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domenica 9 ottobre 2022

Aemeth - Demo 2002

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Brutal Death
Death metal rabbioso che sfocia nel grind per questa band italiana. Voce cavernosa ed una buona velocità contraddistinguono tutte le canzoni. La produzione è buona; un po' secca forse, ma che però fa risaltare bene tutti gli strumenti. Sei pezzi, tutti abbastanza originali, ben arrangiati soprattutto per quello che riguarda le chitarre. Non ho alcuna nota biografica per questo gruppo. So solo che il produttore è Joe Testa, che firma anche un assolo come guest musician nella quinta traccia "The Path of Losers". Anche nei mid-tempo si creano delle belle atmosfere e la ritmica si fa sentire molto bene in tutte le tracce e questo mi ricorda, anche se un po' lontanamente, i Deicide. Un buon CD, consigliato non solo agli affezionati al death.

sabato 8 ottobre 2022

ACOD - Fourth Reign over Opacities and Beyond

#PER CHI AMA: Symph Black/Death
Devo essermi perso qualcosa. Avevo recensito i marsigliesi ACOD nel 2015 in occasione del loro ‘II The Maelstrom’ e li ricordavo con un sound all’insegna del death thrash. Li ritrovo oggi, dopo aver saltato l’ascolto del terzo ‘The Divine Triumph’, e mi ritrovo una band di tutt’altra pasta e genere. Detto che questo ‘Fourth Reign over Opacities and Beyond’ apre con un intro dal piglio sinfonico orchestrale, ma ci poteva stare dopo tutto, quando “Genus Vacuitatis” irrompe nel mio stereo, ecco lo shock, la band non suona più quel monolitico sound tritabudelle in stile Machine Head, ma ora propone un symph black death che potrebbe ammiccare alla proposta pomposa, ma comunque robusta, dei Septicflesh. Ecco si, in questa veste gli ACOD li apprezzo molto di più, soprattutto perchè non dimenticano le loro origini, una bella dose di death metal nelle ritmiche c’è sempre, ma ora decisamente contaminate dalle sinfoniche partiture che compaiono nei pezzi, congiunta con una bella dose di melodia, suoni di archi, la presenza di una voce femminile che rendono il tutto un filo più accessibile, e che francamente preferisco. “The Prophecy of Agony“ si apre con un tono più compassato, ma le chitarra sono pronte ad esplodere in un tappeto ritmico composto, con la voce del frontman Malzareth a richiamare scomodi paragoni con il buon Nergal. In tutta onestà però, devo ammettere che il lavoro mi piace molto, direi che questi sette anni che non ho assolutamente calcolato la band hanno giovato e la progressione è parecchio significativa. Abili anche nell’alternanza vocale tra grim vocals e voci pulite, la band sciorina una dopo l’altro pezzi assai azzeccati, dove l’atmosfera si mette a servizio di un sound potente, a tratti tagliente (“Sulfur Winds Ritual”), ma gonfio di rabbia (grazie ad un riffing di scuola Morbid Angel), traboccante energia e dinamismo sonoro, cosi come pure una sottile vena malinconica, complice un tremolo picking. Forse il pezzo migliore del lotto. Ma il disco rimane pieno di sorprese soprattutto per i cambi di tono o genere: “Nekyia Catharsis“ mostra infatti un carattere più darkeggiante, tanto da richiamarmi i fasti dei finlandesi Throes of Dawn ma pure i Rotting Christ per quelle sue atmosfere più spettrali ed un utilizzo prezioso della chitarra qui votata ad un melo death dal forte piglio orchestrale, cosi come pure un utilizzo costantemente efficace delle voci pulite. Tutto molto positivo, anche l’incipit di “Artes Obscurae” che segue a ruota l’intermezzo occulto di “Infernet’s Path“. Un pezzo decisamente compassato l’inizio del primo con una bella dose di groove, ma quello che sentiamo dopo saranno saette di chitarra, ritmiche possenti ancora di scuola americana, pomposissime tastiere, vorticosi giri delle sei corde, voci gracchianti, echi a Dimmu Borgir e Cradle of Filth per un finale davvero in crescendo. Vogliamo poi citare l'artwork di Paolo Girardi? Lascio giudicare a voi. Io mi devo solo mettere ad ascoltare il disco precedente e capire se mi sono perso qualcosa di significativo. (Francesco Scarci)

Hidden - Spectral Magnitude

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Black
Interessante concept proposto con questo debut album che verte su teorie scientifiche riguardanti fenomeni cosmici e in particolare sul concetto di tempo ed eternità nel cosmo. I brani sono abbastanza articolati e si muovono tra doom, death e black ma verso la fine del disco, alcuni riff risultano un po’ troppo inflazionati. Il disco non gode poi di un buon suono e non è questo il caso di dire che si è trattata di una scelta poiché questo 'Spectral Magnitude' alla fine suona come un demotape. Avrei visto molto bene su un disco del genere degli inserti atmosferici di tastiera e qualche tocco di musica elettronica per coinvolgere maggiormente l’ascoltatore nel concept narrato, come per esempio fu fatto sul full length di debutto di Thorns; una piccola traccia di simili sonorità la si ha con l’ultimo brano "Supercluster" ma il risultato è piuttosto scarso. Forse questo 'Spectral Magnitude' è stato realizzato un po’ troppo in fretta e ciò non ha certo giovato sulla sua resa finale.

Daidalos – The Expedition

#PER CHI AMA: Symph Black
Ebbene, lo ammetto, non avevo la più pallida idea di chi fossero i Daidalos. Non me ne vorrà Tobias Püschner, la sola mente diabolica che si cela dietro questo interessantissimo progetto, devoto ad un black di stampo sinfonico. Io d’altro canto, quando sento parlare di questo genere, ripenso ai fasti portati avanti dai Dimmu Borgir o dai primi ispiratissimi Cradle of Filth, tanto per fare due nomi a caso. Il nostro factotum di oggi, supportato da una serie di ospiti tra cui anche un paio di italiani, Fabio Rossi (I Sorg) asso della sei corde e Francesco Petrelli (Unfaded Illusion) sempre alla chitarra, ci regala una splendida release che vi lascerà piacevolmente sorpresi. Questa infatti la mia reazione di fronte al dirompente attacco della title track che apre ‘The Expedition’. E questo titolo pone inevitabilmente l’accento al tema lirico del disco, ossia la spedizione nell’Artico nel 1845 di due navi (la Erebus e Terror), guidate dal capitano Sir John Franklin, di cui si persero le tracce, insieme ai 129 uomini della sua ciurma, intrappolati tra i ghiacci dell’entroterra canadese. E su questo drammatico racconto, si snodano le fantastiche melodie e orchestrazioni del disco che, con la seconda “Icewind”, sembra quasi voler raffigurare quelle raffiche di vento glaciali che sferzarono i nostri nel loro viaggio. Le ritmiche sono burrascose, solo le tastiere provano a minimizzare la furia delle chitarre cosi anche un cantato che si alterna tra uno screaming chiarissimo e voci pulite e il coro di Noga Rotem, forse un pizzico ruffiano, ad evocare la brava Sarah Jezebel Deva nei primi anni ai Cradle of Filth. Il disco è un susseguirsi di parti atmosferiche, grandiose orchestrazioni e furibonde accelerazioni black death che catalizzano l’attenzione e non poco. “Sails into the Stars” ha un attacco davvero oscuro ma poi le melodie prendono il sopravvento e il pezzo diventa decisamente più accessibile, quasi sognante nel suo break centrale. Non c’è spazio per la noia in queste note, la varietà del disco consente di non distrarsi un attimo e questo alla fine sarà anche il suo punto di forza. Il pezzo nel suo vorticoso incedere ci porta ad un finale corale che ci introduce a “Stormwind”, un’altra tempesta quindi ad attenderci? In realtà, sono tocchi di pianoforte quelli che introducono il brano e dove la voce del frontman, prosegue nella narrazione della storia, accompagnandoci nell’immaginifico che inevitabilmente l’ascoltatore si creerà nel corso del disco. “Married to the Sea” ha un roboante attacco ritmico che sembra sancire l’indissolubile (ma qui dai contorni nefasti) legame tra uomo e mare. Le melodie si confermano azzeccatissime complice l’ottimo lavoro alle tastiere e alle sempre più pompose orchestrazioni (chi ha detto Fleshgod Apocalypse?). Spettrale l’incipit di “The Empress”, tra synth, chitarre e grim vocals, in un brano decisamente più mid-tempo rispetto ai precedenti, anche se certe linee di chitarra mi hanno evocato nuovamente i CoF. “Poem in the Snow” basa invece le proprie liriche sul poema “Once by the Pacific” del poeta americano Robert Frost, che narra come le onde dell’oceano si apprestino a distruggere una spiaggia, evocando visioni oscure della fine di un'era, la fine del mondo, un presagio per il nostro futuro? Epico sicuramente il coro collocato su dei tocchi di pianoforte nella seconda parte del brano anche se alla fine, la sua ridondanza non sembra avere l’effetto desiderato. “Northlight” riesplode con potentissime e melodiche ritmiche, voci black che si alternano a cori epici in una varianza di tempi che va a sublimarsi in una coppia di fantastici assoli che sanciscono quanto interesse meriti questa one-man-band teutonica. Vi segnalo poi che nella versione digitale compare anche una bonus track, “My Melancholy”, che affida il suo iniziale e nostalgico mood al pizzicare di una chitarra acustica e ai tocchi di un piano che andranno poi ad evolvere in un altro brano mid-tempo, dove a mettersi in luce questa volta, sarà un magnifico e malinconico violino che chiude egregiamente un signor album. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)

Nortt - Graven

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Funeral Doom
Questa è un’opera di inestimabile valore! Così grande è questo lavoro che è difficile trovare parole che riescano ad eguagliare la stupefacenza di questo 'Graven'. Abissale extreme doom con una chitarra dal grezzissimo suono black che crea immagini di immobilità eterna. Questa è musica che trasuda dolore e disperazione per cui non esiste via d’uscita, rimane solo il suicidio. Questo disco (peraltro uscito in versione demo nel 1999, picture disc nel 2002 e recentemente ristampato dalla nostrana Avantgarde Music) è semplicemente la fine.

(Maggot Records/Avantgarde Music - 2002/2020)
Voto: 88

https://avantgardemusic.bandcamp.com/album/graven

venerdì 30 settembre 2022

Body Void - Burn The Homes Of Those Who Seek To Control Our Bodies

#PER CHI AMA: Sludge/Doom
Nuovo EP per i californiani Body Void. Il trio, originario di San Francisco, rilascia una coppia di pezzi sotto questo lunghissimo titolo, 'Burn the Homes of Those Who Seek to Control Our Bodies' e lo fa, offrendo quello che da sempre i nostri sanno fare meglio, ossia un concentrato claustrofobico di sludge e noise rock. Il tutto è certificato dalle note introduttive della lunga "Burn" dove, tra riffoni a rallentatore e grida disumane, la band di Frisco srotola la propria disagiata forma musicale che verso il terzo minuto dell'opener, si materializza addirittura anche sotto forma di droniche divagazioni da fine del mondo, mentre il latrato vocale di Willow Ryan (in uno stile che francamente non amo) grida tutto la propria disperazione. Il brano prosegue in questo loop infernale fino al suo termine attraverso quella che sembra un'unica nota di chitarra protratta all'infinito. Con "Drown" si comincia invece da una forma più affine al noise miscelato qui ad un rifferama ossessivo tipicamente sludge doom. Ecco, volete avvicinarvi al mondo offuscato dei Body Void e allora, preparatevi ad atmosfere plumbee e angoscianti, lente e decadenti, dove alla luce non sarà permesso minimamente di affacciarvisi. Stagnanti. (Francesco Scarci)

Brennensthul – No

#PER CHI AMA: Jazz/Kraut Rock
Esce via Tonzonen Records/ Headape Records il nuovo album dei Brennensthul, ed è intitolato semplicemente 'No'. In realtà questo titolo si attiene molto al corso musicale del disco, poiché individuare con esattezza quale genere stia suonando il quartetto tedesco, è cosa assai ardua, e a chi li vorrebbe più sulla sponda acid jazz o più sul versante sperimentale del kraut rock, la risposta sarebbe appunto in sintonia con il titolo, un secco "No", per uno stile come per l'altro. La giusta definizione li comprenderebbe infatti contemporaneamente all'interno delle due scene musicali e non solo. La musica di questo quartetto di Amburgo è sofisticata come il jazz, contiene una grossa ma mai pesante componente sperimentale vicina al kraut rock, un piglio funk, una buona dose di psichedelia e sfumature pop, che la rendono accessibile anche a chi non è abitudinario delle esplorazioni musicali più libere e stravaganti. Vi si trova anche della soul music, come nel singolo "Xpress Yourself", ed il collegamento con l'acid jazz, come nel primo omonimo album, è meno marcato che in passato. La componente sperimentale è più evidente, portando notevole qualità in più alle composizioni, che risultano sempre sofisticate e molto variegate. A volte il suono delle chitarre è acido, ruvido, e risulta un po' strano per lo stile in questione, ma nelle parti più in evidenza dona un tocco caldo e molto free rock ai brani. Nota importante è per la bella voce di Eva Welz, che con il canto ed il suono del suo magico sax, trascina la band nei territori più variegati, dalle atmosfere jazz più classiche all'avanguardia, come in "Turtledrive", oppure nella eterea psichedelia della strumentale "Common Slider". Questo disco ha un altro fattore che gioca a proprio vantaggio in maniera strategica, ovvero che la stupenda voce in questione canta in lingua madre quasi tutti i brani, unendo la sua grazia vocale all'aspra pronuncia del tedesco, e devo ammettere che è proprio un bel connubio, che trovo più originale dei pochi brani cantati in inglese. L'intro psichedelico ed il brano "Ja Ja", valgono da soli il disco, mentre la title track s'illumina di un fascino proprio. Non possiamo dimenticare poi come una ritmica profonda e suoni molto intensi e caldi riescano a mettere in evidenza anche un lato sperimentale della band, che trova il suo punto di partenza dai pochi secondi del minimale crescendo rumoroso di "Urknall", passando per la splendida coda finale, progressiva e psicotica di scuola Zorn, di "Machine Gun Mammut", un brano che nei suoi sette minuti circa, racchiude tutti gli stili compositivi della band. Il disco si chiude con "Drei", che inaspettatamente s'immerge in un clima da balera folk all'interno di una festa popolare di paese, mostrando un lato alquanto eclettico del quartetto, naturale e marcato. Decisamente questo nuovo disco dei Brennensthul unisce ed evolve le anime espresse dalla band nei suoi precedenti lavori, un netto salto in avanti, un album di carattere, un'opera matura. Da ascoltare con molto interesse verso i particolari e alle sue evoluzioni sonore. (Bob Stoner)

(Tonzonen Records/Headape Records - 2022)
Voto: 82

https://brennenstuhl.bandcamp.com/album/no

Profondo Rosso - Live Demo 05/01/2002

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Grind
Tutto induce a ritenere che nello scegliere il nome da attribuire al gruppo, gli autori di questa audiocassetta abbiano inteso rendere omaggio a Dario Argento e alla sua pellicola più famosa. A questi grinders bresciani non fa difetto l'ironia, e ciò è un punto a loro favore. Il demo è la registrazione di un concerto che si apre con un cover di "Multinational Corporations" dei Napalm Death. Una scelta casuale? Semmai una dichiarazione programmatica! Tra i brani composti dal gruppo segnalo "Laryngectomee". Non temete, non si tratta dell'ennesimo testo splatter, ma di ben altro: la storia di un operaio del Petrolchimico di Marghera ammalatosi di tumore a causa delle sostanze nocive inalate sul lavoro. "A Great One Fire" è un'invettiva contro l'estrema destra, dunque se ne sconsiglia l’ascolto al pubblico dei Peggior Nemico e Gesta Bellica. Chiude il demo una versione - ben riuscita - della celeberrima "Walking Corpse". Questa audiocassetta dimostra ancora una volta che la dimensione live è la collocazione più consona ai gruppi grind.

The Pit Tips

Francesco Scarci

Megadeth - The Sick, The Dying...And The Dead!
Bjørn Riis - A Fleeting Glimpse
Spider God - Ett Främmande Språk / A Foreign Tongue

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Death8699

Quo Vadis - Day Into Night
The Halo Effect - Days of the Lost
Watain - The Agony & Ecstasy of Watain

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Alain González Artola

Slytherin - Tales Of Hogsmade Village
Silhoette - Les Retranchements
Wedrujacy Wiatr - Zorzysta Staje Ocma

martedì 27 settembre 2022

Dream Theater - The Astonishing

#PER CHI AMA: Progressive Metal
Nel 2285 l'oppressivo Impero del Peto Preponderante, comandato dal fetido tiranno Na-fart avrebbe vietato tassativamente i rutti, se non fosse che il dotato Gabri-burp salverà il mondo portando clandestinamente in tournée un musical intitolato This is ruttosound! (leggetevi la sinossi nella wiki-pagina inglese di 'The Astonishing' prima di insultarmi, dopodiché pensate come se la riderebbe un Frank Zappa che immaginereste ancora seduto ancora là, a sbronzarsi nel garage di Joe con un paio di quarts-a-beer). Tecno-tarabaccolamenti disseminati ovunque ("Descent of the Nomacs", "The Hovering Sojourn" o "Digital Discord"), una pompo-spettrale "Dystopian Overture" in realtà più simile a un pre-cog medley dei temi poi sviluppati (ma quello che accade un po' prima del secondo minuto ha del ridicolo). E poi, davanti a voi, una colossale distesa di prog-ballad tipo ritagli di, boh, "Forsaken" ("The Answer", "When Your Time Has Come" e tre quarti del resto) ammonticchiate le une sulle altre a mo' di discarica sonora, interpretate con la consueta professionale convinzione dal buon FiatelLaBrie ("Act of Faythe"). E poi applausi, chiacchiericci, rumori assortiti, estemporanee sortite (le trombette tardomedievali di "A Saviour in the Square", le cornamuse di "The X Aspect", il finale di "A Better Life" che trasmuta in una sorta di tango interstellare) e un desolante sahara creativo a comporre la più ponderosa, tronfia, pretestuosa e sfrangiata collezione di scarti della storia del rock. Stupefacente, sì. Esattamente. (Alberto Calorosi)

(Roadrunner Records - 2016)
Voto: 50

https://www.facebook.com/dreamtheater/

GoldenPyre - Apocryphal

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death Metal
Se non conoscete i portoghesi GoldenPyre, questa potrebbe essere la buona occasione per farlo. Il genere da questi proposto è un death metal arricchito da una non trascurabile vena melodica, arioso, ben curato, eseguito con una certa perizia, variegato al punto giusto (anche nell'uso delle vocals). A ciò si aggiunga che i testi sono originali e ben scritti, e benché risultino incentrati sulle classiche tematiche di carattere mitico-religioso (il conflitto fra il Dio biblico e gli angeli ribelli, la caduta di Lucifero, ma gli si perdona tutto visto che questo era il primissimo demo del 1998), sfuggono ai banali stereotipi satanisti oggi in voga. In copertina è riprodotta una xilografia di Albrecht Dürer, tratta dalla serie dedicata all'Apocalisse di San Giovanni (nel booklet, però, la fonte non è dichiarata). Un demo interessante, non c'è che dire.

Abhor - Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)

#FOR FANS OF: Occult Black Metal
The Italian veterans Abhor, a band founded in 1995 in Padua, have returned with its eighth opus entitled 'Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)', once again released by the always reliable label Iron Bonehead Productions. I have always enjoyed those black metal bands, whose lyrics are strongly focused on occultism and witchcraft, among other similar concepts, as this conceptual influence makes the music sound quite distinctive. From my personal point of view, those themes are sonically better represented when the band creates compositions with a strong atmospheric touch. Abhor is a fine example of it as these sorts of bands successfully mix the expected ferociousness and rawness of the black metal genre with a sinister and mysterious ambience, making the songs actually sound as a proper witches' sabbath.

Abhor’s latest opus 'Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)' is a fine exemplification of this aforementioned idea. The first proper track "Ceremonia Daemonia Anticristi" is a great album opener, where we can listen to the main characteristics of this album, the band achieves a nice mixture of slightly raw guitars, vicious raspy vocals, and a great atmospheric arrangement in the form an organ. This instrument is for sure, the most adequate one to create this dark and hypnotic atmosphere. Pace wise, the album is not especially fast as the compositions are more focused on mid-tempo sections where the riffs, which have a nice old-school touch, and the keys shine a lot. In any case, we can hear some punctual speed bursts in songs like "Ode to the Snake", for example, although they don’t last too much. This song in particular, is a highlight in terms of pace change as it is quite varied and enjoyable. I especially like how marked are the different sections in terms of intensity, and how naturally a quite aggressive part is followed by a much more atmospheric one, always keeping the composition a natural flow. "Ritual Mentor" is another great song, when we speak about making a clear contrast between the different intensities that we can find in a composition. But never leaving behind the fact, that the song and the whole work have a strong occult atmosphere which permeates every track. "October 31st, 2010" is the longest composition and probably one of my favorites as it summarizes all the strong points of this album. A long and mysterious introduction creates the appropriate mood for another fine display of occult black metal, once again with an appropriate balance between the most aggressive parts and keyboard driven spooky sections, where the band is especially inspired.

All in all, 'Sex Sex Sex (Ceremonia Daemonis Anticristi)' is a very solid effort where rawness and atmosphere are perfectly balanced, so any fan of black metal can enjoy this album. The vicious vocals and the solid riffing are perfectly complemented by the organs and keys, which enhance the occult and dark atmosphere that band wants to represent with its music. (Alain González Artola)


Soilwork - The Chainheart Machine

#FOR FANS OF: Melo Death
I know it's a little much to give this album a perfect score, but I can't say anything except positive things about it. However, I may be biased because melodic death metal is my favorite genre in metal. They seem to fall under this category early on in their career changing some over the years. But this album is a landmark release from these Swedish metallers. A good follow-up release dominating over 'Steelbath Suicide' and my all-time favorite Soilwork album in their entire discography. The energy is full throttle throughout the whole album. There wasn't a song on there that I disliked.

The title-track, "Neon Rebels", "Millionflame" and "Spirits of the Future Sun" are my favorites. They tune their guitars down to B I believe, and they're fast the whole way through. The energy is rampant. How these guys put forth such an effort on here is amazing. The energy they have and the original riffs. Blast! What a wild guitar extravaganza in these songs just shining in metal glory. Their later releases don't compare to this one maybe a close call is 'A Predator's Portrait'. That's about it, I see this release as flawless. The vocals compliment the guitar whole handedly. There were really no clean vocals at all!

The only thing that was not that substantial was the length of the album. It clocked in about 40+ minutes. I would've had liked to hear more length or more songs on here. It still reigns supreme in terms of originality, precision and uncompromising energy. These guys just suffered a loss in David but he was not featured on here as he joined the band I believe in 2012. What a tragedy, though. I'm surprised that the average scores on here was at 79%. I always liked this album the most but the critics are the way they are, even in my text here. However, I felt that this was a pinnacle release by the band.

I ordered this CD to show further support for the band and music in extreme metal altogether. Soilwork has so many peaks and valleys in their discography I'll always view 'A Chainheart Machine' as their best. The music, the vocals, the leads, and overall sound met perfection. You can doubt me well just listen to the album. The riffs, leads and vocals are sublime. I'm glad that this is a part of my collection. Old Soilwork is dead, long live old Soilwork! Pick this up a physical copy don't just cheap out and stream it. It's a critical time for the band, they just lost a brother, show them gratitude! (Death8699)

(Listenable Records - 2000)
Score: 90

https://www.soilwork.org/

Mortuary Drape - Tolling 13 Knell

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Tredici funerei rintocchi di campana, tredici anni di onorata carriera: era il 2000 e i Mortuary Drape festeggiavano la ricorrenza (che cadeva, a dire il vero, nel '99, anno di composizione del presente cd) con un album che sento di consigliare caldamente a tutti coloro che non amano le cacofonie senza senso, ma prediligono invece trame musicali ricercate e suggestive. Con i Mortuary Drape s'intraprende un viaggio nell'aldilà, in una dimensione ctonica, catacombale. È un piacere immergersi nelle ben architettate, spettrali atmosfere di questo cd, articolato in dieci brani. Non si tratta di un concept album, eppure vi si può ravvisare un elemento unificante, che conferisce all'insieme un tocco di qualità: questo comun denominatore è il carisma dei Mortuary Drape. Un ingrediente di assoluto pregio.

(Avantgarde Music/Peaceville Records - 2000/2013)
Voto: 75

https://www.facebook.com/mortuarydrape

sabato 24 settembre 2022

Bjørn Riis - A Fleeting Glimpse

#PER CHI AMA: Psych Rock, Pink Floyd
Cavolo, non sono nemmeno passati sei mesi dall'ultimo 'Everything to Everyone' che il bravissimo Bjørn Riis ci delizia con un altro piccolo gioiellino di prog rock. Solo quattro pezzi questa volta per il musicista norvegese ed un EP totalmente inatteso dai fan. Quattro pezzi dicevamo, che mostrano la totale devozione di Bjørn per i maestri di sempre, i Pink Floyd. Un qualcosa che si palesa nelle delicatissime note dell'opener "Dark Shadows (Part 1)", dove con una carrambata da leggenda, il polistrumentista scandinavo piazza accanto alla propria voce, Durga McBroom, corista dei Pink Floyd dal "A Momentary Lapse of Reason Tour" del 1987 fino al concerto finale del "The Division Bell Tour" nell'ottobre 1994, senza contare le sue apparizioni in studio in 'The Division Bell' e 'The Endless River', e ancora nel tour solista del 2001 di David Gilmour. Fatte queste ennesime premesse, non sarà cosi complicato ascoltarci dentro a questi 26 minuti di musica space prog rock un turbinio di suoni che riportano Bjørn alle proprie radici, tributando in lungo e in largo la band britannica. Penso soprattutto alla strumentale "A Voyage to the Sun" che chiama inequivocabilmente in causa la leggendaria "One of these Days", per il suo evocativo tambureggiare, i suoi splendidi e ipnotici giri di chitarra che vanno via via crescendo ponendosi sopra l'abile armeggiare dei sintetizzatori. "Summer Meadows" è un'altra traccia strumentale che apre con un bell'arpeggiato figlio degli anni '80, carico di un flusso emozionale da brividi che ci condurrà fino all'ultima song, "Dark Shadows (Part 2)". Qui si riprende là dove Bjørn aveva lasciato con la prima traccia, questa volta con un supporto vocale più risicato da parte di Durga, relegato solo nel finale. Il risultato tuttavia non sembra risentirne vista la bravura del frontman dietro al microfono ed un sound che oltre ad evocare i Pink Floyd, sublima in stratificazioni elettroniche alla 'You All Look the Same to Me' degli Archive. Poi quando la scena se la prende la chitarra solista, beh sono solo applausi per un paio di minuti fino a che subentra la voce di Durga. E pioveranno ancora solo applausi. (Francesco Scarci)