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martedì 13 maggio 2014

Fake the Face - Everything Happens for a Reason

#PER CHI AMA: Alternative/Metalcore
Oggi cambiamo genere e ci dedichiamo al metalcore/alternative/djent con una band di Macerata, i Fake the Face (FTF). Il gruppo si è formato nel 2009 e questo è il loro debut album, quindi temo già per il prossimo! La completezza del prodotto lascia di stucco: registrazione impeccabile, artwork idem e composizione musicale sopra la media. Devo dire che questi anni di lavoro sono probabilmente serviti ai FTF per affilare le lame e mettere in cantiere del buon materiale per un debutto in grande stile. Tre chitarre che lavorano come una divisione di artiglieria pesante in modo affiatato a creare un muro sonoro veloce e in continua metamorfosi si rivelano una scelta rischiosa, soprattutto se a farne le spese è l'utilizzo delle tastiere (che comunque compaiono a tratti in "Everything Happens for a Reason") che avrebbero aiutato ad aumentare le atmosfere e l'impatto sonoro. "Behind the Glass" è una traccia potente, ricca di arrangiamenti belli pesanti, con un'ottima sezione ritmica di basso/batteria che contribuisce all'eccellente riuscita della canzone.Verso la fine il brano si addolcisce, lasciando intuire la vena melodica della band che cerca di conciliarsi con il suo lato più oscuro, dimostrando la voglia dei nostri di uscire dagli schemi. Passiamo a "Callista" che, sulla scia delle tracce precedenti, introduce una linea di canto pulita ed una screamo, combinando così il nuovo con il classico. Ottimi i riff di chitarra, che si sposano bene anche con una spolverata di elettronica che non guasta mai. "Synthetic Breath" è una traccia totalmente electro, ma che personalmente avrei reso più incisiva, sfruttando maggiormente suoni e arrangiamenti, in modo da non relegarla ad un semplice brano di passaggio tra il precedente e il successivo. Quello dei FTF è un genere che non prediligo, ma è indubbio che siamo di fronte ad un gruppo che merita la vostra attenzione e che mi auspico venga notato presto da una buona label. "Everything Happens for a Reason" è un ottimo Lp frutto di ottimo musicisti con parecchio entusiasmo. Ben fatto raga! Ci sentiamo quando uscirà il prossimo album, con l'augurio che a supporto ci sia un bella etichetta. (Michele Montanari)

(Self - 2014)
Voto: 80

https://www.facebook.com/FTF.it

domenica 11 maggio 2014

Civil Protection - Stolen Fire

#PER CHI AMA: Post Rock, If These Trees Could Talk
Dopo varie peripezie postali, 'Stolen Fire', debut album degli inglesi Civil Protection, raggiunge finalmente la mia cassetta delle lettere. Già dai caldi colori autunnali della sua copertina, ancor di più dai suoni che con educazione si fanno largo nel mio stereo, mi abbandono ad un ascolto rilassato del cd. Una breve intro e poi le gentili melodie di "My Memories Will Be Part of the Sky" trovano immediatamente il modo di far breccia nel mio mood malinconico di questa uggiosa giornata di maggio. Si tratta di una lunga song strumentale che si muove tra sonorità ariose a la If These Trees Could Talk e altre più oscure e struggenti in stile Godspeed You! Black Emperor. Bravi, non c'è che dire, solo che il sottoscritto ritiene assolutamente indispensabile anche la presenza di un vocalist a completare un quadro musicale che altrimenti reputerei "orfano" di uno dei più importanti strumenti musicali, la voce. Presto accontentato perché con "Alaska", terza traccia della release, fa la sua comparsa dietro il microfono Adam Fielding, uno dei tre chitarristi dell'act del Yorkshire. Perché tre chitarre poi? Semplice, le stratificazioni melodiche dipinte dalle sei-corde rappresentano uno dei punti di forza del sound dei nostri. La performance di Adam completa poi il quadro alla perfezione, con la sua timbrica che trasmette grande serenità e arriva quasi a toccarmi il cuore, in una song che sembra subire anche un'influenza dei primi Radiohead. Ancora distratto dai suoni di "Alaska", nel lettore sta già girando "Many Moons Ago" e il pizzicare ammiccante delle sue chitarre mi richiama all'attenzione. Il ritmo va intensificandosi, accelera come il battito del cuore dopo una grande corsa mentre le chitarre si fanno un po' più grosse con echi di una voce lontana in sottofondo. Un breve interludio e arriviamo a "From the Parish to the Pavement", che mostra una componente elettronica infiltrarsi nel sound del quintetto inglese, ma pure il pulsare intermittente dello splendido basso di Philip Birch, in una song dinamica che trova il suo punto di rottura in un intermezzo quasi noise, per poi riprendere in un crescendo emozionale da brividi, con le vocals di Adam sempre relegate in sottofondo. Per certi versi vicini agli *Shels, per altri riconducibili ai Mogway o addirittura alle sonorità più morbide dei Tool, i Civil Protection si confermano ottimi musicisti con idee assai valide e in taluni casi molto personali. Con "Redrawn", sono Kenny Skey alle pelli e Philip al basso ad aprire le danze, dando il tempo da seguire ai tre chitarristi, che ben presto entreranno in scena: uno ritmico, l'altro con un giro ipnotico e infine il terzo a tessere una trama melodica contagiosa in una escalation musicale roboante. "Monedula" è una commovente ninna nanna, in cui ho immaginato una madre tenere in braccio e cullare il proprio figlio per la prima volta, mentre lacrime di gioia le rigano il viso. La traccia conclusiva è affidata alla title track, suadente e delicata nel suo incipit, si srotola in un cupo post rock che ancora una volta vive i suoi maggiori sussulti nelle sue accelerazioni al cardiopalma e negli intermezzi in cui i lamenti di Adam fuoriescono. Album da ascoltare tutto di un fiato per lasciarsi trasportare dal flusso catalizzante dei suoi suoni. (Francesco Scarci)

(Bunnysnot Records - 2013)
Voto: 80

http://www.anticitizen.net

Paramnesia - IV-V

#PER CHI AMA: Post Black
Non tutte le ciambelle escono con il buco. Questa breve sentenza per certificare che le uscite Ladlo Productions (che ha appena rilasciato il meraviglioso come back discografico dei The Great Old Ones) non rispecchiano necessariamente standard qualitativi eccelsi. Oggi è il turno dei francesi Paramnesia, che con questo 'IV-V' debuttano ufficialmente su lunga distanza, dopo un EP e uno split con gli Unru. Ebbene, la one man band di Strasburgo, capitanata da Pierre Perichaud (stranamente un batterista), ci offre due lunghe tracce (appunto "IV" e "V" per 40 minuti di musica) di ignorante cascadian black metal. Siamo ahimè lontani dagli standard americani di act quali Wolves in the Throne Room, Panopticon o Deafheaven. La proposta del musicista transalpino infatti si pone come un impasto sonoro che tributa la sua sofferente offerta al caos primordiale, sebbene un tranquillo inizio acustico. Poi è l'inferno a palesarsi con sferzate ritmiche di violenza estrema, flebili urla atroci, blast beat irrefrenabili e un sound cosi rozzo che in taluni casi è addirittura complicato decifrare quello che fuoriesce dalle casse. Il feeling malinconico caratteristico del genere è ben presente nelle linee di chitarra del factotum alsaziano, soprattutto in quei momenti in cui il vento gelido del nord smette di soffiare e oscuri e rarefatti momenti di quiete trovano modo di placare la tempestosa inquietudine di Pierre. Mettiamoci una registrazione non proprio limpidissima e potrete intuire quanto sia poco digeribile l'ascolto di questa release. La seconda "V" apre lenta e disarmonica, con le chitarre che sembrano voler imitare una delle stralunate band norvegesi (a me sono venuti in mente i Ved Buens Ende). Un paio minuti di calma apparente e poi ecco riesplodere un groviglio fatto di allucinate chitarre marcescenti e un martellare intrepido dietro le pelli, con un aura melmosa e nefasta che ne avvolge l'intera composizione. Il sottoscritto è un fan del black metal cascadiano, di quello dalle ritmiche serrate ma corredato da melodie coinvolgenti di sottofondo; qui c'è ben poco di tutto questo se non una infernale matassa di suoni, che si sbrogliano tra galoppate black, atmosfere minimal/suicidal e frangenti al limite del funeral doom. Difficile pertanto affermare che il prodotto che ho tra le mani sia un qualcosa di cui ci ricorderemo a lungo, se non per quel suo meraviglioso digipack, che abbina parti opache ad altre lucide a creare un effetto tridimensionale, davvero affascinante. Poca roba però per un onesto album black. (Francesco Scarci)

(Ladlo Productions - 2014)
Voto: 60

http://paramnesiaxpa.bandcamp.com/

sabato 10 maggio 2014

Forbidden Shape - The Sleepwalking Psychopath

#PER CHI AMA: Thrash/Death
Il bello di fare recensioni di gruppi emergenti è soprattutto il fatto di non sapere mai cosa aspettarsi al pigiare del tasto play del nostro amatissimo cd player; ci si può fare un gran film guardando le copertine e lo stile dell'artwork, ma fidatevi, poche volte sarete ricompensati con la consapevolezza di averci azzeccato, anzi... Per quello che mi riguarda è il caso di questi Forbidden Shape, combo russo dedito ad una sorta di death metal a tratti brutal, a tratti quasi power metal, a sprazzi molto thrash riff-oriented. Detto in parole povere, un gran casino. Nel senso dei volumi? No, in questo caso, un gran casino di idee, ben poche messe a fuoco e portate fino alla fine. Una stroncatura prima di iniziare? In un certo senso si, in un altro no; ora mi spiego. Vi confesso che ho ascoltato questo cd per almeno 5 volte (con gran fatica) prima di pronunciarmi; vi confesso anche che, per come sono fatto io, ascoltare 5 volte una cosa che non mi entusiasma è già un grande sacrificio. Non a caso, purtroppo, quelle che seguiranno non saranno giudizi estremamente positivi; quello che mi si pone all'ascolto è un calderone di suoni, rumori, frammenti di canzoni, pessime growling vocals, accordi che faticano a trovare un legante, se non quello di far parte di una stessa traccia sul dischetto ottico. Parole incomprensibili se non leggendo il libretto (non mi era capitato nemmeno con i Cannibal Corpse più marci...), canzoni senza capo né coda, nessun riff portante, pochi solos degni di nota e, a quanto sembrerebbe leggendo i testi, anche poco da dire. Con tutta la buona volontà, trovare un pregio alle composizioni del gruppo, almeno per me, è una "mission impossible". Non bastano una manciata di riff quasi indovinati (ma tutti col retrogusto del già sentito) a salvare quella che, sotto il punto di vista meramente compositivo, è una disfatta a tutti gli effetti. Come in quasi tutte le cose, qualcosa da salvare c'è, giusto per non ammazzare con un voto pessimo questa release; prima di tutto i suoni, non sono sicuramente i peggiori sentiti, anzi risultano essere piuttosto curati. L'aspetto tecnico è notevole, meritano di essere citate le prestazioni della sezione ritmica su tutte: bravo Gungrind al basso (per l'esecuzione, la composizione delle songs è da rivedere). Sappiamo tutti che però un disco non puo' reggersi su buoni suoni e ottime prestazioni stile session man (oddio, per quello che riguarda un certo “rock italiano” sembrerebbero bastare anche solo queste due cose), quindi cio' che propone questa release riesce a malapena a rosicchiare una sufficienza che finisce per non accontentare nessuno: prima di tutto i Forbidden Shape, perchè con questi mezzi esecutivi e un po' di concentrazione in piu' in fase di composizione, questo cd assume fortemente il sapore amaro dell'occasione persa; si può e si deve far di più. Non accontenta di certo me, perchè mi aspettavo ovviamente di più (maledette supposizioni “da copertina”). Senza ombra di dubbio la migliore traccia a mio parere rimane la numero 7, “Crude Soil Therapy”, che oggettivamente contiene delle ottime idee che lasciano intravedere capacità indiscusse. Per poco hanno evitato di essere “rimandati a Settembre”, la sufficienza la strappano sulla fiducia. Dai Forbidden Shape mi aspetto molto di più; sarò qua ad attenderli. (Claudio Catena)

(Fono Ltd - 2013)
Voto: 60

http://www.fono.ru/artist/181/

venerdì 9 maggio 2014

Woman is the Earth - Depths

#PER CHI AMA: Post Black, Deafheaven
Che sia il fenomeno musicale del momento è sotto gli occhi di tutti; il post-black, che va ormai a braccetto con il cascadian sound, ha raggiunto grandi vette di popolarità grazie ad act quali Deafheaven, Wolves in the Throne Room, Altar of Plagues e recentemente ai, da poco recensiti, The Great Old Ones. Calcando l'onda del successo del genere, ritornano i Woman is the Earth, che già avevamo potuto apprezzare in occasione del loro secondo lavoro, 'This Place that Contains my Spirit', pochi mesi fa. Il come back discografico è affidato ad un nuovo ma breve lp di tre pezzi, 'Depths', che esce per la Init Records e che mette in luce una progressione musicale assai interessante per il combo del South Dakota. Il trittico di song si apre con "Crown & Bone/Dreamer", lungo e malinconico brano di oltre 10 minuti, in cui il trio di Rapid City, torna a graffiare con un muro sonoro lo-fi, in cui a battagliare sono furibonde epiche cavalcate con apocalittiche atmosfere, corredate da mortifere screaming vocals e qualche raro momento acustico. Attenzione però che qualcosa si muove a livello musicale, con una vena progressiva che sembra materializzarsi timidamente a livello solistico. Lo preannunciavo nella precedente recensione che ne avremo sentite delle belle, se solo le idee fossero incanalate in modo migliore e i nostri sembrano essere in effetti sulla strada giusta. Soprattutto quando è la strumentale "Lifted" a materializzarsi nelle mie orecchie, che offre una sezione ritmica, affidata alle sei corde di Andy e Jarrod, alquanto imprevedibile: caldi intrecci di chitarre deliziano infatti i miei timpani in una song elegante e dal piglio post-rock. Una lunga apertura corale ci introduce a "Child of Sky" che poi ci prende per mano con il suo riffing furioso intriso di disperazione, accompagnato dall'incessante martellare di Jon alle pelli e dalle viscerali vocals di Jarrod. Ahimè il cd termina qui, lasciandomi un po' con l'amaro in bocca, perchè sinceramente avrei gradito almeno un altro paio di song a soddisfare la mia sete infinita di suoni cascadiani. Buon passo in avanti per l'ensemble statunitense, ma solo mezzo punto in più rispetto al precedente lavoro, semplicemente per le poche song proposte. Attendo fiducioso per un imminente futuro. (Francesco Scarci)

(Init Records - 2014)
Voto: 70

giovedì 8 maggio 2014

Misanthropic Art – The Streams of Terror

#PER CHI AMA: Black Industrial, Blut Aus Nord
Quando l'offerta supera le aspettative di piacere d'ascolto, si rischia di essere di fronte ad un gioiellino d'arte estrema, di rumore pregno di melodia, di carica industriale e ipnotica, pensata e suonata con la forza della ribellione verso il già scritto, il già suonato; quello che altrove risulta ovvio e scontato, in questo doppio concept album è forma artistica, poesia deforme ed estrema. La follia della sua sonorità, la drammaticità teatrale, la ricerca sonora tra macerie di violenza, dissonanze e rumori per costruire un viaggio occulto, spettrale e onirico nel buio più profondo. Quel buio dal carattere gotico, dalla struttura black metal e dal retrogusto crust, noise, dark, ambient esoterico per un doppio cd che ai più risulterà una tortura ma che alla luce dell'avanguardia, splenderà come un nuovo sole, geniale nel suo aspetto oltranzista, senza remore nell'impatto, altamente atmosferico ed evocativo nel suo essere tritacarne sonoro, contraltare black dei capolavori noise di Zeni Geva in ambito alternativo d'avanguardia, paragonabile nell'estremità sonora al capolavoro devastante dal titolo 'Vexovoid' dei Portal o ad 'Evolution Through Revolution' dei Brutal Truth, uniti alla maestosa destrutturazione dei migliori Blut Aus Nord, filtrati dalle allucinazioni sperimentali di casa Beherit, con il lato gotico sacrale d'altri tempi caro ai migliori Fields of the Nephilim. Questo doppio cd intitolato 'The Streams of Terror' (cd 1 dal titolo 'Chains' con otto brani e cd 2 'Threads' con altri quattro) cavalca una nuova onda di musica reale, liquida, violenta e malatamente sinfonica che arriva da mondi senza tempo e tenebrosi, una realtà psichica altamente inquinata e allo stesso tempo tanto presente e penetrante da non lasciare scampo. Questa one man band russa capitanata dal geniale tuttofare Sadist, attiva sin dal 1999 con un numero elevatissimo di pubblicazioni, ha superato con questo inquietante lavoro, giudicabile esclusivamente a livello emotivo e licenziato via S.N.D. Productions, quel confine musicale che altre band più blasonate nemmeno riescono lontanamente ad immaginare. Questo non è black metal, è solamente il buio migliore, il suono dell'oscurità perfetta! (Bob Stoner)

(S.N.D. Productions - 2013)
Voto: 90

Bleeding Eyes - A Trip to the Closest Universe

#PER CHI AMA: Psych Sludge
I Bleeding Eyes (BE) sono una masnada di bastardi veneti che occupano un posto di riguardo nella scena sludge-doom-stoner sin dal 2003. E da allora non hanno mai smesso di mietere vittime innocenti e non grazie alla loro dose di "satanismo" verace. Legati indissolubilmente con tutto quello che riguarda l'alcool e in particolare la sacra birra (dopo tutto dalle loro parti esiste un poco noto birrificio, Pedavena), i BE sono cresciuti costantemente negli anni, sapendo affrontare i vari cambi di line-up, la firma di un contratto con la Godown Rec. e molto ancora, portandoli ad essere una band che suona in ogni dove, a fianco di gruppi che metterebbero la tremarella ai più deboli di cuore. Questo "A Trip to the Closest Universe" contiene sei tracce e risale ormai ad un paio di anni fa, anticipando il prossimo lavoro previsto per l'estate 2014 che sono già ansioso di ascoltare. Ma torniamo a noi e passiamo alle tracce qui contenute. Si aprono le danze mefitiche con "Arrotino", brano dal testo che prima vi fa sogghignare e poi vi lancia in un turbine di depressione ed ansia che rischia di rubarvi l'anima per sempre. Riff pesanti e ritmica iniziale lentissima che vengono accompagnati da declamazioni urlate in faccia con rabbia e disprezzo. Poi il brano accelera (passatemi il termine) facendovi godere a più non posso, insomma, un gran pezzo con tanto di assolo e cambi ritmici. "Pozzo senza Fondo" sembra dedicata al nostro blog e di fatti racchiude tanto odio e cattiveria, sia a livello strumentale che vocale. I suoni dei BE sono saturi, graffianti e potenti come un pugno nello stomaco quando meno te lo aspetti. Chitarre che vi schiacciano, ma allo stesso tempo l'uso di delay e affini, crea atmosfere diverse dalle classiche sludge-doom, permettendo all'ascoltatore di non soffocare miseramente. La scelta di cantare in italiano potrebbe essere opinabile dal punto di vista di visibilità all'estero, ma i nostri ragazzi se ne fottono allegramente e quindi si divertono a scrivere i testi che fanno sorridere per alcuni passaggi, ma lasciano l'amaro in bocca per l'attualità dei temi di cui trattano. Una sorta di profeti sociali del 21esimo secolo? Decidete voi. L'album chiude con "From Now On It Can Only Get Worse", un doom di quelli da enciclopedia musicale che dovrò assolutamente ascoltare in sede live perché se mi ha annientato comodamente seduto sul divano, ho paura che sotto il palco avrò delle visioni mistiche. Con una buona dose di psichedelia, sapientemente usata per spezzare le catene degli schemi, il brano è bello tosto (undici minuti), ma è talmente vario che non ve ne accorgerete neanche. C'è addirittura un break simil hardcore, quindi non dico balle scrivendo che i Bleeding Eyes sono un gruppo di qualità, di cui bisogna essere fieri e che invito a supportare come potete. Con un piccolo obolo vi portate a casa della gran musica, ottimamente composta e registrata. E poi, trovatemi altri gruppi che ripagano i propri fan con tanta generosità. (Michele Montanari)

(GoDown Records - 2012)
Voto: 85

https://www.facebook.com/pages/Bleeding-Eyes

domenica 4 maggio 2014

Orthodox - Conoce Los Caminos

#PER CHI AMA: Doom, Avanguardia, Noise, Free form
In attesa di un loro nuovo lavoro – l’ultimo 'Baal' è del 2011 - è tempo di bilanci per il fenomenale trio di Siviglia: 'Conoce Los Caminos' è un doppio album che racchiude rarità, inediti e b-sides risalenti al periodo 2005 – 2010, e può rappresentare tanto un succulento boccone per i fan quanto un compendio ideale per chi si volesse approcciare alla multiforme proposta di quello che probabilmente è quanto di meglio possa offrire, in ambito estremo ma non solo, la penisola iberica. La scaletta si dispiega per piú di due ore alternando sapientemente umori ed atmosfere, fino a fornire una fotografia piuttosto fedele di quello che sono gli Orthodox, da sempre capaci di fondere in maniera sorprendentemente organica, e sempre credibile, suggestioni sabbathiane, tematiche bibliche, ugge dark-folk, il free jazz piú estremo e i Pink Floyd piú disturbati e psych. Ecco quindi che trovano posto versioni primordiali e imperdibili di brani quali “Geryon’s Throne” e “Il Lamento del Cabrón” – presenti nell’esordio 'Gran Poder' che, nel 2005, ricevette l’investitura nientemeno che dell’Arcidruido, Mr. Julian Cope, travolto dagli opprimenti riff doom, le coltri ambient noise e le voci da pelle d’oca di queste lunghissime composizioni – ma anche una prima bozza di quel pezzo di musica aliena che rimane “Ascension” (dal terzo album 'Sentencia' del 2009), tra John Cage, Art Ensemble of Chicago e il Tim Buckley di 'Lorca'. Ci sono poi altre testimonianze dell’evoluzione sonora dei tre, sempre impegnati a confondere le acque e innervare la loro musica di nuove influenze e suggestioni, dallo space rock gotico “Matse Avatar”, alla spettrale, scurissima litania psych-folk “Heritage”, fino alle devastanti sarabande free rumoriste “Different Envelopes” e “Japan Rush”. Rimane poi da dire dell’omaggio, sotto forma di cover, che gli andalusi rendono a due dei loro maestri; ecco quindi “Genocide” dei Venom, grezza e lercia come si conviene, e una “Black Sabbath” che suona crudele e inquietante almeno tanto quanto l’inavvicinabile originale. In definitiva un lavoro davvero ben fatto, che centra perfettamente l’obiettivo di dare una rappresentazione globale seppur, per forza di cose, frammentaria, di una band che è stata in grado di evolversi continuamente fino a diventare praticamente inafferrabile. (Mauro Catena)

(Alone Records - 2013)
Voto: 75