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mercoledì 26 febbraio 2014

Woodwall - Woodempire

#PER CHI AMA: Stoner, Post Metal, Orange Goblin, Isis 
Una rivelazione, semplice quanto improvvisa e fulminante. Ecco cosa mi è accaduto quando ho avuto tra le mani questo album marchiato Red Sound Records, che tra l'altro sta pubblicando una serie fortunata di ottime band. I Woodwall sono un quartetto lunigiano relativamente giovane di formazione (2009), ma che sfodera un sound e una composizione che porta subito alla mente gruppi di grosso calibro come Isis e Orange Goblin. Ma le somiglianze si fermano qui perché i Woodwall hanno lavorato molto per creare una proposta molto personale che prende si spunto dallo stoner psichedelico (i synth svolgono un ruolo molto importante in questo 'Woodempire'), ma va oltre fino a toccare il post rock/metal e tornare poi allo sludge. Dopo questa classificazione necessaria per gli amanti delle etichette, possiamo goderci a pieno le sei tracce ed entrare con passo leggero nel magico bosco dei Woodwall. La prima traccia affonda le sue radici tra riff grossi e carichi di bassi all'inverosimile con una sezione ritmica che non lascia respiro. Blues sporco di fuliggine annerisce le nostre mani e cerchiamo una via di fuga che ci riporti alla luce del sole, ma il bosco è troppo fitto e le note dei synth ci chiamano con voce suadente. Abbiamo appena varcato la soglia e i lunghi rami degli alberi ci hanno già avvinghiato, non ci resta che continuare il nostro cammino. "Kind Stuste" è un classico pezzi stoner che prende spunto dai storici Kyuss e Sleep, ma la band riesce bene nell'impresa e punta tutto sul suono. Le tastiere sono quasi sommesse e forse avrebbero potuto osare di più e dare più personalità al pezzo. Dopo questa breve divagazione, riprendiamo il nostro viaggio e grazie a "Walden" possiamo bere la linfa vitale e raggiungere la conoscenza. L'introduzione è maestosa, con sonorità prog direttamente dagli anni settanta che omaggiano i Goblin di Simonetti e ci trascinano in un vortice mistico che fa venire voglia di perdersi e divenire noi stessi parte del magico bosco dei Woodwall. Sono sincero, era da molto tempo che non mi emozionavo così tanto e ho sentito solo la mancanza della versione vinile di questa traccia che potrebbe regalare ancora maggiori emozioni sonore. Riff di basso e batteria potenti, assoli ricchi di delay e pad quasi ambient si uniscono perfettamente per dar voce ad ottimi arrangiamenti e cambi di direzione che non fanno altro che arricchire un brano già speciale di suo. Dopo questi undici minuti ti ritrovi a boccheggiare ed a soffrire subito di una crisi di astinenza che deve essere placata quanto prima. Per fortuna arriva "Holocene/Cambrian" la cui struttura si basa sulla batteria e basso che all'unisono creano una ritmica onirica accompagnata da una voce ricca di effetti e fascino. Synth e chitarra rincarano la dose e chiudono un album che rasenta la perfezione. È presto per dire che è il miglior lavoro dell'anno, ma gli altri gruppi sono avvisati. Il bosco rischia di incantarvi e difficilmente troverete il sentiero che vi riporterà indietro. (Michele Montanari)

(Red Sound Records - 2013)
Voto: 90 

domenica 23 febbraio 2014

A second official compilation will be issued by The Pit of the Damned on July 2014 with a massive content of death and black from the best underground bands around the world.

The Pit of the Damned Vol.2 will be available for download on Bandcamp® with a small offer. Support us to continue our work and to review music!

How to submit your song to "The Pit of the Damned Vol.2" (only death and black music genres):
- n. 1 track in mp3 format 320 kbps. The song has to be free from any contract with labels, please send only your own music.
- n. 1 picture in high resolution of your band logo or line-up (no LP/CD/EP cover or similar).
- Biography of your band in English (1500 characters with spaces maximum).


Please submit your material within 31st May 2014 to: thepitofthedamned@gmail.com

sabato 22 febbraio 2014

Gravity's Drop Out – Tracks for Non-Existent Movies

#PER CHI AMA: Ambient, Elettro, Noise, Seefeel, Cabaret Voltaire, Nitzer Ebb 
La Alrealonmusique è un'etichetta americana che produce artisti sperimentali da tutto il mondo senza confini sonori e aperti ad ogni tipo di percorso purché si celi dietro una forma d'arte di carattere. La scelta sonora di questo cd, dalla squisita grafica Pink Floydiana, è una raccolta di autori che hanno lavorato con l'etichetta in questi anni e ad ognuno è stato detto di cimentarsi in musiche dal forte stile cinematografico creando insieme un'unica colonna sonora e come recita il titolo, solamente inventando brani per film che non esistono. Pas, Margitt Holtz, Herr Penschuck, Ebinger, Nika Son e Thorsten Soltau in duetto con Herr Penschuck riescono nell'impresa impossibile di rendere credibile e ascoltabile un universo sonoro fatto di micro musiche impercettibili, colme di rumoristica d'ambiente e drone music, elettronica minimale e avanguardia, a volte claustrofobica, a volte folle, mai scontata, dal volto intellettuale e ricercata. Una colonna sonora perfetta che potremmo indicare ottimale per un cortometraggio di un giovane David Lynch, con velate intrusioni nei Cabaret Voltaire, Legendary Pink Dots o Nitzer Ebb più onirici e piccoli accenni sul filo della paranoia di scuola mistica e rumoristica dei Death in June (quando non suonano folk apocalittico), Vladislav Delay e tanta elettronica minimale. Suoni silenziosi, intimi ed interiori, alcune gocce degli ultimi Seefeel e tanta delicata devozione verso l'ascoltatore, un modo sacrale di fare musica diversa, musica di spessore, intelligente ed estrema senza infastidire e risultare interessante, determinati e senza inutile clamore. Elettronica sperimentale d'avanguardia di classe! Provatelo! (Bob Stoner)

(Alrealonmusique - 2013)
Voto: 70 

Neuma – Totentanz

#PER CHI AMA: Stoner, Post Metal, We, Nebula, Karma to Burn, 7 Zuma 7
Si chiama 'Totentanz' il primo full length autoprodotto che ci propongono i Neuma, band proveniente da Taranto. Un ottimo esempio di come si possa suonare musica stoner dalla forte connotazione ipnotica e psichedelica, una ricerca sonica del mantra cosmico, un'abilità stilistica evidente, un background devoto al genere e una cura maniacale nella ricreazione del suono in perfetto stile allucinato. Tre le cose da sottolineare. La prima che l'album è delizioso, ricco di suoni e costruzioni da lode, pezzi strumentali che riescono a farsi apprezzare senza rimpiangere alcuna parte cantata, pesanti quando serve ed atmosferici laddove ci vuole. La seconda è che l'artwork di copertina a nostro parere non è proprio indicato, con quell'immagine del macabro banchetto funebre che spinge a pensare ad uno stile pagan/folk metal anziché far presagire un perfetto stile di psichedelia pesante... La terza cosa è, che tanto è bello e quasi perfetto questo disco, tanto cade nel derivativo e nel già sentito e questo lo penalizza molto in termini di originalità. Infatti la musica ricalca fedelmente costruzioni già apprezzate in storiche band, quali Nebula, 7 Zuma 7, We, Karma to Burn o 35007 e seppur lodando il quartetto per la scelta di non seguire le orme dei più gettonati Kyuss ed Orange Goblin, il lavoro ne risente in negativo in fatto di personalità. Intendiamoci, per un amante del genere è una perla rara, pieno di tutte quelle soluzioni sonore che fino ad oggi abbiamo sentito in questo genere. Curato e disinvolto, una vera goduria per i fanatici di questo stile, l'intero lavoro lo si ascolta molto volentieri senza segni di cedimento strutturale. L'arte l'hanno imparata a dovere ed hanno tutte le carte in regola per esplodere, ma rischiano di cadere in quel calderone di omologazione che da qualche anno la musica stoner è divenuta, se non evolveranno in qualcosa di più personale. Un lavoro che a livello stilistico si eleva molto, anche nei confronti di band più blasonate in ambito stoner (vedi Vista Chino!?!), se ci si spingesse un po' più in là forse un giorno potremmo anche gridare al miracolo! Lo stoner è risorto! Sicuramente da ascoltare. (Bob Stoner)

(Self -2013)
Voto: 70

Microtonner - Navigation

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Non sono dei novellini gli austriaci Microtonner, dato che stanno per compiere il loro diciassettesimo compleanno, e con questo quarto album portano a compimento un “ritorno alle radici”, dopo una parziale virata verso lidi industrial ed elettronici. Da poco, infatti, Martin Baumann (chitarra) e Paul Proll (basso), hanno ri-accolto in organico un batterista stabile (Chris Hubmann), che gli ha consentito di cimentarsi nuovamente con il loro primo amore, ovvero un post-rock strumentale caratterizzato da un suono molto solido, direi quasi granitico. 'Navigation' è quasi un concept album, un viaggio in musica, un racconto di viaggio, un racconto di vita. Ciò che colpisce, fin dai primi istanti della traccia d’apertura “Departure”, è questa sensazione di straordinaria concretezza e fisicità che i tre riescono ad infondere nelle loro trame, che riescono a risultare interessanti e mai banali, a dispetto di una tavolozza espressiva solo all’apparenza limitata. Il mare nero e increspato della copertina viene più volte evocato nel corso di queste nove tracce, dalle inquietudini di “Exploration”, fino alla potenza espressa senza freni in “Dark Surface” (inclusa anche nella prima compilation del Pozzo dei Dannati) dove tra feedback, percussioni marziali e muri chitarristici, pare di udire anche il canto di una sirena in lontananza. Vanno dritti al punto, i Microtonner, senza inutili orpelli la loro musica si dispiega con sorprendente immediatezza e una potenza sempre funzionale al brano, e mai usata per mascherare lacune compositive. Si fanno ben volere, questi austriaci, come quei mediani non particolarmente dotati dell’estro del genio che però corrono dietro agli avversari, recuperano la palla e fanno ripartire l’azione, e poi corrono verso la porta, credendo anche ai lanci in cui nessuno crede. Per tutti i 90 (40, in questo caso) minuti. Senza cedimenti. (Mauro Catena) 

(Self - 2013)
Voto: 70

martedì 18 febbraio 2014

Ekove Efrits - Nowhere

#PER CHI AMA: Suoni sperimentali, Dark, Trip Hop
Ben ritrovato caro Count De Efrit, talentuoso musicista iraniano, che da sempre offri una forma di musica intimistica, per cui se mi consenti, abbandonerei definitivamente l'appellativo di black metal. Con questo nuovo 'Nowhere', il tuo quarto full lenght, persegui la tua opera di ricerca di un suono unico ed onirico, che prosegue sulla falsa riga del precedente 'Conceptual Horizon', ma esasperandone i contenuti e toni che si pongono al di fuori dell'ambito metal. "Public Theatre" dimostra la tua spiccata personalità palesemente e l'eccezionale dote con cui fai coesistere sonorità accessibili ad un pubblico tipicamente non metal con altri adatti agli amanti della scena estrema. La tua voce oscura e malvagia ancora fa breccia tra le note di questo lavoro, mentre la brava Megan Tassaker e i suoi suadenti vocalizzi, ti aiutano a muoverti fra il trip hop e la dark music in "Parallel Presence"; poco importa se alla fine ci piazzi una bella cavalcata black. Un breve intermezzo musicale e le tue clean vocals emergono nel contesto elettronico di "One Truth, One Confession", dove riesumi, anche se per pochi secondi, una linea chitarristica quasi tipicamente black. Poi sono l'EBM, il gothic e la dance a venirti in aiuto, proponendo un sound che si diversifica in mille sfacettature diverse, abbracciando anche i temi da colonna sonora. Persisti con la produzione lo-fi, chissà cosa salterebbe fuori in caso di produzione cristallina? Un tump-tump-tump apre "Infinitesimal", cyber song che potrebbe piacere a chi segue Massive Attack, Portishead o Sigur Ros, e in cui riemerge la sensualità vocale di Megan, che alla fine assurge a ruolo di indiscussa protagonista. Ma cosa in realtà ti fa soffrire Count De Efrit, se tutta questa malinconia permea le tue canzoni? Sofferenza, disagio, tristezza e disperazione, sono infatti le componenti principali su cui si fonde il sound della tua band. "Metamorphosis" è un brano il cui incipit mi ha evocato l'inizio di una song che ho recentemente ascoltato in India: song criptica, sperimentale, decisamente ambient che pone fuori dagli schemi la proposta musica degli Ekove Efrits. Tiepidi suoni pop rock si ergono nell'iniziale parte di "Sword and Wound", ma non temo di venire deluso dalla tua inusuale proposta, tutto è messo nel posto giusto e la sfuriata black che ci attacchi in seguito è perfetta a smorzare la fluidità devastante di un sound che talvolta sembra imboccare una strada pericolosa. Non posso dire altro che complimentarmi ancora con te Count De Efrit, che fai della sperimentazione il tuo credo. Cosa dovrò attendermi ora per la prossima release? Non vedo l'ora di scoprire come evolverà il suono della tua band in futuro. A presto. (Francesco Scarci)

(Hypnotic Dirge Records - 2013)
Voto: 85

http://www.ekove-efrits.com/

domenica 16 febbraio 2014

Primo Vespere - Daylight Fading

#PER CHI AMA: Death/Black Progressive, Kalmah, Cradle of Filth, Angizia
Signore e signori si alzi il sipario, è arrivato il momento dei Primo Vespere e del loro metal estremo dalle venature sinfoniche. Il 6-piece di Venezia giunge al traguardo del primo full lenght, dopo un EP datato 2012, grazie al supporto della Moonlight Records, sfoderando una prova convincente che si palesa sin dalla prima traccia, "Black Sun". Si tratta di una heavy song dotata di una semplice struttura lineare su cui si innestano poi una serie di arrangiamenti che, partendo da una solida base di musica classica, spaziano poi dal black vampiresco al death melodico di scuola finlandese. Vorrei subito sottolineare la preparazione strumentale dei nostri, musicisti dotati di indubbio bagaglio tecnico, nonchè di un pomposo gusto melodico, che si esplicherà nella performance globale di 'Daylight Fading'. "You Gave me Life" inizia come i primi Cradle of Filth erano soliti fare, con un bell'intro dai sanguinei rintocchi gotici, prima che irrompa un riffing nervoso su cui si stagliano le vocals di Davide Lazzarini, che coadiuvato dal tastierista Marco Pedrali, danno luogo ad una sequelae di growling, scream e vocals recitate. L'atmosfera che si respira ha un che di barocco, ma è merito del massivo uso di keyboards che costituiscono la matrice tissutale del sound dei Primo Vespere. Forse i nostri in taluni frangenti hanno la tendenza a strafare, ma i ragazzi sono giovani e hanno tutto il tempo per correggere il tiro, smussando il loro desiderio innato di stupire l'ascoltatore con orpelli di ogni tipo. Ciò non è un male sia chiaro, ma talvolta la necessità di offrire più suoni ad effetto nello stesso momento, rischia di deviare enormemente l'attenzione di chi ascolta: ne è una dimostrazione "Rejected God", song strutturata, ricchi di cambi di tempo, ma che vede anche la coesistenza di mille generi musicali lungo i suoi sette minuti, centrifugandoci il cervello con death, jazz, rock, fusion, black e musica classica (chi ha citato gli Angizia?). Disorientato, ecco come mi sento. Fortunatamente attacca "Unfatithful Soul", song dall'istinto rock, un po' più lineare delle altre, che vanta una splendida sezione solistica, con la ritmica che segue i dettami del death melodico finnico di Kalmah e Children of Bodom. "Vespero" è un bell'intermezzo semi-acustico che ci mette in pace col mondo, uno spartiacque con la seconda parte del disco che apre con "Riflesso di Morte", in cui l'act di Venezia concede alla lingua italiana l'onore di raccontare le storie macabre e di terrore, cantate dal buon Davide e che ancora una volta mette in mostra le doti eccelse di Marco alle keys. Keys che a braccetto col basso, aprono "Trough the Graves", brano dal piglio rockeggiante che vanta un bell'organo di sottofondo e delle vocals nella loro veste pulita, mentre le chitarre rischiano di venire seppellite da una produzione non proprio cristallina. Con "The Darkest One" sono reminiscenze 70's ad emergere che vanno a collidere con le sonorità più estreme della band veneta. Interessante il roboante incedere di "A Modern Man a Modern Beast" con una effettistica che esplode in cuffia e che ricattura la mia attenzione che stava lentamente scemando. Chiude il disco "Sotto l'Albero Caduto", altra apparizione della lingua italiana che rende giustizia alla buona riuscita di questo pretenzioso lavoro e vede i Primo Vespere offrire ottimi spunti con la loro musica, vera fusione di stili. 'Daylight Fading' pecca ancora un po' in termini di ingenuità, ma come dicevo ci sono ampi margini di miglioramento, facendomi propendere per questo motivo, e per il bene di questi giovani ragazzi, a mezzo punto in meno nel mio score finale. (Francesco Scarci)

(Moonlight Records - 2013)
Voto: 70

http://www.facebook.com/pages/Primo-Vespere

sabato 15 febbraio 2014

Ioseb – The Ghost of Thirtythree – Agartha – Remixed; The Ghost of Thirtythree



#PER CHI AMA: Post rock, Alternative, Sigur Ros, Mogwai, Radiohead
Mentre guardo il cielo minaccioso fuori casa mia e mi preparo ad affrontare la famigerata “big snow” prevista da tutti gli esperti meteo, non potrei trovare miglior colonna sonora dell’opera omnia di questo combo svedese, scoperto di recente (benchè il loro debutto sia datato 2009) con il loro secondo album, 'Agartha', e al quale mi sembra doveroso dedicare una piccola, ma spero esaustiva, monografia. È musica evocativa, quella dei quattro di Nyköping. Di coltri bianche che tutto inghiottono, di nebbie solide, cieli candidi e nuvole veloci. È del 2009 il loro primo, sorprendente demo, che viene poi di fatto ripubblicato come 'The Ghost of Thirtythree'. Un disco che, al di là di qualche (poche, per la verità) ingenuità e nonostante un suono non proprio scintillante, mette in fila una decina di composizioni emozionanti, che cambiano ed evolvono solenni come i cieli del nord. Ancora indecisi su cosa diventare da grandi, se i Sigur Ros o i Mogwai, gli Ioseb si destreggiano da par loro tra chitarre stratificate, batterie quasi marziali e pianoforti dilatati, realizzando brani in un delicato crescendo dal respiro quasi sinfonico, sui quali una voce sottile si adagia come la neve appena caduta. I brani sono spesso lunghi, a volte oltre i dieci minuti, ora più rarefatti come la pastorale “C/o Night”, ora più enfatici e “grattuggiati” come “The Sea et Al” con i suoi muri chitarristici eretti all’improvviso. L’impressione è quella di avere tra le mani un diamante grezzo in grado di determinare una sintesi tra i Radiohead ed una via nordica al post-rock. Passano quattro anni perché il seguito, 'Agartha', veda la luce. E l’impressione è che siano stati anni di lavoro duro e consapevole di sottrazione, asciugatura, certosina cura. E così, degli Ioseb del debutto, 'Agartha' finisce per essere quasi un distillato: sei brani, nessuno dei quali supera di molto i 5 minuti, per nemmeno mezz’ora di durata totale. Il suono è ora curatissimo, quasi cristallino, l’inglese è stato abbandonato a favore della lingua madre, i brani sono spogliati di tutti gli orpelli e ogni lungaggine è bandita. Tutto, da “Det Röda Tornet”, strumentale d’apertura, alla coda di “O Swedenborara! O Rosencreutzare!”, riscaldata da chitarre acustiche ed ottoni, appare perfettamente centrato nel posto esatto in cui dovrebbe essere. Le barricate chitarristiche vengono ridotte al minimo e controllate da una ritmica nervosa, come una tensione che corre sottopelle senza mai esplodere, e si toccano vette di poesia quasi commovente nella stupenda “Det Femte Inseglet”, come un notturno di Chopin che si avviluppa in spirali rock sferzate da venti gelidi e bufere di neve, mentre una dolcissima melodia sembra voler indicare la strada verso casa. Se con 'The Ghost of Thirtythree' hanno raccontato l’inverno del grande nord, con 'Agartha' gli Ioseb fanno una cosa molto più difficile: ovvero cristallizzare il momento dell’inizio del disgelo, l’istante esatto in cui dal ghiaccio si forma la prima goccia d’acqua. Sarebbe da archiviare come poco di più di una curiosità 'Remixed; The Ghost of Thirtythree', uscito sul finire dello scorso anno solo in formato digitale, se non fosse che, a fianco a 6 diversi remix di un paio di brani del primo album in versione elettronica più o meno algida e rarefatta, si trova anche l’inedita “It’s Allright”, brano fortemente elettronico e quasi danzereccio. Semplice divertissement o possibile indizio di una direzione futura? Nota post-recensione: la “big snow” alla fine si è rivelata una solenne, piovosa bufala. Non così, per fortuna, la musica degli Ioseb, in grado di imbiancare qualsiasi paesaggio nel tempo di una manciata di giri di lancette. Consigliatissimi. (Mauro Catena)

(The Ghost of Thirtythree: 75 - Ippolit - 2009)
(Agartha: 80 - Ippolit 2013)
(Remixed; The Ghost of Thirtythree: 60 - Digital release - 2013)

http://ioseb.net/