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venerdì 24 febbraio 2023

Haven of Echoes - The Indifferent Stars

#PER CHI AMA: Progressive Rock
Ci siamo distratti un attimo e puff, ecco spuntare fuori dal nulla questi teutonici Haven of Echoes, nati da una costola dei Frequency Drift. Bella scoperta quindi per chi ama band del calibro di Riverside, Haken e Porcupine Tree. ‘The Indifferent Stars’ arriva con sei nuovi brani e quasi 45 minuti di musica a deliziare i palati più fini e delicati. Le danze si aprono con la semi-ballad “Sirensong” e, alla stregua di un canto di sirene, tanto per parafarase il titolo, ci abbracciano con un sound emozionale, in cui lo spettro della musica progressive viene inquinato da suoni malinconici. Quello che mi sorprende è il background musicale di alcuni membri della band, visto che il cantante Paul Sadler era parte dei deathsters inglesi Spires e qui veste nuovi panni con una voce a dir poco soave e suadente. Oscura e ipnotica l’incipit della successiva “The Orator’s Gift”, un brano dalla cadenza comunque delicata nel suo incedere costantemente in bilico tra sonorità decadenti e altre più frizzanti, con la prova del drummer Wolfgang Ostermann sempre in bella mostra. In generale, la prova dei quattro musicisti, che includono Nerissa Schwarz all’arpa elettrica nei brani “Stasis” e nella drammatica “The Lord Giveth...” e Andreas Hack (per tutti gli altri strumenti), risulta comunque estremamente convincente. Certo, non è sempre tutto oro quel che luccica, perchè se dovessi trovare un difetto a questo ‘The Indifferent Stars’ potrebbe essere correlato ad una certa mancanza di mordente in taluni frangenti, nel senso che a volte preferirei che i brani prendessero una piega diversa, forse più robusta, ma in realtà la componente più “hard” dei nostri, stenta a palesarsi. Per carità, gli Haven of Echoes sono fantastici musicisti, abili soprattutto a creare splendide atmosfere dal piglio “pink floydiano” e penso a “Stasis” ad esempio, ma a mio avviso, avrebbe giovato avere una componente più aggressiva nelle note di questo disco, dove però vorrei ancora sottolineare la super introspettività di “Endtime” e la conclusiva “Let Them In”, 12 minuti che avvicinano più che mai gli Haven of Echoes ai Riverside, e che qui finalmente riescono a sfoderare anche qualche riff più robusto accanto all’utilizzo di un flauto, di una spinetta e di un insieme di strumenti che conferiscono quasi un tocco orchestrale al pezzo. Per non parlare poi dello splendido assolo che evoca un che dei Porcupine Tree e al contempo degli Opeth, in una prova davvero eccellente. Un finale pianistico in stile Muse, chiude un disco ricco di sfaccettature indicato a un pubblico esigente e dalle orecchie sicuramente raffinate. (Francesco Scarci)