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martedì 5 gennaio 2021

Mazikeen - The Solace Of Death

#PER CHI AMA: Black, Emperor
Il nome Mazikeen ho imparato a conoscerlo dalla visione della serie TV 'Lucifer', dove impersonava uno dei demoni a servizio di Lucifero, sebbene l'origine del suo nome sia da ritrovarsi nella DC Comics che la incornicia come una delle figlie di Lilith, la presunta prima donna di Adamo. A parte queste premesse, i Mazikeen sono anche la band di oggi, un quintetto originario di Melbourne che lo scorso anno, ha rilasciato il qui presente debut, intitolato 'The Solace of Death'. L'album include otto tracce di black/death più la bellezza di quattro cover. Ma andiamo con ordine raccontandovi un po' di che pasta sono fatti i nostri, che partono discretamente bene con la title track e una tempesta di sette minuti di black dalle tinte sinfoniche. Nulla di originale sia ben chiaro, però i musicisti sembrano preparati, le melodie piacevoli, anche un pochino ruffiane ma va bene, con tutti gli elementi del classico black anni '90 a disposizione dei nostri. Un tuffo nel passato quindi, sottolineato anche dalla successiva "Apostate" che con i suoi 10 minuti, e insieme agli altri 10 di "Vexation Through the Golden Sun", rappresentano i due brani più lunghi del disco (in un lavoro che comunque sfiora gli 80 minuti!). Anche in queste circostanze, la band si presenta con parti death atmosferiche che si alternano a sfuriate di scuola norvegese (Emperor/Carpathian Forest), con uno strano utilizzo delle vocals (tra screaming e qualcosa di corale). Certo gli originali sono tutt'altra cosa, però i nostri si difendono in un qualche modo, anche se avrei evitato di proporre quasi 21 minuti di musica in soli due pezzi, il rischio di incappare in una certa ridondanza si fa infatti più elevato. Ma i Mazikeen si mettono in gioco, rischiano e non ne escono nemmeno con le ossa rotte sebbene dopo un po' il desiderio di skippare lo avverta anche. I nostri musicisti australiani macinano riff a profusione con velocità sostenute, sempre contraddistinte però da una buona dose di melodia e addirittura da qualche assolo di scuola heavy classica (mi vengono in mente gli Iron Maiden nella seconda song) o addirittura da qualche break acustico che conferma le discrete qualità dei nostri. Per me il disco si poteva fermare alla soglia del quarto brano visto che qualche dolore in più inizia a palesarsi. Inutile infatti la tempesta sonora di "Fractricide" cosi come la più compassata, almeno all'inizio, "Psychotic Reign", un pezzo che francamente alla fine non è nè carne nè pesce, visto l'enorme baccano profuso fino a quando un ottimo assolo dilaga nel caos creato dai nostri; peraltro queste due tracce vedono il guest alla voce di Josh Young degli Astral Winter. Toni spettrali con l'interlocutoria "Harrowing Cessation" e ancora tocchi di piano con "Mors Vincit Omnia", per due brani la cui collocazione è quanto meno discutibile. "Cerulean Last Night" (qui il guest è del vocalist dei The Maledict) chiude il lotto di pezzi dei Mazikeen in modo a dir poco selvaggio. È il turno delle cover: si parte con "Freezing Moon" dei Mahyem e "Night's Blood" dei Dissection. Qui alla voce Nathan Collins dei Somnium Nox che presta i propri latrati a due grandi pezzi del passato, riletti quasi praticamente in un ugual modo rispetto agli originali dai Mazikeen. Poi uno dei miei brani preferiti di sempre, "The Mourning Palace" dei Dimmu Borgir, riproposti qui con una stravagante linea di tastiere che mi lascia un attimo perplesso. A chiudere quest'estenuante disco 'Transilvanian Hunger" dei Darkthrone, riproposta peraltro con la stessa pessima produzione dell'originale per mantenere intatto quel mood primigenio della band di Fenriz e Nocturno Culto. 'The Solace Of Death' è alla fine un disco che non fa dell'originalità il proprio credo, evidenzia ombre e luci (pochine a dire il vero) dei Mazikeen che per fare il salto di qualità, dovranno necessariamente mettere più personalità nel prossimo album. Per ora siamo oltre la sufficienza ma mi aspetto molto di più in futuro. (Francesco Scarci)

(Satanath Records/Iron, Blood and Death Corporation - 2020)
Voto: 65

https://satanath.bandcamp.com/album/sat282-mazikeen-the-solace-of-death-2020

domenica 3 gennaio 2021

Hourswill - Afterhours

#PER CHI AMA: Heavy/Prog, Nevermore
'Afterhours' è il nuovo EP dei portoghesi Hourswill che avevamo incontrato grossomodo un anno fa in occasione del loro terzo album 'Dawn of the Same Flesh'. Ritornano con un dischetto di sei pezzi ove accanto a vecchi brani dal vivo, estratti dal già menzionato lavoro e da 'Harm Full Embrace', il quintetto lusitano ci presenta anche un nuovo pezzo, l'opener "Inevitable Collapse II" e una rilettura di "Now That I Feel (L.S. Version)". La prima attacca con quel suo fare tra Nevermore e Anacrusis, sempre contraddistinta da una solida base ritmica e da una ricerca (non troppo efficace) di emulare a livello vocale, il compianto Warrel Dane. Poi a livello solistico-melodico conoscevamo già le potenzialità della band e non posso fare altro che confermarne le qualità. È il turno di "Now That I Feel" già contenuta in 'Dawn of the Same Flesh' e che non mi aveva certo entusiasmato lo scorso anno, torna con una versione che francamente mi spinge nuovamente a passare oltre, visto che fondamentalmente la differenza rispetto alla vecchia traccia è l'assenza di Neide Rodrigues alla voce a bilanciare quella di Leonel Silva. Non si discutono le doti tecniche dell'ensemble di Lisbona, ma si poteva fare anche a meno. Cosi come non si discutono le capacità della band dal vivo, abili a sciorinare uno dopo l'altro i quattro pezzi inclusi, a coinvolgere il pubblico con il loro heavy prog thrash, ma che a me personalmente non ha lasciato davvero nulla. Se siete fan della compagine portoghese, 'Afterhours' potrebbe, ma non è un obbligo, far parte della vostra collezione, altrimenti si può vivere tranquillamente senza. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Hourswill

Hyrgal - Fin de Règne

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega
Prosegue la massiccia campagna invernale della Les Acteurs de l'Ombre Productions, questa volta con l'uscita del secondo album dei connazionali Hyrgal, misterioso trio di Bordeaux che abbraccia tra le sue fila membri di Svart Crown, Deveikuth e Artefact. Questo secondo 'Fin de Règne' è un altro abrasivo esempio di black funambolico che sembra crescere nelle lande francesi oramai come funghi infestanti. Sette efferate tracce che seguono a distanza di tre anni quel 'Serpentine' che segnò l'esordio per i nostri. Si parte però con una proposta che è piuttosto affine a quel disco di debutto, ossia un black tiratissimo con aperture melodiche ma anche rallentamenti improvvisi. Questo quanto ci raccontano infatti le prime due song di 'Fin de Règne', "Colère Noire" e "Malthusien", che in quasi dieci minuti ci mostrano pregi e difetti del qui presente album. E i difetti sono ascrivibili ad una linea brutale forse troppo intransigente con sfuriate che non dicono nulla di cosi originale. Molto meglio i pregi, più rari però, con break atmosferici ricercati, soprattutto nella seconda delle due tracce menzionate. "Ennemi(e)s" potrebbe evocare spettri di un black svedese, complice una bieca violenza quasi fine a se stessa che non mi fa certo gridare al miracolo. Ci aspettano infatti chitarre taglienti, urla al vetriolo e poco altro fino al tanto agognato momento di ristoro, in cui nuovamente la band sembra acquisire un altr'altra postura, più raffinata ed evocativa, con linee di chitarra fortunatamente più ricercate che mantengono intato il mio focus d'attenzione, altrimenti francamente, avrei bollato questo disco come flop colossale. Siamo sulla strada giusta, tuttavia ancora lontani da altre eccellenze dell'etichetta transalpina. Con "Sépulcre" forse le cose iniziano a migliorare più vistosamente con suoni al limite del funeral, recitati puliti in francese e sonorità da fine del mondo, ma è solo un passaggio interlocutorio visto che con il riffing heavy punk dai tratti dissonanti della successiva "Glyphe de Sang", sembra si abbia a che fare con un versione black dei Ved Buense Ende, in un brano che comunque mantiene intatto l'appuntamento con il solito break ragionato che ci permette di tirare il fiato in mezzo alla bufera. Bufera, che prosegue sulle note infernali di "Héritier Mort-né" un brano che strizza l'occhiolino ai Deathspell Omega cosi come il glaciale finale affidato alla ferocia di "Triste Sire", in cui si mettono in evidenza delle soluzioni chitarristiche più alternative e per questo più apprezzabili. Quello degli Hyrgal è un lavoro discreto che sicuramente necessita di molteplici ascolti, ma che non raggiunge vette di qualità come più volte mostrato dagli amici della LADLO Prods. C'è da lavorare un altro pochino sicuramente. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 66

https://ladlo.bandcamp.com/album/fin-de-r-gne

sabato 2 gennaio 2021

Le Grand Sbam - Furvent

#PER CHI AMA: Avantgarde/Progressive/Jazz
Il nuovo album dei Le Grand Sbam è uno di quei prodotti che fanno meravigliare gli appassionati e i ricercatori di musica d'avanguardia con la A maiuscola. Un lavoro indefinibile, imprevedibile, variegato e variopinto di mille colori e umori, costellato di pura e ricercata follia compositiva. L'ottetto francese scolpisce liberamente, attorno agli scritti, l'orda del controvento e dal simbolismo dello Yi King (I Ching), del neurologo/saggista portoghese Antonio Damasio, un lungo e articolato concept musicale dalle contorte intuizioni musicali, ai confini della realtà. Basta dare uno sguardo ai video live proposti dalla band sul canale youtube per capire di che pasta è fatto l'ensemble transalpino, che unisce la teatralità intellettuale dei The Residents alla follia iconoclasta Zappiana, passando per il jazz, il prog e persino spunti di rumorismo e punk, tutto rigorosamente d'avanguardia. Il primo brano, "La Trace", è una suite di oltre 18 minuti che stende l'ascoltatore per la semplicità con cui il collettivo di Lione, riesce a cambiare volto alle musiche, chiaroscuri e altalene armoniche, tenute insieme da una continua ricerca vocale polifonica sbalorditiva, schizofrenica ed ipnotica, sana pazzia, che s'intrecciano e sovrastano per creare qualcosa che esaspera le teorie musicali dei Magma di 'Mekanïk Destruktïw Kommandöh' (1973), mentre la seguente "Nephèsh", si muove a suo agio sulle tracce delle intricate e geniali, fantasie vocali di Joan La Barbara e Meredith Monk. Proseguendo con l'ascolto, ci aspetta una sfilata di brani decisamente più corti, dal taglio jazzistico, inteso alla maniera dei Naked City (stile 'Grand Guignol') ma più dolce ed armonioso, con i giochi vocali messi in particolare evidenza. Ci si muove tra sussulti punk alla Nina Hagen ed esperimenti alla Shub Niggurath, ma il suono si espande per lirismo e profondità, tra Eskaton, e riferimenti alti, di scuola Edgar Varese ed il must Zappiano, 'The Yellow Shark', senza dimenticare che musicalmente il suono di questo collettivo rimane sempre teso, intricato, schizoide e raffinato al tempo stesso, quasi fosse un album dei Psyopus, suonato con marimba, xilofono, percussioni, batteria elettroacustica, mellotron, basso, moog, rhodes, cimbalom e quant'altro serva per creare un'isola felice, oserei dire felicissima, di suoni cari al rock in opposition. La musica contenuta in 'Furvent' è incredibilmente teatrale, avvolgente e liberatoria, rivolta ovviamente ad un pubblico preparato e amante dell'avanguardia radicale di ogni epoca, che si aspetta sempre qualcosa di sbalorditivo, per qualità ed esplosività della proposta musicale. "La Trace" alla fine è il mio brano preferito dell'esteso lotto sonoro, ma anche "Yi Yin I Ken (La Montagne)", con il suo potentissimo, inaspettato finale ritmico, è da pelle d'oca, come del resto tutto l'album, che poteva giungere al grande pubblico solo tramite i canali della specialissima e unica label Dur et Doux, autentico caleidoscopio di musica jazz d'avanguardia. Un disco senza tempo, un contesto sonoro indecifrabile, un album splendido per una delle migliori uscite del 2020. Un collettivo di musicisti fantastici per un disco adorabile! (Bob Stoner)

Sodom - Genesis XIX

#FOR FANS OF: Thrash Metal
This is what I remember about Sodom way back in the early days when 'Agent Orange' was released...they were on top of their game. Seems like on this one their energy and riffs are back on top of DOMINATION. Totally kick ass and unrelenting. I don't know why any scores on here are negative about this one because the whole way through is KING. I think that Frank's leads could've been better like the old days, but the rhythms were more than adequate. The music is definitely intricate. These guys are veterans and still putting out high-quality thrash metal. I don't regret buying a physical copy of this LP.

The album features 12 songs and over 50 minutes of great German based thrash metal. This is probably once of the best recorded Sodom releases in years. They've managed to maintain a good career in thrash metal over the years even in Frank's absence. But now that he's recorded this album with the band, it just goes to show how awesome 'Agent Orange' was back in the day. It seems like their rebirth into great thrash metal once again having some of the old line-up in place. The music and vocals are the highlights of the album. Though I thought that Tom's vocals could've been better. They seemed to lack intensity.

The production quality was top notch. The sound of the album was wholly audible with every instrument heard quite well. The thrash metal intensity of the instruments were all there. Tom could've given it more grit, but still I liked what I heard. That's the only reason why I took off some points. But the songwriting was impeccable. Hope this goes on for more albums to come. I'm sure that they had some great ideas that they put on here during this pandemic. A great time to keep the intensity high and creativity up there as well too. As I say, I don't regret making a purchase and buying the CD.

Sodom has been making great thrash metal since the 80's. It's good that they have some of the original members of the band still around kicking ass. Though it sounds like Tom slowed way down. The music is intense as all hell, just his voice is deteriorating. It'd be nice to hear the future of the band. I hope that they keep this lineup for more albums to come. The music is high mighty strong and intense. It was great to know the return of Frank in the band. I think once again that's what made the album as awesome as it is. Him with the band seems to have utmost style and frivolity. Give this a listen to! (Death8699)


(SPV/Steamhammer - 2020)
Score: 82

http://www.sodomized.info/?l=en

venerdì 1 gennaio 2021

Plague Years - Circle of Darkness

#FOR FANS OF: Thrash/Death
The band is way young and already kicking ass! Fresh riffs and solid sound these guys put together some killer thrash metal. The whole album is super-charged. I was really impressed with their musicianship. They really are in their own with their sound. The vocals are petty hoarse and sound well intertwined with the guitars. Plus, the sound quality is top notch. The guitars are pinnacle to the album. I like them the most out of the whole album. They really know how to pack a punch to this one. The tempos vary but are necessary to a versatile release. This band formed pretty recently to have something like this dominating.

The sound quality here is top notch and the guitars are pretty original sounding and well thought out. The vocals make this release sound heavier. But still the guitars are quite thrash-filled. The leads are pretty good as well. Usually, newer bands can't hack it the first time around on lead but Plague Years disproves my theory. And the songwriting is top notch as well. One of the best releases of this year in the thrash metal category! I was blown away when I heard this. They're anything but amateurs. The only thing that I didn't like as much were to voice efforts. They sound a little like Warbringer but not completely. That's my only beef.

The production sound and recording was immaculate. I liked this from start to finish. It was filled with energy! And the riffs were pretty original to say the least. I really liked this album a lot. They have so much to offer. I hope that they stick around for a long time. The music like I said was the highlight to this release. It just blew me away hands down. The musicianship was top notch. This band is way likable to any metal fan, they would have to hear this to maybe in agreement with. They only reason like I said the drawback were the vocals. They were too hoarse for my taste. But otherwise, at least they fit with the sound.

I heard this first on digital and then I was so impressed with it that I bought it on Amazon. I'm an old timer that still collects CD's. But that doesn't make me like metal any less. So yeah, check out some videos on YouTube. They have some official videos on there that's when I first heard them. I made sure first to have the digital copy to hear the whole album and I liked it enough to buy it. The whole thing is good from start to finish. Brutal vocals, wicked rhythms, solid drum beats and terrific recording quality. I will continue to like this even when I wear the album out! Get to hearing this! (Death8699)


mercoledì 30 dicembre 2020

Grufus - Sabor Latino

#PER CHI AMA: Instrumental Alternative/Stoner, Tool
Niente tacos o fajitas ad attenderci in 'Sabor Latino', anche se il titolo poteva farci ben sperare. In realtà dalle prime battute veniamo investiti in pieno dalle schitarrate di “Trapanus”, che potrebbe tranquillamente sembrare un sequel di 'Fear Inoculum' dei Tool. Suono bello tagliente, groove serrati, tribali, coinvolgenti. Le sei-corde stendono riff titanici, fino ai limiti del noise. Gli episodi di pura violenza si evolvono in strutture mai banali, l’elemento sorpresa si scopre gioco-forza in questo disco. Dallo stoner vediamo addirittura approdare a ritmiche centro-americane in “Mezcal”. Connubio indubbiamente originale. Le idee sono tante, la full-immersion al Vacuum Studio di Bologna, è servita ai Grufus per metabolizzare al meglio i diversi background di provenienza. Si attinge un po’ ovunque: grunge, alternative fino ai ricorrenti respiri psych, come attimi di pausa fra una galoppata e l’altra, e che ritroviamo anche in chiusura dell’album. Sorprende notare come la mancanza di schemi non vada per niente ad inficiare l’ottima coesione che ritroviamo in questi 40 minuti strumentali. Nonostante gli spunti siano innumerevoli, il disco si ascolta tutto d’un fiato. Le abbondanti soluzioni ritmiche, ben congegnate e in costante evoluzione, insieme a qualche mirabolante acrobazia, non fanno per nulla rimpiangere la mancanza di una linea vocale. Al contrario, si ha la possibilità di cogliere maggiori dettagli, che altrimenti sfuggirebbero in secondo piano, mascherati per esempio dalle martellate di “Oipolloi”. Una menzione d’onore va fatta sicuramente per “Le Vacanze di Pippo”. Titolo strappalacrime, ma le sue progressioni strepitose, i pregevoli arrangiamenti e una linea di basso magistrale, vanno a confezionare un pezzone tritasassi. Non troveremo certamente novità particolari nelle sonorità di questa prima fatica in studio, pubblicata per la Grandine Records. Ma il gran senso delle dinamiche della formazione emiliana, unito alla disinvoltura con la quale propongono un caleidoscopio di cambi di tempo, lo rendono indubbiamente un esordio con gli attributi. 'Sabor Latino' diverte, non stanca e invita a riascoltare i Grufus più e più volte. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

martedì 29 dicembre 2020

Queen Elephantine - Tribute to Atrophos Vol II

#PER CHI AMA: Experimental/Kraut/Psych
Li avevamo incontrati qualche mese fa in occasione dell'EP Vol I di questa serie digitale intitolata 'Tribute to Atrophos'. Ritroviamo ora i Queen Elephantine con il secondo dei tre volumi di improvvisazione musicale. Questo nuovo capitolo include tre lunghi pezzi che ci condurranno nei meandri più bui delle menti di questo collettivo che dall'India ha messo poi radici a Philadelphia. Qui i nostri, in periodo di clausura da Covid, si sono divertiti a ridefinire gli spartiti del proprio sound imbastendo estemporaneamente fraseggi free-jazz guidati da un basso ipnotico e sovversivo ("Synthetic Mist"). Diciamo che qui di regole scritte non ce ne sono, la band fa un po' come diavolo gli pare senza seguire dettami specifici di un genere piuttosto che di un altro. Come avevo già sottolineato in precedenza del primo EP, la band sembra giocare a strimpellare con i propri strumenti come se fosse alla ricerca del riff perfetto da buttare nero su bianco per il prossimo album. E allora ecco il giochicchiare con le chitarre, un drumming quasi impercettibile che potrebbe far pensare alle deviazioni più psichedeliche e malate dei The Doors. La seconda "Burning Spectre" è anche più cerebrale, fortuna nostra che il brano va poco oltre i sette minuti, mai una passeggiata da affrontare con questi pazzi furiosi. C'è da divertirsi nel capire che cosa possa venir fuori da queste sperimentazioni, quindi l'ideale è non aver alcun tipo di pregiudizio e lasciarsi guidare da quello che potrebbe poi evolvere in blues rock, prima del finale affidato ai 13 lunghi minuti di "Ash". Una combinazione di kraut rock, noise, psych e urla sciamaniche contraddistinguono un pezzo che si conferma noiosetto almeno fino al minuto 5, prima che i nostri si mettano a danzare attorno al fuoco con una danza etnica che troverà il suo finale approdo in tremebondi suoni dronici. Solo per pochissimi fan. (Francesco Scarci)

(Atypeek Music - 2020)
Voto: 68  
 

Nàresh Ran - Re dei Re Minore

#PER CHI AMA: Drone/Experimental/Noise
Il numero uno dell'etichetta discografica Dio Drone, solida label italiana dal respiro internazionale, impossibile da identificare nei generis e contraddistinta da uscite di grande qualità in ambito sperimentale, licenzia la sua nuova fatica sotto il nome di Nàresh Ran ed esce allo scoperto con un disco crepuscolare dall'emblematico titolo 'Re dei Re Minore', un'opera avvolgente, che imprime una forte dose di mistero e una trasversale, perversione oscura, assai intrigante. Mi sembra doveroso ricordare, che Nàresh Ran predilige i suoni, i rumori, gli ambienti sonori on the road, captati, raccolti, registrati per strada, con metodi di registrazione filtrati da mezzi poco consoni o quasi mai convenzionali. Il disco pullula di ronzii, fruscii e rumori d'ambiente, rubati ovunque, per ottenere nell'insieme, tappeti sonori che nessun synth potrebbe ricreare elettronicamente. L'apertura è affidata alla lunga traccia intitolata "Kutna Hora", un brano molto lungo che mostra un legame con il precedente lavoro dell'artista fiorentino, 'Martyris Bukkake'. Una song che galleggia a mezz'aria, tra mistico devozionale e l'ambient drone più radicale, mostrando tra le sue trame, un volto angelico subito contrastato da un monolitico e perpetuo cupo senso di desolazione, un vortice di ipnotica e disturbata malinconia, che nel finale si amplia di rumori e interferenze progressive che caricano ulteriormente il senso di vuoto del brano. Il secondo brano,"Veglia", ha un'attitudine più quieta e all'apparenza più distesa, cosi composto dal senso circolare di un loop spettrale su di un tappeto di tanti rumori e synth per un effetto cosmico, interstellare in stile Martin Nonstatic e in genere Ultimae Records, ma con un suono più caldo, profondo, meno sintetico e con più umanità dietro le quinte. Il terzo brano è "A_R", un groviglio molto intimo di suoni d'ambiente e rumori, interferenze lievi che donano, seppur celata e nascosta tra le righe, una cadenza, un ritmo che fin qui non era mai apparso, e poi cicale, insetti, bassi gravi, si mobilitano per inspessire una trama già complessa, ricercata, con un finale astrale dove compare, brevemente, per la prima volta, anche una voce umana distorta. Forse la traccia migliore dell'album dal punto di vista compositivo. Devo ammettere però, che con la conclusiva ed inaspettata traccia, "Re_Minore", l'impennata artistica si fa più coraggiosa e oltraggiosa. Con l'aggiunta di un vero e proprio recitato/cantato in lingua madre, alla maniera dei Massimo Volume, a cavalcare un loop di piano drammatico, sottomesso alla lettura poetica di un testo doloroso, ci si inoltra in un concetto molto vicino alla Sindrome di Stoccolma, per cui la tortura dell'aguzzino diviene il piacere che porta all'unica via di fuga per la vittima. Una performance intrigante, aggressiva e sconvolgente che conclude il disco con un pugno allo stomaco di chi ascolta. Una traccia dai toni malati e dai tratti realistici, dove il male descritto tocca l'ascoltatore in prima persona. Una canzone estremamente intrigante e molto, molto pericoloso, nella sua drammaticità corrosiva, un buco nero per la psiche dell'ascoltatore. 'Re dei Re Minore' alla fine è un album che indica chiaramente un'evoluzione nell'espressività dell'artista, un balzo in avanti verso una capacità compositiva libera e personale, una ricerca complessa fatta di tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico di grande valore. Un film sonoro imperdibile, sofisticato, intricato, nero e con un finale devastante. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records - 2020)
Voto: 80

https://nareshran.bandcamp.com/album/re-dei-re-minore

lunedì 28 dicembre 2020

Tiran - No Gods, No Masters

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Sabbat
Con un titolo che riprende uno slogan dell'anarchia inglese di tardo 19° secolo, ossia 'No Gods, No Masters', i russi Tiran si presentano con un EP di quattro tracce dedito ad un sanguinolento thrash death. Si parte subito alla grande con la title track e quel riffing thrashettone accompagnato dal growling potente di Alexander teso quasi a spaventarci, poi occhio al numero da circo. Bridge acustico, riff di scuola Death, assolo ultratecnico e finale scuola Nuclear Assault. Paura, il tutto in meno di 3 minuti e mezzo. Che i nostri non siano degli sprovveduti, lo si capisce anche dalla scelta della successiva song, "Witchflight", cover dei blacksters giapponesi Sabbat, a testimoniare intanto dove affondino le radici dei nostri. La song è riproposta in pieno stile heavy thrash black come l'originale del 2011 contenuta in 'Sabbatrinity', quindi tirata, dritta e brutale. Si prosegue con un paio di pezzi live, peccato però che la resa sonora sia molto amatoriale e non si riesca ad apprezzarne granchè i contenuti. Death black dinamitardo e furibondo privo di ogni tecnicismo od orpello sonoro per le due scheggie impazzite, "Apocalyptic Tales" e "Metal Messiah", entrambe registrate a Rostov sul Don al Badland Club. Che altro dire per un EP di soli 12 minuti se non consigliarlo ai fan più sfegatati della band. Gli altri vadano a pescare lavori più lunghi e strutturati per saperne qualcosa di più dei russi Tiran. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2019)
Voto: 64

https://tiran.bandcamp.com/album/no-gods-no-masters

The Pit Tips

Francesco Scarci

Ingrina - Siste Lys
Asthenia - Aisa
Lament - Visions and a Giant of Nebula

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MetalJ

Death - Scream Bloody Gore
Testament - Low
Dream Theater - A Change of Seasons

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Death8699

Cannibal Corpse - Red Before Black
Carcass - Symphonies of Sickness
Destruction - Thrash Anthems II

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Alain González Artola

Fogweaver - Vedurnan
Déhà - Contrasts II
Autumn Nostalgie - Esse Est Percipi

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Shadowsofthesun

Cloudkicker - Solitude
Dark Tranquillity - Moment
Barrens - Penumbra

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Emanuele "Norum" Marchesoni

Cult of Luna - Mariner
Ayreon - The Human Equation
Eldamar - The Force of the Ancient Land

In Tenebriz - Bitter Wine of Summer

#PER CHI AMA: Black/Doom
Le one-man-band piovono come le stelle dalle parti di Mosca. Gli ultimi in ordine di tempo arrivati sul mio tavolo sono gli In Tenebriz, progetto guidato da tal Wolfir in giro dal 2005, con ben 12 album (più altrettanti EP e split) rilasciati con questo moniker, più un'altra serie come Chertopolokh, Tomatoes Fuck Potatoes o Wolfir stesso. La proposta del musicisita moscovita è un black doom che dà ampio risalto a melodie malinconiche con intermezzi acustici e catartici passaggi nell'oscurità più buia (l'opener strumentale "With a Taste of Wormwood" ne è un esempio). Con la seconda canzone, la title track, compaiono le harsh vocals del frontman su di un tappeto ritmico affidato quasi interamente ad un tessuto di solismi e tremolo picking che rendono il tutto estremamente gradevole e assai prog oriented, anche se l'intelaiatura rimane ancora un po' grezzotta con suoni impastati e decisamente poco cristallini. In "Into Crimson Oblivion", ecco apparire invece le contaminazioni doomish lungo un brano dai toni compassati e dalla forte componente acustico-atmosferica. "Stellar Dust" prosegue su questa scia di tranquillità sonica, con linee di chitarra piuttosto semplici e lineari, in cui la melodia delle note ci guida nell'ascolto. Interessante a tal proposito un inedito break acustico con un beat trip hop che si riproporrà anche a fine brano. Ancora melodie laceranti nella strumentale "Grass Still Remembers Your Trace" che ci accompagna gentilmente verso "Heart in the Pattern of Roots", un pezzo che evidenzia ancora le potenzialità melodiche dell'artista russo inserite in un tessuto ancora sporco, che trasuda comunque di black depressive. C'è ancora spazio per un altro paio di song: la prima è "The Birth of August" con i suoi tocchi delicati che si contrappongono ai laceranti vocalizzi del mastermind russo e ad un riffing black old school che mantiene comunque intatta la vena melodica del brano, il meno riuscito del lotto a dire il vero. La conclusione di 'Bitter Wine of Summer' è affidata ai suoni post-rock di "Let the Night Do the Talking", un pezzo strumentale che chiude degnamente questo nuovo capitolo targato In Tenebriz. (Francesco Scarci)

sabato 26 dicembre 2020

Collapse Under The Empire - Everything We Will Leave Beyond Us

#PER CHI AMA: Post Rock/Post Metal strumentale
È un viaggio tra gli astri quello che ci regala l’ascolto di 'Everything We Will Leave Beyond Us', l’ottavo lavoro dei tedeschi Collapse Under The Empire. In questi dodici anni di intensa carriera il gruppo composto da Martin Grimm e Chris Burda ha esplorato ogni anfratto di quel post-rock strumentale dalle suggestioni spaziali portato alla ribalta dai più noti God is an Astronaut e 65daysofstatic, pertanto in questo nuovo capitolo possono permettersi di procedere col pilota automatico dipingendo una spensierata tavolozza di emozioni e paesaggi astratti.

Spensierata, ma non per questo banale o raffazzonata: il duo tedesco fa della cura maniacale delle produzioni il proprio marchio di fabbrica e anche stavolta gli otto brani che compongono l’opera brillano per il perfetto incastro tra decisi riff di chitarra, cascate di delay, sintetizzatori avvolgenti e un basso prepotente. Come da predisposizione del genere, il sentimento dominante evocato da pezzi come il singolo “Red Rain”, classico saliscendi atmosferico tra momenti di contemplazione e muri sonori, o la più vivace “Resistance” è la nostalgia, tuttavia non mancano accelerazioni di stampo post-metal quasi a voler sottolineare che è necessaria una buona dose di coraggio per muoversi nel buio dello spazio e raggiungere le esplosioni di colori sparse per il cosmo.

Parlando di coraggio è necessario muovere un appunto: in 'Everything We Will Leave Beyond Us' tutto è cristallino e ben orchestrato, ma nulla si muove al di fuori dei confini di un genere che da ormai troppo tempo si limita ad ammirare la propria immagine riflessa. Per quanto il disco riesca ad ammaliare (e non dubito farà innamorare gli appassionati del genere), terminata la musica e svanita la sua ipnotica magia poco rimane se non un potenziale accompagnamento per opere fantascientifiche e l’eco di una schiera di gruppi pressocché identici. Insomma, un buon compito senza dubbio, ma nulla più. (Shadowsofthesun)


(Finaltune Records/Moment of Collapse - 2020)

Corecass - Void

#PER CHI AMA: Ambient/Soundscapes/Experimental
Un susseguirsi di legno antico che respira tra i respiri dei Corecass. Respiriamo cosi insieme ad un ritmo da colonna sonora di un film dall’epilogo imprevisto. “Void I”. Mentre l’ossigeno ci percorre, visioni orientali spazzate dall’impero imperioso del dark ambient. Il suono gradualmente diviene intenso, spasmodico ed improvvisamente mellifluo, lento, nuovamente di liuto come una geisha di suoni servizievole e lontana, nella terra sognata. D’incanto, piove. Un moto forte sonoro di sensi accoglie “Carbon”. Ancora il legno che schiuma le percezioni sonore. Al legno piano si uniscono poi suoni elettrici corali, graffio lungo di tasti e di corde tormentate appena. La voce che sfugge sottesa, femminile, insistente, prepotente, sino a portare il pezzo ad un orgasmo metallico nero come una messa di chi chiede giustizia. Tocchi reiteranti, vellutati, sicuri su un organo che non lascia il fiato al respiro. “Void II”. Una spinta virtuale incurva le spalle se si asseconda il suono. Un ruggito affonda i canini deliziandosi con le paure di ognuno. “Amber”. Una song introspettiva, temporalesca, uno scenario da casa stregata. Seguitemi in questo viaggio, sarò il vostro Caronte, ma non dimenticate l'obolo per il vostro passaggio. Tornare indietro sarà magia. Curva il suono, aberrante, spazi chiusi e colori invisibili. “Void III”. Esercizi di stile in fingerstyle rivisitato da mani che aprono e chiudono le finestre per indurre buio e luce a loro piacere. L’epilogo. Come promesso. Imprevisto. Una risacca di mare che culla speranze, suoni, paure. “Breath”. Un brivido dopo inferno, purgatorio e paradiso. 'Void' si chiude come un racconto che ci ha fatto vivere sensazioni, momenti, ostacoli, velleità. L'album dei Corecass ci porta a viaggiare dentro di noi tra sospesi, paure e bellezze. Un ascoltare necessariamente tutto d’un fiato sospeso. (Silvia Comencini)

(Golden Antenna Records - 2020)
Voto: 80

https://corecass.bandcamp.com/album/v-o-i-d