Cerca nel blog

sabato 29 settembre 2018

Aornos - The Great Scorn

#PER CHI AMA: Cosmic Black, Darkspace, Deathspell Omega
Nella cittadina di Miskolc, ho trascorso qualche giorno lo scorso anno, per motivi lavorativi. Mai mi sarei immaginato che potesse essere la casa di questo progetto oscuro a nome Aornos. Trattasi di una one-man-band, con 'The Great Scorn' a rappresentare il quarto album per il mastermind ungherese. Il suono proposto da Tátrai Csaba (in arte Algras, peraltro, ex membro di Carcharoth e Bornholm) include elementi black e progressive, dalle forti venature cosmiche che chiamano immediatamente in causa gli svizzeri Darkspace. La musica è originale, combinando in modo inusuale, flussi disarmonici con sprazzi di grande atmosfera, come dimostrato dalla seconda "From a Higher Reality" che segue a ruota l'intro iniziale. Accanto allo screaming efferato del vocalist, si affianca poi un cantato più epico, sorretto tra l'altro da delle chitarre che per certi versi mi hanno ricordato i Windir. Sto parlando della terza traccia, "The Kingdom of Nemesis", in cui i vocalismi al vetriolo di Algras, sono sorretti da delle chitarre old school nella vena della tradizione black norvegese (Emperor e Satyricon) e da synth a tratti davvero ispirati. Più thrash oriented invece "Trace to Beckoning Fade", anche se nella seconda parte emergono influenze più vicine ad un epic in stile Bathory. Ma sono soltanto lontane reminiscenze che s'intersecano con il chitarrismo più tradizionale del musicista ungherese, che comunque si conferma abile nel creare ritmiche cupissime inserite in un contesto a tratti claustrofobico. Algras però affonda le sue influenze non solo nella fiamma nera che bruciava negli anni '90 in Norvegia, sento infatti dell'altro nelle linee sghembe della sua chitarra: suggestioni oblique dei Deathspell Omega così come l'aura maligna dei Dødsengel o la carica mistica dei Nightbringer. C'è tanto nelle note contorte di 'The Great Scorn': il mid tempo della title track vive ad esempio di interessanti cambi di tempo, mentre "Funeral March for the Death of the Earth" sembra mostrare una vena più sinfonica vicina ai Limbonic Art e vocalmente, ai primissimi Arcturus. Insomma, l'avrete capito, Algras ha voluto omaggiare i grandi maestri del passato nordico, tributando altre grandi band black del presente, il tutto peraltro trattando temi noetici, ossia relativi alle correlazioni tra mondo fisico e la mente umana, e come essa possa influenzare determinati avvenimenti o processi fisici. La fiamma nera brucia anche nelle campagne dell'Ungheria grazie agli Aornos. (Francesco Scarci)

(Symbol of Domination/Ira Aeterna/The True Plague/Black Metal Records - 2018)
Voto: 70

https://symbolofdomination.bandcamp.com/album/sodp108-aornos-the-great-scorn-2018

Bloodshed Walhalla - Ragnarok

#PER CHI AMA: Viking/Epic, Bathory
Quorthon morì nel 2004. Da allora lo spirito indomito del mastermind svedese aleggia nell'etere alla ricerca di una sua epica reincarnazione. Si sono citati gli Ereb Altor come potenziali eredi, io non tralascerei nemmeno la one-man-band italica dei Bloodshed Walhalla, guidati dal bravo Drakhen, che con questo 'Ragnarok' arriva al ragguardevole traguardo del quarto album. E il musicista lucano lo fa nel migliore dei modi, con un disco che trasuda epicità da tutti i suoi pori sin dall'opener, nonchè title track. Certo, non solo i Bathory rivivono nelle musiche di "Ragnarok", ci sento anche gli Einherjer di 'Dragons of the North' o i Falkenbach più folklorici. Ma non importa e mi lascio travolgere dall'aura battagliera che mi rimanda ai lavori più viking dei Bathory - penso alla saga di 'Nordland' - ma nelle sue rare accelerazioni black, ci sento anche un che dei Finntroll o ancora degli Ensiferum. Le melodie vichinghe, i cori e le vocals mi inghiottiscono nelle loro storie, consentendomi di prendere una pausa dalla merda di tutti i giorni, per abbandonarmi alla pura mitologia della tradizione nordica, nemmeno stessi guardando una punta della serie tv "Vikings". Godimento puro per le mie orecchie, soprattutto quando le solenni orchestrazioni di "My Mother Earth" irrompono nello stereo con quell'esplosività percussiva che ricordo solamente nel masterpiece dei Bathory, 'Twilight of the Gods'. E allora chiudo gli occhi, penso a Quorthon e a ciò che mi trasmetteva l'ascolto dei suoi dischi, e immagino che Drakhen, animato ancor di più del sottoscritto dall'amore per quelle musiche, si sia lasciato guidare dall'ispirazione del maestro svedese, proponendo peraltro anche suoni di matrice settantiana, accostandoli ovviamente alle sinfoniche melodie che accarezzano la testa e solleticano il senso dell'udito. La voce di Drakhen, pur emulando il compianto frontman svedese, è uno spettacolo e costituisce un valore aggiunto per la release. Arrivo nel frattempo alla terza "Like Your Son", che continua nel narrare la battaglia finale tra gli dei e l’ordine del male e delle tenebre. La musica evolve e si muove tra il viking dei Moonsorrow, l'epic dei Bathory e il power dei primi Blind Guardian mantenendo un tono trionfale soprattutto nella lunga suite finale, dove Drakhen regala ben 28 minuti di suoni maestosi, in grado di rappresentare con grande efficacia, il palazzo ove ora risiedono quei guerrieri che sono morti gloriosamente in battaglia. Immaginatevi quella dimora, costituita da ben 540 porte, con i muri fatti con le lance di quegli uomini più valorosi o il tetto fatto di scudi di oro su cui sono raffigurate scene di guerra, e la musica che inneggia in quella sala? Quella dei Bloodshed Walhalla ovviamente. (Francesco Scarci)

ISA - Chimera

#PER CHI AMA: Progressive Death, Atheist, Between the Buried and Me
In questo momento sembra che le one-man-band stiano spopolando alla grande. L'ultima giunta sulla mia scrivania arriva dagli Stati Uniti ed è opera dell'artista visionario Dan Curhan. La band si chiama ISA mentre l'album, intitolato 'Chimera', contiene nove tracce più intro e outro, dedite ad un death metal psichedelico e dalle tinte progressive, senza comunque tralasciare le radici acoustic folk nelle quali affonda la musica dell'artista del Massachusetts. "Stage I: Descent" ne è infatti testimone, combinando musica prog con suoni estremi e rudimenti folk. Con "Stage II: Fear", le carte in tavola vengono completamente sparigliate e ci troviamo di fronte ad un techno death che trova attimi di tranquillità in un arpeggio poco prima della parte centrale, prima di rilanciarsi in un aggrovigliarsi di ritmiche, voci tortuose, chitarre e percussioni funamboliche, che evocano un che degli Atheist di 'Unquestionable Presence'. Il disco non è proprio facilissimo da essere assimilato, ma la cosa non mi spaventa, anzi mi stimola ad ascoltare con maggiore attenzione le prodezze del musicista di Somerville che in "Stage III: Heathens", si ritrova a sussurrare su partiture rock, a dimostrare l'enorme quantitativo di carne al fuoco contenuto in 'Chimera'. I ritmi sono decisamente più blandi, anche quando Dan pesta maggiormente sul pedale dell'acceleratore o si diletta nell'incrociare screaming, growling e clean vocals. Ma con "Stage IV: Evil", i suoni si fanno ancora più lugubri quasi al limite del funeral doom, sostenuti da un dualismo vocale aspro e profondo. La musica tuttavia persiste nel suo gioco di chiaroscuri, cambi di tempo e fasi disarmoniche che verosimilmente hanno il pregio (ma anche il difetto) di disorientare l'ascoltatore. È qui che emergono più forti le influenze techno death della band, tra Atheist e Pestilence, in un tortuoso cammino di belligeranza cerebrale che porta ad estendere i confini musicali della band dell'East Coast anche verso Between the Buried and Me e The Dillinger Escape Plan, in quella che probabilmente risulta essere la traccia maggiormente cervellotica del lotto. Non lasciatevi però ingannare dalle movenze "pink floydiane" in apertura di "Stage V: Reflection", abbassare la guardia permetterà a Dan e ai suoi ISA di aggredirvi con maggiore semplicità nella seguente "Stage VI: Lust", folle, brutale ed atmosferica quanto basta per definirla la traccia più idiosincratica dell'album. Bravo il buon Dan a dare ampio sfoggio di sperimentazioni musicali e originalità, seppur manchi ancor quel pizzico di fluidità in grado di conferire una maggiore accettabilità (o digeribilità) del prodotto. Rimane qualche altro episodio alquanto interessante da ascoltare: il lato progressive di "Stage VII: Freedom" ad esempio o l'imprevedibilità di "Stage VIII: Ocean" per un album che ripeto, si rivelerà per i più alquanto arcigno. Ma questo per il sottoscritto è sempre un segno che si è lavorato bene... (Francesco Scarci)

martedì 25 settembre 2018

Drive Me Dead - Who's the Monster

#PER CHI AMA: Punk/Rock
La rutilante pop'tallica "Freak" apre l'album d'esordio dei romagnoli "fammi morire" più meno come "Fuel" apriva 'Reload' dei Metallica. Nel prosieguo del disco, un punk n'roll farsescamente cinematografico, qualcosa che potreste degnamente collocare tra gli ultimi, straordinari, Social Distortion ("Between Life and (un)death") e quelle specie di emanazione massima di krautoficienza musicale che prende il nome di Bosshoss ("Zombie Don't Run" e "A Monster/The Monster") con sporadiche escursioni nel melodic-clapclap vs. Green day ("25th of December"), nel groove-punk alla Rebel Meets Rebel ("Your Worst Nightmare") o ancora nello speed and roll (l'ossequioso tributo a L. Kilmister di "Lemmy's Ghost"). Breve e succinta analisi strutturalistica dei titoli, limitatamente ai sostantivi: monster, dead/death, zombie due occorrenze ciascuno; freak, ghost, nightmare una occorrenza ciascuno, tutti gli altri sostantivi quattro occorrenze in tutto, tra cui un nome proprio, peraltro quello dell'eminentissimo estinto di cui sopra. Copertina di Sergio Gerasi, apprezzato disegnatore, tra gli altri, di Dylan Dog. (Alberto Calorosi)

?Alos - The Chaos Awakening

#PER CHI AMA: Dark/Ambient/Drone
Parlare di ?Alos e delle sue opere non è mai stato facile, né mai lo sarà. La sua arte di confine ispirata da ombre e oscurità si colloca nei meandri più bui dell'avanguardia sonora e la sua ricerca vocale è tanto focalizzata, mirata e vasta che a fatica, il grande pubblico riuscirà ad apprezzarla e a capirla veramente. Del resto Stefania Pedretti non è artista facile che si vuol far amare da tutti, cominciando con la sua recente affiliazione al filone black/doom, ai suoi riferimenti luciferini e al suo inasprirsi e radicalizzarsi verso sonorità sempre più estreme. Diciamo subito che di musica sperimentale/ambient drone si tratta e che in questo nuovo 'The Chaos Awakening' la nostra artista si cimenta in una sorta di catarsi etnica basata su leggiadri e mistici rintocchi di campanelli, tenui ed ipnotici strumenti a percussione, suonati su divagazioni vocali che invocano un matra spirituale, un percorso sciamanico, calati su loop dronici cupi e profondi. Una lunga suite dove il tempo/spazio si perde e dove la forma canzone abbandona tutta la sua architettura classica, per lasciar spazio alla trance ancestrale provocata dalle corde vocali di ?Alos, che genera suoni contorti e disturbanti al passo con le evoluzioni della divina Diamanda Galas. Rintocchi etnici si muovono in sottofondo, sinistri e glaciali, siderali armonie monotone ad alimentare la trasformazione vocale che cerca di emergere a suon di esplorazioni gutturali ed impennate liriche, trafitte sempre da quel sodalizio/attitudine/appartenenza alla musica nera e diabolica. Avanguardia, come poteva intenderla Luciano Berio in alcune sue spettacolari opere, rumori/suoni che vanno oltre la semplice musica, sperimentazione intelligente ed affascinante. Il finale è lasciato a fiati terrificanti di trombe pronte ad aprire i cancelli degli inferi. Una ventina di minuti di buio totale ed un risveglio tra le fiamme dell'inferno, contorto, mistico, sinistro e malato, carico di silenzioso, violento, attrente, pagano, rispettoso, libero amore verso il caos primordiale. Alla ricerca del risveglio dell'anima, io ne consiglio l'ascolto. (Bob Stoner)

lunedì 24 settembre 2018

La Fantasima - Notte

#PER CHI AMA: Post Rock/Drone/Psych
La Fantasima sembra l’incrocio tra le parole “fantasma” e “fantasia”, due immagini che ben si sposano con il suono silvano e crepuscolare del trio romano alla seconda prova in studio dal titolo 'Notte'. Si tratta di un post rock strumentale che ricorda a tratti i My Sleeping Karma, con venature drone e squisitamente psych, il tutto sostenuto da una ritmica cadenzata e costante che riporta a generi come lo stoner o il doom. Da notare l’utilizzo del basso che spesso si arrampica in complicati fraseggi, spiccando dal mix sonoro e di fatto, prendendo la posizione di strumento solista. Per gran parte del disco assistiamo al dispiegarsi di ambienti sospesi ed eterei, la chitarra effettata e scintillante, traccia degli scenari da fiaba, quelle fiabe per bambini che hanno una trama stranamente oscura e finiscono con la morte di qualcuno vicino al protagonista. Sono presenti anche dei momenti di rilascio della sospensione saturi di fuzz e carichi di energia come la parte centrale di “Sino al Mattino” che ricorda gli ultimi lavori degli Ufomammut, band che la band dichiara come influenza sulla propria pagina. La musica dei La Fantasima riesce a coinvolgere e a trasmettere, personalmente ho provato quella sensazione che si prova mentre si è in viaggio verso qualcosa di sconosciuto, quel misto di paura e di euforia, di curiosità e di allerta continua per non farsi prendere alla sprovvista. Ogni pezzo è un sentiero in una selva fantastica, uno scenario impossibile perennemente al centro della notte, gli alberi rifulgono di riflessi blu scuro e il verde e l’azzurro dei ruscelli non esiste mai. Il vento muove le fronde che dialogano tra loro e racchiudono gelosamente il suolo coperto di vegetazione fittissima mai toccata dall’uomo. Si tratta quasi di una colonna sonora, un percorso sinestetico nella grandiosità e nel mistero della natura il tutto decorato da uno splendido scenario oscuro e boschivo che trasporta la mente in una favola antica e dimenticata. (Matteo Baldi)

domenica 23 settembre 2018

Taiga - Cosmos

#PER CHI AMA: Depressive Black/Doom, Austere
La Russia da sempre è sinonimo di affidabilità in fatto di sonorità black doom atmosferiche. Poi quando hai un moniker che si rifà alla foresta boreale, la taiga appunto, non si può sbagliare assolutamente. Questa l'introduzione di 'Cosmos', quarto album del duo di Tomsk, che all'attivo ha anche quattro EP. Il genere espresso dai nostri siberiani è un depressive black dalle tinte atmosferiche che include ovviamente chiari riferimenti doom (visibili nell'opener "Стыд"), verosimilmente un retaggio dell'altra band di Nikolaj Seredov, i funeral doomsters Funeral Tears. Curioso poi il fatto, che il secondo membro dei Taiga sia Alexey Korolev, il proprietario dell'etichetta Symbol of Domination, che produce questo disco. Fatte le dovute presentazioni, introdotto anche il primo brano, citerei immediatamente la seconda traccia "Жить" per quel suo sound intenso, melodico, straziante (soprattutto a livello vocale) e malinconico che mi ha fin da subito conquistato. Certo ci sono ancora tante imperfezioni da limare e correggere, ma il dirompente attacco che dà il via alla song, è da brividi: una sorta di post black dal forte sapore nostalgico, in cui l'unica cosa a non solleticarmi i sensi è lo screaming efferato di Nikolaj, da rivedere sicuramente. Per il resto, il cd scivola via piacevolmente tra decadenti melodie, ariose parti di synth e rallentamenti depressive, come accade nella prima metà della title track, prima che le tastiere s'impossessino della scena e regalino attimi di grande pathos, e le chitarre abbandonino il classico ronzio black per avvicinarsi maggiormente all'heavy classico. Mi piacciono questi Taiga, hanno grinta, buon gusto per le melodie, la capacità di alternare momenti vivaci e dinamici con altri più oscuri ("Ты"), in cui le sgraziate urla del frontman, lontane in sottofondo, s'incastrano su un drammatico impianto ritmico. E cosi, evocando i primi Burzum o i più criptici Austere, i due loschi figuri continuano a ricamare pezzi più che dignitosi, in cui black, eteree atmosfere, sfuriate al limite del death ("Слова потеряют значение") e deprimenti melodie, se ne vanno a braccetto per celebrare questo quarto capitolo targato Taiga. (Francesco Scarci)

(Final Gate Records/Symbol of Domination - 2017)
Voto: 70

https://symbolofdomination.bandcamp.com/album/sodp103-taiga-cosmos-2017

Hellyeah - S/t

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Groove Metal
Il primo album del supergruppo formato dal campione rionale dei mangiatori di hot dog dei Mudvayne, dal taroccatore di marmitte dei Nothingface, dallo spacciatore di pasticche di Lexotan dei Bloodsimple e dal rivenditore di cessi a muro militante nei Damageplan e prima nei Pantera, e il cui nome corrisponde all'esclamazione che fareste al venerdì sera se foste anglofoni e un amico vi invitasse fuori per una birra (cit. Vinnie Paul), esprime bandane, pizzetti lunghi sotto il mento e un groove metalloso anni '00 poco alt e molto ortodosso, tra certi grattugiosi melodismi grunge ("Thank You", "Star") planet-carovanate ("In the Mood"), compressioni old-school-nu-metal ("GodDam", "Nausea" et many al.) e una certa, malamente sopita, predilezione southern ("Alcohaulin' Ass" o la stessa title track in apertura). Esattamente quel che ci vuole per un ascolto sguaiato al venerdì sera in auto coi finestrini abbassati mentre raggiungete un amico al pub per farvi una birra. (Alberto Calorosi)