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domenica 11 ottobre 2020

Cold Lands - In the Light

#PER CHI AMA: Prog/Alt Rock, Riverside, Demians
Grenoble l'ho sempre associata alle Olimpiadi invernali che si tennero nel 1968 e alle deliziose noci provenienti da quell'area. Da oggi potrò collegarla anche alla città di origine di questi Cold Lands, in realtà una one-man-band guidata da tale Alexandre Martorano, sebbene l'ensemble nacque nel 2011 come four-piece. Ora Alex ha preso le redini del progetto e si è circondato di una serie di amici che lo hanno aiutato a completare questo 'In the Light', concentrato di prog rock che strizza l'occhiolino fin dai primi brani, a Porcupine Tree, ma altre influenze verranno fuori nel corso dell'ascolto di questo disco. Dicevo della band di Steven Wilson e soci come punto di riferimento principale per Alex, ma già da "The Liars Prayer" e dalla successiva "My Vision", ci sento anche un che dei Riverside o dei conterranei Demians. Fondamentalmente nel sound dei Cold Lands, si condensano tutti gli elementi del genere: si parte dalle tiepide (ma non troppo) note dell'intro strumentale "The Moon Circle" per arrivare velocemente alle malinconiche melodie della già citata "The Liars Prayer", che apre con la voce dell'artista transalpino in primo piano, proprio a richiamare i suoi colleghi ben più famosi. Di supporto un riffing di tipica matrice prog con il delicato accompagnamento di una seconda chitarra ben più morbida. Ottimo sicuramente il songwriting e tutta l'evoluzione di una song che si candida immediatamente ad essere la mia preferita del lavoro, forse la più diretta ed orecchiabile. Le successive tracce non tradiscono poi le aspettative: "My Vision" ha un coro accattivante e anche una buona porzione solista. "City of Water" è forse troppo morbida per i miei gusti, in quanto il riffing risulta davvero relegato a pochi secondi e tutto si gioca sull'ottimo lavoro vocale di Alexander, in una traccia però dai tratti troppo pop rock. "Cold Lands" strizza ancora l'occhiolino alla band di Mariusz Duda e soci, anche se poi la chitarra, qui ben più rabbiosa, sembra richiamare i Katatonia di 'The Great Cold  Distance'. Il brano è comunque una girandola tra suoni alla Riverside, riverberi di katatonica memoria e giochini in stile A Perfect Circle, giusto per soddisfare un po' tutti i palati avvezzi a sonorità alternative rock, in quello che invece sembra essere il brano più strutturato del disco. Un bell'arpeggio di scuola Opeth apre "Face the Light" ed ecco che si aprono ulterirori strade per il buon Alex, che pescando qua e là nel panorama più intellettuale metal, cerca nuovi proseliti per la propria causa. E mentre la ballad "Waste in the Wind" gioca a fare il verso agli Anathema più intimistici (il tutto ritornerà anche sul finale con "Here You Are"), "I Begin" prosegue sfoggiando una vena depressive rock che stenta però a decollare almeno fino alla 3/4, quando la chitarra di Alex si slancia in un bel riffing in salire. In "The Blues Men" ci sento un che dei primi Klimt 1918, mentre la grande sorpresa arriva da "He's Coming", brano che chiama in causa i The Cure e pure i The Police, in un pezzo di facile presa, forte di un bel ritmo e un ottimo cantato. In chiusura, ecco "The Winged Fog", che colpisce per le armoniche di chitarra che sembrano emulare il suono di un carillon e con la voce sempre melodiosa del bravo frontman in primo piano a completare un lavoro interessante, forse un po' troppo derivativo, ma comunque la perfetta colonna sonora per questo autunno che incombe. (Francesco Scarci)

domenica 24 novembre 2013

Cold Lands - Inside

#PER CHI AMA: Emotional Metal, Anathema, Klimt 1918, Katatonia
Quattro strumenti per quattro ragazzi d’oltralpe ed il gioco è fatto: mettete assieme due chitarre dall’animo opposto, una intenta a graffiare l’asfalto e mitragliarvi di schegge e frammenti di catrame, l’altra a cullarvi ed avvolgervi in morbide onde, quindi un basso ed una batteria precisi e puliti nello scandire la marcia di questo disco che, a parere di scrive, è quanto di più ruffiano sia passato ultimamente da queste parti. A tutto questo poi mescoliamo una voce calda e pulita, perfettamente calata nella parte di cantore delle arie melodiche sparate fuori con classe da questi cugini francesi di Grenoble, che per certi versi ricorda la prova di personaggi come il bravissimo Marco Soellner dei nostrani Klimt 1918. Insomma, musicofili assetati più di melodia che di sferragliamento, qua c’è pane per i vostri denti: 'Inside', infatti, non poteva avere titolo migliore giacché mantiene fede letteralmente al suo significato fin dal primo ascolto, infilandosi a forza nelle vostre orecchie per restarvi... ma senza arroganza e pretese di sorta. L’ho definito un lavoro ruffiano, ma nel senso più positivo possibile del termine: per quanto mi riguarda, questi ragazzi hanno composto un album che senza difficoltà potrebbe piacere anche a tutti coloro che non ascoltano la nostra musica preferita, quasi una testa di ponte da proporre, per dire, alla vicina di casa molto carina che non sapete come approcciare. Scherzi a parte, non voglio far passare l’idea che si tratti di un lavoro semplice, perché non è affatto così: la relativa facilità con cui si riesce ad ascoltare non deve distrarre dalla sua complessità e, come spesso (e per fortuna!) capita, anche dopo diversi ascolti non si esaurisce. Voglio dare ulteriormente supporto a questa affermazione citando le fonti di ispirazione dei ragazzi (peraltro facilmente riconoscibili), che annoverano pezzi da novanta come Katatonia ultimo periodo, Moonspell, Anathema e Paradise Lost, ai quali vorrei aggiungere i succitati Klimt 1918. Tutto risulta molto pacato, nessuna voglia di strafare ed il risultato è un insieme di pezzi che si susseguono con naturalezza, in un altalenarsi di episodi ora più morbidi, ora più aggressivi, senza un solo passo falso, cosa non facile da ottenere puntando su un prodotto di tale tipologia (dove la sensazione del “bah, troppo melenso” è sempre in agguato). Mi risulta un po’ difficile segnalarvi un pezzo piuttosto che un altro data la qualità validissima di ogni singola canzone, pertanto mi limito a nominarvi l’opener “The King of the Broken Chair”, che introduce al meglio l’attitude dei Nostri, “When I Die” dal refrain di presa immediata (vi ritroverete a canticchiarlo di sicuro) e la conclusiva “The Way”. In definitiva, ottimo disco ed ottimo esordio (self-released), buona produzione, veste grafica molto semplice ma tutto sommato curata. È un sentiero non facile quello intrapreso dai Cold Lands e sarà interessante seguirne le mosse future. Per intanto gustiamoci appieno questo lavoro: promossi a pieni voti. (Filippo Zanotti)

(Self - 2013)
Voto: 80

http://www.cold-lands.com/