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venerdì 15 gennaio 2021

Iron Flesh - Summon the Putrid

#PER CHI AMA: Death/Doom, Autopsy, Dismember
Da Bordeaux ecco arrivare gli Iron Flesh con il loro secondo album 'Summon the Putrid', rilasciato dalla Great Dane Records in un elegante digipack. La proposta della putrescente one man band transalpina, come avevamo già avuto modo di osservare in occasione del debut 'Forged Faith Bleeding', è un death metal che chiama inevitabilmente in causa i primissimi Carcass, gli Entombed e gli Autopsy e quindi quel famigerato death sound che andava parecchio di moda nei primi anni '90 e che ha visto mirabolanti release vedere la luce in quegli anni. Con queste premesse facciamoci investire dal tornado della opening track, "Servants of Oblivion", un brano che mette in luce le potenzialità di devastazione della band ma anche una capacità di districarsi in assoli dal forte sapore heavy classico. Questo quindi il punto di forza di Julien Helwin e dei suoi compagni a supporto, ossia annichilirci con ritmiche invasate, vocals al vetriolo e graffi di chitarra davvero efficaci, sia in fatto di affilatezza che di melodia. Il tutto è confermato anche dalla successiva "Relinquished Flesh", tiratissima, ma dai contorni grooveggianti. La prima deviazione al tema si ha con la doomeggiante "Demonic Enn", mega ritmata e dotata di un refrain della seconda chitarra alquanto melodico che ne stempera quella sua plumbea cupezza intrinseca. Sembra quasi di ascoltare un altro gruppo rispetto alle prime due tracce, che erano invece cosi brevi e lineari, un vero pugno nello stomaco, mentre la terza si presenta più lunga e oscura. Con "Purify Through Blasphemy" spazio ad aperture scuola Edge of Sanity, periodo 'The Spectral Sorrows', dove la melodia era parte abbastanza consistente nel sound di Dan Swano e soci, con un altro assolo qui davvero apprezzabile. In "Cursed Beyond Death" ecco un'altra piccola novità, le spoken words che affiancano il growling, in un pezzo comunque compassato, che ammicca agli Asphyx ma che non vede ahimè particolari accelerazioni o sussulti di sorta. "Death and the Reaper's Scythe" è l'episodio più lungo del disco con ben otto minuti di sonorità ben calibrate, cosi tanto calibrate che alla fine vengono a noia. Molto meglio "Incursion of Evil" che, pur non offrendo nulla di nuovo, ci riconsegna la band laddove sembra rendere al meglio, ossia con le classiche energiche sgaloppate death old school ed un assolo sempre efficace seppur di breve durata. "Thy Power Infinite" è un altro schiaffo in faccia come incipit, poi ancora ammiccamenti agli Edge of Sanity nelle parti più melodiche e infine una cavalcata furente di death metal che trova il suo apice nel funambolico assolo conclusivo. L'ultimo pezzo è "Convicted Faith" e tutto il suo carico doom che non mi convince ancora granchè, preferendo la band su pezzi più tirati e melodici. Alla fine 'Summon the Putrid' non fa che confermare le buone sensazioni che avevo avuto in occasione del debut album, sottolineando tuttavia che quello fra le mani è un disco che non mostra alcun segno di originalità rispetto alle influenze canoniche della band. Buona tecnica, ottimi suoni, ma le idee affondano ancora nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

lunedì 20 maggio 2019

Iron Flesh - Forged Faith Bleeding

#PER CHI AMA: Death Old School, primi Entombed, At the Gates
Diavolo, la Epictural Prod. mi ha da sempre abituato a release sinfonico/medievali, non potete pertanto immaginare quanto io abbia strabuzzato gli occhi quando il death purulento dei francesi Iron Flesh sia esploso nel mio stereo. La band di Bordeaux esordisce cosi con questo 'Forged Faith Bleeding', dopo un paio di EP rilasciati nel biennio 2017-18. La prima cosa che ho pensato ascoltando l'opener "Invade, Conquer & Dominate" è stato "cazzo i vecchi Entombed sono tornati", visto che si tratta di una scheggia impazzita di death old school di scandinava memoria con tanto di saliscendi ritmici, sassate solistiche e il classico cavernoso growl. Con "Malignant Kingdom" rimescoliamo, almeno inizialmente, le carte, con un sound decisamente più lento e malvagio, anche se poi il finale si lancia a tutta velocità come un camion contro una folla di persone, con arrembanti riff di chitarra. Il che prosegue selvaggiamente anche in "Ripping the Sacral", un'altra breve mazzata nei denti inferiore ai tre minuti, in una sorta di rivisitazione anche del vecchio e immortale 'Reign in Blood'. I nostri amici francesi non hanno però tempo da perdere, e nella successiva "Harbinger of Desolation" ecco un altro colpo di scena con un asfissiante rallentamento che ci conduce nelle viscere dell'Inferno con tanto di death doom abissale. Un caso isolato a quanto pare, visto che con "Celestial Disciple's Incarnation" si torna a correre come i vari Grave, Dismember e At the Gates erano soliti fare nei primi anni '90. Tanta ferocia, sfuriate brutali, vocalizzi efferati, ma anche una discreta dose di melodia che stempera le intemperanze messe in scena dal quartetto transalpino. Per quanto riguarda il resto del disco, non ci si discosta troppo da quanto proposto sin qui, quindi un death metal di scuola svedese, ben armonizzato, che non disdegna precetti doom ("Stench of Morbid Perversion" e la conclusiva "Where Universes Collide" dal forte sapore "katatonico") o sgaloppate di matrice punk hardcore dai contenuti comunque assai melodici ("To the Land of Darkness & Deep Shadow"), per un lavoro alla fine realmente indicato ai veri nostalgici del genere. Per gli altri, direi di andarvi a recuperare gli originali delle band qui menzionate. (Francesco Scarci)