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sabato 21 marzo 2020

Empire of the Moon - Έκλειψις

#FOR FANS OF: Hellenic Black, Rotting Christ
Twentytwenty is being an interesting year for some veteran Greek bands, which clearly shows that this scene is still healthy both in quality and in quantity. If recently we enjoyed Kawir’s last and their great album ‘Adastreia’, now it is time to taste another fine release coming from the Hellenic country. Empire of the Moon is the project founded by R.W. Draconium and Ouroboros in 1996. This duo became a trio with the incorporation of S.V. Mantus, only two years later. Empire of the Moon has never been a prolific band, as it only released a quite dark and unique demo entitled 'For the Ancient Light of Sin' in 1997. After this seminal work, the band was swallowed by the shadows, where it remained for a long time until the project returned to the first line-up, releasing its long awaited debut in 2014. This debut has some excellent black metal compositions, still reminiscent of its occult and murky initial sound. After that, the band took its time to release a second album, spending six years to get the sophomore album 'Έκλειψις' ('Eclipse' in English).

'Έκλειψις' is undoubtedly a fine example of the trademark style of the Greek black metal bands. Independently if the approach is more aggressive, epic or atmospheric, almost all the Greek bands which I know, have a strong sense of melody in their guitar lines. Empire of the Moon is not an exception and though it plays a more straightforward form of black metal in comparison to Rotting Christ, the songs of this album always have a good degree of melody and atmospheres. Some songs like the third track "Per Aspera Ad Lunae - I. Th Reso" may have a demolishing start, with those speedy drums, crushing guitars and vicious vocals. But as it happens with other tunes, the song evolves to a not so fast section, where the guitars have a greater room to introduce very nice melodies. Furthermore, although this is a guitar oriented album, the atmospheric touches have a good presence here and there, thanks to the work by S.V. Mantus, which introduces occasional keys and choirs, which increase the ambience of the songs. The next track shows a pure Hellenic guitar riff, which inevitably reminds me some old classic Rotting Christ songs. The song shows a quite fluctuating pace, which makes it interesting. The guitar work is again excellent with magnificently executed riffs and a very nice solo. One of strongest points of this album is that the previously mentioned remarkable characteristics become increasingly present in the later part of 'Έκλειψις'. This is because the final part of the album contains the longest tracks, which usually means a greater room to create compositions with a more different structure. However, this makes more difficult to keep the interest and inspiration alive through the whole songs. Fortunately, Empire of the Moon has worked hard to compose tracks full of excellent riffs, well structured compositions and interesting atmospheric tweaks. This tasteful mix makes you feel that the occult and mysticism related to lyrics have their proper sonic representation. As a summary and a great farewell of this album, we have the closer "Per Aspera Ad Lunae - IV Son of Fire", which is an excellent and maybe the most epic song of this album, breathing grandiosity, thanks to the majestic riffs and sticky melodies. The track flows between atmospheric parts, with some calmer sections and the most powerful ones, with easiness and inspiration. This song is without any doubt the end that the album deserved.

Good thing may take a longer time to enjoy them, but when the quality is so great, the wait is worth of our time, as it has happened with Empire of the Moon’s second album. This is an excellent work of Greek occult black metal, equally balanced in aggressiveness, melody and atmosphere. (Alain González Artola)


The Spacelords - Spaceflowers

#PER CHI AMA: Psych/Space Rock, Cosmic Letdown
Solo tre pezzi è poco per valutare l'ultimo lavoro dei teutonici The Spacelords? Dai, non scherziamo, dal momento che 'Spaceflowers' sfiora i 50 minuti di durata. Eh si, il terzetto psych rock germanico ci propone infatti tre brani dalle lunghezze piuttosto impegnative. Si parte dalla fluttuante ed eterea title track, che offre, con i suoi suoni pulsanti e magnetici, cosi affascinanti e sognanti, il classico trip da sostanze lisergiche, ove abbandonarsi a luci soffuse, armonie accattivanti e atmosfere sfocate, in una sorta di danza che potrebbe ricordare il buon Jim Morrison sul palco durante i concerti dei The Doors. Tutto ciò non fa che confermare l'eccellente stato di forma di una band, ormai in giro dal 2008, e con un bagaglio artistico, musicale e culturale alle spalle davvero senza precedenti, considerate le esperienze dei vari membri della band in giro per il mondo, a conoscere ritmi ed etnie, dall'Africa all'India, facendo tappa anche in Russia. La song dura quasi 14 minuti, che i nostri sembrano gestire in punta di fioretto, senza mai affondare il colpo, ma inoculando melliflue melodie che sembrano trovare un po' più di robustenza solamente negli ultimi tre minuti della traccia. Con "Frau Kuhnkes Kosmos", il ritmo sembra più frenetico, comunque sempre all'insegna di una certa ridondanza dei suoni che donano quell'aspetto di turbamento mentale che tanto mi affascina in questo genere, nonostante la natura strumentale del trio. I ricami delle chitarre infatti celano la mancanza di un vocalist, mentre il drumming tribale evoca nella mia mente balli africani in una sorta di vortice cosmico vibrante che mi avvicina in un qualche modo alla divinità, in un estatico movimento di grande emozione. Molto più tiepida invece "Cosmic Trip", una monolitica traccia di oltre 24 minuti, in cui se si perde il filo al minuto quattro, lo si recupera tranquillamente al nono, questo per spiegare quella ridondanza sonora che menzionavo poco sopra. Fortunatamente al decimo giro d'orologio convergono nel flusso sonoro dei nostri melodie orientali, forse indiane che ci riconducono alle influenze ancestrali della band. Inoltre, ascoltando le melodie della traccia, mi sovviene alla memoria un'altra release che ho apprezzato molto negli ultimi anni, e che risente di melodie orientali, ossia 'In the Caves' dei Cosmic Letdown. La song comunque si avvita e srotola su se stessa una moltitudine di volte, rilasciando ottime melodie e vibranti emozioni, in una specie di rivisitazione della lunga parte strumentale di "Light my Fire" dei The Doors. Insomma, 'Spaceflowers' è un graditissimo ritorno per una band sempre sulla cresta dell'onda con il suo inossidabile concentrato di psych rock dalle tinte cosmiche. (Francesco Scarci)

mercoledì 18 marzo 2020

Pulcinella - Ça

#PER CHI AMA: Avantgarde/Jazz/Prog Rock
Cosa potrei mai dire per parlar male di una band che compone e suona in maniera egregia, che salta schemi a piè pari, che usa le basi del tango per distruggerne la tradizione con composizioni contorte e frizzanti e che in alcun modo può essere catalogata. Potrei dire solo, che il nome non si addice a questa band francese, poiché la quantità di colori espressi in musica potrebbe ricordare meglio un Arlecchino ed il suo abito, non certo il vestito bianco e pallido di Pulcinella. Comunque, qualcosa c'è in comune con la maschera partenopea, una certa verve mediterranea che contraddistingue il sound del quartetto transalpino, un calore avvolgente ed una vivacità coinvolgente. Provate ad immaginare il jazz, il moderno jazz impartito dal trio geniale di Medeski, Martin e Wood, calato in un bosco di suoni magici, esotici, tra cui il tango. Pensate poi agli accenti psicotici di Edgar Varese, al dark jazz stile Dale Cooper Quartet & the Dictaphones e ancora, a movimenti progressivi, atmosfere da colonna sonora di vecchi film romantici, o all'ombra immancabile del Zorn più compulsivo, per finire in digressioni etniche ed esperimenti rock vagamente psichedelici, in ricordo dei seminali Material. Tutto questo per avere una vaga idea del suono dei Pulcinella. Un cofanetto di musiche ricche d'atmosfere e situazioni imprevedibili, schegge impazzite, lampi di luce e meteore sonore che piovono per tutte le dieci tracce, di media, lunga o corta durata, poco importa, poichè il divertimento è assicurato visto che, la qualità d'esecuzione e la produzione sono altissime. 'Ça' è alla fine un album godibile, un disco candidato a divenire un ascolto obbligatorio, il classico must per tutti gli amanti del jazz contaminato, a volte composto, altre volte impazzito. Come resistere ad un brano destabilizzante qual è "Ta Mère Te Regarde"? Perchè non abbandonarsi alla cadenza notturna della desolata melodia di "Ici Hélas" con quelle sue pause mozzafiato? O perdersi nelle note folli di "Salut Ça Va", dove ritmi acid jazz vengono trafitti da carrellate di suoni elettronici rivisti, dalla Bubblegum music o rubati alla new wave dei D.A.F. del 1981? Inutile fuggire da questo gioiellino, inutile scappare dal talento di questa compagine di Tolosa, che dal 2006 ad oggi, ha già realizzato sei album, uno più bello ed interessante dell'altro. 'Ça' è un'imperdibile release, siete avvisati. (Bob Stoner)

(Budapest Music Center Records - 2019)
Voto: 80

https://pulcinellamusic.bandcamp.com/album/a

martedì 17 marzo 2020

Salmagündi - Rose Marries Braen (A Soup Opera)

#PER CHI AMA: Avantgarde/Krautrock/Noise Jazz
Ottima seconda uscita per questa band proveniente dalla provincia di Teramo che ci inebria con un album dal contenuto eclettico e variegato, classificabile solo con la dicitura avantgarde. Provate ad immaginare suoni new wave, sintetici e astratti a la The Residents mescolati all'ultra psichedelia rock dei 500 Ft. of Pipe, un sarcasmo zappiano, un post punk trasversale con una voce salmodiante a metà tra Jim Morrison ed il canto gotico dei Bauhaus, dei synth cosmici, krautrock e follie soniche alla Mike Patton e i suoi Mr. Bungle, per avere lontanamente idea del miscuglio ben generato e ragionato e con effetto molotov di questi Salmagündi, band raccomandata per appassionati di musica cerebrale, schizoide, senza confini nè limiti. I riferimenti sonori sono molteplici e ci si diverte parecchio durante l'ascolto di 'Rose Marries Braen (A Soup Opera)' nel cercare le connessioni con le varie influenze. Detto questo, bisogna ammettere che la band abruzzese, nelle sue evoluzioni strutturali progressive, ha un potenziale di originalità assai elevato e, a discapito di altre band sperimentali, i Salmagündi (il cui significato la dice lunga sulle intenzioni della band - trattasi infatti di una ricetta gastronomica franco-inglese, il salmigondis, che prevede un miscuglio o un mix di ingredienti eterogenei), nonostante la complessità dei brani, si lasciano ascoltare con facilità ed un certo interesse in quanto sono atipici e fantasiosi (l'organico è composto da un synth, due bassi, batteria) e con composizioni storte e intelligenti, mai improntate sul mero virtuosismo, semmai atte a sguinzagliare l'estro creativo dei musicisti, che ripeto, sono assolutamente senza barriere e confini strumentali. Il quartetto si sposta infatti in continuazione tra le note di un brano e l'altro, facendo apparire l'album come un viaggio multicolore, stralunato e folle, per raccontare la storia del pazzo mondo di Braen (un personaggio da Carosello, quel vecchio programma televisivo in onda tra il '57 ed il '77), arrivando a toccare vette di noise-jazz istrionico, come in "Cheese Fake" o "Cockayne". In altre composizioni invece, i nostri assumono tempi lenti e funebri, con il jazz di matrice zappiana, il rock in opposition e quella gradevole goliardica verve teatrale che ritroviamo anche nel disco capolavoro, 'Primus & the Chocolate Factory With the Fungi Ensemble" e che consentono ai nostri di scardinare definitivamente la supposizione che quest'ottimo gruppo rientri nella normalità. Un ascolto obbligato, per veri intenditori! (Bob Stoner)

domenica 15 marzo 2020

Bloody Souls - The Devil's Hole

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Candlemass, Black Sabbath
Tralasciando il fatto che la scena stoner internazionale sia immobile da tempo immemore e che sia popolata da una miriade di band bravissime ma tutte uguali o alla meglio, simili tra loro, che hanno perso progressivamente, dalle origini ad oggi, caratteristiche e meraviglie psichedeliche che hanno reso questo genere una musica di culto, ci avventuriamo alla scoperta di questa band abruzzese al suo debutto (pubblicato e distribuito dalla (R)esisto). I Bloody Souls suonano molto bene ma non fanno eccezione, non inventano niente di nuovo, hanno un sound retrò e ricalcano i versi e le costruzioni classiche, dai Black Sabbath ai Candlemass, attingendo anche a quell'oscura influenza che fu il diavolo secondo i Death SS, e aggiungendo un po' di quel fervore metal anni '80. Nonostante tutto, i nostri riescono a regalarci comunque un ottimo disco. Splendido nel suo essere discepolo dei grandi maestri, (mai come in questo caso, ho apprezzato tanto la chiusura ferrea, tra le fila di un genere, di un disco) diviso tra stoner rock cavalcante, oscure dottrine e doom/sludge dal retrogusto hard rock di matrice 70's di scuola Down e Saint Vitus. La bella voce di Johnny Hell (anche alla chitarra) è il collante giusto, aggressiva, diabolica, (con uno "Yeah!" spettacolare nell'ingresso con annessa risata malefica alla James Hetfield sul brano "Madhouse") per un sound scarno, pesante e potente, ribassato, con diverse suggestioni del passato e perfino un bel tiro alla Corrosion of Conformity di "No Cross No Crown" (il video promozionale di 'Devil's Hole' lo potete vedere in rete su youtube). "Solve et Coagula" ha un ritornello assai interessante che ricorda il prog italiano degli anni settanta, che evoca le più oscure invocazioni al maligno, mentre "Living in Darkness" si abbandona all'orecchiabilità mentre l'oscurità scende nella sabbathiana "Demon's March", una marcia funebre dai toni foschi e lugubri. La mia preferita rimane però l'omonima "Bloody Souls", che appare macabra e mastodontica, che incalza in poco meno di quattro minuti, i vari riferimenti musicali utilizzati dalla band per la composizione dell'intero disco. Quindi nessun miracolo, evoluzioni già sentite ma tanta cupa energia sonora, oscura espressività sputata in faccia senza alcuna remora, per un album dall'umore nero come la pece, travolgente, piacevole all'ascolto e trascinante al punto giusto. Un ottimo biglietto da visita.(Bob Stoner)

((R)esisto Distribuzione - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/bloodysoulsband/

sabato 14 marzo 2020

Karmatik - Unlimited Energy

#PER CHI AMA: Prog Death, Cynic
Nel mio costante scandagliare l'underground metallico, questa volta mi sono fermato in Canada, nello stato del Quebec, per dare un ascolto alla seconda prova di questi melo deathsters che rispondono al nome di Karmatik. La loro ultima release, 'Unlimited Energy', è uscita nel 2019 a distanza di sei anni dal loro debut album, 'Humani-T'. Perchè soffermarmi sulla proposta di questo quartetto di canadese? Perchè sono interessanti interpreti di un sound che coniuga il melo death con prog e techno death. Lo dimostrano subito con i fatti e l'opener "Universal Life", una traccia che mette in luce la caratura tecnica del combo, una certa ricerca per il gusto, e questo loro combinare riffoni death, sempre pregni di melodia sia chiaro, con rallentamenti più sofisticati che mi hanno evocato i Cynic. E la band di Paul Masvidal e soci torna anche nell'incipit di "Tsunami Sanguinaire", con quei rallentamenti acustici da brividi, prima che la band ingrani la marcia e riparta con un rifferama compato, carico di groove, ma pur sempre bello incazzato, ove la voce di Carol Gagné trova modo di sfogare tutta la propria rabbia grazie al suo possente growl. Poi è solo tanto piacere grazie a quei break sopraffini di chitarra e basso, per non parlare dell'eccellente apparato solistico che ci delizia con ottimi giri di chitarra. Diamine, 'Unlimited Energy' è un signor album allora? Si, per certi versi rischia di essere un masterpiece, per altri mi viene da dire che l'album è ancora fortemente ancorato a vecchi stilemi di un death metal di cui si potrebbe anche fare a meno. Perchè dico questo? Semplicemente perchè quando i nostri si adoperano nel classico sporco lavoro death old school, finiscono nel calderone del già sentito. Questo capita con "Black Sheep... Be Yourself", una song che ha il suo primo sussulto solo sul finire del brano. E allora l'invito è cercare di essere un po' più fuori dagli schemi anche in quei frangenti più classiconi, altrimenti la possibilità di non farsi notare si acuisce ulteriormente. Il disco è comunque una prova di tutto rispetto che evidenzia luci ed ombre di una band che potrebbe dare molto di più. Vi segnalerei un paio di pezzi ancora che mi hanno entusiasmato più di altri: in assoluto "Transmigration of Souls" che, nonostante la sua natura strumentale, suona come un mix esplosivamente melodico tra i Death e i Cynic. E ancora, vi citerei i giochi di chitarra di "Defeat or Victory" in un contesto comunque deflagrante e la più sperimentale "As Cells of the Universe" per l'utilizzo di vocals meno convenzionali su un tappeto ritmico fortemente influenzato dalla scuola di Chuck Schuldiner. Ben fatto, ottima la prova dei singoli (basso in testa) ma ora mi aspetto il definitivo salto di qualità. (Francesco Scarci)

venerdì 13 marzo 2020

The Roozalepres - S/t

#PER CHI AMA: Punk Rock
Dalla Toscana con furore mi verrebbe da dire, dopo aver ascoltato queste 12 fottute tracce dei The Roozalepres. Trentaquattro minuti di suoni punk rock lanciati a tutta forza. Cori accattivanti annessi ad assoli arroganti ("Rough'n'Roll Rooze 'Em All"), merce rara per il genere e non solo. "Come and Go" è una bella cavalcata punk che mi hanno evocato gli esordi dei Rostok Vampires e di quell'indimenticabile, almeno per il sottoscritto, 'Transilvania Disease'. Ancora chitarre velenose, melodie che inducono ad un bell'headbanging che a quest'età rischia ormai di procurarmi qualche problemino alla cervicale. Ma sapete che penso, me ne fotto e mi lascio trascinare dal sound di questo quartetto che, pur non inventando nulla di nuovo, assembla in quest'album omonimo un mare di influenze che smuovono anche sua maestà Glenn Danzig ai tempi dei Misfits, coniugando quindi dark, punk e rock'n roll, senza dimenticarsi qualche scorribanda in territori hardcore. Inutile stare qui a fare il classico track by track ed elencarvi peculiarità, pregi e difetti di ogni song, molto meglio lanciarsi allora in pogo sfrenato creato dal combo italico e cercare di dimenticare per una mezz'ora abbondante quel frastuono che ci circonda. Il punk rock dei The Roozalepres (ecco sul moniker avrei di che ridire) è sicuramente molto più rumoroso e divertente. Difficile identificare una song piuttosto di un'altra ma dovendo esprimere la mia opinione, devo dire di preferire la band su ritmiche più tirate come "Frankenstein Heart" o "Riding Cosmos", dove i nostri trasmettono grande energia, piuttosto che pezzi più mid-tempo come possono essere "Black Magic Killer" o "Mean Mean World", una song quest'ultima più Ramones oriented. Alla fine, mi sento di consigliare la fatica di quest'oggi a tutti gli amanti di questo genere di sonorità, poco impegnate e scavezzacollo. (Francesco Scarci)

(Go Down Records - 2020)
Voto: 69

https://www.latest.facebook.com/roozalepres

Borgne - Y

#PER CHI AMA: Black Sperimentale, Aborym, Dodheimsgard
Impugnate la vostra matitina e prendete nota di questo disco perchè già oggi si candida ad essere una delle migliori release in ambito estremo di questo tribolato 2020. Gli svizzeri Borgne sono tornati con un lavoro spaventoso per intensità e qualità esecutiva. 'Y' è il loro nono album, e devo ammettere di non aver particolarmente amato i precedenti otto, un disco che propone uno sconfortante concentrato di black metal sporcato da contaminazioni industrial e visioni post apocalittiche (che in questo periodo ci stanno davvero alla grande). Sette le tracce a disposizione dei nostri per 65 minuti di musica malefica che sembra essere uscita direttamente dalle porte dell'Inferno, carica di odio ma anche di una massiccia dose di melodia. Il cd, in splendido formato digipack, si apre con le tonanti melodie di "As Far as My Eyes Can See", un pezzo che irrompe nel mio lettore con la medesima deflagrante violenza che aveva avuto "Disgust and Rage (Sic Transit Gloria Mundi)" pezzo apripista di 'Generator' degli Aborym. Ecco gli Aborym di quell'album potrebbero essere un bel punto di contatto per la nuova release del duo di Losanna. Tuttavia mi verrebbe da pensare anche ai Dodheimsgard e al loro black avanguardistico industriale per descrivere quello che i Borgne sono oggi. Come detto, non sono mai stato un fan della band elvetica, tuttavia mi ritrovo ad infiammarmi ed entusiasmarmi per un disco mastodontico. Ascoltatevi il ritmo incalzante di "Je Deviens Mon Propre Abysse", quasi una traccia dance all'inizio (e anche alla fine) che muta in una violenta melodia che governa un pezzo cosi incredibilmente ricco di pathos e ottime orchestrazioni. Ancora ammiccamenti di matrice industrial-cibernetica per la lunga e sorprendente "A Hypnotizing, Perpetual Movement That Buries Me In Silence", sorprendente per un finale che sembra chiamare in causa addirittura i Depeche Mode (soprattutto a livello vocale). Con "Derrière Les Yeux De La Création" i Borgne sembrano spostarsi invece in territori dark folk, complice quella chitarra acustica in apertura dal sapore cosi bucolico, seguita poi da un'atmosfera quanto mai glaciale e funesta che rende l'aria pesante da respirare anche quando i nostri cercano con spaventose accelerazioni, di mutare quel mood catastrofico che la song si porta dietro, figlia di giorni di sconforto e terrore. Si cambia ancora questa volta con la follia sintetico cerebrale di "Qui Serais-Je Si Je Ne Le Tentais Pas?" e la sua colata di melodie informi che si muovono tra sonorità a rallentatore e altre elettroniche, prima di immergerci nell'ambient malato di "Paraclesium", una pausa di nove minuti in attesa del gran finale affidato a "A Voice In The Land Of Stars". L'ultima song infatti include ben oltre 17 minuti di musica in cui converge tutto quanto creato sin qui dal duo formato da Bornyhake e Lady Kaos: l'inizio è lento ma poi la velocità e l'umore nero della band elvetica, hanno il sopravvento creando un wall of sound orrorifico, complici peraltro le splendide keys gestite dalla bravissima Lady Kaos. Alla fine devo ammettere che 'Y' è un signor album, moderno, sofisticato, alquanto originale a cui sarebbe il caso di dare una grossissima chance. (Francesco Scarci)

(LADLO Prod - 2020)
Voto: 83

https://ladlo.bandcamp.com/album/y