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lunedì 18 gennaio 2021

Shrines of Dying Light - Sadness

#PER CHI AMA: Death/Doom/Dark, Empyrium, Saturnus
Dal Canton Argovia in Svizzera, ecco arrivare nelle nostre case, il secondo lavoro degli Shrines of Dying Light, band death doom che francamente non conoscevo. 'Sadness' è il comeback discografico per i nostri che segue a due anni di distanza quello che era stato il loro convincente album di debutto, 'Insomnia'. La nuova release degli elvetici consta di nove pezzi, che includono uno spettrale preludio ("Entering Infinity"), un malinconico epilogo ("Solitude") ed un breve intermezzo strumentale ("Into Singularity"). Quando andiamo a dare un ascolto più attento all'opera del quartetto svizzero e ci soffermiamo su "Whispers (Sadness Part 1)", il secondo pezzo, possiamo ovviamente captare quel forte sentore di struggenza che ammanta l'intero disco. Il pezzo si apre con delle delicate plettrate acustiche ed un cantato baritonale (chi ha detto Type O Negative?) che evolverà, contestualmente con la chitarra elettrica, in un growling più sofferente. La band comunque non schiaccia mai sull'acceleratore, mantenendo una cadenza compassata, decadente e guidata quasi interamente da una chitarra strappalacrime. Ad alimentare il senso di impotenza dei nostri, ecco che in "Tragedy in the Woods" compare accanto al vocalist, anche il canto di una delicata sirena, l'ospite Sury che presta la sua delicata ugola per stemperare il senso di angoscia generato da Julian al microfono. Il sound dei nostri mi ricorda quello che amai in un disco quale fu 'For the Loveless Lonely Nights' dei Saturnus, mai fuori dalle righe, mai esageratamente pesante, ma semplicemente un inno al doloroso mondo interiore che molti di noi possiedono. E io che amo immergermi in questo genere di sonorità, non posso che godere nell'ascoltare composizioni come queste che sembrano evocare, anche nelle eleganti note acustiche di "Flowers", un che del mitico esordio 'A Wintersunset​.​.​.' dei teutonici Empyrium ma anche un che degli americani Wyrding. Insomma, mica male per i nostri amici svizzeri. Già detto dell'intermezzo strumentale, con "Saddest Man (Sadness Part 2)" comincia la seconda parte dell'album che sembra acquisire una maggiore robustezza a livello ritmico rispetto alla prima parte, con delle chitarre più violente che si sostituiscono all'arpeggiato che abbiamo ritrovato un po' ovunque nella prima parte. Anche la voce si rivela qui decisamente più aspra. La linea melodica rimane intanto forte e convincente, però il pezzo mi dà modo di assaporare una versione più aggressiva degli Shrines of Dying Light e non posso che esserne felice. E questa linea cosi oscura, un che di gothic e dark metal che si fondono insieme, si conferma anche nella successiva "Void", il pezzo forse più crudo e irruento di 'Sadness'. Con "Farblos"sprofondiamo infine in un death doom nero come la pece, coadiuvato da una ritmica più pesante e profonda, il tutto peraltro cantato in tedesco (farblos significa senza colore), con il vocione di Julian qui ancora più vicino a Peter Steel per quel che concerne la performance vocale. Il brano si assesta sui nove minuti che forse si rivelano un po' eccessivi per questa proposta musicale. Alla fine 'Sadness' è un disco intrigante, alquanto originale, collocandosi a cavallo tra più generi, death, doom, gothic, dark e funeral, il tutto letto peraltro assai spesso in chiave acustica. Sia chiaro, non si tratta di un album di facile ascolto, però sicuramente merita un'occasione. (Francesco Scarci)

sabato 16 gennaio 2021

Die Entweihung - Kings & Pawns

#PER CHI AMA: Black/Death
Chi pensava che la band di oggi fosse tedesca alzi la mano. Siate onesti. I Die Entweihung sono la creatura di tal Herr Entweiherr (all'anagrafe Denis Tereschenk), musicista bielorusso trasferitosi a vivere in Israele. 'Kings & Pawn' è il decimo album per l'artista di quest'oggi, dieci dal 2007 ad oggi ed io, è la prima volta che li sento nominare. Da un punto di vista musicale, il polistrumentista originario di Vitebsk ci propone un black metal melodico che si apre sulle note strumentali di "Away into the Night" che lascia ben presto posto al suono scarno (colpa di una registrazione scadente) di "The Moustached God" un brano che, se potessi fare qualche paragone, vedrei come una versione black dei primi Amorphis. Si avete letto bene, in quanto le melodie folkloriche mi sembrano quelle che apprezzai ai tempi di 'Tales From the Thousand Lakes', dove la band finlandese mostrò al mondo le proprie qualità fuori dal comune. In questo caso non siamo a quei livelli stratosferici, ma più di una similitudine l'ho trovata con i colleghi finlandesi, sebbene questo sia invece il decimo album per Mr. Tereschenk che con la sua chitarra solista, guida un pezzo che mi piacerebbe sentire con ben altra produzione (più bombastica) e una ritmica più gonfia e potente. Questo per dire che le potenzialità ci sono tutte eccome, confermate peraltro da altri pezzi piuttosto brillanti come "As the Hangover Starts", la traccia più lunga dell'album, con i suoi otto minuti e mezzo di cupe melodie, intermezzi acustici ed eterei passaggi atmosferici, per non parlare poi di una entusiasmante sezione solistica. E ancora, interessanti sono i tecnicismi della strumentale "Confrontation", i solismi della title track (solo quelli, in quanto la traccia non mi ha fatto per nulla impazzire sebbene alla voce ci sia Alexander Ivanov dei Jinx) o la presenza al microfono di Alena Dark Zero dei Nocturnal Pestilence in "The Nonsense Games", in una sorta di emulazione della nostra Cadaveria. Due cover poi: "Working Class Hero" di John Lennon con la cantante ceca ancora alla voce e un altro ospite, Anton Shirl (Tales of Darknord) al basso per una scelta quanto mai azzardata, che fino ad un certo sembra ricalcare fedelmente l'originale, prima di prendere derive black. La seconda è "Sons of Moon and Fire" dei blacksters Der Gerwelt, di cui potevamo francamente fare a meno. Quello che mi perplime semmai e su cui lavorerei con maggiore alacrità, è la performance a livello vocale di Denis con quel suo screaming alquanto imbarazzante che mal si adatta ad un sound a tratti davvero raffinato. Insomma buona prova per i Die Entweihung, che se affinate un po' di più le armi, hanno tutte le doti per fare il salto di qualità. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2021)
Voto: 69

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/kings-pawns

Cyanide Grenade - Kind of Virus

#PER CHI AMA: Thrash Old School, Venom, Destruction
La scena thrash metal russa sembra essere improvvisamente in grande fermento, merito dell'etichetta Wings of Destruction che abbiamo avuto modo di apprezzare con innumerevoli uscite nell'ultimo periodo. La band di quest'oggi arriva da Yekaterinburg, si chiamano Cyanide Grenade e il qui presente 'Kind of Virus' rappresenta il secondo lavoro del terzetto dall'anno della loro fondazione, nel 2013. Dieci pezzi, inclusa una intro che ci accompagna a "Death in Anabiosis" la quale ci permette di far conoscenza della proposta musicale dei nostri, il cui sound ci permette un salto indietro nel tempo di oltre tre decadi. Si perchè il sound tipicamente old school della band chiama in causa vecchi classici che andavano di moda negli anni '80 quando il thrash si diffondenva a macchia d'olio a livello globale. Si partiva dagli States e da quella Bay Area in cui hanno visto svilupparsi band del calibro di Metallica, Exodus o Megadeth, o in contemporanea dalle parti di New York Anthrax e Over Kill sbocciavano con il loro sound. Per non dimenticare poi che nella piccola Newcastle upon Tyne in Inghilterra si formavano i Venom. Perchè tutti questi nomi? Semplice, sono solo alcune delle band a cui, in un modo o nell'altro, i Cyanide Grenade hanno pagato dazio nella stesura di questo disco. L'album irrompe infatti con quel sound thrash/punk che evoca gli esordi di James Hetfield e compagnia ma anche di Scott Ian e soci, senza dimenticare quell'aura maligna del duo Cronos/Mantas che avvolge l'intera release. Nella seconda "Birth of Hell" non nascondo ci abbia sentito un che dei primi Death nelle note corrosive della linea ritmica, qui un filo più articolata, complice un death mid-tempo. In chiusura poi quell'assolo allucinato ammetto mi abbia ricordato Bobby Gustafson, ascia impazzita dei primi Over Kill. Insomma, questo per dire che gli amanti di sonorità di questo tipo potrebbero anche versare una lacrima di nostalgia ascoltando 'Kind of Virus', visto che la super retrò "Salvation Denied", nel suo riffing lineare potrebbe evocare anche 'Killing is My Business...', con la più classica delle cavalcate dove le chitarre si muovono a cavallo tra thrash e speed metal, suoni che hanno cambiato la mia vita in quegli anni. E poi via giù di assoli super tirati che ci fanno ululare come matti. "Judgment Day" ha echi dei primi Testament, con la voce un po' disgraziata del frontman russo che potrebbe richiamare quella del buon vecchio Chuck Billy. Francamente, non mi vorrei dilungare oltre per dirvi che quello che ho fra le mani è un compendio del thrash metal anni '80, che ha ancora modo di citare il sound teutonico del trittico delle meraviglie formato da Kreator, Destruction e Sodom. Vi serve sapere altro? Non direi, se siete fan di tutte queste band, in 'Kind of Virus' troverete pane per i vostri denti necessari a organizzarvi la gita fuori porta che vi riporterà agli albori della storia. Ah, ovviamente il tutto senza un briciolo di originalità, ma questo era quanto meno scontato. (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction/Global Thrash Attack - 2020)
Voto: 65

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/kind-of-virus-2

The Flop - Underground Slaves

#PER CHI AMA: Punk Rock/Post Grunge
Mi sa tanto che la label Wings of Destruction non si sia sbagliata e mi abbia anzi di proposito inviato tutte le proprie release dalla notte dei tempi a oggi. Si perchè quello che ho fra le mani è un lavoro del 2012, anche se riproposto nel 2020 dalla stessa etichetta russa. Sto parlando dei The Flop, un nome un programma, che ci propongono nove tracce di garage punk rock. Non certo il mio genere preferito, però nel corso della mia lunga carriera di scribacchino, album del genere ne ho masticati diversi. E allora sapete già fondamentalmente a cosa andiamo incontro. Brevi e scanzonati pezzi, attitudine simil Sex Pistols, però il tutto rapportato ai giorni nostri. Almeno questo è quanto mi dice "Go Home", traccia in apertura di 'Underground Slaves'. La seconda "Black Sheep" è infatti già diversa, ossia la ritmica è più lenta e mortifera, esiste forse una forma di punk doom? Si perchè qui c'è un po' meno da divertirsi, essendo un pezzo più decadente e maledettamente alcolico, quasi i nostri siano in preda ad un delirium tremens bello pesante. E "White & Sticky", iniziando con un giro di chitarra stile System of a Down, si incunea in un sound malinconico, una sorta di post grunge di (primi) Nirvana memoria, imbevuto di una dose non indifferente di alcolici e sostanze psicotrope, per un cocktail servito a sole anime disperate. Anche "The USA" sembra uscito da un disco dei Nirvana, con la voce del frontman qui un po' meno tormentata. Inoltre la song è più controllata, fatta eccezione per la parte di coro. Più ostica da digerire "Hello My Dear", dissonante e con un assolo flebilmente accennato in chiusura. Con "Fucking Children" si torna al punk della traccia d'apertura, anche se questa volta non sembra gioioso come nell'opener. Più cantilenante "Own Priest" ma con un riffing più lineare e pesante. "Alice" è un pezzo semplice con la voce accompagnata dalla sola chitarra acustica. Mentre la conclusiva "The Toilet" beh, darebbe adito ad una battuta scontata stile Fantozzi, ma in realtà è l'ultimo pezzo punk oscurissimo e malato di questo 'Underground Slaves', un album non proprio indispensabile nella collezione di tutti ma per chi ama il genere, perchè non dargli una possibilità? (Francesco Scarci)

(Wings of Destruction - 2012/2020)
Voto: 63

https://wingsofdestruction.bandcamp.com/album/underground-slaves

venerdì 15 gennaio 2021

Iron Flesh - Summon the Putrid

#PER CHI AMA: Death/Doom, Autopsy, Dismember
Da Bordeaux ecco arrivare gli Iron Flesh con il loro secondo album 'Summon the Putrid', rilasciato dalla Great Dane Records in un elegante digipack. La proposta della putrescente one man band transalpina, come avevamo già avuto modo di osservare in occasione del debut 'Forged Faith Bleeding', è un death metal che chiama inevitabilmente in causa i primissimi Carcass, gli Entombed e gli Autopsy e quindi quel famigerato death sound che andava parecchio di moda nei primi anni '90 e che ha visto mirabolanti release vedere la luce in quegli anni. Con queste premesse facciamoci investire dal tornado della opening track, "Servants of Oblivion", un brano che mette in luce le potenzialità di devastazione della band ma anche una capacità di districarsi in assoli dal forte sapore heavy classico. Questo quindi il punto di forza di Julien Helwin e dei suoi compagni a supporto, ossia annichilirci con ritmiche invasate, vocals al vetriolo e graffi di chitarra davvero efficaci, sia in fatto di affilatezza che di melodia. Il tutto è confermato anche dalla successiva "Relinquished Flesh", tiratissima, ma dai contorni grooveggianti. La prima deviazione al tema si ha con la doomeggiante "Demonic Enn", mega ritmata e dotata di un refrain della seconda chitarra alquanto melodico che ne stempera quella sua plumbea cupezza intrinseca. Sembra quasi di ascoltare un altro gruppo rispetto alle prime due tracce, che erano invece cosi brevi e lineari, un vero pugno nello stomaco, mentre la terza si presenta più lunga e oscura. Con "Purify Through Blasphemy" spazio ad aperture scuola Edge of Sanity, periodo 'The Spectral Sorrows', dove la melodia era parte abbastanza consistente nel sound di Dan Swano e soci, con un altro assolo qui davvero apprezzabile. In "Cursed Beyond Death" ecco un'altra piccola novità, le spoken words che affiancano il growling, in un pezzo comunque compassato, che ammicca agli Asphyx ma che non vede ahimè particolari accelerazioni o sussulti di sorta. "Death and the Reaper's Scythe" è l'episodio più lungo del disco con ben otto minuti di sonorità ben calibrate, cosi tanto calibrate che alla fine vengono a noia. Molto meglio "Incursion of Evil" che, pur non offrendo nulla di nuovo, ci riconsegna la band laddove sembra rendere al meglio, ossia con le classiche energiche sgaloppate death old school ed un assolo sempre efficace seppur di breve durata. "Thy Power Infinite" è un altro schiaffo in faccia come incipit, poi ancora ammiccamenti agli Edge of Sanity nelle parti più melodiche e infine una cavalcata furente di death metal che trova il suo apice nel funambolico assolo conclusivo. L'ultimo pezzo è "Convicted Faith" e tutto il suo carico doom che non mi convince ancora granchè, preferendo la band su pezzi più tirati e melodici. Alla fine 'Summon the Putrid' non fa che confermare le buone sensazioni che avevo avuto in occasione del debut album, sottolineando tuttavia che quello fra le mani è un disco che non mostra alcun segno di originalità rispetto alle influenze canoniche della band. Buona tecnica, ottimi suoni, ma le idee affondano ancora nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

giovedì 14 gennaio 2021

Blood Pollution - Raw Sovereignity

#PER CHI AMA: Thrash Metal, Motorhead
Non ho ben capito come mai la Wings of Destruction mi abbia riproposto un album del 2015, quando la band in questione ha peraltro già fatto uscire un nuovo lavoro. Detto questo, loro sono i russi Blood Pollution e l'album è 'Raw Sovereignity', uscito ormai sei anni fa. Una mezz'ora abbondante di suoni thrash'n roll per la band moscovita. Brani scanzonati, veloci, divertenti per una serata all'insegna di birra, wurster e crauti in compagnia degli amici, a partire dall'iniziale "Runaway" per poi proseguire attraverso pezzi più o meno interessanti, fino alla conclusiva "Tribes of Doom". Sapete per atteggiamento e proposta musicale chi mi hanno ricordato questi tre pazzoidi? Un ipotetico ibrido tra Motorhead, Tankard e primissimi Over Kill. Pezzi belli tirati, vocals impastate, chorus ruffiani e tanta spensieratezza. Brevi schegge impazzite come la seconda "Greetings From Nowhere", due minuti e mezzo di mosh indiavolato, tra schitarrate selvagge e una parvenza di assoli. Non grandi cose, ma tanta genuinità che forse andavano di moda 35 anni fa. Però che volete farci, il disco ce l'abbiamo fra le mani oggi, divertiamoci perlomeno. Ascoltare "Rocket Erection" è stato un tuffo nel passato quasi ad assaporare i primissimi vagiti dei Megadeth, con la voce del frontman a emulare l'esimio Dave Mustaine dei vecchissimi tempi. E poi ancora tonnellate di riffoni come non se ne ascoltava da anni con i miei pezzi preferiti identificati nella campanellosa "Monster Trucks Gone Wild", l'hard rockeggiante "Into the Abyss" e la conclusiva "Tribes of Doom", la traccia più lunga e strutturata del lotto, che mette in pista un po' tutte le influenze dall'heavy al punk passando attraverso il thrash concepito dal terzetto russo. Niente di serio, a parte puro rock'n roll. (Francesco Scarci)

La Città Dolente - Sales People

#PER CHI AMA: Mathcore/Sludge/Hardcore, Converge
Esordio in pompa magna per La Città Dolente, che si presenta con un full length dinamitardo, dopo il primo EP del 2018 dal titolo 'Opportunist'. La band, d'istanza a Milano, composta da quattro elementi di cui tre che provenienti da altre realtà come Pescara, Londra e Roma, si espone con un sound ben calibrato, potente e dai toni naturali. Un combo assai affiatato che, al cospetto dell'universo mathcore, ci propone una manciata di brani ben assemblati e di sicuro impatto. Si gioca in casa di band storiche tra Botch, Converge e Coalesce anche se qualche ruvida sfumatura old school alla 'End of Days' dei Discharge, li fa sembrare più originali e meno omologati. Mi piace la loro ricetta sonora, perchè non è né troppo patinata, né troppo tecnica o troppo diretta, perfettamente sobria, equa, ruvida e riflessiva al tempo stesso, snodandosi in una commistione sonora in equilibrio tra i vari maestri del genere, senza pendere direttamente dalle loro note, evitando cosi il facile rischio di plagio. I nostri con 'Sales People' riescono cosi a ritagliarsi una dinamica personale che dopo pochi ascolti risulta di buon gradimento e di grande effetto, accompagnata da un'ugola potente e qualificata, che ne esalta la forza d'urto e ne caratterizza le composizioni, suonate in modo più che eccellente, calde, emozionali, che difficilmente soffrono di una ripetizione creativa. Quello che sta dentro alle canzoni, l'alienazione urbana descritta nei testi è un punto in più, anche se mi sarebbe piaciuto sentirle cantate in lingua madre (apprezzabile infatti il moniker della band), scelta che avrebbe ampliato la comprensione dei concetti al popolo italico amante della musica estrema. Comunque, brani come "Corrupt" e "Profiteering", risalgono la corrente e si posizionano ai vertici della mia personale classifica di gradimento, senza nulla togliere all'intero cofanetto, che è prodotto e confezionato egregiamente, compreso il bel lavoro svolto per l'artwork di copertina. Un bel disco dal sapore internazionale che ha i numeri per farsi notare anche extra confini nazionali, teso, rumoroso, carico di risentimenti e che sapientemente usa innesti sludge e metalcore, per creare chiaroscuri e ritmiche più contorte, interessanti e variegate. Mi è piaciuto anche scoprire, leggendo un'intervista rilasciata sul web, che la band ha come fonte d'ispirazione formazioni interessanti come Infall e Anna Sage, provenienti dall'underground tricolore e francese (dove la scena transalpina ha peraltro band interessanti), tenendo un profilo basso senza sparare nomi esaltanti e troppo costruiti. Questo modo di porsi, a mio avviso, rende La Città Dolente ancora più vicina alla realtà di una scena italiana che ha bisogno di essere riportata ai fasti e all'originalità genuina di un tempo. In conclusione 'Sales People' è un album da prendere seriamente in considerazione, un disco interessante, di qualità, che non deluderà gli ascoltatori, nemmeno quelli più esigenti. (Bob Stoner)

(Toten Schwan Records/Fresh Outbreak Records/Hidden Beauty Records/Mother Ship/Shove Records/Violence in the Veins - 2020)
Voto: 75

https://totenschwan.bandcamp.com/album/tsr-120-sales-people

lunedì 11 gennaio 2021

Spectrale - Arcanes

#PER CHI AMA: Ambient/Neofolk
Fluttua gorgogliando, agitandosi lento il primo pezzo degli Spectrale di questo secondo lavoro intitolato 'Arcanes'. “ Overture”: vortici dalla forza centrifuga alimentano acuti inviolati. L’apertura senza colpo di scena non sarebbe degna. Eccoci a “Le Soleil” brano da cui è stato estratto uno splendido video. Cavalcano i suoni le valchirie di Odino con i tocchi acustici del maestro Jeff Grimal. Scompongono i suoni le ancelle di Zeus. Le baccanti danzano sinuose dinanzi al fuoco di Bacco. Capite che in questo corpo di emozioni potreste essere chiunque, senza scordare che la malia del suono vi può portare da Medea. Dagli dei ad un talamo di veli di lino mossi dal vento dell’est. “L’Impératrice”. Un arpeggio di chitarra ed il violoncello di Raphaël Verguin ci portano ad un loop scomposto, poi a singole note pizzicate, ed ancora all’emozione, perché questa song si congeda con un climax ascendente di suoni emotivamente sanguigni. Quest'album è un salto continuo tra continenti. Ora la foresta Amazzonica ci ospita nell’ascolto di “Le Jugement”. I tronchi sentono i suoni, rimbalzandoli di volta in volta per rendere giustizia ai pensieri degli Spectrale che sembrano riflettere qui, alimentando l’attesa del prossimo brano. Non si fa attendere “Le Pendu”. Musica e poesia. Ripetuti e Rabbia. Carezze e diamante. Un vetro scolpito. Una soglia che cela. Un manto invisibile che vorrebbe cadere. Lasciamo l’atmosfera per una colonna sonora al cardiopalmo. “Interlude”. E vi ho detto troppo. Cambia ancora la veste trasformista degli Spectrale. Eccoci a “La Justice”. Ebbene siete innocenti? O siete colpevoli? Questo brano, col suo ritmo vibrante, vi porterà alla soluzione catatonica delle vostre incertezze. Aspettate che debbo vestirmi appositamente per questa “Le Bateleur”. Senza forma non potremmo assorbire la sostanza invisibile di questo grido femminile che vede il sublime featuring di Laure Le Prunenec (Igorrr, Corpo-Mente, Öxxö Xööx, Rïcïnn) dietro al microfono. Noi sulle rive della Senna. Lei sulle vette piu alte di una città. Noi predati dal suono. Lei suono. Ed è come avessimo vissuto un istante in mille anni. Sempre sul suono strumentale. Sempre sul ghiaccio sciolto dall’armonia. Sempre chiara, lontana e nostalgica è “La Lune”, un pezzo oscuro quanto una notte di luna nuova. Gli Spectrale chiudono con “La Papesse” il loro album. Un labirinto di speranza ed attesa. Una caccia ed una preda. Una evoluzione sonora che può ravvivare il nostro ascolto o portarci in un ghiaccio che solo noi potremo sciogliere. Immaginoso. Folgorante. Enigmatico. In questo lavoro degli Spectrale, ascoltate e scrivete. Avrete sorprese in musica.(Silvia Comencini)

(LADLO Productions - 2020)
Voto: 75


https://ladlo.bandcamp.com/album/arcanes