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sabato 22 novembre 2014

Pineal - Smiling Cult

#PER CHI AMA: Post Metal/Alternative, Tool, Alice in Chains
La ghiandola pineale è responsabile della produzione della melatonina che regola il ritmo circadiano sonno-veglia. Secondo Cartesio, era il punto privilegiato dove mente (res cogitans) e corpo (res extensa) interagiscono, in quanto unica parte del cervello a non essere doppi. Adesso, la traduzione in inglese di quella ghiandola, è anche una band di Londra, che debutta con l'EP 'Smiling Cult', offrendo un 25 minuti di sonorità post-stoner, che tuttavia nella opening track, "Theta", richiamano addirittura i primi Alice in Chains, garantendo però un chitarrone maggiorato in fatto di profondità d'azione in combinazione con una voce assai vicina a quella di Layne Stayley. Il passo è lento e fumoso, degno di un grunge traviato e vizioso. Con "ADL" ci muoviamo nei pressi del Tool sound, con un fare assai cadenzato che, pur non avendo delle vere e proprie sferzate energiche, si rivela ipnotico e seducente, mentre la porzione ritmica va via via ingrossandosi nel finale. Le vibrazioni sonore aumentano con "Civil Obedience": se teneste il volume del vostro hi-fi un po' più alto, sono certo che tremerebbero anche i vostri muri di casa. Il mood alternative dei Pineal, pur essendo piuttosto derivativo, potrà conquistare anche chi fan di questo genere non lo è proprio. E cosi tra un disco death e un altro black, cerco rifugio nei suoni distorti e psichedelici della band inglese che in "Acerbic" (song da cui è stato estratto anche un video), sembra maggiormente orientarsi verso i lidi del post metal, mantenendo comunque un sound torbido e alternativo. Alla fine di "Somatic" invece vi sembrerà di esservi calati un bel cilum, complice il cantato sciamanico del frontman londinese e del riverbero a livello delle sei corde dei nostri. A chiudere il platter ci pensa "Tides", song che conferma le qualità dei Pineal ma anche il loro sconfinato amore nei confronti dei maestri Alice in Chains e Tool. Per ora la lezione è stata appresa al meglio, serve ora una maggiore dose di personalità per poter dire la propria in modo più convincente. (Francesco Scarci) 

(Self - 2014)
Voto: 70

Controversia - La Fine del Mio Spazio

#PER CHI AMA: Rock, Verdena, Marlene Kuntz 
I Controversia sono una giovane band del vicentino nata nel 2007, che dopo circa due anni ha debuttato con l'album dal titolo omonimo. In breve sono arrivati altri risultati, come il premio della critica al Vicenza Rock Contest 2013 e ora questo nuovo cd, nato grazie alla filosofia del crowdfunding. La band porta sulle spalle il sound e il mal di vita che ha caratterizzato grandi band italiane come Marlene Kuntz, Afterhours e Verdena. Quindi cercate di immaginare tre anime perdute che cercano redenzione trasmettendo ansia e rabbia ai loro strumenti. Le chitarre sono furiose e delicate allo stesso tempo, mentre la batteria scalcia peggio di un animale messo in trappola, ma che non si da per vinto. A questi si unisce il battito ossessivo e compulsivo del basso che chiude il cerchio strumentale intorno alla voce, matura e maschia, lontana anni luce dai vagiti collegiali che ormai infestano radio e mainstream. Le dieci tracce sono contenute in un packaging di cartoncino disegnato a mano con all'interno i testi e i ringraziamenti di rito. "Fare" è un ottimo brano, gran riff di chitarra che poteva beneficiare di un suono un po' più aggressivo, ma probabilmente avrebbe portato il genere verso altri orizzonti. Ritmica sempre all'altezza e mai banale, ben lontana dalla fuffa commerciale che si sente sempre più spesso alla radio. Una gran cavalcata rock con un testo interessante semplice e diretto, com'è giusto che sia. "Un Figlio" continua la vena impegnata dei Controversia, con un inizio lento e ipnotico, una ninna nanna da canticchiare ad un adulto che ha perso la strada e ha bisogno di addormentarsi per trovare la serenità perduta. Il cambio arriva verso i tre quarti del brano, dove gli strumenti diventano nevrotici, accelerano e portano l'ascoltatore in un turbinio emotivo. Nelle restanti canzoni si percepiscono molte cose, tra cui un'importante influenza del buon vecchio cantautorato italiano, tipo l'immortale Battisti. 'La Fine del Mio Spazio' è un contenitore di canzoni nate da una chitarra acustica malandata, chiusi in una stanza angusta o sulla panchina di una stazione di provincia, ma sempre con lo sguardo lontano verso tutto ciò che non si può ancora vedere, ma che è ben chiaro nei sogni e nelle speranze. Un gran bel disco, registrato e arrangiato con cura, alcuni dettagli stilistici potrebbero anche non piacere, ma poi, cos'è un album se non una rappresentazione di se stessi e quindi da amare od odiare. Dimenticavo, la potenza dei loro live è degna di nota, quindi cercate di vederne almeno uno, non si sa mai che aggiungiate un nuovo gruppo alla vostra lista dei preferiti. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 75 

Beak - Let Time Begin

#PER CHI AMA: Post-metal, Sludge, Isis, The Ocean
Ogni volta che ascolto un disco post-metal mi faccio la stessa domanda: ma il post-metal ha ancora qualcosa da dire? Se ce l’ha, i Beak potrebbero essere un interessante punto di vista. Di buono in questo primo full-lenght del quartetto di Chicago c’è molto. Anzitutto gli arrangiamenti estremamente personali: sentite lo sviluppo meraviglioso della lunghissima “Into The Light”, la curiosa apertura in maggiore nel refrain di “Light Outside”, o la deriva noise di “Carry A Fire”. C’è un innovativo pizzico di electro-rock (“The Breath Of Universe”) grazie ad un attento utilizzo dei synth. Non ci sono brani lunghissimi e inaffrontabili (tolti i 7 minuti della già citata “Into The Light”, la maggior parte dei pezzi gira intorno ai 4.30) che, in un’epoca di post-metal spesso autoreferenziale e ripetitivo, può essere un indice di qualità. C’è tutto quello che vi aspettereste da una band del genere: le atmosfere che cambiano, le chitarre che crescono e calano, gli arpeggi alla Opeth e le cavalcate alla Cult Of Luna, i break strumentali. C’è persino un packaging da antologia, curatissimo in ogni dettaglio. Purtroppo, il disco non è privo di difetti: il primo è la piattezza dello screaming di Chris Eichenseer. Le chitarre hanno un bel da fare a tenere alto il tono dei brani (con ottimi risultati), ma la voce risulta terribilmente noiosa già dalla seconda traccia in avanti. Il secondo grande difetto è una registrazione di qualità bassissima che, purtroppo, non rende giustizia al lavoro: immagino che la scelta sia stata intenzionale (non saprei spiegarla altrimenti), probabilmente per una certa affezione alla ruvidità della scena sludge. Ciononostante, il post-metal è un genere delicato che merita un’attenzione ai suoni non indifferente; una produzione potente, precisa e misurata che, in questo 'Let Time Begin', non c’è. Un disco che poteva essere (quasi) indimenticabile ma che, purtroppo, farete fatica a capire fino in fondo. (Stefano Torregrossa)

(SomeOddPilot - 2014)
Voto: 70

giovedì 20 novembre 2014

Torrens Conscientium - All Alone With My Thoughts

#PER CHI AMA: Death Doom
La scena doom si arricchisce di una nuova realtà, i Torrens Conscientium, trio formatosi nel 2009 a Sinferopoli, nella ahimé nota penisola della Crimea. L'etichetta è la Solitude Productions manco farlo apposta, e le parole che potrò spendere per questa release, non saranno certo differenti dalla miriade di band che affollano la scena, uscite per label russa. Sette tracce per oltre tre quarti d'ora di musica, che già dal titolo, la cui traduzione sta per "Tutto Solo con i Pensieri", non lascia presagire nulla di allegro. E cosi parafrasando il titolo della release, 'All Alone With My Thoughts', mi immergo nell'oscurità del mio studio, in cui solo la luce dello schermo del computer mi consente di identificare i tasti da schiacciare, e mi lascio trasportare dalla musica di questi nuovi arrivati, cercando di scacciare in realtà quei pensieri che avvolgono la mia mente. E il risultato, per quanto ci crediate o no, è davvero entusiasmante, perché i due Sergei e la bella Alina, che vanno a comporre la line-up della band, non sono gli ultimi pivelli arrivati. Lo dimostrano le buone capacità esecutive, ma soprattutto il pathos che emanano i loro pezzi, "The Black Fog" in testa, che mostra la sua seconda metà meditativa e decadente. "Immersion" è il classico pezzo cadenzato per cui se ne ascoltano a migliaia ogni giorno, anche se in questo caso le atmosfere risultano ben più orientate all'onirico che al funereo e dove si può apprezzare l'eccelso growling del vocalist e l'apprezzabile sezione (pseudo) solistica. Lo ribadisco, nulla di trascendentale, ma che si lascia ascoltare e apprezzare ben oltre alcune release di gruppi ben più blasonati. "A Evening Behind" è la song più tetra che avvicina maggiormente i nostri al funeral, mentre "Hitcher" si mostra più ringhiante a livello di ritmiche, anche se le tastiere ne smorzano l'irruenza, conferendo all'impianto sonoro una maggiore carica ambientale. Il disco prosegue su questa linea, con un altro pezzo, "Being Lonely" e l'outro "The Dawn", che non rappresentano proprio il ritratto della felicità, nemmeno a livello di titoli. 'All Alone With My Thoughts' è un lavoro che non aggiunge nulla di nuovo in fatto di originalità ad un genere che più volte negli ultimi tempi abbiamo definito stantio, tuttavia è un disco piacevole, che denota ancora qualche ingenuità in termini di songwriting, ma che comunque si lascia apprezzare per la sua inattesa accessibilità. Buon inizio. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 70

martedì 18 novembre 2014

Helevorn - Compassion Forlorn

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus, primi Anathema
Ci hanno impiegato ben oltre quattro anni i maiorchini Helevorn per sfornare un nuovo lavoro, ma d'altro canto avevano già speso un lustro per rilasciare il secondo album, 'Forthcoming Displeasures', recensito su queste stesse pagine. Quindici anni perché tre album vedessero la luce (la band nasce nel 1999), niente male no? Il risultato a questo punto non può che essere eccellente. E questo è sostanzialmente vero, perché 'Compassion Forlorn' è un signor disco di death doom che prosegue quanto già espresso nel precedente lp. Otto pezzi di suoni oscuri dotati anche di una certa vena gotica. L'album si apre con la deprimente "The Inner Crumble", song che cavalca l'onda dei suoni malinconici, ormai marchio di fabbrica della Solitude Productions e associate. Buonissime le linee di chitarra, cosi come pure il growling di Josep Brunet, che sapientemente lo alterna a un cleaning meditativo quando sono i tocchi di pianoforte a condurre i giochi. Nulla di nuovo per carità, ma si fa apprezzare. Con la successiva "Burden Me" si parte più sparati e un qualche eco degli Amorphis si percepisce in sottofondo, ma non solo, perché un occhiolino lo si strizza a destra agli Evereve e a manca, ai nostrani The Foreshadowing, anche se poi il brano scema un po' in intensità per ritornare a sprofondare nei meandri della desolazione. Derivativo penserete voi e non posso che confermare la cosa, soprattutto quando si scomodano anche gli Anathema di 'The Silent Enigma'. Quindi, prossima domanda, album da buttare? Nient'affatto! L'ho detto proprio all'inizio, 'Compassion Forlorn' è un signor album e per questo gli va assolutamente concessa la vostra fiducia. "Looters" è un pezzo che per linee di chitarra potrebbe stare benissimo su un qualsiasi disco dei Saturnus anche se Josep predilige il cantato pulito e al termine del brano si concede anche un narrato su una straziante melodia di pianoforte. La parabola ascendente della band spagnola prosegue con il pezzo forte del disco, "Unified", tra le song più trainanti del lotto (insieme a "Delusive Eyes"), in cui mi pare di percepire anche qualcosa degli ultimi Paradise Lost (che sarà ancora più evidente in "I Am to Blame" che si fa notare per un approccio più corale). Le cose girano bene e gli strumenti ben si incastrano tra loro sfoderando una prova, che col passare dei minuti, diviene sempre più convincente. Quello che ho notato tuttavia è che fintanto il quintetto iberico viaggi su ritmiche un po' più tirate, le cose vanno alla grande e il sound si conferma convincente. D'altro lato, con tempi più rallentati, la band torna ad essere "normale": "Reason Dies Last" ne è forse l'esempio più palese: belle chitarre, mood drammatico, ma forse la song più anonima dell'intero lavoro. Il disco si chiude con "Els Dies Tranquils", in cui Josep esordisce con un narrato in catalano e poi a salire in cattedra è Lisa Cuthbert, cantante, pianista e compositrice irlandese, la cui meravigliosa performance vocale (che richiama Tori Amos e Marie Brennan), arricchisce ulteriormente una prova già di per sé, molto buona. Ora non rimane che gustarci questo lavoro per i prossimi cinque, in attesa di una nuova release degli Helevorn. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music - 2014)
Voto: 75

sabato 15 novembre 2014

Thy Light - No Morrow Shall Dawn

#PER CHI AMA: Black/Post Rock, Agalloch
Ah il Brasile, le spiaggie di Rio, Copacabana e Ipanema, il sole, il mare, la foresta Amazzonica o la frenetica vita di San Paolo, città da cui arriva il duo di oggi. Che cosa attendersi quindi da una band che vive in una parte del mondo cosi piacevole e solare? Ovviamente del depressive black metal, non certo danze pauliste. I Thy Light esordiscono nel 2013 per la cinese Pest Production, con questo 'No Morrow Shall Dawn', album che giunge sei anni dopo il demo d'esordio, 'Suici.De.pression'. Il genere lo abbiamo già inquadrato, le tracce, se escludiamo l'intro e un breve intermezzo strumentale, sono solo tre per oltre quaranta minuti di musica. "Wanderer of Solitude" debutta con un avanzare melmoso e intriso di un umor nero come la pece, dotato di splendide melodie, ma anche di screaming vocals degne della più selvaggia black metal band. Quello che balzerà subito alle vostre orecchie è il lavoro di arrangiamenti che di fatto accompagna l'intera durata del disco, e che saltuariamente sembrano affondare le proprie radici nel rock progressive. Fatevi cullare quindi dai frangenti acustici, dalle sterzate elettriche, dalle voci filtrate simil industriali, ma anche da quelle pulite che prima o poi emergeranno. La song è un susseguirsi di emozioni, in cui la belluina voce di Paolo Bruno, non smorza in alcun modo il mio entusiasmo. La lunghissima title track, introdotta da flebili tastiere, si assesta su una ritmica che potrebbe stare tranquillamente su un disco rock. Solo le malvagie vocals rendono alla fine quest'album estremo. Le tastiere ricordano quelle degli ancestrali Cradle of Filth, mentre frammenti ambient/noise, contribuiscono a rendere ancor più vario un album che ha fatto breccia assai velocemente tra le mie preferenze. "Corredor Seco" è il potente flusso di chitarra acustica che ci conduce alla conclusiva "The Bridge", ove un temporale in lontananza apre una song lenta e litanica, che sale delicatamente in intensità, e riesce a trovare la prima cavalcata black dell'intero album al minuto 38, segno tangibile che avvicina, almeno musicalmente, i Thy Light a una band di nero metallo. Bravi! (Francesco Scarci)

(Pest Productions - 2013)
Voto: 75

Punk Sinatra - O Monstro Acordou

#PER CHI AMA: Punk Rock
Torniamo in Portogallo perché l'instancabile Ethereal Sound Works ha prodotto un'altra band, i Punk Sinatra. Il quintetto di Lisbona nasce nel 2003 dalle ceneri di altre band della zona e le idee sono subito chiare. Fare punk-rock, cantare in portoghese e suonare dal vivo il più possibile. Tutto questo si realizza in circa dieci anni di attività e alla fine del 2013 i loro sforzi vengono premiati con l'uscita di 'O Monstro Acordou' ( il mostro risvegliato). Dieci brani che mescolano punk/rock con venature di folk/ska, quindi musica spensierata, veloce e piena di cori. Il cd apre con "Espirito de Suburbio", un brano di per sé complesso perché mantiene la stessa sezione ritmica di basso e batteria per tutto il brano, ma nel frattempo la chitarra si sbizzarrisce con riff e assoli veloci. Questo per far capire subito che non siamo di fronte ad una band di quindicenni che ha scelto il punk per ovviare ai loro limiti tecnici, infatti i Punk Sinatra viaggiano alla grande e cercano pure di non cadere nei classici stereotipi del genere. In effetti i ragazzi lusitani sono più simili ai The Clash che ai Ramones, proprio per la loro voglia di sperimentare ritmiche diverse e mettere anche più tecnica rispetto ai soliti quattro accordi alla Ligabue. Ed ecco che "Skapa do Sistema" vi trasporta sulle paradisiache spiagge giamaicane a ritmo di ska che poi si trasforma e diventa un brano rock. Suoni semplici, questo perché i protagonisti sono i riff, la ritmica e il cantato che in portoghese aggiunge quella sfumatura in più che aiuta. Le doti del vocalist non fanno gridare al miracolo ma si fondono bene con gli arrangiamenti e i vari cori aiutano a rafforzare i brani e il loro timbro. "Andas aì" inizia con un bel giro hard rock alla vecchia maniera, di quelli goderecci e ignoranti come piacciono a noi, nostalgici. La vena punk affiora grazie alla sezione batteria/basso per velocità e schema, ma il resto è puro rock, come gli assoli e i vari fraseggi. A metà brano c'è addirittura un rallentamento da headbanging, mitici. Questo a conferma che i Punk Sinatra si divertono nel mettersi in gioco mostrando che non si chiudono ermeticamente in un genere e mostrano con orgoglio il bagaglio artistico dei vari componenti. Un cd ben fatto da persone che credono in quello che fanno, con lo spirito da teenager ma con gli attributi di chi ha visto un po' d'acqua passare sotto i ponti. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2014)
Voto: 75

BrainDead - Behind the Mask of Sanity

#FOR FANS OF: Death/Thrash Metal, Deus Otiosus, Ares Kingdom
Among the countless bands mixing together Death and Thrash Metal, regardless of the influences taken from each genre for preference over the other, this New York act’s debut tends to fall in the middle of the pack as a fairly decent and middling effort. While the thrashing guitars fueled by raging patterns and kinetic energy are present throughout, as well as the deep, chunky Death-Metal style patterns that bring the two together just as much as the vocals do, there’s one rather distressing part about the band that does hinder this somewhat. The band does have a tendency at times to resort to a mid-paced chug that’s almost groove-based that really drains a lot of the energy and style throughout this almost to the point of being not even a mix between these two styles how far apart from the rest of the material these tracks are. The use of a drum-machine on many of the tracks is something to get over as well as it adds a cold, electronic influence on the material that’s far removed from the organic sounds on the rest of the album especially when it’s blasting away with the double-bass feature. Certainly it sounds good when covered up for the most part by the raging, thrashing guitars as the energy there manages to hide it pretty well, but there’s still the matter of the needless minute-long interludes that crop up several times here to contend with. They’re really not that impressive at generating the breather they’re intended for, causing annoyance instead and hamper the flow of the album throughout. Still, the thrashing guitars and deep riffing does make this pretty enjoyable at times. After the pointless noise-collage intro ‘Clean15,’ proper first song ‘Splitting of the Mind’ gets things going with raging thrash guitars amidst blistering drumming, tight patterns and plenty of extended patterns that really showcase a more dynamic assault of riffs than expected which causes this to stand as a fine highlight. This trend continues in much of ‘5 Dimensional Apprehension’ though this one tends to offer a more explosive thrash riff and more energy as the basis behind the track, and frankly other efforts like ‘A Warm Embrace’ and ‘Red Snow’ showcase this style quite effectively. Both ‘Rust & Decay’ and ‘White Walls’ drop a lot of the thrash here for plodding mid-tempo groove and rather bland pacing so there’s not much to like with these, though ‘White Walls’ does kick it up a bit in the second half. Yet another pointless noise-collage interlude in ‘Neat03,’ the electronically-influenced ‘Frozen Perfect Mirror’ comes back as a rather blistering effort that’s more notable for the haunting keyboard melody raging alongside the dynamic riff-work and tight grooves, sounding like a rather lively effort altogether and getting back in the good graces after the three straight weak tracks. The title track does manage to get some of the same thrashing influences and extended, nearly progressively technical style of riffing in here which is a welcome sight being placed again in the mix after it worked so well for the first track on here, while ‘Eternal Contusion’ is yet another winding, twisting epic of progressive riffing, technical patterns and furious drum-machine blasts through tight razor-wire riffing and rather deep, chunky guitars that make for quite an enthralling effort,. The massive ‘15 Hours of Hell’ tends to blow that up into even grander forms with an even more extended canvas to wrap all those influences into. ‘Dreams’ is a pretty experimental effort as it winds a laid-back Gothic ambiance with the cold atmospherics and thrashing guitars into a nice idea that tends to go on a little more than it should but still comes off rather nicely in the second half with slightly more Death Metal influences. The last of the pointless interludes, ‘Organized04’ thankfully leads into the chaotic ‘Permanent Enslavement’ which tends to go into overdrive with the frantic riff-work, pounding drums and tight patterns that really go all out and frantically charge through blistering patterns, making for another strong highlight. These do make for an enjoyable listen here though it does have a few hindering flaws. (Don Anelli)

(Self - 2012)
Score: 65