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sabato 13 gennaio 2018

Inferno Requiem - Nüwa

#PER CHI AMA: Black Old School, Gorgoroth, Setherial
Osannati un po' ovunque, ho deciso di andare controcorrente questa volta e dire che i taiwanesi Inferno Requiem sono dei discreti mestieranti nell'ambito metal estremo e nulla di più. La band è in realtà guidata dal solo Fog, che dopo un paio di EP e un full length, torna alla carica con questo secondo lavoro intitolato 'Nüwa', un concentrato di incandescente black metal old school che attraverso i nove pezzi di questa release, si diletta nel rilasciare minimalistici riff di chitarra, sorretti da harsh vocals e una sciagurata batteria, frutto di una drum machine da incubo che irrompe schizofrenica nel contesto arcigno del disco. L'apertura affidata alla title track è devastante, con riff infernali in stile scandinavo, con Setherial e Gorgoroth in cima alle referenze del mastermind di Taiwan. Con la seconda "Ten Suns", il sound si fa più atmosferico, essendo più carica la componente tastieristica, ma non temete che anche qui non mancheranno le sfuriate ritmiche. È il turno di "Apocalypse Chaos" ove si continua a viaggiare su ritmi incalzanti, tra grida sguaiate e una batteria che diventa brano dopo brano sempre più inascoltabile. "Nefarious Moaning" si muove più su un black mid-tempo con le chitarre in tremolo picking a dare un tocco di malinconia alla proposta, ma l'effetto non è certo dei migliori. Facciamo un salto indietro nel tempo con l'inutile "The Investiture I", e suoni che potevano essere attuali forse 20 anni fa. Dicasi lo stesso per il caotico sound di "Necrobewitchment", dopo aver sorvolato sull'ambient minimal di "Mephitis Leftover". Insomma, un sound aberrante quello degli Inferno Requiem che di certo non raccolgono la palma di band più innovativa dell'anno, almeno per il sottoscritto. Serve ben altro infatti per sconfinferare il mio interesse. Per quanto mi riguarda, rimandati. (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2017)
Voto: 55

https://pestproductions.bandcamp.com/album/n-wa

lunedì 8 gennaio 2018

From Oceans To Autumn - Ether/Return To Earth

#PER CHI AMA: Post Metal Strumentale, Russian Circle, Isis, Explosions in the Sky
Il post metal è un genere che non può essere delimitato in maniera definita proprio perché le strutture e i suoni propri del metal sono presi e mescolati come colori su una tavolozza atti a creare un dipinto totalmente nuovo. I From Ocean to Autumn (FOTA) hanno preso alla lettera questa caratteristica e il risultato è un disco fortemente atmosferico, carico di emotività e variegato nella composizione. Si parla in realtà di un doppio cd, per un totale di dodici brani e un milione di scenari diversi. Rieccheggiano nelle tracce le influenze di band come Earth, Explosions in the Sky, Russian Circle e personalmente mi è parso di scorgere alcuni elementi del capolavoro 'Panopticon' degli ISIS. Siamo davanti ad un lavoro totalmente strumentale che però non risulta mancare di nessuna componente musicale, i brani sono sostenuti e decisi e a volte sembra addirittura di sentirla una voce, lontana e lamentosa come se arrivasse da dietro le nuvole. Il disco si chiama 'Ether/Return to Earth' ma più che un ritorno sembra proprio una partenza, il lancio di una navicella spaziale diretta verso il pianeta abitabile più vicino alla Terra. Dalla navicella si vede la galassia che è infinita e spettacolare, le stelle sono così da far perdere il senso di sé che dolcemente si prende una pausa e si siede ad ammirare la magnificenza del cosmo. L’orchestralità è forse il maggiore punto di forza del disco, ove si susseguono, negli oltre 100 minuti di musica, un turbinio di ambienti e incastri strumentali come a voler replicare tutte le combinazioni possibili del dialogo tra i vari strumenti. L’esperienza d’ascolto è qualcosa che estranea ed eleva, non c’è niente da capire ne da risolvere, le emozioni sono trasmesse in modo diretto ed immediato, tutto ciò che è richiesto all’ascoltatore è la pazienza di osservare l’evolversi della musica. È come assistere alla formazione di una stella all’interno di una nebulosa, con la materia che si addensa lentamente e gli atomi collidono su se stessi generando energia e calore. Una menzione particolare va a “Medium”, brano diviso in due parti: i primi tre minuti sono densi di suoni sospesi a mezz’aria senza ritmica che però entra incalzante nella seconda parte accompagnata dal crepitare di valvole e dall’ululato dei feedback in un climax sonico terapeutico e rilassante. La song riassume le migliori caratteristiche della musica degli FOTA apprezzabili anche per esteso negli epici brani "Quintessence/Core" e "Stratus/Vapor" che insieme superano la mezz’ora di ascolto. 'Ether/Return to Earth' nella sua grazia eterea rifulge di luce propria e può illuminare la mente vessata dal grigiore della realtà quotidiana in un lavoro completo, chiaro nella sua identità e incredibilmente ricco di atmosfere. Consigliato a tutti gli appassionati di musica sperimentale. (Matteo Baldi)

Культура Курения / Regnmoln - Split album

#PER CHI AMA: Post Punk/Black Depressive, An Autumn For Crippled Children
Dalla glaciale Siberia ecco arrivare il quartetto dei Культура Курения (da tradurre in Cultura Fumante), dalla Svezia invece, la one-man-band dei Regnmoln, per uno split album all'insegna del post black depressive, sotto l'egida della cinese Pest Productions. Due i brani a disposizione della band di Novosibirsk per dimostrare di che pasta sono fatti: "Конфискатор" si presenta come un freddo e malinconico esempio di black mid-tempo, spruzzato di reminiscenze shoegaze e di una mefistofelica aura post rock, che si riflette nella splendida voce in screaming del vocalist Andrey Stashkevich. Ne esce una traccia sghemba, che nel finale vive la sua progressione post black tra cristallini suoni disarmonici e harsh vocals. La seconda, "2015 Холодных Зим", mette in mostra ancora le capacità della band russa nel sapersi districare tra sonorità black e post-punk malinconiche che ammiccano alle prime uscite degli olandesi An Autumn For Crippled Children, tra sonorità intimiste, sfuriate black, break acustici e cambi di tempo magistrali. Ben fatto direi. Mi avvicino a questo punto alla proposta del musicista svedese e la prima cosa che si palesa nelle mie orecchie, è una registrazione a dir poco casalinga, un vero peccato in quanto rende decisamente più difficile godere appieno di un sound che, se proposto con tutti i sacri crismi, poteva regalare maggiori soddisfazioni. Mi abbandono comunque al furente depressive black dell'enigmatico mastermind scandinavo che si diletta in "Kött Och Blod" nel proporre un suono rozzo, ma comunque efficace e pregno di melodia, complici le chitarre in tremolo picking, tra sfuriate black e momenti di calma apparente che proseguono anche nella successiva "Infektioner", song angosciante e non solo per quel suo suono troppo ovattato, ma anche per un mood malinconico che ne contraddistingue i primi 90 secondi, prima che il frontman si lanci in un'arrembante cavalcata di cosmic black, che si pone esattamente a metà strada tra Dissection e Darkspace, proponendo taglienti chitarre in un contesto rarefatto. "Tomma Ord" è l'ultima traccia dall'intro acustico e dalla progressione black mid-tempo. Alla fine, lo split Культура Курения / Regnmoln non è altro che un modo interessante per farsi una cultura di due intriganti band dell'underground europeo. Ma, se solo il nostro amico svedese avesse registrato pensando ad una resa acustica migliore, il mio giudizio finale sarebbe stato nettamente diverso. (Francesco Scarci)

Lord Shades - The Uprising of Namwell

#FOR FANS OF: Symph Death/Black
Lord Shades is a French band founded in 2001. Initially, it was a one man project, managed by the current singer and bass player Alex that was the mastermind behind the band´s music, sometimes accompanied by occasional collaborators. Such situation lasted during the demo era, and as soon as the band started to release full albums, new members were added to the band´s line-up. This four-piece line-up has been rather stable during the release of their three albums. 
 
'The Uprising of Namwell' is their last one which closes the trilogy of works based on a fictional universe created by the band members. The storyline of those works covers three different worlds. Firë-Enmek, the land of mortals and a land of suffering, Namwell which is a land of bliss and harmony and Meldral-Nok, a cursed land where only chaos and fire prevail. In this last chapter the main character, Lord Shades, has turned to the dark side and though he has become an evil creature, he is still haunted by almost forgotten memories of his previous life. This is by far the darkest and most chaotic chapter of the trilogy and the concept behind the new album. Taking into account this background, it can guess that the music included in this release must be something dark and epic, but in this occasion variety plays a major role. This is not a standard extreme metal album with an interesting concept behind, mainly because Lord Shades tries to combine different styles, like black, death and symphonic metal, even with certain thrash metal influences to make this complex trilogy a reality. The mixture makes this album an interesting beast, that requires a certain amount of listenings before fully appreciating it. Each song has its peculiar touch, and this can be confusing if you don’t listen to it with an open mind. Anyway, 'The Uprising of Namwell' has a general darker tone than the usual conceptual album with an epic story behind. The last part of this trilogy shows a dark world hit by violence and cruelty, so don´t expect “happy” epic arrangements. A good example of this idea would be the track “Woe to the (Vae Solis)”, which has the aforementioned dark and even decadent atmosphere. This doesn´t mean that this album lacks of beautiful arrangements, because this track is a good example of how Lord Shades successfully introduces atmospheric touches (female vocals and symphonic arrangements), which are a clear contrast to the general tone of track. This gives an extra point of unexpectedness, which is always great. On the other hand, songs like “The Revenge of Namwell” and “Nightly Visions" have a clear stronger tone with a massive death metal influence and they are probably the heaviest tracks of this conceptual work. Regarding the arrangements, the release is very rich in details and the range is quite wide. Those arrangements are usually symphonic-esque, but at certain times they can have a clear folk/ritual tone as it happens with “The Awakening”, which sounds quite close to Middle-East traditional folk music. At the end, the best way to understand the richness and diversity included here, is to check out the long and epic closing track, “A New Dawn”. This song sums up all the Lord Shades efforts in creating an authentic sonic representation of Namwell´s dark universe. 
 
In conclusion, 'The Uprising of Namwell' is a truly ambitious album, both conceptually and musically. The album itself is quite demanding due to its length and complexity, but its worth of it if you like conceptual albums with a wide range of musical influences. Lord Shades has managed to create a worthwhile closure to their epic trilogy. (Alain González Artola)

Fabulae Dramatis - Solar Time’s Fables

#PER CHI AMA: Prog Avantgarde
Riffoni articolati, vocals curatissime, groove e tanta sperimentazione. Potremmo riassumere con queste poche parole 'Solar Time’s Fables', l’ultimo album in studio dei Fabulae Dramatis. Si comincia dall’opener (e singolo) “Agni’s Dinasty”, con la sua ritmica trascinante, la quale passa in rassegna tutte le qualità e peculiarità del sestetto belga, a partire dai bei fraseggi chitarristici. Elemento interessante il continuo interscambio fra i 4 (!) vocalist, dal growl al canto lirico delle voci femminili, che si articolano in innumerevoli intrecci. Arriviamo a percepire una notevole interpretazione vocale, soprattutto nella terza traccia “Heresy”, dove il contrasto vocale maschile-femminile (ad opera di Hamlet e Isabel Restrepo) è accentuato da vere e proprie parti recitate più che cantate. Brano particolare anche strutturalmente, presenta un insolito riff in levare che assume, nella parte centrale, quasi un carattere da ballad, a dispetto dell’introduzione. Da segnalare anche il brano “Sirius Wind”, con l’originale intervento del sax sostenuto da un groove drum-bass, a tratti orientaleggiante. Tante idee e sfumature curate emergono da tutti i pezzi del disco, dai cori e dalle percussioni etniche in “Coatlicue Serpent Skirt” all’elettronica di “Nok Terracottas” o i sitar della strumentale “Forest”. Tutto sempre condito dai pregevoli ricami vocali delle due componenti sudamericane della band, Isabel Restrepo e Isadora Cortina. “Roble Para El Corazon” è il coronamento di questa influenza latina delle due musiciste: trattasi di un vero e proprio tango, con tanto di fisarmonica e violino, rinforzato poi dalla corazza metal della band, che si destreggia bene su queste ritmiche decisamente insolite. Ciò che emerge da questa seconda fatica del “variegato” ensemble, sono sicuramente le numerose idee che riempiono le loro particolari composizioni. Metal e non solo, perché dalla solida base prog, si delineano quelle sfumature e quegli elementi peculiari che animano ogni brano, respirando anche climi “esotici”, rispetto alla fedele spiaggia metallica. Ai Fabulae Dramatis bisogna poi riconoscere il merito di notevole impegno e di grande professionalità, come si può evincere non appena prendiamo in mano il booklet: studiato, preciso e particolareggiato, proprio come il disco stesso. Ascolto consigliato a chi non disdegna un po’ di avant-garde per colazione. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

sabato 23 dicembre 2017

La Colpa - Mea Maxima Culpa

#PER CHI AMA: Black/Doom/Drone Sperimentale
Tre anni or sono, alcune anime travagliate cercarono rifugio in un angusto e tetro sottoscala per potersi riunire in segreto ed espiare i propri peccati. Gli incontri divennero assidui, a conferma che il processo di penitenza dava i suoi frutti e fu così che La Colpa prese vita. Ogni volta il cerchio si stringeva per una preghiera senza tempo e senza dio, guidata dal desiderio di trascendere il dolore che perseguita l'anima e il debole corpo che la ospita. L'orazione prendeva forma, prima un suono, poi un altro, poche parole che diventavano sempre più potenti fino a strappare il mal di vivere per riversarlo in un otre colmo di terra ("Soil"). In principio era il metallo che batteva come la pioggia su una squallida tettoia, mentre una voce inumana alitava il suo mantra accompagnato da profonde note a scandire il tempo. Esplosione, suoni distorti e graffianti, grevi di dolore che accelerano la loro corsa verso le profondità recondite del freddo terreno che li chiama a se per il lungo riposo. All'improvviso tutto tace, la supplica viene zittita perché l'espiazione non è completa e il rifiuto innesca una furia inaudita che va scemando e si spegne. Poi è la volta della rassegnazione, quella nera dove mille lacrime roteano ad una velocità incalcolabile mentre trafiggono l'inutile gabbia di carne ed ossa del corpo umano. Le cicatrici ("Scars") sono l'unico segno postumo dello scempio perpetrato, mentre il tempo rallenta e lascia spazio a pensieri, incubi ed urla. Meritiamo il nostro nefando destino, intrappolati e senza speranza, perchè siamo morti e null'altro importa. La strada è ancora lunga, ma si intravede la fine, finalmente la morte dell'anima che cancellerà il dolore, dove i muri di suoni si stringono sempre più per soffocare e stritolare. Rimangono solo frammenti ("Fragments") di una risata beffarda che non ci appartiene, riflessa in un falso specchio che preferisco rompere per estirpare ogni singolo dente e non poter ridere. (Michele Montanari)

(Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 75

https://lacolpa666.bandcamp.com/album/mea-maxima-culpa

Drudkh/Paysage d'Hiver - Somewhere Sadness Wanders/Schnee IV

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
Shadows lengthen earlier each day as changing leaves and gradually falling temperatures accompany the arrival of another Drudkh split to sate an autumnal appetite. This year the Kharkiv crew has chosen to collaborate with Paysage d'Hiver, a Swiss bedroom black metal band whose French name translates to 'Winter Landscape'. As Drudkh continues to discover new open spaces ensconced within the confines of dense forests, Paysage d'Hiver is swept up in the gusts of a dark and stormy night as Tobias Möckl, under the pseudonym Wintherr, fruitlessly searches for shelter in the relentless cavalcade of chaos.

Drudkh's contributions in “All Shades of Silence” and “The Night Walks Towards Her Throne” bring the stellar consistency expected from this Ukrainian black metal mainstay. Through Drudkh's twenty-one minutes in the spotlight stand tireless thicket sentries at the edge of the woods while waves of blaring melodies purify the lands within of the faint of heart. After wandering overgrown trails with intricate and labyrinthine harmonies, “All Shades of Silence” finds solace in a clandestine grotto watching night fall as the stars wink over the trickles of little waterfalls. These quiet introspective moments remind one of melancholic memories while the little escape becomes a prison of past regrets. As day returns the air becomes exasperated and ominous while the whirling harmonies quit their quiet getaway, refreshed and ready for another ambling adventure.

“The Night Walks Towards Her Throne” has the classic intensely hammering Drudkh tone reminiscent of those days when 'Forgotten Legends' and 'Autumn Aurora' rolled their lengthy repetitious rounds behind quick guitar slices and scattered shrill sound waves against garage walls. The professional production quality greatly enhances the impact of this song with prominent double bass kicking and enough distance between the distorted guitars to escape the black metal blend and soar across the gorgeous vista created by its second progression. A wail of guitars is joined by blast beating as it clambers into a whirl of drawn out vocals in a gorgeous turn of the eternal treble wheel. This reverberating harmony encapsulates the infusion of reverential folk tones into the sharp soundscape of black metal in a gorgeous cycle that longs to last an aeon. Drudkh is a band that never fails to impress and throughout these hypnotizing songs comes the foreboding knuckle-cracking chill that signals another adieu to warming sun and green grass.

Swelling in a breathy fashion bookended by quiet acoustic guitars and heaving winds, Paysage d'Hiver summons a blizzard of intensity where waves of distortion ebb and flow as the foreground is held up by sharp snaps of a snare center. Wailing lead guitar melodiously howls at the confining rhythm guitar and vocals give a gravely scream behind the higher leads in “Schnee IV”. Typifying the dreary, exhausting, and forlorn hope of an inescapable structure, Wintherr seeks inspiration from the likes of Darkthrone and Burzum to conjure this tempest. The guitars are winds of chaos with whispers of melody hidden in the maelstrom through seven minutes of a single structure before a riff change from the lead guitar attempts to scream its way out of the whirl of degradation. The crisp hail of mechanical drumming sets a stoic standard and inundates the air with flurries of momentary fills between hypnotic passages, compounding on each other and engulfing the landscape in this ferocious blizzard.

Drudkh's delicate autumnal passages beautifully flow into the harsh scarcity of Wintherr's savage storm creating a complimentary split that delightfully accompanies the atmosphere of this most precious time of year. With Drudkh's prolific discography and Paysage d'Hiver's experience, this professional presentation is keen to highlight the drastic changes endured throughout these unforgiving seasons. (Five_ Nails)

venerdì 22 dicembre 2017

Kera - Hysteresis

#PER CHI AMA: Death Progressive, Meshuggah, Opeth, Death
Album di debutto per i transalpini Kera questo 'Hysteresis', che conferma come la Francia sia diventato un territorio di artisti dotati di una creatività fuori dal comune. No, non sto già incensando questo lavoro, faccio pure e semplici constatazioni in base al numero di uscite discografiche di elevata qualità che ogni giorno escono dal paese dei nostri cugini. Ma non divaghiamo e torniamo ai Kera, quintetto di Parigi, che ha all'attivo un EP omonimo uscito nel 2015. Il genere dei nostri è un death progressive che dopo una breve overture, irrompe con "Harbinger of Doom", una traccia che si muove su ritmi sincopati, che potrebbero strizzare l'occhiolino ai Meshuggah, cosi come pure ai Death, ma che in realtà non lo fanno fino in fondo. Questo perchè dai solchi di questo lavoro, escono sonorità diverse che provano a mischiare la veemenza del death poliritmico forgiato dai gods svedesi con la tecnica sopraffina di altre divinità, i Dream Theater, in un sorprendente sound in grado di fondere rabbia, melodia, tecnicismi e ancora death, hardcore e progressive. La proposta corrotta da varie influenze, si traduce anche nell'utilizzo di vocals sia growl che pulite, qui decisamente meno convincenti. Quello che invece convince e non poco, è l'apparato solistico che delizia le orecchie con assoli deliziosi e fantasiosi, cosi come in aperture acustiche (spettacolari a tal proposito, gli ultimi tre minuti di "Silence") che suggeriscono gli ultimi Opeth quale punto di contatto con i nostri anche se in realtà sono gli anni settanta ad aver sospinto la voglia di stupire di questi musicisti. Con "Sanity Fails" si torna a far male con un approccio votato ancora a Chuck Schuldiner e compagni, con un altro pezzo dritto verso il bersaglio che trova modo di rompere il suo disarmonico incedere, solo attraverso un altro spettacolare assolo. Si arriva cosi alla semi-acustica (nella prima metà) "Epiphany of a Lunatic", in cui sembra aver a che fare con un'altra band, un altro genere, altri musicisti, un altro cantante, prima che si torni a pestare sull'acceleratore, dimenticandosi di quelle soffuse melodie che avevano deliziato in apertura di brano. Poi ci si può solo accomodare in poltrona e lasciarsi stupire dalle scale ritmiche su cui si arrampicano i nostri, in un climax ascendente ricco in emotività e sorprendenti divagazioni che sembrano uscire dalla chitarra del buon Carlos Santana, in una miscela di rock, blues e fusion, tenendo sempre ben presenti le radici estreme della band. Con "Sirens" si torna sui ritmi sincopati "death-meshugghiani" iniziali, in un altro vortice sonoro in cui a mettersi in luce oltre all'onnipresente apparato percussivo, anche un ottimo basso, in una sequenza impressionante di stop'n go e schitarrate elettriche da lasciare a bocca aperta. C'è ancora tempo e modo per lasciarsi impressionare da questo ensemble francese: mancano infatti a rapporto "Delusion", "Compos Mentis" e "Silence (Slight Return)". Se la prima non mi convince più che altro per la performance vocale urlata o meglio strozzata in gola di Ryan Salahou, o per dei cori non proprio azzeccatissimi, non si possono certo sollevare grosse obiezioni alla seconda in fatto di irruenza, melodia e comparto solistico, un po' meno per via della voce, che probabilmente rappresenta a questo punto, l'elemento debole dell'ensemble francese. Non tradiscono infatti gli assoli, sempre ficcanti e travolgenti. Il disco dopo quasi 50 minuti, giunge alla conclusione con un'ultima perla di rock semi-acustico che paga decisamente dazio a Mikael Åkerfeldt e soci con un'altra preziosa performance di death carico di groove. Ben fatto, non c'è che dire. (Francesco Scarci)