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lunedì 8 aprile 2019

Humanity Zero - Proseliytism

#PER CHI AMA: Death Doom
Nati nel 2003 come death one-man-band dalla mente di Dimon's Night, i greci Humanity Zero hanno trovato solo nel 2018 nelle vocals di Kydoimos, l'ideale sparring partner del primigenio mastermind per offrire un concentrato di death doom, in quello che è addirittura il quinto album della band ateniese, il cui presente 'Proseliytism'. Quello che balza subito all'orecchio, oltre alla proposta tipicamente death doom, è forse il cantato del frontman, che sembra eruttare il proprio growling attraverso un tubo, per un risultato alla fine un po' ostico da accettare. Ascoltando l'opener, "Celebrating the Opener of the Way", quello che sembra emergere è il carattere cerimoniale delle keys che suonano pompose in una sorta di orgia ecclesiastica, mentre le chitarre, proveniendo dal territorio ellenico, risentono in un qualche modo della loro origine, relegando le influenze di My Dying Bride e soci in secondo piano, anche se l'influsso di quest'ultimi emergerà subito nella ritmica in apertura di "Ruler of the Ultimate Void of Chaos", per un risultato un po' troppo statico e privo di colpi di scena. Francamente non amo apparire come la Santa Inquisizione ma devo ammettere che la proposta del duo greco non mi scalda proprio l'anima come dovrebbe invece fare questo genere. Faticano e non poco infatti  i nostri ad uscire dalla visione stantia, cupa e desolata di simili sonorità. Vi dirò che la scarsa armonia di fondo poi mi fa sbadigliare non poco durante l'ascolto del disco, auspico che ci sia qualcosa che possa risollevare le sorti di un lavoro ahimè già destinato al plotone di esecuzione. "The Slumbering One", la militaresca "The God of the Bloody Tongue" (che vanta un break molto ma molto simile ai My Dying Bride, manca solo la voce sofferente di Aaron) fino a giungere alla conclusiva e drammatica "Dark Angel of the Four Wings", sono onesti pezzi di death doom che risentono parecchio, nella loro scarsa fluidità musicale, del retaggio tipicamente death di Dimon's Night (il che si evince anche da un artwork decisamente votato ad elementi del death metal). Non sono sufficienti quelle onnipresenti tastierone ad alleggerire un risultato che fatica ad aver presa o risultare in qualche modo originale. Sembra di rituffarsi indietro nel tempo di quasi trent'anni, unire il vecchio umore di 'As the Flower Withers' con la pesantezza di 'Serenades' degli Anathema, per un risultato a dir poco obsoleto e che ahimè non riscuote in alcun modo i miei favori. Spiace sempre segare un album, ma in questo caso vuole essere uno sprono a fare meglio in futuro, alla ricerca di una maggiore identità sonora, per regalare davvero qualcosa di più a chi si ciba di simili suoni, sottoscritto compreso. (Francesco Scarci)