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domenica 8 novembre 2020

Well of Night - The Lower Planes of Self​-​Abstraction

#PER CHI AMA: Black Metal
Nati dalle parti di Dayton in Ohio, i Well of Night sono un quartetto in giro dal 2015, che ingloba nelle proprie fila membri di Tryblith, Engraved Darkness ma anche un ex membro degli storici Acheron. La proposta musicale di questo 'The Lower Planes of Self​-​Abstraction', primo full length per i nostri dopo un EP uscito nel 2016, converge verso un black melodico, sorretto peraltro da un'ottima produzione che rende il suono gonfio e potente. Sei i brani a disposizione per saggiare di che pasta sono fatti i nostri. E la furente opener, "Black Alder Sacristy", ci mostra sin da subito l'aggressività di cui è dotato il quartetto statunitense. I nostri combinano infatti chitarre ringhianti sparate a tutta birra, interrotte da break più ragionati, in cui le sei corde si concedono in formato tremolo picking, regalando sprazzi di melodia, sui quali si stagliano le screaming vocals di Max Otworth. Il risultato, per quanto scarseggi in termini di originalità, ha comunque un suo perchè, soprattutto nella parte conclusiva del pezzo, dove le ambientazioni orrorifico/angoscianti hanno la meglio su tutto il resto. La delirante ritmica di "Allegiance to the Barren Lands" chiama in causa per destrutturazione, i Deathspell Omega, anche se i francesi rimangono un paio di spanne sopra, semplicemente perchè i Well of Night prendono altre strade che vedono comunque il sound saturarsi in modo quasi esagerato. Muri ritmici invalicabili riempiono cosi le nostre orecchie con funambolici giri di chitarra e maledettissime harsh vocals che trattano tematiche legate a stati emotivi distorti e allucinati. La proposta del combo si fa intrigante, soprattutto laddove la band associa al black una bella dose di doom a rendere il tutto non proprio cosi banalmente prevedibile come credevo inizialmente. C'è intelligenza musicale dietro le note di questo lavoro, che si palesano nella violenza maligna di "Doctrine of Futility and Human Extinction", un'altra scheggia di violenza che vede una tempesta di blast beat, basso e chitarre abbattersi sulle nostre teste, con i vocalizzi abrasivi del frontman che completano un quadro di suoni vorticosi, mefitici ed infernali di grandissimo impatto. Sempre meglio direi, con la consapevolezza comunque che i nostri non hanno certo scoperto l'acqua calda. Con semplicità e naturalezza, i quattro musicisti americani costruiscono un sound credibile, solido ed interessante che ha ancora modo di dire la sua attraverso le note della rutilante ma forse un po' più elementare (e ridondante da un punto di vista ritmico) "Ritual of the Seven Shrines". Molto meglio invece "Apex and Eschaton", con i suoi cambi di tempo marziali, i suoi ammiccamenti agli Emperor, ma anche ai Carach Angren (ovviamente deprivati della componente orchestrale). Qui però c'è un sorprendente break centrale che cattura l'attenzione dell'ascoltatore e ci dirige con il fare pungente delle chitarre verso strani lidi psichedelici, prima di ritornare sulla rotta maestra del black. In chiusura, i dieci minuti abbondanti della tenebrosa "Ossuary of the Fallen Snow", song dotata di una notevole spinta melodica che le permettono di fissarsi immediatamente nella testa, sebbene nella sua progressione dirompente, il black dei Well of Night sembri deragliare in porzioni più death metal oriented, soprattutto quando i nostri decidono di osare e spararci in faccia un assolo da paura che mi provoca un godimento esagerato, spingendomi a dire che il prossimo lavoro di questi quattro individui dovrà essere necessariamente una bomba. Per ora il debutto dei miei nuovi paladini del black a stelle e strisce è un qualcosa che merita decisamente una chance da parte vostra, per il resto, cari Well of Night, vi dico fin da adesso che mi aspetto un nuovo lavoro scrostato dalle imperfezioni qui riscontrate, con una dose di originalità ben maggiore che vi permetta di fare un prepotente ingresso nell'elite del black metal. Bravi, mi siete piaciuti. (Francesco Scarci)

(Self - 2020)
Voto: 74

Starless Domain - ALMA

#PER CHI AMA: Cosmic Black
Gli Starless Domain li abbiamo incontrati già un paio di volte lungo il nostro cammino e io li ho particolarmente apprezzati quanto lo scorso anno fecero uscire quasi in contemporanea, 'EOS' e 'ALMA', quest'ultimo però solo in formato digitale. La Aesthetic Death, presasi in carico dell'uscita in cd del primo lavoro, ha pensato bene di rilanciare in questo 2020, anche il secondo, che riparte dalle medesime coordinate sonore che avevo già apprezzato in 'EOS'. Stiamo parlando di un black cosmico che si palesa nei 44 minuti dell'unica traccia qui contenuta. Facile pertanto per il sottoscritto descrivere i contenuti di "Alma" che rispetto al precedente album, perde forse in imprevedibilità e ci consegna un lungo e reiterato black fatto di sonorità terrificanti. Questa è la prima parola che mi sovviene durante l'ascolto, in quanto quelle urla che si dipanano in sottofondo, mi fanno immaginare a quelle dei dannati imprigionati nell'Inferno dantesco o se vogliamo rifarci ad un paragone più attuale, a tutti coloro nel mondo che oggi sono bloccati nelle loro case dal lockdown. È pertanto pauroso quindi l'effetto che ne deriva, mi angoscia, mi attanaglia la gola, l'ansia cresce frenetica e non bastano francamente quei break atmosferici, a base di elevate dosi di synth, a stemperare il delirio che nel frattempo è esploso nei miei emisferi cerebrali. Ancora una volta la musicalità disturbante del trio dell'Oregon si rivela poderosa, ma non so francamente se a questo punto sono ancora cosi predisposto ad ascoltarla. Detto questo, confermo le ottime impressioni che avevo palesato ai tempi di 'EOS', certo è che l'ascolto diventa sempre più complicato in questi folli tempi di morte. (Francesco Scarci)

(Aesthetic Death - 2020)
Voto: 75

https://starlessdomain.bandcamp.com/album/alma

Sibireal - Blood Color Sky

#PER CHI AMA: Thrash Black
Ogni giorno mi rendo sempre più conto di quanto sia infinito l'underground musicale. Dalle zone dell'Altai, la porzione siberiana al confine col Kazakistan, ecco arrivare il quartetto dei Sibireal e il loro immaginario thrash black. La proposta dei quattro russi è sicuramente molto particolare, schizoide mi verrebbe da dire. Se l'intro "Aktilirauw" potrebbe somigliare più ad un rituale sciamanico, la successiva title track sembra mostrare i deliri schizofrenici di cui la compagine di Biysk sembra essere affetta. La proposta è infatti una carneficina di urla iraconde che poggiano su ritmiche tipicamente thrash metal per un effetto dapprima disturbante ma che comunque mostrano il loro perchè. Niente di rivoluzionario sia chiaro, però mi sento di dire che non va necessariamente bollato come negativo cosi di primo acchito. Al suo interno è pure frequente fare incontri con il punk/hardcore ma non solo, visto che, cosa più sconvolgente, ci ritroviamo aver a che fare anche con quegli evocativi cori che si trovano poi in "Through the Pain", che mescolano le carte in tavola. Diciamo che il problema dei Sibireal risiede forse nel non aver ancora messo a fuoco la direzione che i nostri vogliono intraprendere in quanto c'è un po' di marasma sonoro e ancora una certa immaturità che probabilmente ne penalizzano il risultato finale. "The Way of Ego" è un pezzo black che probabilmente risulterà più interessante per ciò che concerne le liriche che trattano temi di psicanalisi legati alla conoscenza di se stessi. Anche "Giennah" è ancora un po' troppo scolastica per quanto l'assolo non sia affatto male. Gli altri pezzi qui contenuti, lasciano presagire una certa vena di follia, ma per ora francamente il tutto è ancora in fase di maturazione, considerato che la stesura dei brani (fatto ovviamente salvo per la cover dei misconosciuti thrashettoni ucraini Fatal Energy) risale addirittura al periodo 2008-2010. E allora sarei un po' più curioso di sapere come suonano i Sibireal oggi e vedere in 12 anni quali progressi siano stati fatti. Per ora niente più che un'ordinaria sufficienza. Ma mi aspetto decisamente di più, pena una fragorosa bocciatura. (Francesco Scarci)

(GrimmDistribution/Wings Of Destruction - 2020)
Voto: 60

https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/063gd-sibireal-blood-color-sky-2020

Intaglio - S/t

#PER CHI AMA: Funeral Doom
A distanza di 15 anni dalla data del rilascio ufficiale del debut album dei russi Intaglio, la Solitude Productions ha pensato bene di tornare a riproporre quel lavoro completamente remixato, con un nuovo artwork, un interludio in più e i titoli delle canzoni tradotte in inglese (tanta roba insomma). Era il 15 ottobre 2005 allora, è il 15 ottobre 2020 oggi, quando la release ha spento le sue prime 15 candeline. Per chi non li conoscesse e per chi non avesse mai avuto a che fare con la label russa, beh sappiate che fra le mani abbiamo un discreto lavoro di funeral doom, che parte dalle abissali sonorità di "Dark Cherry Day" che per 12.57 minuti (13 secondi in meno della traccia originale), ci spingono nel profondo con le catacombali atmosfere create dal combo originario di Orël. Gli ingredienti inclusi in questo lavoro sono inevitabilmente i soliti, con le classiche ritmiche a rallentatore, le voci dall'oltretomba e qualche lungo frangente acustico che stempera una pesantezza a tratti sfiancante per quanto desolante essa sia. Il brano non disprezza nemmeno una certa vena melodica, chiaro che per chi non mastica il genere, non è che sia cosi facile avvicinarsi ad una proposta cosi conservatrice. "Interlude" lega con la sua placida malinconia strumentale il precente pezzo con "Solitude", per un'altra estenuante song di nostalgica battaglia interiore. Oltre dodici minuti di sonorità opprimenti che seguono sulla falsariga, quanto tracciato dal precedente brano, insomma la colonna sonora ideale per chi è rimasto recluso in casa in uno dei tanti lockdown sparsi nel mondo e stia vagamente pensando a farla finita. Ecco, "Solitude" credo che potrebbe dare la giusta spinta a tutti coloro che si trovano in tale situazione di equilibrio precario, quindi vi prego, maneggiate con cura e se non siete proprio dell'umore giusto, beh forse è meglio posticipare l'ascolto degli Intaglio a tempi migliori. Soprattutto perchè a rapporto mancano ancora gli angoscianti dieci minuti di "Wind of Autumn" (nella sua versione originale peraltro ne durava più di 17): la song parte piano con lievi tocchi acustici che lasciano ben presto il posto ad un riffing marcato, pesante, plumbeo quanto basta per darci il colpo di grazia definitivo e farci sprofondare nella disperata mediocrità della nostra vita. Amen. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions/Weird Truth Productions - 2005/2020)
Voto: 68

https://intaglio.bandcamp.com/album/intaglio-15th-anniversary-remix

sabato 7 novembre 2020

Wobbler - Dwellers of the Deep

#PER CHI AMA: Symph Prog Rock
Gli Wobbler sono una band spettacolare, eccellenti musicisti e straordinari compositori di melodie complesse, assai intricate ma sempre fluide. La loro musica è avvolgente, luminosa, e porta, come pochi altri, i segni di quel progressive rock che ama stupire e far sognare. La band di Oslo mostra anche un lieve tocco glamour, un portamento intellettuale e leggermente epico e quanto serve di trasgressivo, un velato apparire folk che ricorda molto le opere ipnotiche de Le Orme, sfoderando poi tecnica sopraffina che dal lontano 1999, ha creato musica ad alto interesse, sfociata negli anni in ben cinque album di carattere. Cercate per farvi un'idea, il video su youtube "Dwellers of the Deep" che dà il titolo all'album, e capirete di quale caratura artistica è dotata la band. In questa nuova avventura, uscita tramite Karisma Records (geniale come sempre nel scegliere le sue band), i cinque musicisti norvegesi si rendono ancora una volta degni prosecutori e orgogliosi portatori del verbo musicale che fu parola di mostri sacri come Yes, Gentle Giant, Genesis, Van der Graaf Generator, ELP e i più recenti Anekdoten, con i quali condividono lo spirito di innovazione dentro un genere che ai più risulterebbe riciclato o addirittura plagiato. Gli Wobbler suonano la musica del passato in maniera totalmente personale, pesando i suoni e le partiture in modo tale da non farle apparire obsolete e farle apprezzare ai fans del prog rock di vecchia data cosi come agli estimatori di certo neo progressive di stampo più moderno (Marillion, Porcupine Tree, Beardfish). I brani sono elaborati e di notevole durata, come l'apertura in pompa magna di "By the Banks", che non lascia dubbi sul tipo di scrigno magico che si aprirà alle nostre orecchie nell'ascoltare quest'opera. La versatilità di un brano che evolve continuamente in un flusso costante di melodie e fraseggi capitanato da una voce impeccabile che ricorda molto le particolari tonalità del mitico Jon Anderson. Scambi e intersezioni, variazioni e chiaroscuri sono all'ordine del giorno per questo quintetto che si prodiga in composizioni ricche, corpose e suonate con variegati strumenti. Galoppate micidiali, slanci sinfonici e collegamenti con l'hard rock convivono in perfetta armonia nel brano "Five Rooms", mentre il barocco ed il romanticismo si uniscono in "Naiad Dreams", ballata sofisticata dai toni morbidi, sognanti e psych folk, tra aperture floydiane ed il primo Re Cremisi (King Crimson/ndr). Menzione a parte per "Merry Macabre", con il titolo che già infonde curiosità e dove la band si abbandona ad una magnifica suite multicolore e multiforme che supera i 18 minuti di durata. Un' immersione a tutto tondo nel mondo del prog rock di tutte le epoche pienamente riuscito, con l'aggiunta di accenni cosmici vicini a certa psichedelia di scuola Ozric Tentacles e qualche incursione nel mondo surreale ed irraggiungibile degli Univers Zero. Alla fine devo ammettere che questo album è una vera delizia, saturo di mille influenze e stili, delicato, sognante, a volte drammatico e graffiante, imprevedibile come deve essere un perfetto album di rock sinfonico e progressivo. Contenuti sonori di alto rango con tematiche trattate nelle liriche che parlano di meraviglia, desiderio e disperazione per un viaggio introspettivo attraverso i ricordi e le emozioni del sentire umano. (Bob Stoner)

Hell:On - Scythian Stamm

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Nile, Melechesh
Bombaaaa... e non stiamo certo parlando della hit di King Africa, ma del nuovo lavoro degli ucraini Hell:On, il sesto per essere precisi. 'Scythian Stamm' è un attacco frontale di death thrash senza tanti fronzoli ma con un'intensità davvero come pochi. Ragazzi io sono ancora frastornato dalla furia annichilente dell'opener "Spreading Chaos" (e dal suo brillante coro), un pezzo che lanciato alla velocità della luce, ha un effetto frantuma ossa, nonostante il quantitativo esagerato di melodia che sgorga dai suoi riff. Per non parlare poi degli spettacolari arabeschi che qua e là emergono lungo il brano. Pazzeschi. Una sorta di Melechesh del death metal con una minor influenza mediorientale ma con una intelligenza musicale ben superiore a mio avviso. E non è solo legato al primo pezzo perchè il tutto si conferma anche nelle note della seconda "The Architect's Temple", forse anche meglio. La tempesta ritmica che si abbatte sulle nostre teste è granitica ma comunque attenuata dalle melodie onnipresenti, che in fase di assolo assumono le sembianze di un heavy classico da URLOOOOOO. Ragazzi, smettete di ascoltare qualsiasi altra cosa e concentratevi su questo 'Scythian Stamm', mi sa che siamo in odore di top album dell'anno per il genere, almeno per il sottoscritto. Album memorabile di cui ne prescrivo obbligatoriamente l'ascolto. E le cose sembrano migliorare di brano in brano con la terza "Ashes of Gods" che sembra più imbrigliata di sonorità Middle East in una sorta di riproposizione degli Orphaned Land più ispirati. Mi piace il tiro delle chitarre (qui più compassate), l'amalgama con basso e batteria e ovviamente anche il ringhio del vocalist, nonchè il lavoro eccelso dei synth a costruire spettacolari parti atmosferiche. Citavo inizialmente l'eccelso livello dei cori, e "Under The Protection From Beyond" oltre a livello musicale, si conferma accattivante soprattutto a livello corale. Certo che poi quando gli axemen decidono di fare i fenomeni della sei-corde non ce n'è davvero per nessuno. Tutto passa in secondo piano e rimango assorbito dal fascino miracoloso dei cinque musicisti di Zaporizhia che in questa song oltre ad inglobare influenze di Nile, Melechesh, Vader, Morbid Angel, sento anche un che dei Pestilence di 'Testimony of the Ancients'. Ma lo spettacolo non finisce certo qui perchè "Movements of the Godless" sfodera quantitativi esagerati di epiche orchestrazioni scuola Xerath/Dimmu Borgir, fate voi, anche se poi la ritmica somiglia più al suono di un cingolato con il drumming in particolare, vicino alla velocità della classica contraerea, con un suono peraltro frastagliato e detonante. Potrei utilizzare decine di righe per descrivere la qualità eccelsa di questo brano ed in generale dell'intero lavoro, ma ve le risparmio e a questo punto mi limito a darvi gli ultimi consigli per un ascolto accurato. Se "The Denial Of Death" sembra configurarsi come un classico del death metal, beh non fatevi fregare perchè le colate chitarristiche potrebbero ricordarvi gli inglesi Akercocke mentre per la componente sinfonico orchestrale, i richiami potrebbero andare ai nostrani Fleshgod Apocalypse, con la sola differenza che io preferisco gli Hell:On, vi basta questa come referenza? C'è comunque ancora tempo per farsi sorprendere dall'inquientante incedere di "B.S.B" e dall'utilizzo di una strumentazione più mediterranea (mi sembra addirittura di sentire uno scacciapensieri) che sembra ritornare anche nell'effervescente "Whispers Of The Past Yet To Come", un altro pezzone a mio avviso forte sotto ogni aspetto melodico strumentale. Mi ero ripromesso di non fare un track by track, eppure 'Scythian Stamm' sembra non lasciare scampo, indi per cui posso ammettere che se avessi potuto fare a meno di una song, quella sarebbe stata "Roaring Silence", meno avvincente delle altre, che in un qualunque altro album però farebbe la sua porca figura, soprattutto a livello solistico (mostri i due chitarristi). In chiusura la deflagrante "My Testament" che obbliga il sottoscritto ad ascoltare l'intera discografia degli Hell:On e se necessario fare incetta dei loro dischi. Ah, l'obbligo è valido anche per tutti voi, sono stato sufficintemente chiaro? (Francesco Scarci)

(Hell Serpent Music - 2020)
Voto: 88

https://hellonband.bandcamp.com/album/scythian-stamm

Oghre - Grimt

#PER CHI AMA: Progressive/Sludge
Era il 2017, quando gli Oghre esordivano con 'Gana'. La band per quell'album, fu nominata ai Music Recording Awards lettoni nella categoria Rock/Metal album. A distanza di tre anni da quel cd, il quintetto originario di Riga torna con 'Grimt' e il loro concentrato di progressive sludge che tanto li caratterizza. Questo nuovo lavoro, cantato in lingua madre, consta di sette tracce che si aprono con le soffuse melodie di "Viens" e la voce assai particolare del vocalist, capace di passare da un cantato pulito assai stralunato ad un growling possente, mentre la musica si muove su coordinate a metà strada tra post metal e sludge, con un velato tocco di psichedelia. Le ritmiche sono roboanti, mai lanciate però a grandi velocità, semmai poggiano su un rifferama assai cadenzato con giri di chitarra stranianti ma avvincenti, soprattutto per ciò che concerne la seconda parte di "Trauksme", che si muove su sonorità alquanto sperimentali, fatte di chiaroscuri imprevedibili ma affascinanti. E dire che la voce nella sua versione cosi pulita ma altrettanto anormale, non è che mi faccia proprio impazzire, tuttavia devo ammettere che s'inserisce brillantemente in un contesto alquanto bizzarro. E le sorprese non si fermano qui visto che anche con la successiva "Sarkans", i nostri continuano a sorprenderci con sonorità poco scontate: un inizio assurdo affidato alla folle ugola di Oskars e ad una ritmica assai delicata, giusto per pochi secondi prima che ad affondare il colpo sia una sezione ritmica bella potente, che si muove ancora una volta su un'alternanza di tempi che trovo alla fine comunque originale. E dire che 'Grimt' non è un album cosi semplice da avvicinare proprio per una continua ricerca di sonorità fuori dal comune che partendo da una base sludge/post-metal, poi si lancia in una sperimentazione quasi avanguardista. Questa si rivela una costante un po' in tutta la release, in quanto anche nella successiva "Māli", il quintetto non rinuncia a imperversare con riffoni tosti (direi di competenza stoner al limite del doom) e al contempo, di proporre variazioni al tema varcando ulteriori confini musicali alquanto deliranti. "Vaidava Celies!", con i suoi dieci minuti, ha un incipit di violenza disturbante (e anche una coda quasi post black), ma nel suo proseguio si dimostra più vicina ad un mix tra orrorifico post rock (complici sinistri cori) e ancora chitarre post metal, per quanto sia una song quasi interamente strumentale (fatto salvo per la ripetizione da parte del vocalist del titolo del brano). Nonostante questo, il risultato è ancora una volta affascinante, merito di questi cinque pazzi furiosi. In "Slāpes" sembra di aver a che fare con un'altra band, ma risiede proprio in quest'imprevedibilità di fondo il grande interesse che nutro per questi Oghre, che potrebbe essere accostabili ad una versione deprivata di elettronica, dei lettoni Forgotten Sunrise (andateveli a cercare mi raccomando). Forse gli Oghre sono ancora un po' acerbi rispetto ai colleghi baltici, ma il mood potrebbe essere il medesimo e a confermarcelo ecco in chiusura "Rītausmas Zirgs" e le sue atmosfere ancora una volta velate che sembrano condurci dalle parti di un sound dapprima tooliano (poi direi bell'incazzato) che completa in modo efficace una proposta assai intrigante a cui vi invito a dare più di un ascolto superficiale. (Francesco Scarci)

Dogma - Mallevs Maleficarvm

#PER CHI AMA: Death/Gothic, Within Temptation
Ancora mi stupisco ci sia chi intitoli il proprio album 'Mallevs Maleficarvm', un nome che evoca il trattato omonimo che consiste in una raccolta di credenze e nozioni sul fenomeno della stregoneria, spesso estratte da testi più antichi. Lo avevano fatto i Pestilence nel 1988 e dopo di loro, decine di altre band (Centinex, Imago Mortis, Maleficia, giusto per citarne alcuni). Nel 2020 lo stesso titolo, evviva la fantasia, arriva anche dai portoghesi Dogma, qui al secondo album dopo il debut del 2017 intitolato 'Reditum'. La proposta del sestetto di Lisbona, le cui origini risalgono addirittura al 1996, è votata ad un death doom gotico che poggia principalmente le sue fondamenta sulla eterea voce di una gentil donzella (Isabel Cristina) che fa da contraltare ad un growling maschile (Gonçalo Nascimento), una sorta di alter ego, nei momenti più cantati, di Fernando Ribeiro dei Moonspell. Detto questo, vi sembra che quello che ho fra le mani possa essere cosi originale? Insomma, a me pare francamente di aver fatto un bel balzo indietro nel tempo di oltre 20 anni, quando la scena era popolata da gente tipo Tristania, Trail of Tears, Theatre of Tragedy e similia. Tutto chiaro no? Mi auguro di si perchè non starò certo a passare in rassegna 67 minuti di musica per raccontarvi qualcosa che sapete già. Largo spazio alla brava vocalist, accostabile a Sharon den Adel dei Within Temptation, la band che forse sembra essere il vero punto di riferimento dei nostri, almeno nell'opener "Sentinela". Quello che potrebbe essere interessante in questo album è in realtà un certo influsso proprio dei conterranei Moonspell, che si palesa nelle linee melodiche di alcuni pezzi, cosi come in un ricercato gusto a livello delle chitarre con preziosi solismi (ottimo a tal proposito quello di "Asmodeus"). Per il resto, oltre a quello di tematiche fin troppo scontate (la lotta alle streghe) che forse andavano di moda negli anni '90, 'Mallevs Maleficarvm' raccoglie l'eredità di band che si sono perse nel tempo e poi sciolte. Se potessi dare pertanto un consiglio ai sei musicisti lusitani è di ridurre al minimo la voce angelica della pur brava Isabel, riscoprire le radici etniche del proprio paese (come fatto in "Ser do Nada" e "Velho do Mar") e puntare semmai su un sound più ricercato come quello più vario di "Deus Assassino", evitando cortesemente lunghezze estenuanti (quasi undici minuti). Un pezzo come "Porque Não Te Escondes De Mim" non l'avrei contemplato in un disco come questo, troppo pop rock, sebbene un finale dalla ritmica granitica. Insomma luci ed ombre in un disco uscito nel 2020 ma se riportasse 2000 forse farebbe più bella figura. Peccato, perchè le qualità tecniche ci sono, bisogna ora prendere le distanze da vecchi stilemi e modernizzare un po' la proposta. Visto che non siamo al cospetto di gente di primo pelo, questo è quanto mai lecito aspettarselo. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 62

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