Cerca nel blog

sabato 7 novembre 2020

Oghre - Grimt

#PER CHI AMA: Progressive/Sludge
Era il 2017, quando gli Oghre esordivano con 'Gana'. La band per quell'album, fu nominata ai Music Recording Awards lettoni nella categoria Rock/Metal album. A distanza di tre anni da quel cd, il quintetto originario di Riga torna con 'Grimt' e il loro concentrato di progressive sludge che tanto li caratterizza. Questo nuovo lavoro, cantato in lingua madre, consta di sette tracce che si aprono con le soffuse melodie di "Viens" e la voce assai particolare del vocalist, capace di passare da un cantato pulito assai stralunato ad un growling possente, mentre la musica si muove su coordinate a metà strada tra post metal e sludge, con un velato tocco di psichedelia. Le ritmiche sono roboanti, mai lanciate però a grandi velocità, semmai poggiano su un rifferama assai cadenzato con giri di chitarra stranianti ma avvincenti, soprattutto per ciò che concerne la seconda parte di "Trauksme", che si muove su sonorità alquanto sperimentali, fatte di chiaroscuri imprevedibili ma affascinanti. E dire che la voce nella sua versione cosi pulita ma altrettanto anormale, non è che mi faccia proprio impazzire, tuttavia devo ammettere che s'inserisce brillantemente in un contesto alquanto bizzarro. E le sorprese non si fermano qui visto che anche con la successiva "Sarkans", i nostri continuano a sorprenderci con sonorità poco scontate: un inizio assurdo affidato alla folle ugola di Oskars e ad una ritmica assai delicata, giusto per pochi secondi prima che ad affondare il colpo sia una sezione ritmica bella potente, che si muove ancora una volta su un'alternanza di tempi che trovo alla fine comunque originale. E dire che 'Grimt' non è un album cosi semplice da avvicinare proprio per una continua ricerca di sonorità fuori dal comune che partendo da una base sludge/post-metal, poi si lancia in una sperimentazione quasi avanguardista. Questa si rivela una costante un po' in tutta la release, in quanto anche nella successiva "Māli", il quintetto non rinuncia a imperversare con riffoni tosti (direi di competenza stoner al limite del doom) e al contempo, di proporre variazioni al tema varcando ulteriori confini musicali alquanto deliranti. "Vaidava Celies!", con i suoi dieci minuti, ha un incipit di violenza disturbante (e anche una coda quasi post black), ma nel suo proseguio si dimostra più vicina ad un mix tra orrorifico post rock (complici sinistri cori) e ancora chitarre post metal, per quanto sia una song quasi interamente strumentale (fatto salvo per la ripetizione da parte del vocalist del titolo del brano). Nonostante questo, il risultato è ancora una volta affascinante, merito di questi cinque pazzi furiosi. In "Slāpes" sembra di aver a che fare con un'altra band, ma risiede proprio in quest'imprevedibilità di fondo il grande interesse che nutro per questi Oghre, che potrebbe essere accostabili ad una versione deprivata di elettronica, dei lettoni Forgotten Sunrise (andateveli a cercare mi raccomando). Forse gli Oghre sono ancora un po' acerbi rispetto ai colleghi baltici, ma il mood potrebbe essere il medesimo e a confermarcelo ecco in chiusura "Rītausmas Zirgs" e le sue atmosfere ancora una volta velate che sembrano condurci dalle parti di un sound dapprima tooliano (poi direi bell'incazzato) che completa in modo efficace una proposta assai intrigante a cui vi invito a dare più di un ascolto superficiale. (Francesco Scarci)

Dogma - Mallevs Maleficarvm

#PER CHI AMA: Death/Gothic, Within Temptation
Ancora mi stupisco ci sia chi intitoli il proprio album 'Mallevs Maleficarvm', un nome che evoca il trattato omonimo che consiste in una raccolta di credenze e nozioni sul fenomeno della stregoneria, spesso estratte da testi più antichi. Lo avevano fatto i Pestilence nel 1988 e dopo di loro, decine di altre band (Centinex, Imago Mortis, Maleficia, giusto per citarne alcuni). Nel 2020 lo stesso titolo, evviva la fantasia, arriva anche dai portoghesi Dogma, qui al secondo album dopo il debut del 2017 intitolato 'Reditum'. La proposta del sestetto di Lisbona, le cui origini risalgono addirittura al 1996, è votata ad un death doom gotico che poggia principalmente le sue fondamenta sulla eterea voce di una gentil donzella (Isabel Cristina) che fa da contraltare ad un growling maschile (Gonçalo Nascimento), una sorta di alter ego, nei momenti più cantati, di Fernando Ribeiro dei Moonspell. Detto questo, vi sembra che quello che ho fra le mani possa essere cosi originale? Insomma, a me pare francamente di aver fatto un bel balzo indietro nel tempo di oltre 20 anni, quando la scena era popolata da gente tipo Tristania, Trail of Tears, Theatre of Tragedy e similia. Tutto chiaro no? Mi auguro di si perchè non starò certo a passare in rassegna 67 minuti di musica per raccontarvi qualcosa che sapete già. Largo spazio alla brava vocalist, accostabile a Sharon den Adel dei Within Temptation, la band che forse sembra essere il vero punto di riferimento dei nostri, almeno nell'opener "Sentinela". Quello che potrebbe essere interessante in questo album è in realtà un certo influsso proprio dei conterranei Moonspell, che si palesa nelle linee melodiche di alcuni pezzi, cosi come in un ricercato gusto a livello delle chitarre con preziosi solismi (ottimo a tal proposito quello di "Asmodeus"). Per il resto, oltre a quello di tematiche fin troppo scontate (la lotta alle streghe) che forse andavano di moda negli anni '90, 'Mallevs Maleficarvm' raccoglie l'eredità di band che si sono perse nel tempo e poi sciolte. Se potessi dare pertanto un consiglio ai sei musicisti lusitani è di ridurre al minimo la voce angelica della pur brava Isabel, riscoprire le radici etniche del proprio paese (come fatto in "Ser do Nada" e "Velho do Mar") e puntare semmai su un sound più ricercato come quello più vario di "Deus Assassino", evitando cortesemente lunghezze estenuanti (quasi undici minuti). Un pezzo come "Porque Não Te Escondes De Mim" non l'avrei contemplato in un disco come questo, troppo pop rock, sebbene un finale dalla ritmica granitica. Insomma luci ed ombre in un disco uscito nel 2020 ma se riportasse 2000 forse farebbe più bella figura. Peccato, perchè le qualità tecniche ci sono, bisogna ora prendere le distanze da vecchi stilemi e modernizzare un po' la proposta. Visto che non siamo al cospetto di gente di primo pelo, questo è quanto mai lecito aspettarselo. (Francesco Scarci)

(Ethereal Sound Works - 2020)
Voto: 62

https://www.facebook.com/DogmaPt/

martedì 3 novembre 2020

Command the Machyne - S/t

#PER CHI AMA: Power/Heavy, Iron Maiden
Dalle lande teutoniche arrivano i Command the Machyne, un gruppo heavy/power metal, con un sound che si rifà a gente come Iron Maiden ed Helloween, che ha debuttato quest’anno con l'omonimo album. E questa specie di mix tra Iron ed Helloween la si può notare durante quasi tutte le 11 ottime tracce del disco, con alcune che richiamano maggiormente la band di Bruce Dickinson e compagni, ad esempio "Prisoners of Time", "Kingdoms Prayer" e "River of Life", altre che evocano i power gods tedeschi ("Sarah’s Heart", "Reaper" e "The King"). Le mie tacce preferite rimangono però "Burn’em", che a mio avviso risulta essere la canzone più personale della compagine germanica, una song che contiene un assolo breve ma intenso, la già citata "Sarah’s Heart" con un ritornello molto helloweeniano ed una parte di tastiera/voce a dir poco meravigliosa e infine "Prisoners of Time", la quale presenta ben due assoli i quali, soprattutto il secondo, non possono non rendere di buon umore. Sottolineerei ancora "Prisoner of Time", il cui riff di chitarra si ispira totalmente a quello di tastiera di "Moonchild" e sembra essere uscita da 'Dance of Death' dei Maiden ed infine "River of Life", un brano che sembra essere fatto dagli stessi Iron per quanto sia simile alle loro canzoni e che presenta dapprima un assolo di tastiera che sembra provenire direttamente da un horror e ci preparara a quanto verrà dopo, ossia un assolo di chitarra fulminante, potente e melodico allo stesso tempo. Chiude "Shadows" un brano che mette da parte il power/heavy dei pezzi precedenti e strizza l'occhiolino alle classiche ballate dei Dream Theater. I Command the Machyne con questo debutto si dimostrano un gruppo di ottima qualità, che sa a tratti essere originale e contemporaneamente rimanda alle sonorità di gruppi storici. Sicuramente l’elemento più interessante di quest’album sono gli assoli di chitarra di Machyne ed Ulrich che, fra chi più potente, melodico, infiammante, sono in grado di entusiasmare al massimo e, talvolta, anche di commuovere. L’altro elemento di spicco del disco è l'eccellente voce di Florian Reimann, in grado di emozionare per quel suo lato più dolce ma anche di graffiare, con una vena più pomposa ed incalzante; i fan degli Iron ci sentiranno addirittura il cantato del buon Bruce in alcuni frangenti. Per un gruppo del genere non c’era altro modo per rompere il ghiaccio pertanto, se vi piacciono le loro influenze, compratevi il cd per supportare una band che secondo me merita, ma che potrebbe crescere ulteriormente se dienisse ancor più personale. E chissà se fra qualche anno li potremmo vedere esibirsi a livello internazionale! Per ora non ci resta che attendere e vedere come evolverà il sound di questi Command the Machyne. (MetalJ)

Jahbulong - Eclectic Poison Tones

#PER CHI AMA: Doom/Stoner
Per le mani oggi abbiamo un altro proiettile in canna per la GoDown Records, che questa volta tira fuori dal cilindro un promettente gruppo al suo battesimo nelle acque del fiume Stoner. Stiamo parlando dei Jahbulong, che si presentano sulle scene con questo primo full-length, in uscita proprio in questi giorni, mentre sto scrivendo. Dopo qualche pubblicazione negli anni precedenti, un primo EP d’esordio e uno split condiviso con i concittadini Mongoose, la band veronese pubblica il singolo anticipatore "Under the Influence of the Fool" e, a rimorchio, 'Eclectic Poison Tones'. Si compone di soli quattro brani, lunghi e catatonici. Eterni sospiri che accentuano il tetro lamento proveniente da una quinta dimensione, quella del fuzz. "Under the Influence" è un’apertura in stile pienamente “Electric Funeral”, che ci spara in orbita con le sue distorsioni sabbathiane, in continuo crescendo fino all’esplosione finale. Da qui le note fluiscono lente nella successiva "The Tower of the Broken Bones": i tempi si dilatano enormemente già dai primi riff di questa “doom-ballad”, che può fregiarsi anche di numerosi rimandi seattliani nella sua inesorabile progressione verso l’abisso. L’oscura "The Eclipse of the Empress" invece, si avviluppa senza via di fuga attorno ad un lisergico tema che si trascina per tutti i suoi nove minuti, fra assoli psichedelici e distanti riverberi. La conclusione la porta "The Eremite Tired Out (Sweed Dreams)", l’ultima suite, quella dalla durata maggiore, la più allucinata. Dal funereo doom più distorto la spirale si apre su vibrazioni acide, scandite da interminabili pause e silenzi. Il sound minimale della formazione scaligera senza dubbio porta con sé il filone acid-psych anni '70, oltre a vari spunti dal grunge '90s, fino alle distorsioni doom più pesanti. L’impronta del binomio Sabbath – Electric Wizard resta comunque la più evidente sulle tenebrose e disorientanti sfumature di questo disco, attraverso cui il power-trio traspone con decisione la sua idea di musica. (Emanuele ‘Norum’ Marchesoni)

(GoDown Records - 2020)
Voto: 78

https://www.facebook.com/JAHBULONG/

Silvered - Six Hours

#PER CHI AMA: Death/Doom, My Dying Bride, primi Opeth
Approdati alla russa BadMoodMan Music dopo un silenzio durato ben nove anni, i pugliesi Silvered tornano con il loro secondo album, 'Six Hours'. Il disco, costituito da nove tracce, è fondamentalmente un tributo alla scena death doom melodica, che chiama in causa in modo randomico, Draconian, My Dying Bride e Paradise Lost. Queste almeno le prime impressioni dopo l'ascolto di "From a Letter of Sorrow" che segue l'atmosferica intro che apre il cd. Gli ingredienti sono quelli classici, ossia chitarrone spinte in profondità al pari del growling possente di Daniele Rini, con larghi spazi concessi a break strumentali, parti atmosferiche ed una serie di cambi di tempo che rendono l'ascolto decisamente più dinamico e meno noioso. "Ti Faccio Regina" strizza l'occhiolino a livello ritmico nella prima parte ai primi Opeth, tuttavia con esiti altalenanti, in quanto il disco fa fatica realmente a decollare. Non brilla infatti di luce propria e questo alla fine rischia di influire non poco sul mio esito finale. Ammetto di trovare la proposta dei Silvered più vincente quando rallentano la velocità e mettendo il pilota automatico, si propongono come nuovi portatori del verbo doom, proprio come accade nella seconda metà della suddetta traccia, decisamente più convincente. Se "Stigma Diaboli" ha tanto le sembianze di una prog ballad romantica, altrettanto verrebbe da dire per l'incipit della successiva "Violent Circles", con un cantato pulito in primo piano sorretto da una chitarra acustica. Ma il brano è lungo (dodici minuti); aspettatevi quindi di venire nuovamente investiti da un death doom melodico, cosi come pure dalla veste più prog doom oriented abbracciata dai nostri che mi evoca le cose più leggere degli Swallow the Sun (penso al disco 'Songs from the North I, II & III', in particolare al capitolo 'Beauty'). Qui sento addirittura, nelle parti più tirate, un che dei Novembre, il che apre ad ulteriori speculazioni, ossia ad uno spettro di influenze cosi vario che si palesano nel corso del disco, che rendono l'ascolto si più piacevole, ma anche che portano alla facile conclusione che 'Six Hours' sia forse un po' troppo derivativo. Per carità, l'album è suonato da dio, con dei pezzi veramente azzeccati. Interessanti ancora a tal proposito "Intempestae Noctis Silentio" e i due capitoli di "Swan Song", dove la band leccese sembra ancora omaggiare la band di Carmelo Orlando, ma con un esito qui più convincente (soprattutto a livello di linea melodica di chitarra) che mi fa ben sperare nel futuro, sperando sempre che non ci impieghino altri nove anni per produrre qualcosa di nuovo. Per ora, meglio togliersi di dosso un po' di ruggine e cercare una maggiore originalità nella proposta. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music - 2020)
Voto: 70

https://silvered.bandcamp.com/album/six-hours

giovedì 29 ottobre 2020

Integrity - Sliver in the Hands of Time

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Metalcore/Hardcore
Gli Integrity sono una delle band più longeve della scena hardcore/metalcore americana. Il loro primo vagito risale al 1988. Da allora si sono succeduti una serie di Lp e 7” che hanno dato largo credito alla band di Cleveland. Sinceramente, ora che mi trovo a dover recensire questa compilation, mi trovo un po’ in imbarazzo a dover massacrare una band dal passato così illustre, tuttavia 'Sliver in the Hands of Time' è un lavoro che va preso per quello che è, ossia una retrospettiva contenente materiale di difficile reperibilità, ventuno pezzi di un death/thrashcore grezzissimo. Partiamo innanzitutto da una produzione indecente, che talvolta rasenta livelli di imbarazzo enormi: basti infatti ascoltare la seconda parte del cd per capire di cosa stia parlando, con i livelli del suono che oscillano pericolosamente anche all’interno di uno stesso brano. Sembra di trovarsi di fronte a versioni demo, session o quant'altro, talvolta da non prendere proprio in considerazione (tipo le cover dei Septic Death). La voce del frontman è catarrosa, e quando cerca di alzarsi di tono è come se non ce la facesse ad arrivare con il conseguente effetto sinceramente penoso; i cori poi sono primordiali, rozzi e banali. L’unica song che riesco a salvare è “March of the Damned”, perlomeno dotata dall’inizio alla fine di un filo logico e di una componente melodica che rimane anche impressa almeno per cinque minuti nella mente. Per il resto questa compilation è una disperazione, che potrà magari piacere ai fan più oltranzisti della band o a chi ha voglia di fare un salto nel passato per quelle forti contaminazioni punk presenti lungo le 21 schegge impazzite di questo 'Sliver in the Hands of Time', o solo tanto per capire l’evoluzione stilistica, attraverso sedici anni di storia degli Integrity. E dire che si diceva che questo potesse essere l'epitaffio della band statunitense... (Francesco Scarci)

(Goodlife Recordings - 2005)
Voto: 50

https://www.facebook.com/INTEGRITY.HT

mercoledì 28 ottobre 2020

Katharos XIII - Palindrome

#PER CHI AMA: Black/Doom/Avantgarde/Jazz
Uscito oramai un anno fa ma arrivato solo oggi sulla mia scrivania, mi appresto a parlarvi di 'Palindrome', atto terzo dei rumeni Katharos XIII. La band originaria di Timișoara, aveva già fatto parlare positivamente di sè nel 2017 quando uscì 'Negativity'. Ora le cose sembrano migliorate ulteriormente con un 5-track ricco di contenuti. Se la base da cui partiva il quintetto era quella del depressive black, qui assistiamo ad una interessante evoluzione. Lo si capisce già in apertura, in cui facciamo conoscenza della candida voce di Manuela Marchis ma soprattutto del sax assatanato di Alex Iovan, altra splendida sorpresa di questo lavoro. "Vidma" è un pezzo che si muove tra black, doom, jazz e atmosfere orrorifiche che mi hanno rievocato 'The Call of the Wood' dei nostrani Opera IX, ma nelle parti più malinconiche, mi hanno evocato anche un che dei The Third and the Mortal di 'Tears Laid in Earth'. Potrete pertanto immaginare il mio sommo piacere nel godere di simili sonorità, che durante le fughe del sax, chiamano inequivocabilmente in causa anche i White Ward. Insomma un trittico di nomi che francamente mi fanno sobbalzare dalla sedia e pensare che stavolta i Katharos XIII l'abbiano combinata davvero grossa. E non posso che rimanere piacevolmente colpito anche dai successivi pezzi: "To a Secret Voyage" è un drammatico viaggio ambient imperniato su atmosfere notturne, quasi da piano bar, dove sedersi al bancone e affogare ogni singolo pensiero nell'oblio di un qualsivoglia distillato. La song prova a dare qualche accelerazione black (non proprio riuscitissima a dire il vero), ritornando poi a quelle sonorità lounge, in cui i nostri sembrano trovarsi maggiormente a proprio agio. E si va a nozze a tal proposito anche con la lunghissima "Caloian Voices", un altro esempio di avanguardistico sound dark jazz doom prog con la voce di Manuela davvero ispirata e quel sax che è puro godimento ascoltare. Non mancano i cambi di tempo, che spezzano le atmosfere rilassate sin qui create e ne generano altre decisamente più angoscianti fatte di suoni spettrali e voci malvagie in sottofondo. Il finale poi è da applausi con lo sperimentalismo dei nostri che prende il sopravvento tra parti disarmoniche e fughe jazz. "No Sun Swims Thundered" ci conduce in misantropici oscuri meandri dai quali non far ritorno per abbandonarsi ai vocalizzi della bravissima e sofferente Manuela, sempre più convincente. La song vive ancora di spettrali break atmosferici e quegli ormai consueti frangenti jazz che li avvicinano ai norvegesi Shining. Uno spettacolo, anche alla luce di un finale affidato allle delicate e soffuse melodie di "Xavernah Glory" che sanciscono le enormi potenzialità di questa compagine. Insomma, per me 'Palindrome' è una sorta di buy or die. Intesi? (Francesco Scarci)

lunedì 26 ottobre 2020

Nagaarum - Covid Diaries

#PER CHI AMA: Experimental Black, Fleurety
Il coronavirus non è stato solo fonte di dolore per la gente, ma anche di ispirazione. L'avevamo apprezzato qualche settimana fa con la triplice release dei Queen Elephantine, lo rivediamo oggi con questa uscita chiamata inequivocabilmente 'Covid Diaries', che arriva sei anni dopo quel 'Rabies Lyssa' che profetizzava l'arrivo di una pandemia nel 2019. A proporlo è un amico del Pozzo dei Dannati, ossia il musicista ungherese Nagaarum, uno che da queste parti ha bazzicato parecchio. Il nuovo disco, uscito per la Aesthetic Death, altra etichetta amica, consta di sei tracce. Si parte con l'inquietante epilogo di "Prelude for 2020", quasi a prepararci psicologicamente a questo funesto anno di morte. L'aria è pesantissima e rappresenta fedelmente, attraverso le sue nebulose atmosfere, questi folli mesi che stiamo vivendo. "The First Ingredients" sembra addirittura peggio, con un ambient noise davvero paranoico, quasi a descrivere quella sensazione di vuoto sperimentata durante il famigerato lockdown. Ecco, ho rivissuto quei terribili momenti di isolamento sociale patiti in primavera, quando la tempesta del malefico Covid si abbatteva sull'Europa. Fortunatamente, "Superstitious Remedy" somiglia maggiormente alla forma di una canzone, certo, di non facile digestione, ma pur sempre dotato di una musicalità ostica che trova comunque spiragli di melodia grazie anche all'apporto vocale di una gentil donzella, Betty V. "Competitors" è un dialogo surreale (ma interessante da seguire attraverso le liriche contenute nel cd) tra robotici vocalizzi di donna (e la voce narrante di un uomo) che in realtà rappresentano le voci dei personaggi Vera, Yersinia e Rosie, ossia la personificazione delle manifestazioni dell'epidemia. Più vicino alle passate produzioni di Nagaarum è invece un pezzo come "I Am Special", sospinto da un mix tra avantgarde, doom e depressive, in quanto di più orecchiabile si possa pretendere di ascoltare su questa release. L'ultimo pezzo è affidato alla lunghissima "Liquid Tomorrow", dove la voce narrante di Roland Szabó (amico del frontman magiaro) sembra chiudere in bellezza con un'ultima dose di positività e quelle nubi ancor più cupe che incombono sulla società. Musicalmente, la proposta del factotum ungherese ricalca qualcosa che apprezzai enormemente venticinque anni orsono, ossia il debut 'Min Tid Skal Komme' dei Fleurety, attraverso un black psichedelico davvero ispirato, ove ancora una volta, la voce di Betty V. dà il suo enorme contributo. Alla fine, 'Covid Diaries' è un album introverso, cupo, non certo un lavoro per tutti, ma lo consiglio di sicuro a chi ama la sperimentazione votata a esplorare i meandri più oscuri della psiche umana. (Francesco Scarci)