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mercoledì 17 marzo 2021

Iqonde - Kibeho

#PER CHI AMA: Math Rock/Post Metal strumentale
“Ma tu perché non ridi, non ti contorci dalle risate? Fammi vedere che sei felice!” Me lo chiedo anch’io perché non ci si possa perdere nel ridere ad oltranza, non ci si possa immergere nella tinozza del morso che scompone il viso ed ubriaca di quelle risate. Rivisito questa intro parlata per dare a “Ma’nene” una sonorità in parole altrettanto traboccante di ritmo, bassi, batteria, corpo e rettilinei svirgolati dal rock senza padroni. Iniziamo in questo modo 'Kibeho', album di debutto dei bolognesi Iqonde. Una song ribelle. E la ribellione continua con “Marabù”. Uno scettro di potere fa vibrare il metallo degli sgabelli di un bar di provincia, una sonorità propria di chi ammansisce il basso e manda in etere le corde dell’elettrica su ritmiche frenetiche. Esercizi di stile, di dita sulla tastiera. Volteggi tra i sensi. Corpi sospesi d’anima in un bondage di emozioni post e math rock. Circolare come un’ossessione l’epilogo del pezzo. Va poi on air “Edith Piaf”. Sono blindata nell’ascolto in un concerto privato. Immaginate una nicchia scavata nella roccia, la band in penombra. Ed ascoltate i suoni ridondare come un eco tra le pietre. Li si mescolano il sound, l’atmosfera, la musicalità tribale di questa traccia al contesto. Epilogo sotteso quasi silenzioso lo strisciare succinto delle dita sulle corde ferrose. Cambiamo vestito e contesto. È il turno di “Lebanshò”. Lentamente la musica sale in un tripudio strumentale che trova il suo apice al terzo minuto. Ferma la musica. Resto in attesa. Il silenzio traccia la sua strada della solitudine per tornare tra noi in una danza tribale rivestita da uno sfondo ricco di groove. Assai accattivante direi, ideale per le anime in dissidio tra il silenzio strumentale e la musica che fa muovere mente e carne. Passiamo a “Gross Ventre”. Avete mai sentito sulla pelle il brivido ed il fuoco contemporaneamente? Qualsiasi sia la vostra esperienza vibrante vi invito a farvi un giro su questa violentissima song. Terminiamo l’ascolto di questo album con “22:22”. Dissacrante in apparenza col suo prologo triviale estratto da 'Salò o le 120 giornate di sodoma', film del 1975 di Pasolini. Da me molto gradito! Le parole in musica che si propagano dalla cassa, dalle chitarre, dai silenzi intercalati sono pura convulsione sonora, ribellione ancora eppure accarezzano l’anima con un post metal impulsivo, il math rock e insana tribalità. La mia anima, gli Iqonde, l’hanno toccata e dipinta sicuramente. (Silvia Comencini)

Halter - Omnipresence of Rat Race [2020 Reissue]

#PER CHI AMA: Death/Doom
Quella di oggi è una release che abbiamo già recensito qui sulle pagine del Pozzo. Era il 2013 e 'Omnipresence of Rat Race' dei russi Halter usciva per la MFL Records, proponendo un sound all'insegna di un sound cupo tra un doom claustrofobico e qualche sfuriata di canonico death metal. Nel 2020 la Wroth Emitter Productions ha pensato di riesumare quel lavoro e aggiungervi ben quattro tracce anche se l'ultima, "Zone of Alienation 2020", è una rivisitazione della vecchia song contenuta nell'album originale. Per ciò che concerne invece i nuovi brani, per i vecchi vi invito invece di andarvi a rileggere la vecchia recensione, diciamo che proseguono sulla falsariga di quanto ascoltato in precedenza, sciorinando un doom persistente e dai tratti vintage soprattutto nella linea delle chitarra e in un growl decisamente soffocato. Questo quanto ascoltato in "Water Through My Fingers", visto che "Wintry Day" si pone come un incedere ipnotico, una lunga marcetta ansiogena che trova dei punti di interesse in uno splendido assolo centrale, che strizza l'occhiolino al rock settantiano, per poi tornare a quel delirante avanzare che se ascoltato a più riprese rischia di invogliare il suicidio. "Blank" in realtà sono 20 secondi di vuoto, mentre la già citata "Zone of Alienation 2020" è stata rimasterizzata in una tonalità più ribassata con il sound più pulito e attualizzato che rendono giustizia ad una song che nella sua versione primigenia forse mancava di una maggiore verve. Insomma questa Reissue è un bel modo per apprezzare il debut album del quintetto di Yaroslavl, qui con contenuti extra che portano la durata dell'album a sfiorare i 70 minuti. Ostici comunque. (Francesco Scarci)

lunedì 15 marzo 2021

Valse Noot – Utter Contempt

#PER CHI AMA: Noise Rock
I francesi Valse Noot sono in giro da un decennio e questo 'Utter Contempt' (il loro terzo lavoro, che arriva ben sette anni dopo la loro ultima fatica) è una piacevolissima scoperta. Il quartetto di Brest si immette nel solco di quelle band, penso ad esempio a Metz o Pissed Jeans, che hanno cercato di portare avanti un suono che ha i suoi riferimenti nel noise rock americano anni novanta, di capi scuola quali i grandissimi Jesus Lizard (la qual cosa, per il sottoscritto, è già un grosso merito), senza limitarsi alla mera emulazione ma provando a trovare una loro personale via espressiva. In questo caso i nostri cercano, in sette brani condensati in 30 potentissimi minuti, di portare il noise a lambire territori più vicini a certe divagazioni freeform, pur senza snaturarlo. Ecco quindi che la sezione ritmica si concede interessanti variazioni sul tema, mantenendosi nondimeno inesorabile e granitica, e se la prima parte della scaletta serve a scaldare i motori con brani più “quadrati” e dritti, nella seconda parte emerge un’interessantissima capacità di sperimentare e stupire, come in "Story of a Decadence", dove il caratteristico suono Touch and Go si fonde all’hard punk dei Motorhead, o in "Pigeonholed", dove l’incedere guerresco del basso si innerva di hardcore. In chiusura, la title track si concede anche qualche incursione di synth e un cantato di stampo screamo, per ribadire che nulla è precluso se fatto con le idee ben chiare Un disco sorprendente, fresco, dinamico e molto, molto potente. (Mauro Catena)

OJM - Live at Rocket Club

#PER CHI AMA: Stoner/Garage Rock
Gli OJM non hanno bisogno di presentazioni, essendo una delle band di culto negli ambienti stoner rock e nella psichedelia, e avendo una carriera alle spalle notevole con svariate release e performance che li hanno resi popolari in tutta Europa ed anche oltreoceano. La band vanta tour e collaborazioni importanti con artisti del calibro di Brant Bjork o Paul Chain e numerosi concerti assieme a band di fama internazionale. La compagine trevigiana è entrata di diritto nell'olimpo dello stoner rock del vecchio continente partendo dalla gavetta e sudando note da tutti i pori, mangiando pane e distorsioni fuzz per tanto tempo, coltivando il rito dell'esibizione live, credendo in essa come nella massima espressione del rock'n'roll, che doveva essere esplosiva, trascinante, acida, proprio come nella loro formula musicale. Quindi la Go Down Records, in collaborazione con la Vincebus Eruptum, decidono in questo 2021, a 10 anni di distanza da quell'evento, di dare alle stampe, in edizione limitata in vinile di sole 300 copie, l'intero live degli OJM al Rocket Club di Landshut, in Germania, donando ai fans della band un'occasione in più per riassaporare la grande energia, sprigionata sul palco e catturata da Martin Pollner nel lontano 2011, nel tour dell'ultimo studio album intitolato, 'Volcano'. L'act italico non si è mai sciolto, si è semplicemente preso una lunga pausa e questo disco ci delizia e accompagna, dopo tanto tempo di latitanza, nella riscoperta di un combo compatto, lisergico e allucinato, che traeva spunto dal garage dei The Fleshstones, quanto al mito degli Mc5, che osavano rivendicare una vena altamente psichedelica, riproponendo "Hush" dei primi Deep Purple, suonando ruvido e sporco come i primi Mudhoney. L'album si fregia della presenza di piano bass e organo elettrico, suonati da Stefano Paski, che risaltano il ricercato suono vintage, mentre il resto degli strumenti sputano fuoco e fiamme per una prestazione assai calda e sanguigna. Il solo difetto di questo disco, a mio parere, sta nella qualità che si avvicina più ad un buon bootleg live vecchio stile ponendosi pertanto inferiore alla qualità del precedente 'Live in France' del 2008 (prodotto da Michael Davis – Mc5), pur risultando essere un'ottima fotografia dell'ultimo periodo del gruppo, con molti brani estratti da 'Volcano' e, oltre alla già citata cover dei Deep Purple, con brani tratti dal precedente album in studio, 'Under the Thunder'. Un disco che farà la felicità dei fans degli OJM e del loro sound, averlo sarà un buon pretesto per completare la loro discografia oppure, per chi se li fosse persi fino ad ora, un ottimo motivo per scoprirli in tutta la loro irruente energia live. Un nuovo disco dal vivo che ci porta alla riscoperta di una grande band, stimata da molti musicisti di livello internazionale. (Bob Stoner)

venerdì 12 marzo 2021

Bear of Bombay - Something Stranger

#PER CHI AMA: Electro Rock
Bear of Bombay è il progetto solista nato dalla fervida mente del milanese Lorenzo Parisini, attivo dagli ormai lontanissimi anni '90. Il 5 febbraio di quest'anno, Bear of Bombay ha pubblicato il suo primo EP che lui stesso ha definito un viaggio in stile "psychodreamelectropop" attraverso le sonorità '80-90s. L'album, 'Something Stranger', disponibile su CD e in digitale, racchiude cinque tracce caratterizzate da una miscela di chitarre cariche di riverbero e delay, synth che tanto piacerebbero ai Perturbator e ritmiche semplici quanto incisive, come richiede il genere New wave. "Night tree" è l'opening track e primo singolo con relativo video pubblicato in anteprima a Novembre dello scorso anno. La traccia parte subito senza tanti orpelli e la pulizia delle linee melodiche di basso e di chitarra incorniciano molto bene la voce di Lorenzo, profonda il giusto e dalla più che buona pronuncia inglese. Il mood è volutamente svogliato, leggermente malinconico con delle semplici progressioni che fanno apprezzare una struttura musicale collaudata. Ad un certo punto ci si aspetta un'esplosione che non arriva e lascia l'ascoltatore in uno stato emotivo incerto e desideroso di continuare l'ascolto. "Lazy Day" entra adagio con i suoi 80 bpm e una struttura fatta di basso, organo hammond che omaggia gli anni '70 e il cantato che ricorda tanto le atmosfere di "Play" di Moby. Un brano chill out che chiama il sorseggiare di un buon cocktail dopo lavoro, magari accompagnato da una fumata che purtroppo rimane ancora illegale in certi paesi. L'EP chiude con la title track, dove la batteria sintetica ci catapulta nei primi anni '80 all'interno di un tubo catodico in cui ci muoviamo roboticamente avvolti dalle sonorità eteree dei synth. Un vortice lento ci fa viaggiare nello spazio, in un lungo break che continua a rotearci attorno anche quando la strofa con il cantato, riprende in maniera incalzante. Un bell'EP, sincero, semplice, e allo stesso tempo curato nei minimi dettagli che vi renderà nostalgici se solo avete più di trent'anni. Oppure vi avvicinerà a sonorità che i vostri genitori ascoltavano su casseta nell'intimità della loro cameretta o forse in qualche club sotterraneo e fumoso di cui vi hanno sempre tenuto all'oscuro. (Michele Montanari)

Fine Before You Came – Forme Complesse

#PER CHI AMA: Indie Rock
Come stavate voi con tutto quel daffare attorno. Dove eravamo quando il superfluo era all’ordine del giorno. Sarà banale, ma la musica che ho amato è la cosa che più di tutte mi dà il senso del tempo che passa, la misura dell’invecchiare. E quindi fa innegabilmente effetto rendersi conto che i Fine Before You Came (FBYC) esistono da ormai più di vent’anni (come ribadito dal loro nuovo sito fbyc1999.it – e anche il fatto che nel 2021 si parli di un sito internet come di una cosa nuova contribuisce a dare la misura del tempo che è passato e del fatto che non siamo davvero al passo coi tempi). E anche, a conti fatti, che ne sono passati ormai 12, di anni, da quello spartiacque generazionale che è stato 'Sfortuna'. In tutto questo tempo i testi di Jacopo Lietti si sono rivelati sempre “troppo perfetti”, al punto di essere fisicamente dolorosi, nel disegnare un passaggio ad una vita che si sarebbe voluta adulta (o che qualcuno lo avrebbe voluto per noi) ma che il più delle volte ha assunto soprattutto le forme scomode dell’indadeguatezza; e continuano a farlo, in modo al solito inesorabile, in quest'ultimo lavoro, nel quale rappresentano, a prima vista, l’unico elemento di continutità con il passato. Perchè 'Forme Complesse', che esce quattro anni dopo (di già? Possibile?) Il Numero Sette si discosta decisamente da quello che siamo abituati a considerare i FBYC. Innanzitutto nel modo in cui il disco viene distribuito (per la prima volta non è disponibile in download gratuito e nemmeno sulle piattaforme streaming) e poi, soprattutto, nella sua veste musicale, che abbandona i consueti territori che per semplicità definiamo posthardcore per una sorta di slowcore chiaroscurale. Eppure non ci stupisce granchè, un po’ perchè la strada intrapresa dalla band da 'Come fare a Non Tornare' in poi, passando per il live acustico al teatro 'Altrove', sembrava presagire uno sbocco di questo tipo, un po’ perchè l’utlimo anno ha cambiato le cose in un modo che forse non siamo ancora pronti a riconoscere fino in fondo. E 'Forme Complesse' è un disco cupo, a volte plumbeo, che affronta con precisione chirurgica quello che sentiamo nel profondo ma a cui non sapevamo dare un nome, una forma, un vestito. È un disco che si regge su contrasti in equilibrio, sempre sul punto di spezzarsi, tra grazia e rancore, fraglità e stoica resistenza, tra il terrore del vuoto e il tentativo di caricarsi il proprio mondo sulle spalle, senza mete precise, nonostante tutto. Musicalmente è un disco di arpeggi elettrici delicati e circolari, di lenti crescendo che non arrivano mai al punto di deflagrare, di linee di basso meditabonde, di ritmiche irregolari, intrecci vocali ed un cantato a metà tra il declamatorio dolente degli ultimi lavori e delicate, fragilissime melodie. È un disco bellissimo. Forse non l’avevo ancora detto. (Mauro Catena)

(Legno - 2021)
Voto: 83

https://fbyc.bandcamp.com/

lunedì 8 marzo 2021

Volvopenta - Simulacrum

#PER CHI AMA: Experimental/Post Rock/Noise
Quest'album parte con un sound soft, un post rock ambientale così carezzevole da rendere la pelle vulnerabile e le sensazioni sublimi per ognuno dei sensi. Quando s'inserisce la batteria poi, sento solo i piatti metallici che toccano l’inconscio, ed il cantato si mescola ai ripetuti di corde pizzicate. È la magia, la malia di "Kargus", la traccia d'apertura di questo 'Simulacrum', opera seconda dei teutonici Volvopenta. La premessa mi porta in etere a sognare. Mando on air "Tele 81". Sorprendente. Una seducente base ritmica evoca gli anni trenta. Un respiro affannoso in musica, lento. Momenti di voce che gridano la rivalsa alternati a loop sonori ipnotici. La batteria con il suo ferro fa sempre da subliminale. Lo stile è unico, assai originale. Sospende, lasciando i sensi xerostomici con la sete a volerne ancora. Quando parte la siderale "Barfly", le luci soffuse si spengono definitivamente. Scrivo nel buio, lasciando all’udito l’assoluto dei sensi. Molto, molto intenso il corpo di questa song, talmente intenso da materializzarsi. Qui la musica, un robusto post rock, diviene carne, sangue ed il buio si fa vista altrove. Provate l’esperienza. Scorre la musica come un fiume che leviga il proprio letto. Una cura. Un vello. Una sensazione che si rinnoverà anche in "Interlude 1". Un sorso di "Ghost" ed avrete nell'etere uno sperimentale retroattivo rivisitato di punk, rock, shoegaze e dark, il tutto servito in un solo calice. Ubriachiamoci insieme. Il secondo momento panoramico lo troviamo in "Interlude 2". Altra cura, altro rimedio per l’anima. Enantiomero dell’1. Complementare all’1. Graffia invece, vibra "One to Five". Imprevista. Futurista. Al contempo retro style con i suoi suoni elettrificati, ma nostalgici come un chiacchiericcio di foglie che vorticano nel vento lentamente. Un moto in musica circolare a tratti ellittico. Ora la nostalgia è la mia, per essere giunta all’ultima traccia, la strumentale "Flint". L’ascolto, la sigillo con un'iperbole ascendente in un ossimoro di musica dalle venature sanguigne, delicate, molto ben interpretate ed estremamente malinconiche. L’ascolto è per anime senza pace. La troverete. La musica è per musicisti senza stile. Vi ispirerete. La dolcezza è per chi come me si sente cullata tra le parole e la musica pregiata dei Volvopenta. (Silvia Comencini)

(Tonzonen Records - 2021)
Voto: 84

https://volvopenta.bandcamp.com/album/simulacrum

domenica 7 marzo 2021

Empyrium - Über den Sternen

#FOR FANS OF: Black/Doom/Folk
The German duo Empyrium is without any doubt one of the most personal and exquisite projects out there. The project, founded in 1994 in Bavaria (Germany), was from its early inception already a quite unique creature. Its personal and remarkably tasteful combination of neofolk influences and doom metal with epic touches, shocked the scene with it almost unbeatable inspiration and quality. Early works like 'A Wintersunset' and especially its sophomore masterpiece 'Songs of Moors & Misty Field', made this band a truly respected project. In this second opus the mixture of an intensely melancholic doom beauty and the folk influences was nearly perfect. Vocally, the band was also original with the combination of extreme vocals with baritone-esque voices, which gave an even stronger solemn and melancholic touch to its music. Afterwards, the band left behind the metal influences and focused sorely on folk and neo-folk sounds, which was a pity from a metalhead perspective, although the music continued to be very personal and excellent. With the band’s split-up, the classic members focused their efforts on new projects, though thankfully they returned some years ago with a slightly more modern yet tasteful opus 'The Turn of the Tides'. This effort didn´t receive a so warm welcome, although it pleased the fans in reasonable way.

Still, many fans deeply missed the early works of Empyrium and there was a cautious excitement when the band announced a new album entitled 'Über den Sternen', that was supposed to bring to black many influences from the classic works. This "back to the roots" is usually no more than a marketing strategy, but thankfully this hasn't be the case with Empyrium. I don´t imply that this is a replica of the early albums, but the influences are strong and completely present. A more modern touch in the production, already seen in the previous work, is still there, but as previously announced by the label, the doom metal and folk influences are back in a way we haven´t seen for a long time, and also the extreme vocals, largely missed by many metalheads. 'Über den Sternen' obviously tries to mix the most known two sides of Empyrium´s coin, the metal influences and the folk/neo-folk ones and they successfully do it. If I could complain about something from this album, it would be the following two aspects. Firstly, that the central part seems to be too focused on the softest and more folky influences, unbalancing the final result of the album. Secondly, maybe I had expected more shrieks based on my early impression from the first self-titled single. In any case, this is a magnificent album with many great tracks. The initial part is almost faultless with two compositions that bring us the best of their early works. The album opener "The Three Flames Sapphire", that has been presented with a beautiful video, is a perfect blend of the calmer and folk influenced side and the most metal one. The song evolves from its more folkie and melancholic start to a final heavier section as a delicate piece with a excellently executed ‘in crescendo’, just to end acoustically. The magnificent clean vocals with this baritone style and the undoubtedly nice flute are 100% Empyrium, and this means quality and style. The following track "A Lucid Tower Beckons on the Hills Afar" is a more metal oriented song, bringing back the best of Empyrium’s second and legendary album. The combination of extreme vocals, baritone voices and background vocals, alongside the always exquisite melodies, is a pleasure for the ears. The guitar lines vary from metal riffs to acoustic tones with elegance and naturalness as it happens with the intensity of the music. Doom metal and folkish music embrace together in a unique way. The central part of the albums focuses, as said before, much more on the folk side and though it does it with indubitable quality. The contrast with the rest of the album makes me feel think that another harder composition, would have been more than welcome between the purely calm songs like "Moonrise" and "The Archer". Its not a big deal, but I personally think that this would improve the overall impression and result of this album. The problem is not the neo-folk influenced tracks, but the impression that they are wrongly placed as they follow a song like "The Oaken Throne", which is still quite tranquil. The album recovers its initial momentum with the beautiful "The Wild Swans", once again the sophomore album’s greatness is back with an extraordinary track, that mixes with success the fury and the calm, the strength and the delicacy in one single composition. The album ends with the aforementioned self-titled song, that is undoubtedly a great way to end the album on a high. The final song summarizes all the trademark influences that have made Empyrium a so beloved and unique band. Pure elegance and beauty.

In conclusion, 'Über den Sternen' is an excellent work by Empyrium and aside minor complains from me side, this is a brilliant album. 'Über den Sternen' will make happy all Empyrium fans around the globe and should be a mandatory listen to all who like music made with taste. (Alain González Artola)


(Prophecy Productions - 2021)
Score: 85

https://empyrium.bandcamp.com/album/ber-den-sternen

sabato 6 marzo 2021

Jours Pâles - Éclosion

#PER CHI AMA: Heavy/Black
Formatisi solo nel 2020, i Jours Pâles non sono certo degli sprovveduti, includendo tra le proprie fila membri o ex di Gloson, Uada, Aorlhac, Shining e Asphodèle. E proprio dal mastermind di quest'ultimi, Spellbound e da un disco fatalità intitolato proprio 'Jours Pâles', nasce la band di oggi. Nonostante la compagine comprenda musicisti svedesi, statunitensi e francesi poi, come ormai da protocollo Les Acteur de l'Ombre Productions, la scelta per il cantato è ricaduta sulla lingua francese. Per il resto la formazione è davvero parecchio recente ed 'Éclosion' rappresenta il loro debutto assoluto. Nove brani per 50 minuti di musica davvero convincente che si allontana almeno inizialmente dai soliti clichè di devastazione post-black dell'etichetta transalpina per offrire un sound più educato, che irrompe con le malinconiche melodie di "Illunés". Dicevo educato perchè il cantato è pulito almeno per la maggior parte del tempo, le ritmiche lineari, il riffing sembra un mix tra Dark Tranquillity e Novembre, ma sono soprattutto le melodie affidate ai solismi finali (la lead è affidata a Sylvain Bégot dei Monolithe) che fanno subito breccia nel mio cuore. La successiva "Aux Confins du Silence" mostra invece un altro lato della medaglia dei nostri che sfoderano qui un cantato più aggressivo, una linea di chitarra più ruvida e nervosa ma comunque melodica. Il ritmo è più frenetico, tipicamente black, ma le chitarre soliste fanno ancora una volta la differenza, dando un tocco di epicità e melodia al risultato finale. Apertura arpeggiata per "Ma Dysthymie, Sa Vastitude"con spoken words in accompagnamento. Poi un bel riff di chitarra squarcia l'aria qui più oscura e pesante. E poi via tutti gli altri strumenti con un lavoro al basso eccezionale (bravo Christian Larsson!) cosi come fantasioso il drumming di Phalène. Il pezzo va a progredire a livello ritmico con un funambolico finale con acuti di chitarra e voci taglienti. Ma è sempre quell'alone di malinconia ad aleggiare attorno all'intero lavoro a fare la differenza e rendere la proposta dei nostri più intrigante. "Le Chant du Cygne" è più compassata nella sua andatura, mostrando a livello chitarristico più di un'analogia con i Novembre degli esordi anche se nella parte centrale scorgo più di un riferimento a 'Seventh Son of a Seventh Son' degli Iron Maiden, si avete letto bene, questo a testimoniare le qualità di una band che in pochi secondi arriva a regalarci una ferocissima scorribanda black ed uno splendido finale in tremolo picking. "Eclamé" vede la partecipazione al microfono di Ondine Dupont voce dei Silhouette, il che ci consegna una versione più sperimentale dei Jours Pâles, anche se il sound dei nostri è in costante movimento con il black che incontra l'heavy e il dark si miscela al depressive. Lo stesso genere che si respira nella parte iniziale della title track prima che i nostri ci delizino ancora con giri post-black venati di punk, ma è comunque un grondare di melodia, malinconia, parti acustiche e altre avanguardistiche. I quattro musicisti non si fermano davanti a nulla, sciorinando suoni imprevedibili e tenebrosi come quelli contenuti nella tempestosa, ipnotica ma trememndamente melodica "Suivant l'Astre". Ma le sorprese non sono affatto finite in quanto "Des Jours à Rallonge" ha da presentarci l'ultima ospitata del disco, manco fossimo a Sanremo, con David Lomidze dei Psychonaut 4, che presta la sua tragica voce (anche lui in francese sebbene sia russo) a regalare gli ultimi minuti di grandissima qualità (ma soprattutto emozionalità) per un lavoro davvero notevole a cui manca solo la degna chiusura, affidata alla criptica electro-ambient della strumentale "C2H6O", un pezzo che dopo un inizio atmosferico, ha ancora il fiato per l'ultimo graffio post-black. Sublimi. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 80

https://ladlo.bandcamp.com/album/closion

mercoledì 3 marzo 2021

Wojtek - Does This Dream Slow Down, Until It Stops?

#PER CHI AMA: Sludge/Noise, Converge
I Wojtek prendono il loro nome dall’orso, adottato dall’esercito polacco, che aiutò a trasportare casse di munizioni per la battaglia di Cassino durante la Seconda Guerra Mondiale e, curiosamente, lo condividono con un paio di band indie pop scozzesi (pare che dopo la guerra l’orso abbia trascorso la sua vecchiaia nello zoo di Edimburgo), che però, come vedremo, non corrono certo il rischio di essere confuse per il quintetto padovano. Giunti alla terza uscita in meno di un anno e mezzo, da quando cioè la band è nata dalle ceneri degli ottimi Lorø, i Wojtek continuano il loro percorso in direzione di uno sludge feroce e potentissimo, nel solco di mostri sacri quali Converge, Neuroris e Meshuggah. Ed è il caso di parlare di percorso, perchè questo EP di quattro brani (per meno di venti minuti) mostra decisi segni di evoluzione di un linguaggio che, per quanto ben definito nei suoi riferimenti cardinali, risulta meno brutale dei primi due episodi, più ragionato e personale, come se i vari elementi che caratterizzavano il suono senza compromessi degli esordi, avessero avuto il tempo di sedimentarsi. E quindi la struttura complessa dell’iniziale, splendida, "Catacomb", così come ad esempio le incursioni drone-noise di "Rednetrab" o la coda di "Desensitized", mostrano incoraggianti segnali di una maturazione che forse non è ancora giunta a compimento, ma che lascia intravedere un’interessante “via europea” per un linguaggio altrimenti già ben codificato. Come già il precedente 'Hymn for the Leftovers' (recensito su queste stesse pagine), anche questo 'Does This Dream Slow Down, Until It Stops?' esce in una versione fisica molto curata, in questo caso una musicassetta dal packaging decisamente accattivante. (Mauro Catena)

(Shove Records/Teschio Dischi/Fresh Outbreak Records/Ripcord Records/Violence In The Veins - 2021)
Voto: 76

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/does-this-dream-slow-down-until-it-stops

Black Sun Brotherhood – God & Beast

#PER CHI AMA: Black/Death
Partiamo subito col dire che l'album di debutto dei norvegesi Black Sun Brotherhood non è di facile classificazione, avendo una struttura omogenea ma variegata, libera di muoversi tra le molteplici fonti d'ispirazione a cui la band attinge naturalmente, senza che l'esito dei brani, in quanto ad originalità e stile, venga screditato o tacciato di plagio. Nella stesura delle canzoni si sentono influenze dei Celtic Frost, in particolare dall'album 'Monotheist' per l'oscurità del sound, degli High on Fire per i tratti più sludge e corposi, i Venom di 'Resurrection' per la malignità espressa e gli Illnath per la pulizia e potenza del suono, con echi infine di Unleashed in lontananza. La band scandinava suona un death/black metal che pur portando i retaggi classici come bagaglio, riesce comunque a saltare gli schemi, grazie ad una sezione ritmica potente e pulsante ma soprattutto, grazie a riff di chitarra serrati e travolgenti, uniti ad una interpretazione vocale diabolica ed infernale. Il salmodiare a pieni polmoni ricorda quello di Thomas Gabriel Fischer, anche se qui il frontman si mostra più grave, diretto e monotono, ai confini con certi modi di cantare in puro stile hardcore, quasi una forma di recitato potente, che non sfocia mai in un vero e proprio cantato. Devo ammettere che ciò non guasta alla musica e anche se potrebbe risultare a volte un po' statico, considerata l'idea di celebrazione rituale sempre presente in sottofondo e le tematiche infernali dai toni satanisti di cui trattano le composizioni, questo tipo di approccio vocale risulta essere a tutti gli effetti l'ideale soluzione canora per questo tipo di sound. Il suono è energico e si muove all'interno del disco con abilità, tra dinamiche doom di matrice sabbathiana rivisitate in chiave moderna ("Leviathan") pesanti e ossessive unite ad un mix di tenaci riff thrash old school che non disdegnano suoni duri ed elaborati di nuova generazione (vedi alcune sonorità di chitarra vagamente vicine ai Gojira). Qualcosa di indefinito tra metal progressivo ed un suono vorticoso e psichedelico simile a quello presente nel brano "Ugly Truth" dell'album 'Louder Than Love' dei Soundgarden meno famosi, lo troviamo invece nella strumentale "Sol Invictus". Tanti riferimenti diversi tra loro, solo per cercare di spiegare la complessità della proposta musicale in questione. Anche gli intro e le parti d'atmosfera, come la sequenza dei brani o il ricercato uso di effetti sulla voce, sono ben progettati, mirati a dare fluidità ad un disco cupo e pesante, di grande impatto, veloce, travolgente e sinistramente intenso, decisamente saturo di magma oscuro. Alla fine degli undici brani, l'ascolto risulta così interessante che i 42 minuti circa di durata volano in scioltezza e presumo sia anche grazie ad una produzione di alto livello che rende gradevole il disco in tutte le sue parti senza mai scadere o risultare obsoleto. In definitiva, possiamo affermare di essere di fronte ad un buon album che farà la felicità di molti fan del metal estremo, violento ed oscuro ma dal suono sempre chiaro, definito e ricercato. Un disco 'God & Beast', che al netto delle dure tematiche trattate, che possono comprensibilmente, non essere condivise da tutti, deve essere ascoltato obbligatoriamente senza pregiudizi di sorta, poichè merita sicuramente un'ampia attenzione da tutti gli amanti del metal più estremo. (Bob Stoner)

(Metal Blast Records - 2020)
Voto: 74

https://www.facebook.com/blacksunbrotherhoodnorway

Zedr - Futuro Nostalgico

#PER CHI AMA: Pop Rock
A volte le etichette discografiche si prendono dei grossi rischi ad inviare del materiale ad una determinata piattaforma musicale, se non adeguatamente targettizzato. Quindi vedermi tra le mani il nuovo album di Zedr, one man band guidata dal cantautore Luca Fivizzani, lo trovo alquanto azzardato per un sito come Il Pozzo dei Dannati. Insomma, in questo blog trattiamo metal in tutte le sue forme, e ahimè, 'Futuro Nostalgico', secondo album dell'artista originario della Brianza (ma fiorentino d'adozione), non credo si troverà a proprio agio a fianco di proposte death o black metal. Quindi, non me ne voglia il buon Luca se il mio approccio con l'opening track , "Il Grande Dittatore", non sia stato proprio dei migliori. Di primo acchito, avrei defenestrato il cd, ma sono un professionista da 21 anni, ho spento e ci ho meditato sopra. Ci ho riprovato e cercando di cogliere quanto di interessante un metallaro potrebbe ricavare dall'ascolto di un brano simile, etichettabile come pop. Interessante il cantato in italiano con dei testi abbastanza accattivanti (anche se non propriamente originalissimi) sull'alienazione sociale, ma il pezzo è alla fine dotato di una melodia troppo ruffiana e scontata. Quello che mi ha realmente colpito è stata però una chitarra di sapore vagamente western o surf che farà capolino qua e là nel corso dell'album, che va a poggiarsi su di un pop, talvolta acustico, altre volte di stampo più "electro" ("Lo Straniero") che evidentemente non è nelle mie corde, ma che comunque ravviva un sound altrimenti un po' troppo banalotto e sdolcinato. La chitarra che entra nella seconda "Polvere" sembra evocare i Dire Straits, ma quell'andatura troppo patinata dopo un po' mi fa sbadigliare non poco, fatto salvo in quei chorus in cui ad emergere è una chitarra di morriconiana memoria. 'Futuro Nostalgico' è in definitiva un lavoro sicuramente ben curato e ben confezionato (ottime la registrazione e la cura del suono), forse più adatto ad un pubblico dai gusti più sanremesi (giusto perchè siamo in "quei giorni dell'anno"), per quanto nell'accezione meno deleteria del termine, che non a quello avvezzo alla frequentazione di queste pagine. Difficile quindi dare una valutazione che non sia inevitabilmente influenzata dalla distanza con la materia trattata qui, per questo mi allineo su una sufficienza politica, di forma più che di sostanza. (Francesco Scarci)

(Overdub Recordings - 2020)
Voto: 60

https://zedr.bandcamp.com/album/futuro-nostalgico

martedì 2 marzo 2021

Frosthelm - The Endless Winter

#FOR FANS OF: Black/Thrash
This album is more of a blackened metal album than anything else. The guitars are pretty thrash-like and the riffs just dominate. The whole way through the album it slays. The vocals accompany the guitars rather well. A shit-ton of screaming here. I like it. And the riffs are outstanding. The leads are pretty technical as well. There's some double bass beating a lot, too. It seems to let up in tempos here and there, but nevertheless it's a pretty intense road they paved this one with. I'd say that it's quite different than the EP (2012). It's just a different feel to it even though it is pretty insane. The vocals are a bit the same but the guitars more thrash-like.

I think that this is a strong debut. It seemed as though their follow-up to this one wasn't nearly as good, though I haven't heard their latest yet. This one I'm hooked on. It's the music that does it for me. And the vocals. The production quality was decent. A little bit raw, but not as raw as on their first EP. They seem like they are pretty bloody angry on this, it definitely suits the album title! I'm not much up for lyrics, this is just about the music mostly. I admire their perseverance about keeping their music underground. And also keeping it uncompromising. They slay here and I'll have to check out their follow-up soon.

The album isn't all the way intense, there are tempo changes and clean guitar bits, but not much. It is mostly blackened metal here. The vocals shriek wholeheartedly. The tremolo picked riffs are insane. They tear it up. Very well sounding album and unrelenting blasphemy going on here. I like the quality of their riffs. The fact that most of the music stays underground shows us that their an uncompromising band. The fact that they are from North Dakota startles me to know that they are not from Norway! Their influences are definitely their, like on Immortal's 'At The Heart of Winter'. The guitars remind me a little of that album by that band.

Well, this album is on Spotify but I think that you should support the band and buy the physical copy of the album. At least support the metal scene and buy the CD. It's OK if you don't have a CD player, get on Bandcamp (if they are on there) and buy the digital downloads. I happened to get this on Spotify Premium. I'm to buy a physical copy myself, though they're a bit difficult to find. It's still worth checking the album out if need be on YouTube would be fine. You'll get to hear some uncompromising blackened metal on here! It simply slays and is amazing! Support the band! (Death8699)


WitcheR - A Gyertyák Csonkig Égnek

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Li abbiamo incontrati meno di tre settimane fa in occasione della riedizione da parte della Filosofem Records del loro EP del 2012. Li ritroviamo oggi con 'A Gyertyák Csonkig Égnek', secondo lavoro uscito in realtà a fine 2019. La proposta dei magiari WitcheR rimane più o meno ancorata a quella del vecchio 'Néma Gyász', ossia un black atmosferico che entra con delicatezza con la lunga title track in un connubio di atmosfere malinconiche, costruite da un riffing mid-tempo e da una distesa abbastanza notevole di tastiere che costituiscono la struttura portante dell'intera traccia, che non vive di particolari sussulti musicali, ma sembra piuttosto muoversi in territori medievali affini a Empyrium e Summoning. Questo è confermato anche dalle successive "Feloldozás" e "Az én Csendemben", tutti brani che viaggiano oltre gli otto minuti di durata, combinando melodie delicate con ritmi estremamente compassati, vocalizzi affetti da una leggera raucedine e ampi spazi strumentali in cui a parlare sono i synth e le chitarre educate (fin troppo) del duo ungherese. Fortunatamente, la seconda delle due tracce di cui sopra, ha un inizio più dirompente rispetto alle altre, prima di tornare a sonnecchiare con partiture più controllate. Ma il pezzo gode di sbalzi umorali, mai stati cosi utili in una situazione statica come questa, visto che ci sono ancora alcune accelerazioni che alterano lo stile fin troppo garbato e monolitico della band, cosi come avevo già osservato nella precedente release. Serve il giusto mix di coraggio, incoscienza e personalità per uscire dall'elevato rischio di insabbiarsi in pericolose sabbie mobili. I nostri ci provano a più riprese anche con "Az Utolsó Utamon", sfoggiando ancora un mood piuttosto malinconico che mostra qualche picco di un certo interesse lungo i suoi otto minuti abbondanti di calibratissimi suoni black atmosferici che potrebbero fare da accompagnamento alla narrazione di una fiaba o come colonna sonora di un film in stile 'Il Signore degli Anelli'. In chiusura, la gemma, la splendida ed inattesa cover "A Hattyúk Tava" (Il Lago dei Cigni) di Pyotr Ilyich Tchaikovsky in una rilettura, ovviamente di stampo medieval black, che mi sento di premiare. Ecco se devo essere franco, mi aspettavo che dopo sette anni dal loro debut EP, la band avesse fatto passi da gigante nel proprio sound, invece non ho scorto grosse differenze tra i due lavori. L'invito è pertanto quello di sempre, ossia di osare di più, se la reale intenzione è quella di emergere dall'anonimato del sottobosco musicale. (Francesco Scarci)

lunedì 1 marzo 2021

Love Machine - Düsseldorf - Tokio

#PER CHI AMA: Garage Rock/Psichedelia
Avevo lasciato i Love Machine con il buon album 'Times to Come' del 2018, perdendomi tuttavia 'Mirrors & Money' nel 2019, che solo di recente sono riuscito ad ascoltare. Nel 2021 i cinque teutonici presentano questo nuovo album intitolato 'Düsseldorf - Tokio', mostrandosi più bizzarri che mai, con un lavoro che presenta una geniale novità, ovvero il cantato in lingua madre, a rimarcare la totale alienità di questa band dai confini classici del rock a cui fanno riferimento. Il canto in tedesco mostra tutta la durezza della sua pronuncia e porta molto bene ai Love Machine perchè, mi si passi il termine, suonano ancor più estroversi e krautrock, anche se decisamente in un contesto di psichedelia assai diversa dal quel filone musicale dei '70s. Le influenze musicali sono molte per la band tedesca e spostarsi dall'easy listening/lounge dei sixties al Johnny Cash di 'Ride This Train' è una cosa quasi scontata, il passo poi risulta breve anche tra il Presley di 'Viva Las Vegas' e certo garage punk'n'roll che, al cospetto del fantasma dei Birthday Party, riportano in vita l'anima malata della band australiana ed in chiusura del disco, sfornano due ottime tracce di rock sgraziato e selvaggio, "That Mean Old Thing" e "The Animal", i soli due brani cantati in lingua d'Albione. Queste due canzoni sono le uniche dotate di una certa scarica elettrica e vitalità ritmica, con cori stralunati e un'indole distruttiva, molto diverse spiritualmente e ritmicamente dal resto delle tracce. Comunque, se in un disco appaiono solo due canzoni veramente ritmate, non vuol dire che il resto sia da buttare anzi, direi che il vero stile dei Love Machine risieda proprio in quelle ballate miti e patinate tra glam, rock sulfureo e sonorità psichedeliche da pseudo figli dei fiori. Inoltre, se aggiungiamo una voce sensuale e profonda come Barry White, che incrocia la tenebrosità di certe interpretazioni a metà strada tra il Blixa Bargeld di 'Nerissimo' e i Crime & the City Solution, le cose si fanno più interessanti. Basta osservare il brano "Hauptbahnhof" dove, al minuto 1:53, nel bel mezzo di un contesto musicale tra il noir e il romantico di una ballata sonnolenta, un glaciale grido disperato cambia le sorti del brano, elevandolo a gioiello di disperazione per antonomasia. Prendendo atto della magnifica e spettrale voce baritonale da oltretomba di "100 Jahre Frieden", dove plasticata felicità e tristezza si fondono per esplodere in un assolo di chitarra tagliente come un rasoio, la proposta musicale diventa molto suggestiva. L'album continua tra sporadiche e assassine stilettate di chitarra, ritmiche allucinate a suon di morbido rock e di tanto visionaria quanto pacata psichedelia. Il tutto è guidato da un'interpretazione vocale impressionante a cura del vocalist Marcel Rösche, che racconta con stile da crooner vissuto, di una città malata e sofferente, vizi e disperazioni presentati con vellutata saggezza e ruvida sfrontatezza in memoria della coppia Bowie/Reed, tra raffinatezza e spazzatura, proprio come descritto nelle note del disco. Un vero album bohémien, che non teme confronti nè paragoni, poiché vive di luce propria e si nutre di una certa originalità artistica sanguigna, cosa che porta la band di Düsseldorf a ritagliarsi una scena tutta propria nel vasto mondo del retro rock. Il che spinge l'ascoltatore a porsi di fronte ad una scelta obbligata, amare od odiare lo stile di questa singolare band. A mio parere 'Düsseldorf - Tokio' è un ottimo album, originale ed interessante, un mondo sonoro tutto da scoprire! (Bob Stoner)