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venerdì 24 febbraio 2023

Stillborn - Cultura de la Muerte

#PER CHI AMA: Black/Brutal Death
Non fatevi ingannare da un titolo in spagnolo, gli Stillborn arrivano infatti dalla Polonia con tutto il loro carico di odio. ‘Cultura de la Muerte’ è il loro sesto album in una carriera che ha affonda le sue radici addirittura nel 1997 e da sempre è votata ad un black brutal death old school. Ecco, forse sta proprio qui il limite del terzetto di Mielec, una sorta di staticità nel genere proposto che fa risuonare anche questo lavoro come stantio in un ambito estremo che sta ancora provando ad evolversi per sfuggire da quell’immobilismo sonoro in cui si è arenato parecchio tempo fa. Per carità, il trio polacco si applica per fare il proprio lavoro, muovendosi nei meandri di un brutal death di americana memoriana, che affonda le proprie radici negli anni ’90 e che forse, se fosse uscito 25 anni fa, avrebbe attenzionato maggiormente le masse. Oggi ‘Cultura de la Muerte’ è un disco di otto tracce che potrebbero esclusivamente ammaliare chi ha una certa propensione a uscite di questo tipo, gli altri si astengano. Non basta pigiare sull’acceleratore, esssere veloci e incazzati più che mai, lanciarsi in galoppate furenti (“Profanacja i Bluźnierstwo”) tra blast beat, killer riff e growl animaleschi, serve anche un minimo di cuore in un genere cosi estremo come il brutal, che qui in tutta franchezza, faccio fatica a percepire. Posso sottolineare una solida preparazione tecnica, un desiderio di distruggere qualunque cosa si ponga davanti, ma poco altro per farmi emozionare all’ascolto di un album simile. Ripeto, probabilmente il disco farà la gioia di chi ha ancora una certa avidità nell’ascoltare nuove release in questo ambito, per quanto mi riguarda invece, lo trovo alquanto noioso. (Francesco Scarci)


Brutal Faith - In the Mouth of Suffering

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Thrash
Professionalissimo questo demo su CDR autoprodotto di chiara matrice death-thrash proveniente dalla provincia dell’Aquila. Questo demo ci mostrava una giovane band con tanta voglia di fare e di suonare, la proposta era buona direi, sia sotto il punto di vista musicale che da quello grafico. La tecnica strumentale direi che c’è (ce ne fossero state di bands emergenti come i Brutal Faith), tuttavia ero convinto che la band potesse fare di più in termini di songwriting. Non che ci fosse qualcosa di grosso che non andava, poi la band parlava chiaro con il proclama “This is an anti-trend recording” all’interno del booklet, ma c'erano ancora molti riffs sentiti e risentiti, che creavano pezzi ascoltabili, ma che non conferivano moltissima personalità all’intera produzione. Ripeto, la band sembrava molto valida, ma se fossero riusciti a fare quello che bands come i Coram Lethe hanno fatto, credo che si sarebbe potuta spezzare quella monotonia classica del genere alle prime armi. Peccato solo che si siano sciolti dopo questa release.

Parahuman - Affliction

#PER CHI AMA: Metalcore/Groove Metal
Ultimamente il sottosuolo polacco brulica di un quantitativo smisurato di band. L’ultima in ordine di tempo ad essersi palesata fra le mani risponde al nome di Parahuman che arriva con ‘Affliction’ al tanto agognato debutto su lunga distanza, dopo aver rilasciato dal 2016 a oggi, giusto un EP e un paio di singoli. La proposta del quartetto di Varsavia è all’insegna di un metalcore sporcato da venature grooveggianti, per un risultato però che non fa certo gridare al miracolo. Se le chitarre di “Signal”, che segue a ruota l’intro omonima, potrebbero farvi tornare alla mente i primi Dark Tranquillity, è la performance dietro al microfono di Olgierd Gontarczyk a non convincermi pienamente, con una voce acida, graffiante ma mai francamente all’altezza. Musicalmente la band non è malaccio, proponendo tuttavia un canovaccio che ormai inizia a suonare un pizzico scontato, nonostante una continua ricerca di vincenti partiture melodiche e costanti cambi di tempo. L’inizio di “Loop” lo potreste infatti scambiare per altre 1000 canzoni analoghe per architettura ritmica, e questo mi fa intuire che più di tanto la proposta dei nostri non possa impressionarmi. Il bagaglio tecnico viene sicuramente messo a disposizione per migliorare il livello qualitativo proposto, soprattutto a livello solistico con certi assoli da urlo (la stessa “Loop”), ma quella che fatico a digerire alla fine continua ad essere la prova vocale del frontman o la scontatezza di certe porzioni di brano. Le variazioni al tema non mancano e il basso in apertura a “Feedback” viene in mio aiuto a tal proposito. Peccato poi che quella voce, che sembra affetta da una forte raucedine (cosi strozzata in gola), e quando pulita, rischia addirittura di fare peggio, vista la sua stonatura, che rovina quanto di buono possono proporre i Parahuman. Poi nello spaccare culi, i quattro musicisti sembrano cavarsela molto bene, con raffiche di chitarra a mo’ di mitraglietta, blast beat schizzati, o break melodici, ma la voce no, proprio non ci siamo, soprattutto quando dice “follow my voice…”. Eppur si muove diceva il buon Galileo Galilei, e si muove ondeggiando anche la proposta dei Parahuman, laddove decidono di rischiarsela di più e infarcire il tutto con una componente elettronica (“Inanity”), nel solo di “Antisocial” o nelle ritmiche progressive deathcore di “Divided”, che ci regalerà anche l’ennesimo strepitoso assolo. Più canonica “Sober”, dove il cantante prova a modulare le proprie corde vocali con risultati altalenanti. Alla fine dei fatti, mi piacerebbe dare un voto disgiunto, che vedrebbe un 7.5 per ciò che concerne la componente solistica e un 6 scarso per quel che riguarda il compartimento vocale, che mi porterà alla fine alla soluzione compromissoria che vedete sotto. Da rivedere alcune cose, poi i Parahuman potrebbero anche regalarci cose degne di nota. (Francesco Scarci)

Deliverance - Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn

#PER CHI AMA: Black/Sludge
Sei tracce per oltre sessanta minuti di musica, pronti a sostenerle? La proposta del quartetto parigino, al terzo atto con questo ‘Neon Chaos in a Junk​-Sick Dawn’, è un black variegato che si muove tra sfuriate di una violenza inaudita, intermezzi elettronici e parti decisamente al limite dello sludge. Tutto questo è quello in cui vi imbatterete nell’ascolto di questo disco, condito poi dalle graffianti vocals di Pierre Duneau e da una buona e costante dose melodica. Parlavo poco fa di black/sludge, ed è ciò che avrete modo di saggiare già dall’iniziale “Salvation Needs a Gun”, song che parte feroce, veloce, melodica ma che ad un certo punto del suo corso, tirerà la migliore delle inchiodate (termine gergale tipico delle mie parti per identificare una super frenata) per poi proseguire verso un finale tutto in salita, interrotto ahimè troppo prematuramente. Si riparte poi con le stralunate chitarre di “Venereal”, una traccia dal piglio più criptico e sinistro. I pezzi forti del disco mi sembrano tuttavia rappresentati dalle due maratone, affidate ai 18 minuti di “Odyssey” e agli oltre 17 di “Fragments of a Diary from Hell“, che combinate tra loro, costituiscono oltre la metà del disco, in fatto di durata. I contenuti? Molteplici, dal dark rock iniziale di “Odissey”, in cui anche la voce di Pierre assume sembianze pulite, ad una musicalità decisamente più orecchiabile e minimalista, visto un lungo break atmosferico poco prima di metà brano. Poi i nostri, in un percorso quasi orrorifico, aumentano i giri del motore, almeno per quanto concerne la potenza delle chitarra e, infarcendo il tutto di una buona dose di psichedelia, post metal e sludge/doom, sfoderano una prova davvero interessante. Almeno quanto il secondo interminabile capitolo, la lugubre “Fragments of a Diary from Hell“, che per quasi sei minuti tiene banco con quelle sue atmosfere ambient-droniche di pink floydiana memoria, per poi dirottare verso suoni sludgy, responsabili della chiusura del disco. In mezzo invece le più ordinarie (si fa per dire) “Up-Tight” e “Neon Chaos”: la prima nella sua andatura sludge sfoggia dapprima un lisergico break e poi fendenti black; la seconda invece, mostra un cantato quasi robotizzato in un contesto ancora sludge e post metal. Alla fine quella dei Deliverance è una proposta a tratti assai originale, che necessita tuttavia di molteplici ascolti per essere immagazzinata nel migliore dei modi. (Francesco Scarci)

Old Man's Child - In Defiance of Existence

#FOR FANS OF: Black/Thrash
Another good one in the making recognized 20 years later but Galder has not expired as founder of this one-man-band. This was a good follow-up to 'Revelation 666...'. I think that the guitars are solid making solid sounds beget admirable compositions. Galder doesn't seem to let-up in making good releases. All of the instruments and vocals go well alongside one another. Some tinge of acoustic work here too, but very briefly. This album is mostly hardcore melodic black metal. Galder's vocals don't shift much as they are pretty much screaming voice throughout the album. Not much variation to them.

I especially like how the music goes well with the synthesizers. I'm not one that is a favorite of these things co-existing but Galder makes it work. I enjoyed this album the whole way through. All the songs are good. Everything seemed to work on a whole!

I would think it's safe to say that all Old Man's Child releases are solid. But this is a key release for the band. It shows not only maturity, but the progression in the melodic black metal arena and how Galder is a pivotal person in the metal community. Not only has he brought his own unique style to this genre but creativity and undying metal. It's good that he's staying active here in this arena of the genre providing key sounds to his uncompromising aggression. This album features Cradle of Filth's drummer Nicholas Barker. The whole album again turns out good making it an "75" in my book for a rating!

In concluding, don't expect anything but the finest melodic black metal in 2003. This guy is the force behind extreme music. He's done a great job in both his band and Dimmu as well. Let's hope he'll continue to make great music in the up and coming years! (Death8699)


Haven of Echoes - The Indifferent Stars

#PER CHI AMA: Progressive Rock
Ci siamo distratti un attimo e puff, ecco spuntare fuori dal nulla questi teutonici Haven of Echoes, nati da una costola dei Frequency Drift. Bella scoperta quindi per chi ama band del calibro di Riverside, Haken e Porcupine Tree. ‘The Indifferent Stars’ arriva con sei nuovi brani e quasi 45 minuti di musica a deliziare i palati più fini e delicati. Le danze si aprono con la semi-ballad “Sirensong” e, alla stregua di un canto di sirene, tanto per parafarase il titolo, ci abbracciano con un sound emozionale, in cui lo spettro della musica progressive viene inquinato da suoni malinconici. Quello che mi sorprende è il background musicale di alcuni membri della band, visto che il cantante Paul Sadler era parte dei deathsters inglesi Spires e qui veste nuovi panni con una voce a dir poco soave e suadente. Oscura e ipnotica l’incipit della successiva “The Orator’s Gift”, un brano dalla cadenza comunque delicata nel suo incedere costantemente in bilico tra sonorità decadenti e altre più frizzanti, con la prova del drummer Wolfgang Ostermann sempre in bella mostra. In generale, la prova dei quattro musicisti, che includono Nerissa Schwarz all’arpa elettrica nei brani “Stasis” e nella drammatica “The Lord Giveth...” e Andreas Hack (per tutti gli altri strumenti), risulta comunque estremamente convincente. Certo, non è sempre tutto oro quel che luccica, perchè se dovessi trovare un difetto a questo ‘The Indifferent Stars’ potrebbe essere correlato ad una certa mancanza di mordente in taluni frangenti, nel senso che a volte preferirei che i brani prendessero una piega diversa, forse più robusta, ma in realtà la componente più “hard” dei nostri, stenta a palesarsi. Per carità, gli Haven of Echoes sono fantastici musicisti, abili soprattutto a creare splendide atmosfere dal piglio “pink floydiano” e penso a “Stasis” ad esempio, ma a mio avviso, avrebbe giovato avere una componente più aggressiva nelle note di questo disco, dove però vorrei ancora sottolineare la super introspettività di “Endtime” e la conclusiva “Let Them In”, 12 minuti che avvicinano più che mai gli Haven of Echoes ai Riverside, e che qui finalmente riescono a sfoderare anche qualche riff più robusto accanto all’utilizzo di un flauto, di una spinetta e di un insieme di strumenti che conferiscono quasi un tocco orchestrale al pezzo. Per non parlare poi dello splendido assolo che evoca un che dei Porcupine Tree e al contempo degli Opeth, in una prova davvero eccellente. Un finale pianistico in stile Muse, chiude un disco ricco di sfaccettature indicato a un pubblico esigente e dalle orecchie sicuramente raffinate. (Francesco Scarci)

venerdì 17 febbraio 2023

Frozen Dawn - The Decline of the Enlightened Gods

#FOR FANS OF: Swedish Black, Dissection
The Spanish trio Frozen Dawn, founded in Madrid in 2006, hasn’t been tremendously prolific in releasing new albums, although we can’t complain as every single opus met our expectations. Since its first album, 'The Old Prophecy of Winterland', the band showed some serious talent and clear ideas. The evolution of this project has been as solid as its music and managed to catch the attention of an increasing number of fans, and finally a deal with an international and respected label as Transcending Obscurity Records. Releasing a new album with a such active label can always be the milestone of a project, in its seek for success and a higher attention. After six long years and, I guess, a remarkable amount of work and dedication, the trio finally released the new opus, 'The Decline of the Enlightened Gods'.

The first thing I would like to remark is the eye-catching artwork, a captivating painting created by the Polish artist Mariusz Lewandowski. I have always said that a good artwork is the first key element to draw the attention of the fans, especially in these times where a ton of new albums overwhelm us. But let’s focus on the most important thing, the music. Frozen Dawn’s music is unmistakably and firmly rooted in the black metal, and more particularly in the melodic black subgenre. The production isn’t particularly clean, or at least it isn’t too polished, something I am quite sure that many fans will approve. Both the vocals and the guitars have a slightly dirty touch, like a particular raw touch that I find quite adequate as it makes them sound heavier and darker, something that the genre should never lose. Musically, the album is an authentic beast. The pace is quite fast and the songs sound truly heavy and relentless. From its very beginning to its end, 'The Decline of the Enlightened Gods' is a real punch in the face. We obviously will find some exceptions, as the title track for example, where the pace is slower in its greater part. The guitars truly shine in these slower sections, even though it must be mentioned that their work is faultless in every single song. The riffing is pure melodic black as legendary bands like Necrophobic (of which you will enjoy an excellent version), Dissection, or early Watain can come to your mind. The aforementioned influences are quite clear in the album opener "Mystic Fires of Dark Allegiance". These raging vocals, the tasteful melodic yet heavy riffs, which lead the song in every moment, and the super solid rhythmic base create an addictive song, which brings us back the best of the genre. Things go even heavier with the second track "Spellbound". A devastating composition with a faster pace yet keeping the omnipresent melodic yet biting guitars. Albeit the pace is generally fast, there are small ups and downs in the pace, which are very precisely and wisely placed small changes through the song. The variations make the composition interesting, as it never becomes a succession of monorhythmic sections that would make it sound too predictable. "Frozen Kings" is probably one of my favourite tracks of the whole album. A particularly catchy melody accompanied by a very headbanging inducing pace, makes it a truly highlight, as this track will remain in your brain from the very first time you listen to it. "Oath of Forgotten Past" contains a great solo guitar, which proves that apart from a relentless dose of incredible riffs, the band also knows to introduce solid solos without making it sound out of place. As you may imagine from this description, each song has something that makes it unique, even though the ingredients are the same in all the album. This proves that a band which has inspiration and works hard, can mix the same elements, and still create compositions with its own personality, although they apparently sound quite similar. The level is very high in the whole album and even the already mentioned cover doesn’t disappoint, as it is a devote homage to the band and the genre itself.

All in all, 'The Decline of the Enlightened Gods' is an awesome work by the Spanish band Frozen Dawn. The full thing sounds inspired, focused, and full of greatness in all its elements. Every single fan of the genre should check out this opus and I wouldn’t be surprised if it appears in may top lists of this year. (Alain González Artola)

Jours Pâles - Tensions

#PER CHI AMA: Depressive Black
Avevo recensito il primo album dei Jours Pâles, trio transalpino, i cui membri arrivano da realtà similari quali Asphodèle e Aorlhac. 'Tensions' è il loro secondo lavoro edito dalla lunga mano della Les Acteur de l’Ombre Productions e ingloba nove nuovi pezzi all’insegna di sonorità estremamente orecchiabili (basti ascoltare la super ruffiana "Jour de Pluie, Jour de Fête" in apertura, per avere una vaga idea della proposta dei nostril qualora non li conosceste). Melodie frizzanti, voci pulite e qualche growling vocals sparata qua e là (con testi rigorosamente in francese, come accadde anche in 'Éclosion'), qualche intermezzo atmosferico affidato a porzioni arpeggiate di chitarra e il gioco è fatto. I Jours Pâles sono pronti a prendere il volo anche se probabilmente non saranno i fan più estremisti dell’etichetta transalpina quelli che si avvicineranno ai nostri, visto l’interesse per realtà più death/black oriented. Con la successiva "Saint-Flour Nostalgie", l’aura sembra farsi più malinconica, e accanto a questa tendenza depressive, il terzetto accosta anche qualche breve sfuriata black che rinforza quanto di buono avevo avuto modo di ascoltare in passato. E la schizophrenia black si palesa anche nelle note iniziali della terza "Ecumante de Rage" che oltre a dar sfoggio di estremismi sperimentali, quasi di scuola Pensees Nocturnes, si dipana in splendidi giri di chitarra e sonorità che potrebbero evocare l’eleganza blackgaze degli Alcest nei giri forbiti di pianoforte, ma è comunque la struttura globale del brano, cosi asservita a continui cambi di tempo, tra rallentamenti ed epiche galoppate, che la renderanno alla fine anche il mio pezzo preferito. Forse perchè nel corso dell’ascolto troveremo qualche altro brano davvero interessante: dalla tumultuosa title track a "Saturnienne Lassitude", che fa l’occhiolino ai Les Discrets nel suo portamento cosi drammatico e decadente, ipnotico e quasi avanguardistico, ma dal finale di scuola tipicamente classic metal. Non ci si annoia di certo durante l’ascolto di 'Tensions', soprattutto quando tempeste ritmiche si affiancano a delicati break strumentali ("Hâve") o se a fare la sua comparsa è una qualche guest star come accade in "Ode à La Vie (Chanson Pour Aldérica)", dove incontriamo le sinuose vocals di Natalie Koskinen dei mitici Shape Of Despair in un pezzo dai tratti soffusi che avrà modo di evocare un che dei nostrani Novembre lungo la sua traiettoria sonora. Ultima menzione per il post punk di "Dose(s)" e delle spettrali melodie della lunga e conclusiva "Les Feuilles Tombent". Diavolo, stavo poi per dimenticarmi dello splendido artwork di copertina, a cura del buon Niklas Sundin dei Dark Tranquillity che testimonia come 'Tensions' sia un lavoro ispirato che sottolinea le ottime qualità dei Jours Pâles, e soprattutto di una dose di personalità da vendere. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2022)
Voto: 78

https://ladlo.bandcamp.com/album/tensions