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domenica 19 novembre 2023

The Spacelords - Nectar of the Gods

#PER CHI AMA: Psych/Kraut Rock
Eccomi di nuovo a recensire gli space rockers teutonici The Spacelords, quelli che prima di scrivere un nuovo disco, devono assumere un bel po' di funghetti allucinogeni (quelli in copertina tanto per capirci) accompagnati in sottofondo da una "Light My Fire" qualunque dei Doors, senza tuttavia rinunciare anche ai dettami dei Tool e forse di qualche altra combriccola del sottobosco kraut rock. Ecco, in pochi spiccioli come recensirei questa nuova fatica del trio di Reutlingen, che rispetto alle precedenti release, si affida questa volta a quattro nuove tracce, anziché le consuete tre. 'Nectar of the Gods' apre con il basso tonante della title track, in un déjà-vu di tooliana memoria per poi stordirci con melodie caleidoscopiche che potrebbero fare da colonna sonora all'Holi Festival in India, in un tripudio di colori cangianti atti a celebrare la psichedelia offerta dal terzetto. Molto più cauta e timida, "Endorphine High" si muove nei meandri di un ipnotico post rock in salsa psych progressive, tra delay chitarristici ed atmosfere dilatate ma comunque soffuse, che con un bel narghilè e sostanze proibite a portata di mano, potrebbero stimolare ampiamente i vostri sensi. Se ci mettete poi che le durate dei brani oscillano tra i nove e i 14 minuti, beh preparatevi ad affrontare uno di quei trip che vi lascia schiantati sul divano. Un trip come quello che inizia con la terza e tribale "Mindscape", tra percussioni etniche e fascinazioni oniriche, a cui fa seguito un riffing di Black Sabbath (iana) memoria, tra stoner, montagne di groove rilasciate dal rincorrersi delle chitarre, saliscendi emozionali che servono a rendere la proposta il più appetibile possibile, senza correre il rischio di sfracassarsi le palle nell'ascoltare questi pachidermici pezzi. E invece, i The Spacelords ci impongono di mantenere costantemente la guardia alta, di settarsi armonicamente con i loro viaggi atemporali, in turbinii sonici e cosmici davvero apprezzabili. Ma questo non lo scopriamo di certo oggi, visto la maturità ormai acquisita dal terzetto germanico nei quindici anni di onoratissima carriera. Carriera che oggi vanno a celebrare con l'ultima "Lost Sounds of Lemuria", una maratona di 14.14 minuti che parte cupa, pink floydiana nei suoi tratti cosi educati, tra chitarre riverberate, atmosfere sognanti di settantiana memoria, e un organo che chiama in causa il buon Ray Manzarek, in una progressione sonora che di fatto, ci indurrà fino al suo epilogo ad ascoltare in religioso silenzio. Ancora una volta, obiettivo centrato. (Francesco Scarci)

(Tonzonen Records - 2023)
Voto: 75

sabato 18 novembre 2023

Theory in Practice - Colonizing the Sun

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Techno Death
Sono molto contento di recensire il terzo full-length di questi svedesi, in quanto non credevo potessero migliorare quanto già proposto sul loro precedente e immenso 'The Armageddon Theories'. E invece ci sono riusciti alla grande, dando prova di enorme creatività e perizia tecnica. La musica, per chi non li conoscesse, è death metal, oserei dire “progressivo”, per intenderci, sulla scia di gente del calibro di Atheist, Nocturnus, Pestilence ma con un tocco di melodia in più, e lo si evince soprattutto in quest’ultimo 'Colonizing the Sun' (rimasto ultimo vagito della band per parecchi anni, prima dell'inatteso EP del 2017 'Crescendo Dezign'/ndr). I pezzi comunque si presentano assai complessi ed intricati, con a volte l’inserimento di tastiere in porzioni chiave dei brani. I Theory in Practice sono qui riusciti a costruire dei brani molto fluidi tanto da non rendere greve l’ascolto anche a chi non digerisce questo tipo di sonorità. La voce di Henrik Ohlsson si presenta come un ibrido growl e lancinante, quasi stridulo. Le song sono zeppe di colpi di scena, senza seguire un mood preciso. C’è da notare che quest’album è stato registrato negli studi della band e nulla è stato lasciato al caso, con una buona registrazione, degna dei migliori standard di registrazione. Quindi vi esorto ad andarvi a scovare questo lavoro, supportare i Theory in Practice, che furono in grado di portare una ventata d’aria nuova.

Pénitence Onirique - Nature Morte

#PER CHI AMA: Black Atmosferico
Pénitence Onirique atto terzo. Non tanto perché sono tre gli effettivi album rilasciati dalla band transalpina ma anche perché è il terzo lavoro del sestetto di Chartres che recensisco su queste pagine. La band prosegue nel mietere vittime con il proprio sound votato ad un black a cavallo tra il sinfonico e l'atmosferico, il cui minimo comun denominatore, resta comunque un'importante componente melodica. 'Nature Morte' esploderà nel vostro hi-fi con "Désir", una cavalcata epica, potente e violenta, che ancora una volta evoca i fasti dei primissimi Limbonic Art, richiamando anche, nelle parti più sontuose, un che dei Cradle of Filth, e dei conterranei Malevolentia. Semplicemente maestosi. Quello che volevo sentire. Un sound virtuoso e sinfonico messo a servizio di un'intemperanza musicale che a volte sembra addirittura sfociare nel death metal, come accade nella seconda "Les Mammonites", in cui il cantato urlato lascia peraltro il posto ad un pulito diabolico o a un growling decisamente gutturale. I nostri però viaggiano a velocità iper sostenute, senza comunque mai rinunciare alle più che buone linee melodiche. Con il terzo brano, la title track, il misterioso ensemble francese rallenta drasticamente la propria proposta, permeandola di una discreta vena malinconica, in un mid-tempo davvero convincente, che mostra una rinnovata ecletticità anche su ritmiche non troppo sostenute, che consentono al disco di non risultare eccessivamente ripetitivo. Certo, non mancano nemmeno qui le velocità iperboliche nella sua seconda metà, ma il taglio decisamente grooveggiante delle chitarre mescola nuovamente (e in modo vincente) le carte in tavola. Un breve ed obliquo intermezzo strumentale ed è tempo di "Je Vois Satan Tomber Comme l'Éclair", che vince la palma come song con il titolo più lungo, e che torna a palesare la medesima irruenza sonora dell'opener. Si prova a rallentare il treno lanciato a tutta velocità con le atmosfere soffuse dell'incipit di "Pharmakos", ma dopo pochi secondi, i nostri tornano a pestare l'acceleratore, regalandoci ancora ottime melodie, soprattutto grazie al lavoro eccellente delle tastiere e ad un assolo posizionato verso il quarto minuto e mezzo che incanta per pathos e poi via, sparati a tutta birra con le chitarre (ben tre!) che giocano a rincorrersi, intrecciarsi e accavallarsi l'una con le altre, per un disco che trova probabilmente la sua summa nelle note conclusive della lunga "Les Indifferenciés". Questo è un pezzo atmosferico, meditabondo, con un break al quarto minuto ai limiti del post rock, che sembra quasi consegnarci i Pénitence Onirique in una nuova veste artistica. Staremo a sentire che cosa accadrà in futuro. Per ora la progressione sonora sembra andare nella giusta direzione. (Francesco Scarci)

S.C.I.O. – Discorsi Distorti

#PER CHI AMA: Alternative/Post Rock
Quasi un'ora di deliri sonori in compagnia del basso elettrico di Stefano Scioni (alias S.C.I.O.), uno che ai tempi della sua militanza negli UDE, ha aperto per i mitici Scisma. Questo è il suo debut ufficiale per la Overdub Recordings, intitolato 'Discorsi Distorti'. Una sorta di presentazione del disco viene fatta dal polistrumentista emiliano con l'introduttiva "Primo Cielo", che spiega l'esperienza dell'ascesa al monte Cusna, la visione delle stelle, l'insegnamento del cielo e dello spazio sulla necessità di svanire in un buco nero (una metafora che credo debba valere come insegnamento all'umanità), un eccessivo uso delle parole che porta solo a discorsi distorti. Ecco un sunto, alquanto destrutturato, del razionale/idee/pensieri che si celano dietro a questo monolitico disco di ben 15 tracce che si muovono tra l'alternative rock e lo stoner, tutto (o quasi) rigorosamente in modalità strumentale. Si inizia dalle cupe atmosfere di "Blame the Colours", tra suggestioni in chiaroscuro e quelle che sembrano chitarre stratificate (è in realtà un basso) al limite dello stoner. È poi il turno della brevissima interferenza elettronica "Elettronoia", che ci introduce alle spagnole spoken words di "Respiri Verso l'Aria", un pezzo più intimista che per questo ammicca al post rock, quello più notturno, freddo, quasi distaccato ma che con quelle sue tormentate linee di basso, ha invece un effetto opposto, in grado quindi di scaldarci quell'anima impassibile che giace in mezzo al nostro petto. Inquietanti voci in sottofondo aprono e ci accompagnano per oltre un minuto in "Tra le tue Parole", per poi lasciare spazio a un brillante, melodico ma stralunato pezzo che dovete assolutamente ascoltare. In "Pseudoumani", fa finalmente la sua comparsa la voce del frontman, sorretta da pulsanti linee di basso e da un'atmosfera darkeggiante che per due minuti e mezzo incutono una sorta di timore reverenziale; poi spazio ad una splendida cavalcata con batteria, basso e synth a guidarci in questo valzer sonoro. Un altro simbolico bridge ambientale ("Nostalgia e DNA") per cui vale la pena quasi esclusivamente soffermarci a riflettere sul titolo ed eccoci arrivati alle super distorsioni di basso di "About Brunale", song dal piglio noise (nella prima parte), più alternative nella sua progressione verso la coda del brano, e dove ancora a mettersi in mostra sono senza ombra di dubbio le melodie architettate dal polistrumentista italico. "Il Sole è Solo Mio" potrebbe quasi essere una dichiarazione egocentrica messa in note da Luigi XIV, mentre "Sasha Corri" lascerà un sapore jazzy ai vostri palati. Il disco si sposta verso le sperimentazioni orientaleggianti della brumosa e claustrofobica "Riferimenti in Circolo", mentre il basso introduttivo di "Le Prigioni di Jaco" ricordano un che dei Tool più psichedelici e la sua progressione include altre influenze della band californiana, in quello che forse è il brano più movimentato (insieme alla splendida e caleidoscopica conclusione affidata a "Dorotea") e anche i miei preferiti del disco. Gli sperimentalismi proseguono nella più angosciante "Conquiste" o nelle parole sconnesse di "La Luce di Rol" che fanno da introduzione ad un pezzo parecchio introspettivo. Un lungo viaggio in grado di estrapolare attraverso la musica, i pensieri angoscianti di Stefano su una società esclusivamente destinata all'estinzione. (Francesco Scarci)

giovedì 16 novembre 2023

Judas Iscariot - To Embrace the Corpses Bleeding

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Old School
L’instancabile Akhenaton ci regala questa gemma firmata Judas Iscariot (sarà l'ultimo full length della sua discografia/ndr). Black metal grezzo, minimale, ma tanto coinvolgente ed ispirato come pochi gruppi black sanno fare. Un alone sinistro e maligno permea le song di questo 'To Embrace the Corpses Bleeding', degne di stare al pari con canzoni di mostri sacri come Darkthrone o primi Dødheimsgard. Ogni suo brano è un tributo al "True black metal" suonato con passione: lo dimostra peraltro anche lo sfogo all’interno del booklet del cd, ritenendosi, giustamente fuori dalla mentalità imperante nelle black metal band che fanno parte di una cosiddetta “scena”. Parlando delle caratteristiche musicali dei Judas Iscariot, sarebbe inutile soffermarsi su una song in particolare visto che ogni brano dei nove che compongono l’album è ricco di spunti interessanti. I 40 minuti circa di musica viaggiano tra ritmi sostenuti e mid tempo con riff pieni di pathos e con un feeling decadente. La voce poi, risuona con tono malvagio e soffocato. Naturalmente, qui vige l'obbligo d’acquisto.

(Red Stream/Moribound Records - 2002/2023)
Voto: 75

https://moribundrecords.bandcamp.com/album/to-embrace-the-corpses-bleeding-2

Seirim - Kill. War. Chaos.

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Death
Death/black metal classico, accostabile in parte ai God Dethroned, in quel loro creare riff di chitarra molto diretti ed incazzati. La voce è arcigna e graffiante ma si tramuta spesso anche in voce più profonda e decisamente gutturale. 'Kill. War. Chaos.' è il secondo album dei tedeschi Seirim, che hanno mosso i loro primi passi sin dal ’93 con i soliti demo e split. La prima cosa che salta all’orecchio durante l'ascolto del disco è l’omogeneità dei brani e la sua compattezza e brutalità, tutto questo – direte voi - alla lunga non stanca? Beh, a parer mio il tutto è ben congegnato e, anche se alcuni riff risultano un po’ “abusati” nel genere, ve ne sono altrettanti che donano spessore e carisma alle song. Ad alleggerire il tutto troviamo poi anche due brevi strumentali. Un lavoro dignitoso, che agli estimatori del genere potrà anche piacere.

Wrathrone/Necrodium/Spiral Wounds - Back To 90​’​s Old​-​School Death Metal

#PER CHI AMA: Death Old School
E io che pensavo che il death old school fosse ormai morto, quanto di più sbagliato. La Great Dane Records mi sta infatti facendo scoprire un sottobosco estremo che pullula di band cattive e incazzate, spesso non di grande valore a dire il vero, ma che comunque meritano la nostra attenzione e le vostre riflessioni. Quello di oggi è uno split album tra i finlandesi Wrathrone e Necrodium, in compagnia dei sardo-calabresi Spiral Wounds, per una compilation all'insegna di un sound marcescente che richiama alla memoria act del calibro di Dismember, Grave e primi Entombed, almeno nei primi tre pezzi targati Wrathrone. Un vero e proprio ritorno alle origini del male con un riffing che evoca quello delle band svedesi citate, con tanto di growling infernale sopra e assoli super taglienti in coda, per un clichè sicuramente consolidato e che fondamentalmente rinverdisce i fasti di un passato sta andato scomparendo. I nostrani Spiral Wounds si presentano con quattro pezzi, che altro non sono che il loro EP omonimo del 2021, e che evocano in questo caso, il sound primordiale degli At the Gates, con tanto di chitarre ultra taglienti e vocals iper caustiche. A questo aggiungiamo qualche influenza black che permea il mood indiavolato della band che esplicherà al meglio il proprio talento in un brano più equilibrato quale "Uber Feral Winds". Ribadisco, niente di originale da segnalare, ma sicuramente per chi amasse il genere e non conoscesse la band italica, beh si faccia avanti. Con i Necrodium si torna ad un death in stato putrefattivo, questa volta di scuola americana, e penso ai Cannibal Corpse, per gli ultimi quattro pezzi all'insegna della devastazione più totale tra voci demoniache, ritmiche schiacciasassi che trovano anche modo di rallentare, come accade all'inizio di "Compulsive Mutilating Disorder", nel cui riffing ho percepito addirittura un che dei Metallica della primissima ora. Ecco, l'ho scritto, spero non me ne voglia la band finlandese che nel frattempo prosegue la sua carneficina con altri pezzi grondanti tanta rabbia e tonnellate di odio e che vanno a completare una release adatta ai soli nostalgici di un genere che pensavo ormai morto e che invece si conferma ancora vivo e vegeto. (Francesco Scarci)

Wojtek - Petricore

#PER CHI AMA: Sludge/Hardcore
Li avevamo lasciati nel 2021 con 'Does This Dream Slow Down, Until It Stops?', li ritroviamo oggi con un album nuovo di zecca, 'Petricore', dietro al quale si cela una metafora legata alla sensazione olfattiva di quando la pioggia viene a contatto con la terra arida da tempo, metafora che evoca temi etici ben più profondi che vi invito ad approfondire. I veneti Wojtek, freschi di una rinnovata line-up, arrivano quindi con sei nuovi caustici pezzi che si muovono nei paraggi di uno sludge/hardcore, anche se l'opener "Hourglass" sembra dirci altro del quintetto patavino. Si parte con una galoppata al fulmicotone tra voci abrasive e ricami di chitarra che oltre ad affiancare un rifferama sferzante, danno una parvenza di melodia a un pezzo che potrebbe invece risultare alquanto indigesto. Invece, dietro alla furia velenosa dei nostri, mi sembra addirittura di percepire un tono malinconico, sia nelle linee delle sei corde che nella voce del frontman. La medesima sensazione l'avverto anche nella successiva "Dying Breed", song che palesa subito in apertura un chorus che va a confermare questa mia ipotesi, anche se poi il brano abbraccia influenze più post hardcore oriented, mostrando qualche tiepido rallentamento verso metà brano, da cui ripartire più ritmati che mai, e dove a mettersi in luce è il growling incisivo di Riccardo Zulato, grazie a degli urlacci ben assestati, coadiuvato poi da altri cori. "Now That You Are Gone" si presenta invece decisamente più intimista: le cupe atmosfere sono straziate dalla disperata voce del vocalist, le melodie si palesano in sottofondo in una progressione che porta le chitarre a gonfiarsi, l'aria a dilatarsi fino a lasciare le sole chitarre a ringhiare solenni nell'etere, prima che gli altri strumenti tornino a unirsi alle ambientazioni sludgy costruite dall'ensemble italico e sfoggiare sul finale, una specie di primordiale assolo chitarristico. "Giorni Persi" rappresenta il singolo del disco, rigorosamente cantato in italiano (una prima volta per la band questa), sembra essere una miscela tra punk, hardcore e ancora rallentamenti sludge, anche se il muro ritmico appare mutuato dal riffing possente degli IN.SI.DIA, periodo 'Istinto e Rabbia'. La song poi evolve, nella sua brevità, verso lidi emo/post hardcore. Si torna a durate più consistenti (stabili sempre tra i sei e i nove minuti) con la melmosa "Inertia Reigns" e un sound pachidermico che non fa troppi prigionieri nella sua psicotica progressione musicale che tocca il doom più ipnotico nel suo corso e che la suggellano a mia song preferita del disco. La chiusura è affidata al noise disturbato ed ipnotico di "Hail the Machine", costituita da un paio di riff che s'intersecano con una voce sempre più convincente e un drumming marciante, interrotto solo da un brevissimo break acustico, poi costantemente accompagnato dall'acidissima prova gutturale di Mattia Zambon e dai cori di Morgan Zambon e Riccardo Zulato, che chiudono una prova sicuramente convincente dei Wojtek, che potrebbe aprire a una certa internazionalizzazione della band nostrana. Bene cosi. (Francesco Scarci)

(Flames Don’t Judge/Fresh Outbreak Records/The Fucking Clinica/Dio Drone/Shove Records/Violence in the Veins/Teschio Dischi - 2023)
Voto: 74

https://diodrone.bandcamp.com/album/petricore