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domenica 7 febbraio 2021

La Fin - The Endless Inertia

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Ci sono voluti quattro lunghi anni per partorire il full length di debutto dei milanesi La Fin. Era il 2016 infatti quando i nostri uscivano con l'EP 'Empire of Nothing', facendosi notare per una proposta in bilico tra post metal e post hardcore. Ora l'ensemble italico, forte anche di un deal con l'Argonauta Records, è riuscita finalmente a dar seguito a quel dischetto, rilasciando questo 'The Endless Inertia'. Il disco consta di nove tracce che aprono l'album con "Inertia", un brano lento e magnetico che evoca inevitabilmente come riferimenti principali i Cult of Luna, sebbene nelle parti più cervellotiche, ci siano dei richiami che spingono la band nei paraggi di un prog death, almeno questa la sensazione percepita al minuto 4 dell'opening track. La linea ritmica si conferma comunque solida con accelerazioni caustiche nella seconda metà della traccia, laddove maggior spazio viene concesso alla parte strumentale, pur non disdegnando frammenti acustici che mitigano la proposta dell'act italico o fraseggi che evocano ancora un che di suoni progressivi. Questo in soldoni come delineare la prima song di quest'album e come indirizzarne l'ascolto. Molto più dirompente e decisamente più hardcore oriented, l'incipit della seconda "Zero", visto che dopo il marasma sonoro creato, la band torna a giocare con suoni più calibrati, melodici e sempre coadiuvati dalle harsh vocals di Marco Balzano. Ma l'ascolto del pezzo porta comunque ad una girandola emotiva che evolve con le atmosfere generate e contestualmente, con la comparsa di clean vocals che ammorbidiscono di molto le intemperanze ritmiche dei nostri, che nel finale sembrano voler emulare i Fallujah più cinematici. "Hypersleep"ci mostra un'ulteriore faccia dei La Fin, qui più venata di un tocco malinconico, anche nei momenti più ruvidi. Quello che apprezzo è comunque il lavoro alle chitarre con una sovrapposizione di ben tre asce che si amalgamano con batteria e basso in una matrice ritmica davvero intensa e di elevata perizia tecnica, nonchè dispensatrice di una grande dose di emotività. Un breve intermezzo ambient ci accompagna a "Repetitia" e al suo beating pulsante iniziale, prima che la band si lanci in un'alternanza di riff nervosi e parti quasi shoegaze e ancora, palesi influenze djent o si scateni in lancinanti fughe black. Ma ogni brano sembra avere una sua anima per quanto l'album sia in realtà un concept legato al concetto di inerzia e quella che è la tendenza di un corpo a conservare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, cosa che in quest'album in realtà non viene confermata. Si, perchè "Disembody" ha un inizio più ruffiano che si esplica successivamente attraverso un post metal erudito a tratti comunque gonfio di rabbia estrema, laddove i blast beat saturano le casse con nevrotiche scariche di violenza. Eppure, la band continua a muoversi con la politica del bastone e carota, alternando momenti atmosferici a parti urticanti, leggasi per questo la violenza di "Blackbody", brano carico di contenuti estremi ma anche di parti più cerebrali, rendendolo forse il pezzo più complicato da digerire di 'The Endless Inertia'. Con "Endless" si torna a suoni più tecnici, con certi fraseggi che mi hanno evocato un ibrido tra post metal e prog, Amenra e Cynic, in un pezzo comunque altalenante nelle sue forme ed espressioni. L'ultimo atto è affidato a "Eulogy", il brano più lungo del lotto, quello in cui il sestetto condensa tutto quanto ascoltato in 'The Endless Inertia', in nove minuti e più di alternanze ritmico-emotive, di rabbia contrapposta a malinconia, di furia strumentale opposta a tenui partiture acustiche, di yin e yang, di bianco e nero, che si consumano come un cerino acceso, negli ultimi 30 secondi della traccia. Questo è solo l'inizio, sono curioso di assistere all'evoluzione estatica dei La Fin. (Francesco Scarci)