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lunedì 15 aprile 2019

A Thousand Sufferings - Bleakness

#PER CHI AMA: Black Doom, Primordial
Dalle Fiandre ecco giungere nelle nostre case il suono oscuro e malvagio degli A Thousand Sufferings e del loro secondo capitolo discografico, 'Bleakness', uscito per la Symbol of Domination. La proposta del quartetto belga vede in un black doom il loro focus principale che si palesa, dopo l'intro affidata alla title track, con la seconda "Antagonist". Si tratta di un pezzo che mette in luce pregi e difetti del combo fiammingo: ne ho apprezzato sicuramente il riffing stratificato, cosi come la voce non convenzionale (nè in growl nè in scream, ma un urlo emozionale sulla scia dei Primordial), cosi come pure le malinconiche parti arpeggiate che danno un certo respiro all'ascolto del brano. Insomma, pare tutto perfetto eppure c'è un ma che non riesco ancora a definire, e che mi lascia un po' titubante di fronte alla proposta dei nostri per cui auspico di poter essere in grado di delineare almeno al termine di questa recensione. Forse, in primis non mi ha convinto troppo il suono delle chitarre, oppure la registrazione che appare troppo secca. Anche perchè ribadisco, le qualità ci sono e si sentono in un finale tonante di sofferenza ai limiti del post-metal, che sembra venir fuori più preponderante nella successiva "Clouds", in cui avverto un certo fastidio nella proposta vocale del pur bravo Pj, quasi come se mi mancasse un grugnito o un urlaccio ferino. Forse è un mio problema, un'abitudine che andrebbe debellata, però pur apprezzando l'offerta dei nostri, si percepisce che ci sia qualcosa da migliorare, un po' come quando vai in macchina, senti un rumore anomalo ma non riesci ad afferrarne l'origine. Eppure nelle note ritualistiche di questa song, avverto un che degli Urfaust quasi a darmi un input di influenze verso il quale volgere un paragone sin qui difficile da trovare per i nostri. Ancora un altro lungo pezzo con gli oltre otto minuti di "Temple", un pezzo doomish ma comunque dotato di una forte connotazione black, che mi fa accostare ancora una volta i nostri agli irlandesi Primordial, grazie e soprattutto a quei chitarroni ultra ribassati e ad un'atmosfera magica nella seconda metà del brano che me ne fa rivalutare enormemente il valore. Ve l'ho detto che sono io un po' dal carattere ondivago. Certo quando parte "Ghostriders" mi sembra di sentire i Bathory più epici e dire che si tratta di una cover di Johnny Cash! A chiudere ci pensa l'epic doom di "Faces", un altro gran prezzo che lascia le mie titubanze iniziali ad un mero ricordo e ci consegna una band davvero dal grande potenziale, che limate alcune cosine, potrebbe davvero regalare ottimi sviluppi futuri. Cerchiatevi assolutamente questo nome. (Francesco Scarci)

venerdì 12 aprile 2019

Astral Silence - Sagittarius A*

#PER CHI AMA: Cosmic Black, Mesarthim, Darkspace
I Darkspace devono rappresentare un grande punto di riferimento nell'ambito cosmic black a tal punto che nel loro stesso paese le band crescono come funghi. L'ultima con cui sono venuto fortuitamente a contatto, è rappresentata dagli Astral Silence, una one-man-band a dire il vero, capitanata dal misterioso Quaoar (qui supportato però da altri sei musicisti) che è stato in passato il bassista live dei conterranei Borgne per sei anni. Insomma, il nostro mastermind di quest'oggi è uno che di gavetta ne deve aver fatta parecchia e lo testimoniano anche lo split album e i tre full length che ha alle spalle con gli Astral Silence, di cui quest'ultimo 'Sagittarius A*'. Questo terzo lavoro, uscito in 333 copie per la Transcendance, arriva a cinque anni di distanza dal precedente 'Open Cold Dark Matter' che avevo avuto modo di apprezzare a quel tempo, al pari del debut 'Astral Journey' (che ho recensito su queste stesse pagine). Partendo da quelle premesse, 'Sagittarius A*' (nome peraltro ultimamente passato alla cronaca per identificare una sorgente di onde radio molto compatta e luminosa, situata nel centro della Via Lattea che ospita quel buco nero supermassiccio di cui abbiamo visto recentissimamente le immagini) propone quattro lunghi pezzi che iniziano con le dilatate sonorità di "achernaR", quasi dieci minuti dove convogliano suoni black che arrivano da un spazio intergalattico freddo e distante, buio come solo il nostro sistema solare potrebbe apparire dall'ultimo pianeta nano, Plutone. E forse per questo che il black collide con una forma sonora che potrebbe essere inizialmente accostabile al funeral doom, con una ritmica asfittica e angosciante, e il growling profondo del polistrumentista elvetico a prendersi la scena al fianco delle spettrali melodie di tastiera. In "canopuS" (dimenticavo che i quattro brani hanno il nome di quattro stelle alfa delle loro rispettive costellazioni, Eridano, Canopo, Canis Major e Pavone) la componente atmosferica va acuendosi, riuscendo a trasmettere tutto quel senso di desolazione e vuoto che solo lo spazio infinito sembra offrire. Il cosmic black dei nostri si prende definitivamente la scena e non solo a livello grafico (vedasi l'artwork di copertina) o a livello lirico, con le classiche tematiche spaziali-astronomiche. I riff si presentano glaciali, con la drum machine di supporto e i synth a creare quel tappeto di sottofondo che rappresenta ormai la peculiarità del genere. A completamento del tutto, intermezzi ambient e rumori che sembrano provenire da un'astronave alla deriva nello spazio profondo. Più etereo l'inizio di "siriuS", una sorta di risveglio con la luce lontana di una stella ad innondare il nostro viso che la contempla dal piccolo oblò della cabina della nostra navicella spaziale. Poi è un suono marziale che prende il sopravvento, corredato da altri suoni elettronici e voci raggelanti di sottofondo, e da una melodia che permea il lento incedere di una traccia dai tratti marcatamente doomish che prosegue anche nell'ultima "alphA pavoniS", gli ultimi dieci desolanti minuti di questo inquietante lavoro, che potrebbe segnare un importante passo nella carriera degli Astral Silence per acquisire una maggior visibilità. Per ora, tutti gli amanti di simili sonorità si facciano avanti, in 'Sagittarius A*' troverete certamente un sound sufficientemente lento e freddo con il quale cibarvi negli angoli più reconditi della galassia. (Francesco Scarci)

(Transcendance - 2019)

Edremerion - Ambre Gris

#PER CHI AMA: Black/Death
Sebbene la label li etichetti come avantgarde black metal, francamente non ci ho trovato troppa genialità avanguardistica in questo 'Ambre Gris', full length d'esordio degli Edremerion. Fuori per la Symbol of Domination Prod (ed in collaborazione con la Anesthetize Productions), i cinque musicisti di Lille sembrano più portatori di un black metal sghembo e controverso, tipico della scena transalpina. L'album include cinque brani che da "Deûle" alla conclusiva "...Mais Les Étoiles Ne Sont Pas Pour l'Homme" provano ad offrire un qualcosa di originale che tuttavia stenta a decollare. Dicevamo dell'opening track, una traccia dai suoni disarmonici (una costante del disco direi), ma assai freddi e che poco mi hanno coinvolto durante l'ascolto di 'Ambre Gris'. Anche la seconda "Lèpre" si pone con quel black melodico che sta a metà strada tra black e death e cha alla fine non suona nè carne nè pesce. Ci provano con un intermezzo acustico e con un uomo bolso (mah!) per farmi cambiare idea, cosi come pure con un parlato in francese (forse in questo dovrebbe risiedere l'avanguardismo), ma purtroppo credo che la genialità avantgarde risieda in band del calibro dei Pensees Nocturnes, mentre per gli Edremerion la strada sia ancora lunga e in salita. Nella lunga title track, i nostri si lanciano in una lunga cavalcata, subito spezzata da un arpeggio melodico e poi rilanciata alla velocità della luce in un black lunatico e malato, ma comunque dotato di sprazzi melodici grazie a quelle chitarre in tremolo picking che tempestano un brano che vede qualche rallentamento nel suo proseguio. Più piatta "Déchets Nés", un pezzo black thrash che nel finale propone invece ottimi spiragli di influenze heavy classiche in un notevole assolo sfociando addirittura in un rallentamento doom nei 90 secondi finali. L'ultima traccia ci regala ancora una buona dose di melodia e cupa malinconia, interrotta da acuminate scorribande post-black ma anche death, vocals demoniache e qualche altra trovata che dovrebbe far uscire gli Edremerion dal gigantesco calderone black in cui sono intrappolati. Mi sa che serve qualcosina in più per riuscire in questa complicata ascesa. (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination Prod/Anesthetize Productions - 2018)
Voto: 62

https://symbolofdomination.bandcamp.com/album/sodp112-edremerion-ambre-gris-2018

Sinister Downfall - Eremozoic

#PER CHI AMA: Funeral Doom
Come se non ne avessi avuto abbastanza da Solitude Productions e Endless Winter, anche la Satanath Productions, in compagnia della Funere e della Weird Truth Productions, si sono messe a rilasciare album funeral doom. E allora quest'oggi rechiamoci in Germania, per questo progetto in solitaria di Eugen Kohl, uno che ha tipo un milione di band (Crypt Witch, Death Carrier, Donarhall, Hexengrab, Nihilisticon, Delens Humanitas, Leichenfrost, Nihil Eternal, Urschmer) e che con questi Sinister Downfall ha deciso di dare il meglio di sè in un ambito ostico e un po' chiuso come quello del funeral. E infatti, facendo scorrere "Dark Veil" non trovo modo di esaltarmi più di tanto, non scorgendo infatti alcuna novità di rilievo se non il classico suono a rallentatore condito da ritmiche pesantissime, tocchi di pianoforte atti a smussarne le spigolosità e una voce growl ad annerire il risultato finale. Il problema è che, a parte regalare qualche melodia qua e là, o la decadente malinconia della lunga "Way to Nothingness", ahimè faccio fatica a trovare momenti da evidenziare, perchè trovo che il genere si sia un po' involuto su se stesso. E la breve (si fa per dire) " Ashes of Time" si lascia apprezzare per lo più, per i suoi cambi di tempo, le atmosfere nere come la notte, la melodia delle chitarre e poco altro. Ci pensano i dodici minuti della conclusiva "Where Solitude Prevails" a offrirci gli ultimi emozionanti e drammatici momenti di questo 'Eremozoic', con quel suo magmatico flusso sonoro pronto a condurci negli abissi della disperazione. Funerei nell'accezione più pura del genere. (Francesco Scarci)

(Satanath Productions/Funere/Weird Truth Productions - 2018)
Voto: 62

https://sinisterdownfall.bandcamp.com/

giovedì 11 aprile 2019

Antre - Void

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Da Nottingham, il nuovo furore che avanza. In periodi di Brexit, speriamo che gli Antre possano abbattere quelle barriere che incredibilmente il Regno Unito ha deciso di alzare, quasi un salto indietro nei secoli bui della nostra storia, ma andiamo oltre queste beghe politiche e focalizziamoci sulla musica del quintetto britannico. 'Void' è il primo full length per i nostri, dopo un EP uscito nel 2017 ed uno split album lo scorso anno. Lp include nove tracce di focoso black che inizia a darci calci sugli stinchi a partire già dall'opener "Suffer the Light", una song che evidenzia il carattere irrequieto di una band formatasi solo nel 2017. La proposta, non troppo pulita da un punto di vista produttivo, mette in mostra la sua efferatezza con un riffing tipicamente post black, su cui si installerà lo screaming caustico di Patrick MacDonald. Poi è il turno di "Fear the Old Blood" una traccia dal carattere ancora più inquieto anche se inizialmente si palesa più rallentato; poi il nefasto riffing che puzza ancora di hardcore, probabile retaggio dell'ensemble, inizia a pigiare ancor di più sull'acceleratore e son dolori, anche se qui la voce di Patrick passa dallo screaming ad un urlato polemico, mentre il sound si muove a cavallo tra punk, black, hardcore, grind, doom e death in un impetuoso ed entropico sound, che si prende una pausa nell'acustica di "Denisovan", un breve intermezzo strumentale. Poi tocca ad "Into Oblivion" riprendere il filo del discorso qui interrotto ed ecco nuovamente una colata di suoni funambolici e discordanti, come se i Deathspell Omega jammassero con Defheaven e Napalm Death, mentre il vocalist passa con grande disinvoltura da urla bestiali ad altre un po' più teatrali, che sembrano richiamare gli A Forest of Stars. Più old school invece "Tyrant", una classica song black di poco meno di tre minuti. "Guided by Nightmares" esplode ancor più tonante nella sua isterica rincorsa black/death, rallentata solamente nella seconda parte, decisamente più compassata. Un altro break acustico, "The Frozen Deep", ed è tempo della veemeza esacerbante di "Infinite Abyss", dove nei suoi suoni sembra convogliare uno psicotico death sound che evoca gli Aevangelist in un gorgo ritmico (o forse meglio in un buco nero) da cui è impossibile far ritorno. Alquanto inatteso invece il finale affidato a "Beyond these Skies", inatteso perchè l'inizio si presenta assai morbido, in una strategia disorientativa per subire ancor di più l'attacco che da li a pochi secondi ci calerà sulla testa, in un finale che sembra omaggiare questa volta i conterranei Akercocke in un ammorbante assalto pestilenziale che segna il risucchio totale nel maelstrom creato dagli Antre dal quale sarà impossibile uscire. (Francesco Scarci)

(Withered Hand Records - 2019)
Voto: 70

https://antre.bandcamp.com/album/void

Perished - Through the Black Mist

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Symph Black, Emperor
Tra le band storiche del sottosuolo black norvegese ce ne fu una un po' più sfortunata delle altre: sto parlando dei Perished. Originari di Hommelvik, si resero famosi per l'uscita di due album, 'Kark', forse il più famoso e riuscito, e 'Seid'. Erano rispettivamente gli anni 1998 e 2003. Prima di queste release, i nostri rilasciarono un paio di demo, tra cui 'Through the Black Mist' fu quello ad avere maggiore successo nei circuiti underground nello scambio di demotape. Era il 1994, tenetelo a mente, perchè per tale motivo, il quintetto nordico (che consta di ex-membri dei Bloodthorn) potrebbe essere annoverato tra i padri fondatori del symph black. Erano infatti i tempi in cui si affacciavano alla ribalta gli Emperor con 'In the Nightside Eclipse' e i Dimmu Borgir con 'For All Tid'. Fatta questa lunga premessa, i Perished potevano e possono pertanto stare al fianco di questi due mostri sacri ed un grazie va alla The Sinister Flame per rinverdire i fasti di quella cassetta, dandoci modo di assaporare un black old school dalle venature sinfoniche che dall'iniziale "My King's Empire" all'ultima "The Perfect Face of Death" (la versione alternativa della stessa traccia inclusa nel cd) ci concede di respirare nuovamente il meglio del black mondiale. Certo, dovete mettere in conto che ascoltandolo oggi vi sembrerà scontato o retrogrado, ma provate ad inserirlo in un contesto in cui le band che suonavano questo genere si potevano contare sulle dita di una mano. I Perished erano appunto tra questi. E sentire i synth duellare con le chitarre non era cosa cosi frequente a quei tempi o il black convergere verso un death doom, come accade in "My Darkest Embrace", non era proprio roba da tutti i giorni. Poi inevitabilmente, tutti gli ingredienti del black li potrete ritrovare nei 36 minuti di questo 'Through the Black Mist', dalle screaming vocals al vetriolo (e non solo), alle scorribande puramente black di "Serpent's Ring of Hate" o la suggestiva apertura sinfonica della rude "The Perfect Face of Death", saranno tutti elementi per cui apprezzare questa fatica ormai vecchia di 25 anni, si avete letto bene. Se non fosse per la registrazione un po' troppo casalinga e non ci fossero qua e là delle sbavature che all'epoca nemmeno ci facevamo caso, potreste considerare questo lavoro molto attuale. Quindi il miglior consiglio che posso darvi è di abbandonarvi alle atmosfere black doom di "The Autumn Misery" o al fervore di "A Landscape of Flames", un vero salto indietro nel tempo di un paio di decenni. Chiudo con un solo dubbio che mi assale: chissà cosa sarebbero i Perished oggi viste le ottime premesse di allora? (Francesco Scarci)

(The Sinister Flame - 1994/2019)
Voto: 76

https://perished.bandcamp.com/album/through-the-black-mist

lunedì 8 aprile 2019

Humanity Zero - Proseliytism

#PER CHI AMA: Death Doom
Nati nel 2003 come death one-man-band dalla mente di Dimon's Night, i greci Humanity Zero hanno trovato solo nel 2018 nelle vocals di Kydoimos, l'ideale sparring partner del primigenio mastermind per offrire un concentrato di death doom, in quello che è addirittura il quinto album della band ateniese, il cui presente 'Proseliytism'. Quello che balza subito all'orecchio, oltre alla proposta tipicamente death doom, è forse il cantato del frontman, che sembra eruttare il proprio growling attraverso un tubo, per un risultato alla fine un po' ostico da accettare. Ascoltando l'opener, "Celebrating the Opener of the Way", quello che sembra emergere è il carattere cerimoniale delle keys che suonano pompose in una sorta di orgia ecclesiastica, mentre le chitarre, proveniendo dal territorio ellenico, risentono in un qualche modo della loro origine, relegando le influenze di My Dying Bride e soci in secondo piano, anche se l'influsso di quest'ultimi emergerà subito nella ritmica in apertura di "Ruler of the Ultimate Void of Chaos", per un risultato un po' troppo statico e privo di colpi di scena. Francamente non amo apparire come la Santa Inquisizione ma devo ammettere che la proposta del duo greco non mi scalda proprio l'anima come dovrebbe invece fare questo genere. Faticano e non poco infatti  i nostri ad uscire dalla visione stantia, cupa e desolata di simili sonorità. Vi dirò che la scarsa armonia di fondo poi mi fa sbadigliare non poco durante l'ascolto del disco, auspico che ci sia qualcosa che possa risollevare le sorti di un lavoro ahimè già destinato al plotone di esecuzione. "The Slumbering One", la militaresca "The God of the Bloody Tongue" (che vanta un break molto ma molto simile ai My Dying Bride, manca solo la voce sofferente di Aaron) fino a giungere alla conclusiva e drammatica "Dark Angel of the Four Wings", sono onesti pezzi di death doom che risentono parecchio, nella loro scarsa fluidità musicale, del retaggio tipicamente death di Dimon's Night (il che si evince anche da un artwork decisamente votato ad elementi del death metal). Non sono sufficienti quelle onnipresenti tastierone ad alleggerire un risultato che fatica ad aver presa o risultare in qualche modo originale. Sembra di rituffarsi indietro nel tempo di quasi trent'anni, unire il vecchio umore di 'As the Flower Withers' con la pesantezza di 'Serenades' degli Anathema, per un risultato a dir poco obsoleto e che ahimè non riscuote in alcun modo i miei favori. Spiace sempre segare un album, ma in questo caso vuole essere uno sprono a fare meglio in futuro, alla ricerca di una maggiore identità sonora, per regalare davvero qualcosa di più a chi si ciba di simili suoni, sottoscritto compreso. (Francesco Scarci)

Finis Omnivm - Cercle

#PER CHI AMA: Crust Black, Nux Vomica
I Finis Omnivm hanno un retaggio grind crust e si avverte in 'Cercle', EP ed opera prima della band francese. Si chiamavano infatti Faxe poco meno di una decina di anni fa quando quella era la loro proposta. Quel bagaglio musicale, sebbene i molteplici cambi di line-up, è rimasto intatto e crudo nel loro DNA e ancora ammanta il loro sound, sebbene l'iniziale "The Womb" ci conduca in anfratti oscuri di un tenebroso post-hardcore dalle forti tinte malinconiche. Non fatevi fuorviare perchè da li a poco, la musica dei nostri incendierà l'aria con paurose accelerazioni crust-black e rallentamenti dal sapore quasi doom. Quello che meglio tocca le mie corde è la bravura del quartetto parigino negli avamposti musical-emozionali con dei frangenti che trasudano veramente un senso di disagio. Lo stesso che irrompe nella ritmicità marziale di "The Great Destroyer", la song che più delle altre, nella parte centrale, evidenzia proprio le passate influenze dei Finis Omnivm, con le classiche cavalcate crust-grind-black-punk e le urla sguaiate figlie di un genere che non ha mai mollato nonostante le mille mode che sono succedute. E allora che ne dite di abbandonarvi anche voi alle furiose accelerazioni dei quattro musicisti transalpini, sudare quel tanto necessario, prima di arrendervi alle suggestioni sludge che si palesano nel finale della seconda traccia, che peraltro mi ha evocato un che degli ultimi Entombed A.D. Che i nostri non siano dei pivellini è chiaro dalla loro padronanza strumentale, che si palesa fin dall'opening track, di grande livello. La terza è ultima song, "The Empty Gem", completa con i suoi quasi 15 minuti, il quadro musicale dei nostri con un approccio tribale, in cui le grim vocals, accompagnate da basso, batteria e chitarra, ci avvolgono in una spirale sonora stritolante, prima di irrompere nuovamente in un abrasivo crust-punk dal sapore novantiano, pregno di paurose accelerazioni black e di rarefatti momenti fangosi, due caratteristiche che chiamano in causa i Downfall of Gaia, giusto per darvi un ulteriore punto di riferimento, se volete capire qualcosa di più dei Finis Omnivm e di questo 'Cercle', un corrosivo manifesto sonico degno delle migliori realtà crust degli anni '90, là dove ebbe origine il tutto. (Francesco Scarci)