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#PER CHI AMA: Black/Heavy/Industrial |
Siamo arrivati addirittura al quinto album di questi finlandesi Antipope per renderci conto della loro esistenza, questo a significare ancora una volta che là fuori c'è uno sconfinato mondo di cui noi conosciamo verosimilmente un 10%. E finalmente eccomi, faccia a faccia con questo quartetto originario di Oulu, una cittadina in cui ho speso alcuni giorni e in cui, a parte bere e suonare, non c'è altro da fare. Qui nascono le velleità di questo ennesimo combo finnico, che propone in 'Apostle Of Infinite Triumph', un'interessante commistione tra un black metal assai tecnico, heavy metal e una spruzzatina di industrial, cosa che deve aver catturato per forza l'attenzione della Fertile Crescent Productions. "Harbinger of Dawn" è la prova di questo stravagante mix che, a parte un attacco prog black, si assesta poi su un industrial ricco in fatto di groove grazie a delle chitarre che ammiccano al melo death finlandese, mentre il growling del frontman vuole farsi amico il cantante dei Rammstein. Con "Natural Born Heretic" ci si lancia invece in un violento turbinio ritmico, tanto frastagliato a livello di drumming quanto più lineare a livello delle chitarre che ricalcano i dettami dell'heavy metal ma anche quelli più etnici degli Amorphis, in una song completata poi da arrangiamenti orchestrali che ne aumentano la complessità compositiva. Anche la voce stessa di Mikko Myllykangas qui assume sembianze differente, tra voci pulite, roche ed effettate. Devo ammettere che la proposta dell'ensemble non mi è assolutamente indifferente, anzi più vado avanti nell'ascolto e più mi faccio coinvolgere da un sound fresco e potente, ma anche a tratti ammorbante. È il caso di "Intoxicating Darkness", più oscura e venata di una certa aura gothic-doom, che ci regala un'ulteriore versione degli Antipope, il cui moniker (cosi come pure l'obbrobrioso artwork del cd), lasciatemi dire, non calza proprio a pennello con la proposta musicale della band. A parte queste raffinatezze, la song prosegue nel suo incedere atmosferico e darkeggiante, scomodando anche i Fields of the Nephilim nel suo ventaglio di influenze, segno che non ci siano evidenti confini, e questo è un bene, nella musica dei nostri. La title track prosegue nel sottolineare le qualità della compagine nordica, con una sezione ritmica corposa (merito del drumming) ed un cantato che qui prende completamente le distanze da estremismi sonori, essendo molto più vicino a gente stile Running Wild o Crematory. La song risulta comunque assolutamente piacevole anche nella sua porzione solistica che a questo punto, avvicina maggiormente la band all'heavy metal piuttosto che a quel black prog imbastito nelle note iniziali, il che mi disorienta un attimo, soprattutto nell'ottica di dove collocare esattamente un'uscita come questa e soprattutto a chi consigliarla. Pertanto, meglio andare avanti e capire cosa le restanti tracce hanno da dirci. "Red Goddess" parte in sordina, ma poi si affida ad una roboante cavalcata per ricondurci in territori viranti verso il death gothic. La song non entusiasma come le precedenti, fatta eccezione per la coda solistica e l'arrembante attacco black che chiude il pezzo. "Venereal Ritual for Dispersion and Reintegration of the Soul" è più ubriacante per quel giro riff in apertura, anche se il blast beat affidato alla batteria ci riporta ancora una volta in territori più estremi. Ma la capacità del combo scandinavo sta nell'alternare generi cosi distonici tra loro in pochi secondi e quindi black, gothic, dark, thrash, folk, heavy e industrial si fondono tutti insieme in un crogiulo di generi e suoni. "Serpent of Old" ha ancora voglia di ubriacarci con delle chitarre frenetiche anche se l'effetto sorpresa sembra vada affievolirsi e la song perda un po' in interesse, sebbene a livello tecnico, la band confermi le sue eccelse qualità, soprattutto quando l'axeman sciorina l'ultimo interessante assolo. L'ultima traccia è affidata alla più lunga composizione del lotto, "0=2" che supera abbondantemente i sette minuti, con un sound più compassato e stanco, un mid-tempo che segna l'evidente calo dei nostri sulla lunga distanza. Peccato, ma fisiologicamente ci stava, forse era meglio collocarla a metà strada, giusto per concederci il tempo di rifiatare. Pur non essendo una song brillantissima, complice anche un finale estremamente atmosferico, non intacca assolutamente la mia valutazione di un disco, 'Apostle Of Infinite Triumph', che correrà il rischio di piacere a tanti, trovando ahimè anche una frangia che attaccherà la band per eccessivo "paraculismo", di cui francamente me ne fregherei alla grande. (Francesco Scarci)