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martedì 14 dicembre 2021

Malota - The Uninvited Guest

#PER CHI AMA: Punk/Hard Rock
Dici Go Down Records, dici hard rock. Ormai il nome della label romagnola è diventata sinonimo di uscite in territori garage/desert/punk rock. E cosi non sono da meno questi veneziani Malota, che i più attenti ricorderanno per il loro EP omonimo uscito nel 2015, all'insegna dello stoner e il successivo 'Космонавт', più votato a sonorità doom/space rock, di cui francamente non ricordo dato che inizio a perdere neuroni a grappoli. Decido quindi di avvicinarmi ai nostri con tutta l'apertura mentale di cui dispongo. E cosi fra le mani mi ritrovo questo 'The Uninvited Guest' che ci prende a sportellate con il suo selvaggio e sfrenato mix tra hard rock, punk e noise, come suggerito peraltro dal flyer informativo dell'etichetta. E il punk in effetti lo ritroviamo già nei primi secondi dell'opener "Lampedusa", quasi una sorta di tributo ai Sex Pistols, prima di virare verso sonorità ben più robuste. Ma sarà in realtà un'alternanza tra i due generi che si esplica attraverso svariati cambi vocali in concomitanza del genere proposto, che troverà un terzo e più ipnotico cambio sul finire del brano. Più ritmata "Anti-social" con il suo mood di motorhediana memoria, che a me non fa proprio scapicollare, ma che per una serata di pogo sotto il palco potrebbe anche essere efficace, giusto per scaricare un bel po' di adrenalina accumulata in questi mesi. Molto interessante "Ministers of Fear", con quella sua apertura un po' più sperimentale, quasi di scuola System of a Down, che s'intervalla con sgroppate più feroci ma sempre molto orecchiabili, decisamente il mio pezzo preferito di 'The Uninvited Guest', quello più originale di sicuro. Si, perchè con la successiva "The Queen, the Lady" si torna a respirare quel mix musicale, ormai marchio di fabbrica dei nostri, fatto di punk e hard rock. La chiusura del dischetto è affidata alla title track, una song che mostra invece un lato più post grunge dei Malota (chissà perchè mi sono venuti in mente gli Stone Temple Pilots ascoltandola) tenuto sin qui in soffitta, rivelandosi qui dritti, un po' acidi, ammiccanti ma sempre assai graffianti, anche laddove forse la band finisce per incartarsi a livello ritmico. Alla fine 'The Uninvited Guest' non è affatto male, certo non un disco da grammy ma un lavoro che si lascia comunque piacevolmente ascoltare. (Francesco Scarci)

Closure in Moscow - The Penance and the Patience

#PER CHI AMA: Prog Rock
L'etichetta australiana Bird's Robe Records, si prende la licenza di riportare sul mercato mondiale un assoluto capolavoro, uscito per la prima volta nel lontano 2008, opera dei Closure in Moscow, band originaria di Melbourne, un progetto musicale che più volte fu premiato in patria per meriti artistici (ricordo che il loro ultimo album risale al 2012). La label di Sidney, con una copia cartonata dall'artwork magnifico, completa di note informative e libretto interno, rimette in circolo questo gioiellino intitolato 'The Penance and the Patience', che altro non è, che il primo lavoro di studio dell'act australiano. Difficile dare un' identità alla musica dell'album, vista la quantità di spunti e richiami musicali contenuti in questa opera. Possiamo però dire che al primo ascolto ci si rende conto che il quintetto s'intrufola naturalmente e assai bene, tra le movenze stilistiche in voga tra band del calibro di Coheed and Cambria, (con cui hanno anche suonato live), The Mars Volta e i vari progetti di Omar Rodríguez-López, risultando a tutti gli effetti discendenti accreditati di quel modo di intendere il progressive rock che fece emergere lo stile incontrastato degli Yes tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70. Una linea invisibile li unisce alle band citate per qualità e virtuosismo tecnico espresso attraverso composizioni che non conoscono limiti, che tendono ad unire la maestosità di certo classic rock dei seventies, il gusto e la complessità di alcuni brani ricercati del passato in bilico tra powerflower e prog rock, l'impatto del punk alternativo alla At the Drive In e Pedro the Lion, con una velata vena da musical nello stile dei the Dear Hunter connesso con l'estrosità dei Leprous di 'Malina'. 'The Penance and the Patience' diventa cosi un album dirompente fin dalle prime note dell'iniziale "We Want Guarantees, Not Hunger Pains", che mostra subito un impatto duro ma controllato e una splendida forma moderna, di intelligent rock, pieno di cose pregevoli, pensate da ottimi musicisti, cercate ed apprezzate anche dagli ascoltatori più esigenti. I Coheed and Cambria sono sempre dietro l'angolo, come i The Mars Volta del resto, ma i Closure in Moscow riescono a mantenere una propria personalità che li contraddistinguerà anche nelle release successive, con ulteriori sbocchi verso lidi più pop, aggiungendo anche qualche gingillo elettronico qua e là, senza perdere mai di vista la loro sanguigna vena da progsters incalliti, con il gusto per l'AOR e l'hard rock dei mostri sacri di un tempo. Cos'altro dire, "Dulcinea" apre il cuore di tutti i rockers con la sua potente ariosità, "Breathing Underwater" è una sperimentale carica di dinamite e "Ofelia... Ofelia" con quel suo piano sullo sfondo e la sua indole cosi triste, sinfonica e psichedelica, è a dir poco adorabile. Certamente siamo di fronte ad un disco di tutto rispetto e di ottima produzione, stilisticamente impeccabile, tecnicamente virtuoso e sorprendentemente aperto a qualsiasi tipo di ascoltatore, pur trattandosi di un vero e proprio disco prog rock di moderna fattura. Un album da ascoltare per credere, un disco da non perdere, visto che la Bird's Robe ci offre questa seconda chance di metterlo tra gli scaffali delle nostre raccolte migliori. L'ascolto è assolutamente consigliato per riscoprire la sua grande bellezza artistica. (Bob Stoner)

Pluto Jonze - Awe

#PER CHI AMA: Indie/Alternative/Psych Pop
Pluto Jonze è un produttore, songwriter e performer proveniente da Sydney, innamorato della psichedelia quanto del pop che si diletta da circa un decennio, a sperimentare melodie e intrugli sonori, che spaziano tra idee prese in prestito al buon John Lennon ad un certo glam di stampo Marc Bolan/Elton John, passando per lo strano mondo di Wayne Coyne e compagni, giocando con la psichedelia, cogliendo a tratti, nella sua musica, atmosfere e modi di fare tipici, proprio dei The Flaming Lips più elettronici e solari. C'è un certo modo di riscrivere il pop con gusto e classe, che mi ricorda anche le gemme dei britannici The The, magari quelli di 'Soul Mining' del 1983, riveduto e corretto con gli accenti del moderno verbo e tutta la tecnologia della odierna musica elettronica, con velate parvenze dance e lontanamente anche soul. Bisogna ammettere che il singolo "Rumschpringe" è un brano stratosferico, carico di luce pop in tutte le sue forme, e meriterebbe la vetta di molte classifiche mondiali, con un ritornello perfetto da cantare a squarcia gola con una vena ipnotica e vagamente corale, un brano molto solare. "Moonmaking" si destreggia in un cantautorato molto vicino al soul elettronico con bassi profondi e melodie ammalianti. Proseguendo nell'ascolto di 'Awe' posso confermare essere un disco di ottima fattura, peculiare nella sua produzione dove si nota peraltro un gran lavoro nella ricerca delle sonorità usate, un bel prodotto che risulta al contempo, assai orecchiabile e radiofonico, pur mantenendo sempre un legame solido con il mondo del pop d'autore di buona caratura. Il loop di violino inserito nel contesto di una struttura soul, come accade nella title track, è un marchio di fabbrica per l'autore australiano che si inserisce a forza in un contesto governato da ottimi artisti del calibro di Saint Vincent e la K.D.Lang di 'Invincible Summer', dopo essere uscita indenne dagli scontri della Yoshimi Battles The Pink Robots. Niente male il classicismo space di "Walk Off the Edge With Me", e gli arrangiamenti beatlesiani, riletti in chiave moderna, di "I'll Try Anything", ed interessante è la particolare voce quasi da figlio dei fiori, cosi visionaria e astratta, di Pluto Jonze, che canta e suona quasi tutto, in tutte le canzoni, aiutato solo da pochi intimi amici musicisti. Il disco va a chiudersi dopo "New Morning High" con il romantismo di "Blue China", completando una carrellata di brani decisamente ben ragionati e costruiti per rimanere nella memoria dell'ascoltatore, trasportandolo in una realtà di sogno e allucinazione pop di tutto rispetto. (Bob Stoner)

mercoledì 8 dicembre 2021

Exodus - Persona Non Grata

#FOR FANS OF: Thrash Metal
Vintage band Exodus with fresh vocals via Steve "Zetro" Souza and guitar by Gary Holt takes me back to the 'Impact Is Imminent' days. Though it's 21st Century work from the band there's still somewhat of an old school vibe. It must be Gary and Steve, that's who stands out the most for me on this killer release. Overall though, it was decidedly so that this is an excellent effort! Interesting sounding riffs taken back to the old days when years seemed to stand still. A little off-shoot from Death lyrics there but that's how I feel with this album. Like they're back and packing a punch still kicking ass like they haven't aged.

"Slipping Into Madness" is a good track I can relate to but most of the songs are solid riff writing here is top notch! The aura of the album has a tinge of the old school vibe but definitely 21st century Exodus. Zetro has put forth invigorating vocals that suits the music perfectly. The leads are top notch too, some a little sloppy but not much. Mostly the rhythms kick ass. That's what resonates with me. The overall sound is in your face Exodus with not much a bit of anything else. I like the sound quality a lot. And some of the acoustic guitar melodies. Mostly this album is pretty heavy from a thrash metal stand point.

They did a good job with the mixing and getting the guitars up there in priceless justice. So, in effect the production was superb. The instruments were all in astoundingly great submission. These guys have been around for over 30 years and they did great in these turbulent times (Covid-19) maybe touring in 2022 as a part of the Big 4. The Bay Area thrashers need to unite with others featuring Metallica, Death Angel and Megadeth (and other bands such as Anthrax & Testament). So many great bands like Exodus are still around, Slayer cashed in after about 35 years but it was just their time.

I downloaded this one first and liked it so much that I bought the CD. Doesn't mean that you have to do the same, but I collect CD's still. So yeah, it was worth paying money out of my pocket to support the band. There are so many highlights on this album a small review isn't enough to appreciate what they've done with this release. They have shown that they're not going to leave the scene especially during hard times not being able to tour. That hasn't stopped them from making great music hitting those creative juices and putting forth one helluv a good album here. Check it out thrashers, it won't disappoint! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2021)
Score: 80

https://www.facebook.com/exodusattack

martedì 7 dicembre 2021

Wallfahrer - :A​.​A​.​S​.​D​.​W:

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
"È arrivato il giorno in cui la mia mente ha fatto domande...". Questa è quanto capeggia sul sito bandcamp dei teutonici Wallfahrer, oscuro e misantropico duo di cui si sa nulla o niente, se non il genere black death propinato in questo EP di due lunghi pezzi, intitolato altrettanto misteriosamente ':A​.​A​.​S​.​D​.​W:'. Dicevo due song, "Am Anfang Stand das Wort" (trad: in principio c'era la parola) e "Im Reich von Mammons Erben (Versuchung & Verblendung)" (trad: nel regno degli eredi di Mammona - tentazione e delusione) che si muovono a cavallo tra un black e un death ispirato tuttavia dai dettami dell'heavy metal. Fatto sta che la lunga opener, scritta in questo 2021, si mostra abbastanza varia nella sua progressione, pur non mostrando chissà quali novità a livello musicale. I nostri amici tedeschi propongono infatti un riffing in tremolo picking, su cui costruiscono poi l'architettura della traccia, con accelerazioni al fulmicotone che si intervallano a parti più atmosferiche e ad altre ancora tirate ma melodiche, in cui fanno la comparsa anche evocative clean vocals, per un esito alla fine comunque soddisfacente. La seconda canzone, scritta invece nel 2019, ha un suono più scarno e scolastico, votato alla fiamma nera, in cui echi della tradizione scandinava sembrano emergere nelle maglie oscure di un brano che vede i punti di maggiore interesse a metà quando un riffing decisamente più ispirato si prende la scena e lo screaming cede il passo ad un cantato più profondo. Da qui alla fine, il pezzo vira verso suoni più doomish che ne sanciranno la definitiva buona riuscita del dischetto. (Francesco Scarci)

lunedì 6 dicembre 2021

Hope Drone - Husk

#PER CHI AMA: Post Black/Sludge
Dopo un silenzio durato poco più di due anni, tornano gli australiani Hope Drone con un EP nuovo di zecca, uscito esclusivamente in formato digitale, che peccato. 'Husk' serve però a tastare il polso del quartetto di Brisbane, dopo quest'ultimo periodo alquanto complicato. Quattro i pezzi a disposizione dei nostri per saggiarne lo stato di forma e devo ammettere che l'incipit affidato a "Inexorable" fuga immediatamente ogni dubbio sul fatto che i nostri siano pimpanti più che mai con il loro classico vortice sonoro che ingloba nelle proprie note post black e post rock, il tutto immerso in uno strato melmoso, quello dello sludge ovviamente. E il risultato è davvero avvincente con suoni grossi, violenti, melodici, catartici e appassionanti nel loro incedere veemente. La successiva title track parte su di una base percussiva ipnotica, a cui pian piano si aggiungeranno gli altri strumenti, per ultima la voce, in un crescendo sonoro ed emozionale da brividi, quasi fossimo sull'orlo del precipizio, con la testa che gira a causa delle vertigini, e la musica è rappresentata da un ritmo marziale pronto a deflagrare in qualsiasi momento, ma comunque fin qui a rendere tesa e surreale un'atmosfera che rimarrà tuttavia tale per tutti i suoi sette minuti e mezzo di durata. Devastante invece "Existere", quasi a volersi rifare della mancata devastazione nel secondo brano. E i nostri ci riescono alla grande con un blast beat furente interrotto qua e là da break atmosferici o da rallentamenti al cardiopalmo, il tutto cosi intriso di malinconia che mi fa disperare nell'anima. Chiusura invece affidata alla lunga "Dwell", oltre 10 minuti di sonorità che ammiccano inequivocabilmente a post metal e sludge, con una spaventosa parte centrale apice di un black metal roboante ed evocativo, prima di un dronico e spettrale finale che ci conferma quanto gli Hope Drone siano realmente in palla. Notevoli. (Francesco Scarci)

Spiral Wounds - S/t

#PER CHI AMA: Black/Death
Niente di nuovo all'orizzonte con gli italiani Spiral Wounds e il death black contenuto nel loro EP omonimo di debutto. Quattro tracce che pescano qua e là in territori estremi, purtroppo non riuscendo quasi mai ad evidenziare un pizzico di originalità nella propria proposta. Un lavoro questo che si apre con le serrate ritmiche di "Dying in Solitude", un brano corrosivo sia a livello vocale che chitarristico, pur mostrando un filo di melodia in sottofondo. Difficile riconoscere un vero punto di riferimento in questa traccia anche se citerei un black death "made in Sweden" per l'occasione. Per la seconda "Steps Across", l'influenza è a mio avviso un po' più palese, con un sound che richiama un mix tra Morbid Angel e Belphegor, mentre la voce si muove tra un robusto growl e uno screaming piuttosto ingombrante e fastidioso. Anche qui nulla di sensazionale per cui stropicciarsi gli occhi, il trio italico fa il suo senza mai sorprendere. E il dischetto si muove analogamente anche nelle due restanti tracce, "Uber Feral Winds" e la doomeggiante, almeno nel suo incipit, "The Spire", gli ultimi due episodi di una release che mostra ancora ampissimi margini di manovra per poter permettere ai nostri di crescere e magari un domani anche farsi notare. (Francesco Scarci)

domenica 5 dicembre 2021

Árstíðir - Live in Dresden 2013

#PER CHI AMA: Indie/Folk
Registrato nella secentesca Dreikönigskirche, una (mica tanto) pittoresca chiesolona situata nel centro di Dresda, nel corso del minitour in supporto di 'Svefns Og Vöku Skil', questo eccellente live di soli trentuno minuti beneficia oltremodo del riverbero acustico caratteristico dei luoghi di culto che assurge a una sorta di amplificatore emozionale del suono, tanto nei momenti più intimi ("Orð Að Eigin Vali" e "Days and Nights") quanto nelle più ardimentose galoppate interiori ("Á Meðan Jörðin Sefur" o lo straordinario medley "Shades / Tárin"). Niente preti dei miei stivali, niente sermoni, ostie da benedire né fedeli da intimorire. Sei canzoni derivanti dal già citato 'Svefns Og Vöku Skil', una dal precedente 'Árstíðir' e una dal successivo 'Verloren Verleden'. Senz'altro il modo più logico e moderno di utilizzare una strabenedetta chiesa. In chiusura, una fantasiosa versione a cappella del tradizionale islandese "Heyr, Himna Smiður" registrata nella stazione dei treni di Wuppertal, il cui video raggiungerà una certa, inspiegabile, web-virulenza. (Alberto Calorosi)