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lunedì 20 febbraio 2017

Houstones - S/t

#PER CHI AMA: Post Grunge/Alternative Rock
'Houstones' inizia con il frammento di una telefonata che potrebbe essere una comunicazione da oltreoceano, fosse il prefisso di Seattle non ci meraviglieremmo. L’attacco del primo brano, "Smile", dall’omonimo disco degli Houstones, suona proprio come quelle band che fecero irruzione nella scena musicale a partire dai primi anni novanta: chitarra-basso-batteria ad accompagnare testi cantati con piglio rabbioso. Gli Houstones sono un trio italo-svizzero che suona come una band americana degli anni novanta. Che lo sappiano fare anche bene lo si capisce subito e nel secondo brano, "7 Seconds to 8", i semi del grunge germogliano in una canzone che potrebbe essere davvero stata scritta da qualche gruppo della costa nord-ovest degli States. L’urgenza e la rabbia del disco sono caricate nelle prime tre canzoni e servono sicuramente a scuotere l’ascoltatore per portarlo in territori più meditativi a partire dal quarto pezzo, intitolato "Popular Star (A Popstar is A)" per proseguire con "Monster", introdotto da interferenze elettriche che aprono gli spazi a chitarre slide. La sesta traccia, "Room" parte lenta, appoggiandosi ad un riff di chitarra suonata con l’effetto phaser, crescendo poi nella sua esecuzione carica di rabbia e noise. Se ci fermassimo dopo l’ascolto dei primi sei pezzi, l’ironica dicitura “Best Before 1999” riportata all’interno del digipack, sarebbe pienamente rispettata. Il disco invece prosegue e nelle ultime due tracce, le coordinate musicali cambiano decisamente, con il risultato di spiazzare i puristi del genere alternative-grunge-stoner. L’intro di "Apode" rivela un certo mood orchestrale mentre la conclusiva "Coming to Save the World as Bill Murray Does" è un bel brano dal piglio cantautorale accompagnato da un sax. Sarà interessante scoprire se questi sono elementi di novità nel percorso musicale della band oppure esperimenti più simili a delle outtake. (Massimiliano Paganini)

(DreaminGorilla Rec/Old Bicycle Rec - 2016)
Voto: 70

https://houstones.bandcamp.com/album/houstones

domenica 19 febbraio 2017

Chanvre - Valkyrie Mécanique

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'underground, questo sconosciuto e un imprevedibile mondo sonoro che nasconde sorprese buone e cattive in costante evoluzione. Avreste dovuto vedere la mia faccia quando mi è arrivato questo cd tra le mani, quel senso strano che mi impediva di concepirlo, di farmi un'idea prima di ascoltarlo; la figura nera in copertina raffinata ed oscura contrastava troppo con lo sfondo bianco per ricondurlo ad un genere gothic, metal o altro. Mancava anche il tocco sintetico nei titoli per ricondurlo all'EBM. Il titolo epico e modernista mi ha incuriosito fin da subito, quindi, messo il cd nel lettore, mi sono trovato di fronte un album colmo di influenze alternative rock in modalità transalpina. Rinverdire in chiave attuale le intuizioni che sono state il cavallo di battaglia degli indimenticabili Noir Désir non è certo un punto di originalità, ma dopo un paio di ascolti si può notare che i Chanvre sono da considerare i veri e legittimi nipoti della band di Bertrand Cantat, e tanto di cappello verso un album ben fatto. Il cantato interamente in lingua madre ricorda Cantat per forza di cose ma è stupendo rilevarne lo spettro che in "Le Mothership" è presente più che mai, con lo stesso affiatamento polemico, il verso drammatico e il predicare ammaliante. Musicalmente ci avviciniamo a '666.667 Club' degli stessi Noir Désir ma con una verve più sbarazzina in alcuni frammenti e continui innesti strani, come l'ottimo ritornello di deriva niente meno che dai Pixies della conclusiva "Sour Krypt". Il mini album autoprodotto in maniera ottimale si divide in cinque brani per un totale di uno striminzito quarto d'ora di musica che però mostra molte buone credenziali e idee, dal rumoroso e sospeso post grunge transalpino di "Dètritus Town" che apre le danze dopo l'intro sognante di "Chaconne d'Inertia", si passa al pop obliquo del brano "Mechanical Walkyroìd", sbilenco e malato di curiosa veste da chansonnier vecchio stile, mescolato ad una ritmica memore del "Mr Brightside" dei The Killers e chitarre rumorose e nervose a ricordare i mitici Girls Against Boys e in parte i recenti Muse. Dunque un quarto d'ora di puro rock alternativo con propensione verso gli anni novanta e mi piace sottolineare transalpino perché solo in questo paese s'intende il rock in questa maniera, potrà non piacere e non scalerà le classifiche ma a chi saprà apprezzarlo farà molto piacere avvicinarsi a questo album. (Bob Stoner)

sabato 18 febbraio 2017

Hypocras - Implosive

#PER CHI AMA: Death/Folk
Dopo aver recensito tonnellate di band provenienti da Basilea, finalmente scopriamo che qualcosa si muove anche nel canton Ginevra. Ecco da dove arrivano gli Hypocras, band esistente addirittura dal 2005, ma che in 12 anni ha rilasciato solo un full length e due EP, tra cui quest'ultimo 'Implosive'. Il sound del quintetto elvetico più che implosivo direi che è a dir poco esplosivo, già grazie all'opener "Implosive Absolution", una traccia thrashettona che nei suoi primi secondi lascia comunque intravedere le potenzialità del combo ginevrino e anche le sue peculiarità. Ecco palesarsi infatti il delicato suono di un flauto che prova a muoversi tra le maglie di un minaccioso death che fa delle ritmiche galoppanti il proprio punto di forza. La song non tarda però ad imboccare un percorso che miscela un death melodico col folk. "At the Edge" prosegue su questo binario con tre minuti di growling vocals, riff sincopati e la soave melodia del flauto ancora a guidare, in modo quasi più preponderante, gli altri strumenti. Notevole l'assolo a metà brano, di matrice classica. "A Song for Them" è una cover estratta dall'album del 2010 'Ichi Ten Dai (Eat Shit and Die)' dei progressive svizzeri Djizoes, qui riletta dagli Hypocras con la loro stessa ricetta affidata a ritmiche pesanti, dinamiche e ricche di groove, con ovviamente l'apporto dell'onnipresente flauto, in una traccia dal dinamitardo finale. Con l'ultima "At The Edge (Fucked Up Ibiza Vikings Remix by BAK XIII)" si scivola in una manciata di deliranti minuti di follia con la riproposizione della seconda song rivista in chiave industrial, stile Rammstein, mantenendo comunque il supporto del flauto, qui più in secondo piano, perché surclassato da un contesto disco dance. Lavoro pregevole questo 'Implosive', che fungerà speriamo da antipasto per un nuovo lp nel 2017. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 70

Ur - Hail Death

#PER CHI AMA: Black/Heavy, Darkthrone, Iron Maiden, Primordial
Ur fu un'antica città sumera nominata più volte nel Libro della Genesi come il luogo di nascita del patriarca Abramo. Oggi Ur identifica anche una band polacca fautrice di un black metal che per certi versi, riesce a mostrare segni di originalità. 'Hail Death' è il loro EP di debutto, rilasciato dalla Arachnophobia Records. Le danze vengono aperte da "A Dying Star", un breve pezzo mid tempo, dall'incedere asfissiante, corredato da vocals prettamente pulite e qualche vocalizzo più arcigno. Con "The Tongue of Fire" ecco che il black si contamina di thrash ed heavy metal: mantiene del genere estremo la ferocia delle vocals, del thrash la cavalcata delle chitarre e dell'heavy alcune aperture più classicheggianti delle sei corde. Con "Let the Darkness Come", la musica diviene addirittura più selvaggia ed arrembante, quasi un grind black, che viaggia a corrente alternata, tra saliscendi ritmici da pura emicrania. Poi quando le chitarre si aprono, la sensazione è quella di ascoltare gli Iron Maiden, prima che il vortice tumultuoso dei nostri, rientri in possesso di una malvagia esplosività primitiva con tanto di blast beat lanciati oltre la velocità del suono. "Total Inertia" attacca con un incedere, cosi come vorrebbe il titolo, lento e accidioso, un altro mid-tempo nebuloso che si stacca dal black per le sue ritmiche e per degli epici vocalizzi che sembrano arrivare da Alan Nemtheanga dei Primordial. "Only Bones Stay Here" è praticamente incollata alla song precedente e nella sua veste thrash black sembra voler emulare i Darkthrone. Si arriva alla conclusiva "Infinity": un bel riffing apre la traccia accompagnato da un basso quasi slappato di "overkilliana" memoria (merito anche di un'eccellente produzione che esalta ogni singolo strumento) per poi proseguire su di un pattern ritmico di derivazione punk, che tradisce ancora una volta l'amore della band polacca per sonorità old fashion. Niente male come debutto, se poi considerate che la veste grafica del digipack è davvero buona e il cd trasparente è a dir poco meraviglioso, potete capire perché spendere ottime parole per questo nuovo combo polacco. (Francesco Scarci)

(Arachnophobia Records - 2016)
Voto: 75

giovedì 16 febbraio 2017

Phoenix Mourning - When Excuses Become Antiques


BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Emo, Trivium
C'è stato un periodo, a metà anni duemila, in cui ogni giorno la mia casa era invasa dal suono metalcore di una qualche band statunitense ed è ancora la Metal Blade, che oramai era diventata specialista in questo genere, a deliziare le mie orecchie con l'ennesima new sensation dagli USA. Chi mi conosce e si aspetta l’ennesima stroncatura in quest’ambito, dovrà ricredersi perché a me i Phoenix Mourning non dispiacciono. Non inventano nulla di nuovo per carità, però ho come la sensazione che ciò che suonano sia fatto col cuore. La band a stelle e strisce proveniente dalla Florida, prodotta da Tom Morris (Iced Earth, Obituary), ci spara 13 tracce di metalcore moderno che sconfina nell’emo, fatto di riff metal su quali s’innestano graffianti voci death e pop (si avete letto bene) clean vocals, accompagnati da fughe in territori hardcore e da ruffiane melodie emo. Il limite di questo genere è che forse dopo pochi ascolti si esaurisce il desiderio di rimettere il cd nello stereo o che molte volte non si riesce ad arrivare alla fine del disco perché le canzoni finiscono per assomigliarsi un po’ tutte. Ad ogni modo, per chi ama questo genere di sonorità, l’ascolto è come minimo consigliato, tanto per avere qualcosa di nuovo da fischiettare sotto la doccia. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2006)
Voto: 65

https://www.facebook.com/PhoenixMourningFL/

The Classic Struggle - Feel Like Hell

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash/Metalcore
La Metal Blade non è sempre stata un'etichetta brillante, negli anni 2000 è stata spesso sinonimo di death/metalcore, e talvolta non proprio di qualità. The Classic Struggle è una di quelle band che nel 2005 (e successivamente nel 2008, prima che si perdessero un po' per strada) ha pensato bene di provare a perforarci i timpani con la loro “originalissima“ miscela di death/thrash per cui subito mi viene da pensare:“Che palle, un’altra band che suona uguale a mille altre!! Ce ne era forse bisogno?”. Si ragazzi, non c’è niente da fare, i gruppi non si sforzano minimamente di cambiare ricetta, si limitano a scopiazzare a destra e a manca ciò che andava e va per la maggiore. Quest'ennesima band che mi capita tra le grinfie non sarà ruffiana come tante altre, ma pescando a piene mani dal death svedese, miscelando il tutto con un sano metalcore americano, sforna l’ennesimo inutile disco. La ricetta di 'Feel Like Hell'? 12 brani, tirati, diretti, con chitarre taglienti, una pietosa batteria sincopata, una voce al vetriolo, qualche stop’n go, un paio di rallentamenti con feroci ripartite, sfuriate grind e la zuppa è pronta. Ma l’inventiva, l’originalità e la personalità dove sono andate a finire, perdute nei meandri più dispersi del pianeta? L'ennesimo disco clone che mi induce sempre più spesso a fare copia-incolla con recensioni precedenti. Alla fine i poveri The Classic Struggle magari non sarebbero neanche male, ma in un calderone di uscite mensili tutte identiche quanti si ricorderanno del loro “memorabile” disco? Noiosi. (Francesco Scarci)

(Metal Blade - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/TCSOfficial

Sudden Death - Unpure Burial

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Brutal Death, Obituary, Morbid Angel
Ricordate quali erano i gruppi che arrivavano da Tampa (Florida) oltre vent'anni fa? C’erano i Morbid Angel, i Deicide, i Monstrosity e tante altre valide band di death metal che fruttarono il nome di un genere solo per la loro posizione geografica, il “Floridian Death Metal”. Non era tutto oro ahimè quello che arrivava da quelle parti e in questo caso dobbiamo accontentarci dei Sudden Death, band dedita ad un sound vicino alle band succitate ma con potenzialità veramente ridotte rispetto ai mostri sacri. 'Unpure Burial', album ormai del 2004, raccoglie dieci song di un death canonico senza troppe velleità, senza troppi sussulti con qualche passaggio interessante, ma niente di più da segnalare. I ragazzi sono dei bravi strumentisti, su questo non si discute, ma di idee qui ce ne sono veramente poche: manca la cattiveria, la furia che contraddistingue un genere che ha fatto della violenza e della brutalità la propria bandiera. Il metal dei Sudden Death viaggia su mid-tempos, anche se ogni tanto i ragazzi si svegliano e pestano sull’acceleratore, senza però mai convincermi appieno; manca freschezza, energia e irruenza, tant'è che dopo tre brani mi ritrovo apatico e annoiato da un disco ha ben poco da dire. In “My Left Shoulder” influenze doom drone fanno capolino e così sembra che i nostri si siano calati un acido e suonino come i Black Sabbath; altrettanto accade in “Black Heart Soul” e nella conclusiva “Dethroned Disciple”, ultimo pezzo che mette la parola fine a quest’agonia. Proprio non riesco a digerirli, voi provate a dargli un ascolto, magari li potreste trovare anche interessanti. (Francesco Scarci)

(Locomotive Records - 2004)
Voto: 50

http://suddendeathpr.tripod.com/

martedì 14 febbraio 2017

Eufobia – S/t

#PER CHI AMA: Thrash/Death, Voivod, Nevermore
Gli Eufobia con la loro musica riescono ad elettrizzare qualsiasi cosa gli venga a tiro; hanno la dote speciale di saper scrivere brani potenti e corposi lasciando anche l'ascoltatore più scettico a bocca aperta. Nati a Sofia nel lontano 2003, e al loro terzo album completo (distribuito via Wizard LTD), dopo un buon disco come il precedente 'Cup of Mud' datato 2011, tante date e tour di spalla a band molto blasonate (Immolation, Onslaught...), centrano il bersaglio con un ordigno sonoro pronto ad esplodere nelle vostre orecchie. Risultano un po' come una felice anomalia nel panorama metal estremo odierno, poiché riescono a fondere in maniera convincente vecchie e nuove tendenze senza cadere nell'obsoleto e nella composizione scontata. La cosa che più colpisce nel nuovo disco è l'uso della voce, che si avvale poco del growl a vantaggio di un canto d'assalto, ruvido ma nitido, che ricorda molto i felici fasti dei Voivod epoca 'Phobos', cosa che li accosta ancor più al thrash d'annata rivisitato con un sound più moderno che rievoca i Gojira, tecnologico e melodico, stile Nevermore o i Machine Head dell'ultimo periodo. Comunque, 'Eufobia', è un album la cui caratteristica principale è la velocità: le canzoni rincorrono le tradizioni del metal estremo presentandosi con un impatto sonoro inaudito, tutto impostato sulla timbrica di una bellissima sezione ritmica e con chitarre mozzafiato che riescono a dare vitalità e inventiva a modelli musicali preimpostati. La voce e i cori che si spingono fino alla soglia dell'hardcore/punk vecchio stile, risultano di grande efficacia ("Liquid of Creation"), mentre la ricerca di evoluzione e la fuga verso le derive della sperimentazione e della creatività compositiva si esaltano in "Devotion", carica di suggestioni prog in salsa Static X, isterica e stravagante con un drumming supersonico. La band è difficile da inquadrare sin dal primo brano, le influenze sono molte e pure lo spettro dei Mastodon più complessi, appare sullo sfondo di "Fat Sack of Shit", un pezzo da devastazione ben calibrato. Bella la concentrazione d'atmosfere sci-fi e il sano carico di potenza (vedi "Unspoken") che sorvolano tutto il disco, senza dimenticare che i quattro musicisti bulgari danno mostra delle loro ottime capacità in tutti i brani, anche grazie ad una produzione accorta e di primo piano che rende la mezz'ora di musica contenuta nell'album davvero encomiabile. Un'opera d'arte, fresca e coinvolgente da ascoltare tutta d'un fiato. Una prestazione notevole della band per uno splendido album, vivace ed aggressivo, creato con tanta passione ed intelligenza per reinterpretare, contorcere, ed oserei dire, reinventare le sorti dell'extreme metal. Un album di metal pesante che non si regge solo sulla violenza sonora, sulla doppia cassa soffocante o ad una voce gutturale, un album che parla di nuovo death metal in maniera seria e credibile, saltando a piè pari tutte le possibili etichette del genere. Un lavoro evoluto, geniale e proiettato nel futuro che soddisferà le esigenze di tutti, anche quelle dei più intransigenti. Album stellare! (Bob Stoner)