dull sighing lull, like slowly accepting the gravity of a singularity and observing the abyss overcome all vision in “A Spark of Times of Old” to redeem the release. Surrounded by truly sinister hissing, the dreary atmospheric organ synthetically shapes itself through the tinkle of an incontinent artist curling his spine and shrinking back into the cave from which he has so briefly emerged. After observing the majesty that awaits him, the daunting energies of the ever-burning celestial colossus, and the wretched struggle of the worm wriggling in the filth from which all life emerges, Nachzeit finally crawls back to do what he does best. Crying in his cave, feebly attempting to scare off the creepy crawlies that intrude into his small circle of light, this experiment with the outside world has confirmed his suspicions, there is nothing but dread outside his comfort zone. Instead, Lustre continues to linger, longing for its uninterrupted innocence and seeking simply a safe stagnation. (Five_Nails)

Dekadent - The Nemean Ordeal

#PER CHI AMA: Black/Death/Doom/Prog
Era il 2015 quando approcciai per la prima volta gli sloveni Dekadent, con il loro brillante lavoro intitolato 'Veritas', uscito peraltro autoprodotto. Come al solito, di acqua sotto i ponti ne passa parecchia in quattro anni, la band si è fatta conoscere anche al di fuori dei loro confini nazionali e da li al finire sotto osservazione da parte di un'etichetta discografica di un certo rilievo, il passo non è stato poi cosi lungo. La nostrana Dusktone Records infatti ha notato il quartetto di Ljubljana e credo non ci abbia impiegato poi molto a capire le potenzialità dei nostri e io non posso che esserne felice dato che avevo parlato benissimo della compagine a quei tempi (comprando peraltro l'intera discografia della band). Ed ora, in occasione del loro comeback discografico, torno ad esaltare le doti dei quattro musicisti guidati da Artur Felicijan. 'The Nemean Ordeal' è infatti un signor album, il quinto per i Dekadent, che confermano il pedigree della precedente release, andando quasi a fare meglio. Dopo la consueta intro, ecco accendersi le sinfonie magnetiche dei nostri con "Shepherd of Stars", un brano che, dalla robustezza della ritmica, al clangore delle chitarre soliste, passando attraverso le sue splendide melodie malinconiche affrescate dalle tastiere ed i vocalizzi del buon Artur, se non è perfetto poco ci manca, anche laddove accelera spaventosamente con un riffone di scuola Morbid Angel. Pelle d'oca, non aggiungo altro e sono passati solo cinque minuti scarsi. Ora li voglio alla prova del fuoco, con gli undici maestosi minuti di "Solar Covenant", un pezzo che parte in modo delicato, e persiste nel generare soffici emozioni di struggente godimento lungo i binari di un death doom emozionale sporcato di influenze più propriamente post-metal che arricchiscono il patrimonio musicale di questa esaltante realtà che spero quanto prima, possa raggiungere i risultati che merita. A me, parliamoci chiaro, i Dekadent piacciono parecchio e non lo scopro certo oggi. Sta invece a voi avvicinarvi senza remore alla band e farvi abbracciare dal suono avanguardista, progressivo, sinfonico, atmosferico, doomish, death, black e qualsiasi altra cosa ci vogliate sentire; non esitate, immergetevi nel sound sofisticato dei nostri che sembra avere cosi tante cose da dire, da lasciarmi quasi senza parole. "Wanax Eternal" è gioia per le mie orecchie: a parte la produzione spettacolare, è il gioco combinato di chitarre, keys e voci, a catturare definitivamente la mia attenzione in un lento incedere tra chiaroscuri temporaleschi e al contempo gioiosi che mi fanno sorridere, un attimo di gioia a pensare che ci sono ancora album in grado di solleticare amabilmente i miei sensi. I Dekadent ci riescono appieno anche con il trittico conclusivo formato dalle song "The Lavantine Betrayal", una traccia la cui essenza è vicina ad un caleidoscopio di profumi, colori ed aromi, con i nostri ad infrangere ogni regola, qualora ne esistessero, in ambito musicale. Vicini ad un che degli Akercocke, i Dekadent proseguono lungo la loro strada con esplosioni astrali e divagazioni prog. "Escaping the Flesh So Adamant" è il furioso pezzo black metal che non ti aspetti, dopo aver ascoltato cotanta meraviglia; sapete una cosa però, è la furia che non ti aspetti rivisto nella sua sprezzante originalità che assembla e disintegra suoni, percezioni e certezze, il tutto in pochi minuti. Si arriva cosi alla fine del sogno con l'intrigante title track, gli ultimi otto minuti che mettono insieme questa volta la roboante pesantezza dei Morbid Angel, la creatività dei primi Nocturnus, la follia degli Akercocke con la freschezza del post-metal, la vena sinfonica dei Dimmu Borgir, l'epicità il tutto riletto dall'immensa personalità di questi quattro musicisti sloveni. Per me 'The Nemean Ordeal' è già entrato nella top 3 dell'anno e se non ci saranno altri contendenti a rubargli uno dei tre gradini del podio, rischiano seriamente di stare in quello più alto. (Francesco Scarci)