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lunedì 12 ottobre 2020

Automatism - Immersion

#PER CHI AMA: Psych/Prog/Kraut Rock
Da Stoccolma ecco giungere dritto nel mio stereo gli Automatism a stemperare quella colata lavica di black che ha saturato le mie orecchie cosi tanto ultimamente. Si perchè il quartetto scandinavo in questo nuovo 'Immersion' è autore di uno psych rock strumentale, uno di quelli che ti permettono di stravaccarti in poltrona, mettere delle luci soft e assaggiare un bicchiere di whiskey con giusto un cubetto di ghiaccio, mentre in sottofondo vanno le ispiratissime linee di chitarra della band svedese in un ipnotico viaggio musicale. Si parte con le melliflue melodie di "Heatstroke #2", un pezzo che si muove tra prog e kraut rock con una vena psichedelica fortemente preponderante. È il turno poi della eterea "Falcon Machine", una song sinuosa dal piglio post rock, che parte con somma delicatezza e va salendo gradualmente in intensità, affidando il driving della traccia al fraseggio di una splendida chitarra solista che sembra muoversi all'interno di una fitta coltre di nebbia. Le melodie sono davvero fantastiche e sembrano sopperire alla solita cronica mancanza di un vocalist in questo genere. Tralasciando mestamente questa mia sterile polemica senza fine, non mi rimane che focalizzare la mia attenzione sulle ritmiche lisergiche trasmesse dai quattro ottimi musicisti nordici. In "Monochrome Torpedo" i ritmi sono assai cadenzati, quasi da lounge bar, tra luci soffuse e qualche donnina che si muove eroticamente attorno ad un palo da lap dance, in un'atmosfera fumosa ma intrigante, di scuola pink floydiana, che tuttavia sulla lunga distanza, tende un pochino a stancare. Allora meglio skippare sulla successiva "New Box", traccia che nel suo saliscendi chitarristico, sembra nascondere melodie mediorientali, comunque inserite in un contesto costantemente a cavallo tra psichedelia e rock progressivo. Citavo poc'anzi delle atmosfere fumose, sarebbe stato ancor meglio affibbiarle a questa "Smoke Room", song dal ritmo ovviamente assai lento, in cui le chitarre sembrano lanciarsi in improvvisazioni e rincorrersi tra loro mentre eleganti percussioni creano un substrato dal forte sapore blues. A chiudere 'Immersion', ecco "First Train" altri sette minuti abbondanti di suoni tenui ma al contempo palpitanti, complice l'utilizzo di una effettistica che sembra evocare l'utilizzo del mellotronin una traccia da vaghi richiami jazz che completa un disco ambizioso, non di facilissima presa ma sicuramente affascinante per mille motivi. (Francesco Scarci)

Prometheus - Resonant Echoes from Cosmos of Old

#FOR FANS OF: Black/Death, Disembowelment
The amount of fine releases coming from the ancient lands of Greece in this tricky year has been one of the best surprises, if we can define as a surprise the high quality of releases coming from a scene, which is highly respected by fans of the black metal genre around the World. Regardless of the time of existence, both new and classic bands seem to have found a moment of inspiration to release tasteful albums in 2020. The Greek trio Prometheus, coming from central Macedonia, a place well-known in Europe´s history, does not want to be the exception and has released its sophomore album entitled ‘Resonant Echoes from Cosmos of Old’. Prometheus was founded some years ago and it took nearly a decade from its early demos to be finally able to release a first effort, entitled ‘Consumed in Flames’. Even though the quality of that album made the wait worthwhile. That was a defining moment from which the trio became more active, releasing three years later an EP and a new full album.

‘Resonant Echoes from Cosmos of Old’ is the name of the new beast, whose style is firmly rooted in the black metal genre. In contrast to other Greek acts, which have a greater melodic component, Prometheus delivers a truly crushing and sinister sound in this album, though its compositions don´t lack completely of a melodic touch. The initial part of the album contains truly heavy and dark tracks like "Astrophobos" or the impressive album opener "Gravitons Passing Through Yog-Sothoth". In these songs we can appreciate that sonically the riffs are deep, cavernous and truly shadowy. The style reminds me bands like the Portuguese The Ominous Circle, with this demolishing heaviness, which is maybe more common in the death metal genre. The pace follows the same patterns, with a combination of fast sections and super heavy slower parts, as said which are maybe more prominent in the death metal genre. Still, the genre can be tagged as black metal because of its atmosphere and also tough the vocals are as cavernous as the riffs are. When you think that ‘Resonant Echoes from Cosmos of Old’ is a furious and well-composed album, yet with a predictable development, the album changes in its second half, bringing some interesting surprises. The tastefully melodic end of the third track "Astrophobos" serves as little introduction of what we will find in this later section. The traditional structure of voice-guitars-drums, which have had the main role during the first part of this album is suddenly accompanied by some atmospheric keys in songs like the homonymous one and the excellent album closer "The Crimson Tower of the Headless God". Stylistically the compositions don´t change so much, as the vocals continue to be deep and aggressive and the riffs remarkably heavy. But Prometheus rightly adds a greater degree of melody in certain riffs of these songs and the aforementioned keys play a major role in order to give a new epic touch to these compositions. Suddenly, the album acquires new characteristics, while it evolves to its end making this effort surprising and fresh in its later stage. The epic final song of this album sums up the different angles of this album, combining the fast and slower parts, the monstrous riffs and a majestic atmospheric side, which enriches this song and makes it a glorious way to end this excellent album.

The talent that Prometheus shows in the later part makes me wonder how a full album with songs like "The Crimson Tower of the Headless God" could sound. Anyway, the contrasting two sides of this sophomore album make it a truly interesting work, because this unexpected evolution sounds refreshing and exciting. At any rate, both sides of this album have a high degree of quality and will please any fan of extreme metal. (Alain González Artola)
 

Vesania - God the Lux

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Black, Emperor
I Vesania sono nati nel 1997 come side project di Orion (Behemoth), Heinrich (ex Decapitated) e Daray (ex Vader) a cui si aggiunsero poi Annahvahr e Hatrah (poi fatti fuori) e infine nel 2000, Siegmar (ex Hesperus). Un po’ di cronistoria per dire che di gavetta i nostri ne hanno fatta, tra promo e diversi concerti in giro per la Polonia, dai quali scaturisce nel 2003, il loro debutto 'Firefrost Arcanum', un black metal tastieristico sulla scia dei primi lavori degli Emperor, mentre nel 2005 esce questo 'God the Lux'. L’album non è male, muovendosi come in passato, su coordinate stilistiche vicine a Samoth e soci, ma con una forte componente death aggiuntiva. Le atmosferiche tastiere si miscelano infatti alla perfezione con la furia death metal di “americana” derivazione: “Synchroscheme” e la successiva “Phosphorror”, forse i brani migliori dell’album, possono ricordare vagamente quanto proposto dai Dimmu Borgir; si tratta infatti, di un feroce symphonic black/death metal sulla scia di quanto fatto da Shagrath e compagni. A me 'God the Lux' piace per quel suo feeling maligno, per quel suo alternare death metal con partiture sinfoniche, mi piace per l’alone di mistero e inquietudine che le sue tastiere riescono a infondere. Le liriche poi, messe insieme da Orion, trattano citazioni di R. Bach, A. Crowley e alcuni anonimi autori medioevali. Alla fine i Vesania non aggiungono nulla di nuovo all’orizzonte, ma suonano bene e con passione, quindi perchè non dargli un ascolto, secondo me non ne resterete scontenti. (Francesco Scarci)

(Empire Records - 2005)
Voto: 70

https://www.facebook.com/VesaniaOfficial

domenica 11 ottobre 2020

Cold Lands - In the Light

#PER CHI AMA: Prog/Alt Rock, Riverside, Demians
Grenoble l'ho sempre associata alle Olimpiadi invernali che si tennero nel 1968 e alle deliziose noci provenienti da quell'area. Da oggi potrò collegarla anche alla città di origine di questi Cold Lands, in realtà una one-man-band guidata da tale Alexandre Martorano, sebbene l'ensemble nacque nel 2011 come four-piece. Ora Alex ha preso le redini del progetto e si è circondato di una serie di amici che lo hanno aiutato a completare questo 'In the Light', concentrato di prog rock che strizza l'occhiolino fin dai primi brani, a Porcupine Tree, ma altre influenze verranno fuori nel corso dell'ascolto di questo disco. Dicevo della band di Steven Wilson e soci come punto di riferimento principale per Alex, ma già da "The Liars Prayer" e dalla successiva "My Vision", ci sento anche un che dei Riverside o dei conterranei Demians. Fondamentalmente nel sound dei Cold Lands, si condensano tutti gli elementi del genere: si parte dalle tiepide (ma non troppo) note dell'intro strumentale "The Moon Circle" per arrivare velocemente alle malinconiche melodie della già citata "The Liars Prayer", che apre con la voce dell'artista transalpino in primo piano, proprio a richiamare i suoi colleghi ben più famosi. Di supporto un riffing di tipica matrice prog con il delicato accompagnamento di una seconda chitarra ben più morbida. Ottimo sicuramente il songwriting e tutta l'evoluzione di una song che si candida immediatamente ad essere la mia preferita del lavoro, forse la più diretta ed orecchiabile. Le successive tracce non tradiscono poi le aspettative: "My Vision" ha un coro accattivante e anche una buona porzione solista. "City of Water" è forse troppo morbida per i miei gusti, in quanto il riffing risulta davvero relegato a pochi secondi e tutto si gioca sull'ottimo lavoro vocale di Alexander, in una traccia però dai tratti troppo pop rock. "Cold Lands" strizza ancora l'occhiolino alla band di Mariusz Duda e soci, anche se poi la chitarra, qui ben più rabbiosa, sembra richiamare i Katatonia di 'The Great Cold  Distance'. Il brano è comunque una girandola tra suoni alla Riverside, riverberi di katatonica memoria e giochini in stile A Perfect Circle, giusto per soddisfare un po' tutti i palati avvezzi a sonorità alternative rock, in quello che invece sembra essere il brano più strutturato del disco. Un bell'arpeggio di scuola Opeth apre "Face the Light" ed ecco che si aprono ulterirori strade per il buon Alex, che pescando qua e là nel panorama più intellettuale metal, cerca nuovi proseliti per la propria causa. E mentre la ballad "Waste in the Wind" gioca a fare il verso agli Anathema più intimistici (il tutto ritornerà anche sul finale con "Here You Are"), "I Begin" prosegue sfoggiando una vena depressive rock che stenta però a decollare almeno fino alla 3/4, quando la chitarra di Alex si slancia in un bel riffing in salire. In "The Blues Men" ci sento un che dei primi Klimt 1918, mentre la grande sorpresa arriva da "He's Coming", brano che chiama in causa i The Cure e pure i The Police, in un pezzo di facile presa, forte di un bel ritmo e un ottimo cantato. In chiusura, ecco "The Winged Fog", che colpisce per le armoniche di chitarra che sembrano emulare il suono di un carillon e con la voce sempre melodiosa del bravo frontman in primo piano a completare un lavoro interessante, forse un po' troppo derivativo, ma comunque la perfetta colonna sonora per questo autunno che incombe. (Francesco Scarci)

sabato 10 ottobre 2020

Hyperborean Skies - Severances

#PER CHI AMA: Blackgaze, Agalloch
Altra creatura solista proveniente dagli States, questa volta da Oklahoma City. Si tratta degli Hyperborean Skies, guidati sin dal 2013 dal factotum Ben Stire, un altro che in fatto di progetti vanta anche Black Eyed Children, Annihilating Eden, Drowned Dead e Half-Light. Insomma Ben non riesce certo a stare con le mani in mano e dopo aver pubblicato un Lp nel 2017, un split album con gli Endless Voyage X nel 2018, eccolo tornare quest'anno con un trittico di song a dire che la band è viva e vegeta. Tre brani quindi per questo EP intitolato 'Severances', che apre con "Departing Song", un pezzo che ci introduce al mondo spirituale degli Hyperborean Skies, che apre a facili ed inevitabili accostamenti ad Agalloch e compagnia. Certo non siamo di fronte alla classe della compagine ormai sciolta di Portland, però qualche soluzione interessante nel black mid-tempo del polistrumentista americano ci sarebbe anche. Nulla da far gridare al miracolo però la vena black progressive del mastermind di quest'oggi è quanto meno da apprezzare. Le melodie ancestrali, lo splendido break atmosferico che spezza a metà il brano tra un inizio più tranquillo ed una seconda parte più tirata, lasciano intravedere le buone potenzialità del bravo Ben, capace peraltro di deliziarci con un bell'assolo conclusivo di stampo prog rock. Forse ancor meglio nella seconda "Wistful Wanders (Redux)", dove il latrato scream della voce, lascia posto ad un cantato (non eccelso a dire il vero) più orientato al versante shoegaze, accompagnato anche da una musicalità adeguata, che ci mostra un altro lato della medaglia di questa realtà statunitense. Le malinconiche linee di tremolo picking garantiscono poi un risultato emotivamente coinvolgente che non lascerà del tutto impassibili davanti alla proposta di oggi. Certo, sembra mancare un po' di spinta, una maggiore verve e originalità ma Ben sembra essere sulla strada giusta. Certo "Hold this Light" in chiusura è più un pezzo ambient che nulla aggiunge a quanto fatto finora e forse mi lascia un po' con l'amaro in bocca, in quanto mi aspettavo qualcosina in più anzichè una semplice outro. Attendiamo comunque fiduciosi nuove release in un immediato futuro. (Francesco Scarci)

Perdition Temple - Sacraments of Descension

http://www.secret-face.com/
#FOR FANS OF: Death Metal
This one is reminiscent of their debut, with solid rhythms, production quality, vocals and mixing. The actual leads aren't as top notch as they were on the debut, but the rhythms overshadow that. So this is OK, but it's not going to be as good of a rating on here. The riffs are wholly original and in your face FAST! There isn't a song on here that isn't worthy of some sort of praise, just wish they left out the solos. Gene doesn't seem to be hacking it out 10 years later upon virtue of their first release. But he still came up with sick rhythm guitar-work. That I can respect absolutely. And catchy, too!

The vocals go along well with the music and these riffs are fresh. It's chapter 2 in their book not sure what their previous album was about. They were a 5-piece and was nothing at all like the first and this release. I actually chose not to review that one I'll just leave it alone. Every song on here is good rhythm/vocal wise. The ton of the guitars and the originality of the riffs, PERFECTION, indeed! The music is what stole it for me. Totally awesome riffs! It took a couple of rounds hearing this album before it really sunk in at hit home with me. I enjoyed this album immensely. Truly!

There's nothing bad to say about this release except (as previously mentioned) the lead guitar work. It just got a little sloppy. The rhythms definitely made up for it. Total originality in the respect! It's totally reminiscent of the first album. The tempos and guitar work as well as the vocals bring the listener back to the days where their debut hit home. I would venture to say that this is their 2nd best release to date. It's worth the wait (5 years) because it totally crushes. The music is what stole it for me and the overall sound was definitely there, too. I didn't miss out on anything here.

I would encourage you to take a listen on YouTube this album because it sounds like the first one just a little more polished in the rhythm department. From start to finish the intensity is really high! Fast, brutal, unrelenting and chaotic! They don't miss a beat here! I was taken aback by this band releasing one that sounded like the debut and this one is it! A good progression from their last. Let's just hope next time the leads are a little better. But the songwriting was immensely insurmountable. I few listens to and I don't doubt that you'll be blown away by this blackened death metal devastation! Check it out! (Death8699)


(Hells Headbangers Records - 2020)
Score: 80

https://perditiontemple.bandcamp.com/album/sacraments-of-descension

Centinex - World Declension

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Swedish Death, Carnal Forge
Amici, questo 'World Declension' è una sonora mazzata nei denti. Non c’è infatti un attimo di tregua nell’ascolto di questo disco, se non nei rari breaks utilizzati dalla band. Per il resto, il combo scandinavo, con ormai undici album alle spalle, questo è l'ottavo, più altri svariati EP, ci attacca con un feroce mix di death-thrash metal. L’album è diviso in due capitoli, di cui il primo comprende i primi cinque pezzi, il secondo, i rimanenti quattro. La caratteristica che comunque contraddistingue l’intero lavoro è l’attacco frontale a cui ci sottopongono i Centinex: ritmiche serrate grazie a chitarroni da paura, sostenuti da una batteria ad alto livello tellurico, assoli taglienti come le più affilate lame di rasoio, saltuari breaks che ci danno il tempo di rifiatare giusto quell’attimo prima di massacrarci ancora le orecchie con i loro riff infernali. A tutto questo aggiungiamo anche una produzione cristallina, ben bilanciata, avvenuta nei famosi Black Lounge Studios (Carnal Forge, Scar Symmetry e Katatonia), in grado di esaltare enormemente la potenza di fuoco profusa dai nostri. Nessuna innovazione, nessuna contaminazione, nei solchi di 'World Declension' scorre solo tanto odio e rabbia, senza alcun compromesso. La seconda parte del disco lascia spazio anche al lato più melodico della band: ascoltate, infatti, la magnifica “Synthetic Sin Zero” per capire quanto questi ragazzi, oramai dei veterani, calcando la scena da 30 anni, siano bravi nel coniugare la furia death con le melodie tipiche svedesi. Devastanti. (Francesco Scarci)
 
(Regain Records - 2005)
Voto: 69

giovedì 8 ottobre 2020

Sargatanas Reign - Bloodwork - Techniques of Torture

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death, Morbid Angel, Cephalic Carnage
Altra vecchia uscita di casa Regain Records: si tratta degli svedesi Sargatanas Reign conosciuti inizialmente con il semplice monicker di Sargatanas e dal 2012 evolutisi in Deathquintet (autori peraltro di un pessimo album, ma questa è storia recente). Formatisi nel 1997, dopo le solite tiritere musicali (avvicendamenti vari, demo e cambi stilistici), la band trova il suo giusto assetto e debutta nel 2002 con 'Euthanasia...Last Resort', un album dalle forti reminiscenze alla Morbid Angel e Death. Poi questo 'Bloodwork, Techniques of Torture' che sembra sterzare leggermente il tiro rispetto al passato. Sempre di death metal si parla, però ci sono influenze differenti all’orizzonte, che rendono l’ascolto di questo disco un po’ più complicato. Nonostante il flyer informativo citi Behemoth, Morbid Angel e Deicide come termine di paragone per il quintetto scandinavo, mi sembra di captare suoni provenienti da altri ambiti metal. Echi derivanti dai Cephalic Carnage si mescolano infatti alla follia dei The Dillinger Escape Plan, coniugandosi poi con lo swedish death metal, il techno death dei Death e i morbosi suoni alla Morbid Angel. Il risultato che ne viene fuori è assai interessante e vario, considerata poi l’eccellente tecnica individuale di questi ragazzi e poi per quella capacità di spaziare, alternare più generi nel corso di uno stesso brano, anche se l’ascolto può risultare alla lunga tediante. La produzione non è delle migliori, non venendo esaltati, in modo adeguato, i suoni, soprattutto quello della batteria. Comunque 'Bloodwork' non è un album malvagio e potrebbe anche meritare un vostro ascolto. (Francesco Scarci)