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mercoledì 23 febbraio 2011

Middian - Age Eternal


I Middian sono nati dalle ceneri degli Yob, per volere del membro fondatore Mike Scheidt, con l’intenzione di fondare una nuova band, molto simile agli Yob, ma più selvaggia e stabilizzata su tempi medi. Ne è uscito questo nuovo progetto e devo dire che è stata una bella sorpresa anche per il sottoscritto. Di musica incazzata qui ce n’è parecchia, così come pure di suoni schizoidi e psichedelici che fanno di “Age Eternal” un buon punto di partenza. Si inizia (e si finisce) con riffoni ultra doom (in alcuni casi sembra di sentire i primissimi Black Sabbath). Il disco si dimostra poi, assai solido e corposo, spaziando da momenti assai oscuri (vi basti ascoltare i 9 minuti dell’iniziale “Dreamless Eye” per capire cosa intendo) ad altri più stoner orientati, attraverso lunghe dilatazioni spazio-temporali, che possono riportare alla mente “Somewhere along the Highway” dei Cult of Luna. La seconda “The Blood of Icons” (5 i brani contenuti, per quasi 50 minuti di musica claustrofobica) parte in modo inquietante, sbiellandomi il cervello con le sue delicate e schizofreniche tastiere; poi una pachidermica chitarra, dà l’inizio ad un incedere lento, soffocante, al tempo stesso pulsante, di energia vibrante. La voce di Mike spazia da momenti clean ad altri grunt e ancora, in taluni frangenti più effettati, sembra essersi calato un acido. “Age Eternal” è un viaggio lisergico, che vi catapulterà in una dimensione parallela, orrorifica, terrificante; il battito costante sul finire della seconda traccia vi getterà nella paranoia più totale. Un senso d’alienazione dalla realtà pervaderà i vostri sensi, si prenderà la vostra anima e vi porterà alla disperazione. La title track (dove fa capolino anche una voce femminile) e l’ultimo ipnotico brano (15 minuti di angoscianti atmosfere), continuano su questa scia, partendo sempre in modo delicato per poi sfogare tutta la propria rabbia e frustrazione. La quarta “The Celebrant” è forse quella più death oriented e quindi quella che ha probabilmente meno da dire. Se siete amanti di questo genere di sonorità, non fatevi scappare questa nuova perla incastonata nel firmamento sludge-doom-depressive. (Francesco Scarci)

(Metal Blade)
Voto: 75

Requiem - Premier Killing League


Già bastonati qualche tempo fa dal sottoscritto, tornano alla carica gli svizzeri Requiem, con un nuovo assalto death grind sulla scia del brutal death americano. La differenza tra il precedente "Government Denies Knowledge" e questo nuovo “Premier Killing League” non è poi molta: prodotti egregiamente dal mitico Andy Classen (Legion, Tankard, Dew-Scented) agli Stage One Studios, i Requiem ci sparano in faccia le solite strabordanti songs di death martellante, fatto di ultra veloci blast beat, ritmiche furenti, growling profondi e screaming selvaggi, rallentamenti ben congeniati, per darci modo di rifiatare e poi percuoterci ulteriormente con la loro musica selvaggia. Già per il precedente album, avevo scritto che qui di originale non vi era assolutamente nulla; non posso far altro che confermare quanto scrissi allora. Solo per i fan più intransigenti, gli altri si tengano alla larga. (Francesco Scarci)

(Massacre Records)
Voto: 50

In Slumber - Scars Incomplete


Mentre qualche band ha già messo la freccia per svoltare (Naildown, Omnium Gatherum) e imboccare nuove strade, c’è ancora chi, non ha ancora abbondantemente goduto del successo di un genere, lo swedish death, che negli ultimi tempi, ha perso parecchie idee per strada. È il caso degli austriaci In Slumber che, in evidente ritardo sulla tabella di marcia, offrono questo discreto (se fosse stato scritto una decina di anni fa) “Scars Incomplete”. Non è un brutto album dopo tutto, ma le idee che frullano nella testa di questo quintetto sono già state ampliamente utilizzate e consumate nel tempo, da migliaia di bands. Intriganti riffs di chitarra accompagnate da una ritmica martellante, costruiscono la base portante di questo lavoro, con la voce di Wolfgang che fa il verso a quella del rastamanno Anders Friden degli In Flames. Mi spiace dover rimandare gli In Slumber, visto che sono da sempre un grande fan del genere e ancora oggi amo ascoltare questo tipo di sonorità, ma talvolta si sfiora veramente il plagio, addirittura nelle lyrics. Tuttavia, se amate lo swedish death nella sua forma più melodica, rimembrante In Flames, Dark Tranquillity e la vecchia guardia di Ceremonial Oath ed Eucharist, beh, mi sento di darvi una chance e invitarvi all’ascolto di “Scars Incomplete”, molto probabilmente potrebbero piacervi... (Francesco Scarci)

(Massacre Records)
Voto: 60

Pro Pain - Age of Tiranny - The Tenth Crusade


Pochi gruppi possono vantare una carriera quasi ventennale: tra questi ci sono i newyorkesi Pro-Pain, che con “Age of Tiranny”, offrono il decimo capitolo della loro lunga discografia. Questa release raccoglie brani di protesta nei confronti dell’ex presidente degli Stati Uniti, George Bush e della sua politica guerrafondaia e sulla sua presunta Crociata verso Bin Laden e compagni. La musica del quartetto statunitense segue poi gli stessi stilemi del passato: chitarre thrasheggianti, sporcate da sonorità hardcore, la solita attitudine aggressiva ed intransigente tipica dei gruppi della “Grande Mela” e i giochi sono fatti. 11 brani, tosti, incazzati, melodici e veloci, ci restituiscono una band matura e ancora vogliosa di mettersi in gioco, nonostante le ultime prove non fossero state del tutto brillanti. Il quartetto, guidato dalle vocals del membro fondatore Gary Meskil, sembra tornata ai fasti di un tempo: ritmiche serrate, incalzanti, ottimi brani (su tutti “Beyond the Pale” con Matt Bizilia degli Icarus Witch in veste di guest star), cori melodici, influenze che spaziano dal thrash al rock’n roll, piacevolissimi assoli e tanta, tanta voglia di spaccare. Ragazzi, non saremo tornati ai livelli degli esordi, ma qui c’è parecchia carne al fuoco e tanta voglia di divertirsi. Quindi fate come me, accendete il motore della vostra auto, andatevi a fare un giro e mettete a palla “Age of Tiranny”... (Francesco Scarci)

(Rawhead Inc.)
Voto: 75

Riul Doamnei - Apocryphal


Che la scena black italiana fosse in fermento lo sapevamo già da tempo, ma che esistesse un gruppo che potesse raccogliere la pesante eredità lasciata dai Cradle of Filth degli esordi, lo sapevano soltanto in pochi. Da Verona arrivano i Riul Doamnei (in rumeno significa il fiume della principessa), band formata da cinque giovani ragazzi, in giro ormai dal 1999, ma che arrivano al debutto sulla lunga distanza grazie all’etichetta francese Deadsun Records. Il sound è palesemente influenzato dalle due grandi band regine di questo genere: Cradle of Filth, di cui sono assai evidenti i richiami allo screaming di Dani Filth, da parte di Federico e ai Dimmu Borgir, per ciò che concerne le ritmiche, le orchestrazioni e gli arrangiamenti. Premesso questo, la band veneta gioca, nelle 11 tracce qui contenute (per un totale di 52 minuti), a miscelare i punti forti dell’una e dell’altra band, proponendo un sound, ancora scevro di una propria personalità ben definita, ma che comunque riesce a conquistare l’attenzione dell’ascoltatore, grazie a quei suoi continui richiami a “The Principle of Evil Made Flesh”, così come pure a “Death Cult Armageddon” dei Dimmu. Forti di una produzione cristallina e ben bilanciata, il quintetto veronese sciorina uno dietro l’altro, brani appetibili e assai godibili, in cui ben si alternano sfuriate black a passaggi atmosferici (ottima la performance del tastierista), cambi di tempo repentini a frangenti acustici; nella conclusiva ed epica “The Last Supper”, fa capolino anche una voce femminile. “Apocryphal” è un concept cd, sui vangeli apocrifi, quindi estremamente interessante risulta essere anche la lettura dei testi (elegante il booklet interno e l’artwork). Sebbene si tratti di un debutto, la band mostra già una più che discreta maturità, sia dal punto di vista tecnico-esecutivo (mostruoso il batterista) che dal punto di vista delle idee espresse. Certo c’è ancora da lavorare molto, ma se il buongiorno si vede dal mattino, sentiremo in futuro parlare ancora molto di loro... (Francesco Scarci)

(Deadsun Records) 
Voto: 75

giovedì 17 febbraio 2011

Catacombe - Kinetic


Il post rock/metal attualmente è la mia mania, sarà che il buon vecchio Franz mi ha contagiato, ma effettivamente è il genere del momento. Oramai una marea di gruppi nuovi (o vecchi) ripropongo queste sonorità stracariche di delay, riverberi al pari di malinconia e rabbia. Come fossero uno effetto dell' altro. E come sempre, molti copiano e solo pochi riescono a destare l' attenzione del pubblico per originalità o piglio artistico. Ho come l’impressione che i Catacombe siano inclusi nel primo gruppo poiché iniziano proponendo tutto il repertorio già sentito con Isis, Sigur Ros, Cult of Luna, Callisto e tanti ancora, ma oltre a non offrire una grande personalità, riprendono spesso la parte ripetitiva e piatta dei grandi. Il quintetto portoghese esordisce con questo EP di sette brani all-instrumental dalla buona qualità audio, meno nel packaging che probabilmente non è nella sua massima versione retail (in effetti quello tra le mie mani è il promo). Il cd gira nel lettore e introduce l'ascoltatore con qualche minuto di ambient, giusto per prepararci al dopo. Infatti "Supernova" entra di prepotenza sfruttando la mancanza di pausa tra la prima e la seconda traccia con delle chitarre massicce, basse come nello stoner ma cariche di riverbero e delay. Con questo i Catacombe adempiono subito al compitino dei bravi post rockettari. Forse un pezzo un po’ lento, ma se critichiamo questo punto, varrà poi per tutto l'EP. "Memoirs" è una traccia camaleontica che spazia dal post rock al funky/jazz riuscendo ad essere godibile e mai banale. Soprattutto perché le variazioni di ritmo e tema sono svariate all'interno dei quasi otto minuti di traccia. Scivoliamo sinuosi fino all’ultima song, "Sequoia" che inizia soffice con un loop di batteria molto trip pop che fonde bene le sonorità in stile Massive Attack, con dei fraseggi tra chitarre che riescono ad emozionarci più di mille vocalist. Poi il pezzo si sviluppa in diverse direzioni, portando l' ascoltatore a vivere vari stati d' animo in una manciata di minuti. Ben fatto, veramente. “Kinetic” si conclude così nei migliori dei modi. Non so se i Catacombe hanno immaginato un concept album ma mi piace pensare che lo sia. Questo è anche il bello dei pezzi strumentali. Un solo consiglio ai nostri portoghesi: continuate così perché siete sulla buona strada, ma cercate di differenziarvi con vostro mood dal movimento post-qualcosa. (Michele Montanari)

(Slow Burn Records)
Voto: 65

Ilid - The Shadow Over Arkham


Produzione italiana in arrivo? Rock dalla voce femminile suadente ? Il buon Franz ha pensato bene di passarmi questo EP e quindi non lo deludo. Gli ILID sono una band toscana (Firenze, Pisa e Viareggio se non vado errato) composta fondamentalmente dalla vocalist Natascia e dal chitarrista Ronny, gli altri elementi sono menzionati sul retro dell' EP ma dal sito web deduco che il resto della line up passa in secondo piano; probabilmente sono elementi intercambiabili a seconda delle occasioni. I nostri si distinguono per un Gothic Rock alla Evanescence, se vogliamo collocarli in un panorama delle grandi Major e la qualità della produzione è al di sopra della media, probabilmente un' ala protettiva accompagna la band nel loro percorso. Natascia risulta avere una voce personale che richiama molto Shirley Manson (Garbage), anche se siamo distanti miglia e miglia dal carisma della piccola scozzese. Il cd apre con "Sacred", breve loop di batteria elettronico e suoni delicatamente distorti, il giusto per fondersi con la dolce voce che interpreta bene il pezzo. La struttura della canzone risulta ben bilanciata, anche negli arrangiamenti, ma ne risulta un pezzo molto commerciale già pronto per gli scaffali dei grandi store. My favourite song. Il secondo brano "Envenomation" risulta di discreta fattura, ottima intro di piano e chitarre un pò nasali per i miei gusti ma tutto sommato pezzo godibile anche se non decolla mai e rimane sul malinconico per quattro minuti abbondanti. "The Grief" dimostra invece una ricerca ancora maggiore negli arrangiamenti e nei suoni, infatti le chitarre risultano più aggressive, con un riff che guida la canzone per tutta la durata. Finalmente oserei dire. My favourite song (part II). Anche "Encore" è un buon pezzo, più veloce deli precedenti e ancora una volta Natascia ci permette di gustare al meglio le sue doti. Per i resto lo sviluppo è molto standard, nel susseguirsi di intro, strofa e ritornello. Tendenzialmente direi che tutto il cd è bilanciato al punto giusto; come dicevo in apertura l' impressione è di un prodotto ben confezionato pronto per gli scaffali. Auguro quindi agli ILID un buon successo, anche se curerei meglio la parte artistica cercando di staccarmi dal Gothic commerciale che ormai troneggia. Ma forse è tutto calcolato... (Michele Montanari)

PS: Il retro dell' EP riporta cinque brani ma fisicamente se ne trovano quattro (nessuna traccia fantasma, ho controllato bene). Errore o altro?

(Self)
Voto: 65

lunedì 14 febbraio 2011

Ygodeh - Dawn of the Technological Singularity


Sono ancora senza fiato, dopo aver affrontato questa cavalcata che mi ha lasciato senza respiro; è stato un po’ come aver percorso la maratona di 42 km in poco meno di mezz’ora. Questo è l’effetto che mi ha lasciato l'ascolto dei 26 minuti scarsi di “Dawn of the Technological Singularity” dei lettoni Ygodeh, vera sorpresa giunta alle mie orecchie sul finire del 2010 e solo ora recensito su queste pagine. Il cd si apre con una sorprendente intro che ha immediatamente catalizzato la mia attenzione con i suoi suoni irruenti e sintetici, ricordandomi la follia dei finlandesi The Wicked (andateveli a cercare senza fare domande!). “Thus is the Will of the Swarm” è il primo vero pezzo del cd, un attacco frontale di sinistra cattiveria, con una base ritmica esplosiva e travolgente, che trasuda talmente tanta adrenalina da farmi saltare all’impazzata. Chitarre cigolanti sorrette da un mostruoso lavoro alla batteria, che mette in mostra l’enorme perizia tecnica di questi quattro pazzi deathsters provenienti dalla repubblica Baltica; e a metà brano un intermezzo cyber death da incubo (nel senso positivo del termine) e avanti per essere ricatapultati nella bolgia infernale del proprio sound, prima del sofferente finale. Non ci crederete, ma dopo 5 minuti di musica mi ritrovo già stremato, come se un carro armato fosse passato sul mio corpo stritolandomi sotto i suoi cingoli mortali. “Lord of Rays”, dedicata allo scienziato Nicola Tesla, è un altro capolavoro di techno death, dalla forte vena melodica, contaminato da influenze cibernetico-industriali nonché da atmosfere orchestrali, che trova il suo grande pregio nel non avere alcun punto di riferimento ben preciso nel panorama metal e nel non darci alcun punto di riferimento, sconvolgendoci con dei suoni di una incantevole brutalità: mi piacerebbe dirvi che gli Ygodeh suonano come se i Death avessero deciso di ispirarsi al sound dei Dimmu Borgir, piazzandovi al suo interno delle reminiscenze stile The Kovenant, ma la mia descrizione vi sembrerebbe alquanto delirante e lo capisco, però questo è ciò che sentono le mie orecchie anche con la quarta “The Red Plague”, che inizia in modo alquanto particolare con un coro quasi operistico e un sound assai criptico e oscuro, con il growling di Feka mai sopra le righe e anzi parte integrante nella matrice musicale dei nostri, che ancora una volta danno grande prova della propria instabilità mentale; quanto adoro questo genere di gruppi che amano stravolgere i sacri crismi, fottersene di tutti i dettami classici e distruggere ogni regola del gioco. Signore e signori benvenuti nel psicotico mondo degli Ygodeh! Che dire poi di “Before the Skies are Painted Black”, altra gemma incastonata in questo lavoro di tecnologica singolarità, giusto per parafrasare un po’ il titolo del cd. In questa song emerge un’altra forma di sperimentazione della band dell’ex repubblica sovietica, che va a miscelare il death con forme post hardcore, infarcite di elettronica (mi viene da citare gli americani Honour Crest). Ancora elettronica ad aprire “Matrix Cracked”, song il cui ritmo è dettato dai sintetizzatori e dal drumming impetuoso di VadoLL: sono tramortito, è inutile nasconderlo, dalla totale irrazionalità e imprevedibilità della proposta di questi sconosciuti (e spero ancora per poco) Ygodeh. Basta, fidatevi delle mie parole, qui c’è musica di alta classe, che merita anzi, ha il diritto di non passare inosservata; case discografiche non abbiate il timore di investire su questi quattro giovani scalmanati perché vi garantisco che ci sarà da divertirsi davvero ascoltando le acrobazie sonore che il combo di Daugavpils ha da offrire. Era da tanto che non sentivo musica di tale caratura, quindi non siate sciocchi e andatevi a cercare, senza il benché minimo dubbio, questo cd! Sono passati i 26 minuti e io mi ritrovo stremato steso sul pavimento. Immensi! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 90