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giovedì 31 luglio 2025

The Pit Tips

Francesco Scarci

Edyakaran - Pantheon
Fallujah - Xenotaph
Helheim - HrbnaR / Ad Vesa

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Alain González Artola

Old Forest - Graveside
Häxkapell - Om jordens blod och ugravens grepp
Hesperia - Fra Li Monti Sibillini (Black Medieval Winter Over The Sibylline Mountains)

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Death8699

Falconer - Falconer
Inhuman Condition - Mind Trap
Napalm Death - Death By Manipulation

lunedì 28 luglio 2025

Harvst - Mahlstrom

#PER CHI AMA: Melo Black
Bella sorpresa questo 'Mahlstrom', secondo atto dei tedeschi Harvst, terzetto originario di Francoforte che nasce verosimilmente come side project di un membro dei Frostreich e uno degli Schǝin. Il genere proposto s'inserisce nel filone del black atmosferico dalle tinte melodiche. Andiamo allora a dare un ascolto alle sette tracce ivi incluse, giusto per capire di che stiamo parlando. Si parte da "Mahlstrom Teil I - Der Aufschrei des Vergangenen" e da una traccia che si fa notare immediatamente per le sue linee melodiche, le accelerazioni in territori post-black, con le liriche, stando a Metal Archives, che affrontano tematiche esistenziali. L'onda d'urto che ci investe in alcune scorribande è bella potente ma le melodie, per certi versi affini a quelle degli Agrypnie, rendono il tutto decisamente più accessibile, pur rimanendo in ambito estremo. "Laubwacht" spinge altrettanto forte ma qui lo screaming di Dornh si alterna a vocals più sussurrate ed evocative, ma il risultato finale non cambia, con il sound che si fa più oscuro nella seconda metà del brano. "Was Die Erde Nimmt" si muove sempre su melodici giri di acuminate chitarre, e le voci, spesso relegate in secondo piano, contribuiscono a dar maggior spazio all'aspetto prettamente musicale. C'è spazio per un break strumentale che fa da preludio a un buon assolo, peccato si perda in una sezione ritmica forse troppo caotica, ma il brano comunque merita, soprattutto anche per l'alternanza vocale che rende il tutto molto più dinamico. "Wahnmal" parte più soffusa, ma è la classica quiete prima della tempesta visto che esploderà a breve con una ritmica dinamitarda, mantenendosi più o meno similare fino a un finale in fade-out. Sulla falsariga anche "Treibholz", e forse qui si vedono le prime debolezze di un disco che sembra soffrire di una certa ridondanza ritmica, portando le canzoni alla fine ad assomigliarsi un po' tutte. Ma le qualità per far bene ci sono sicuramente tutte, basta tirare fuori un pizzico di personalità in più, come quella che sembra emergere nella lunga "Mahlstrom II – Der Abschied des Dechiffrierten". Una maggior varietà nei suoni e nei cambi di tempo, darebbe sicuramente maggior lustro a questa band, che innegabilmente, sembra avere del grande potenziale. Staremo a sentire futuri sviluppi con grande curiosità. (Francesco Scarci)

(Onism Productions - 2025)
Voto: 70

https://harvst.bandcamp.com/album/mahlstrom

domenica 27 luglio 2025

Amyl and the Sniffers - Cartoon Darkness

#PER CHI AMA: Garage Rock/Punk
"Jerkin'", prima traccia, quarto singolo, il collegamento subliminale tra l'invettiva slum punk alla Sleaford Mods (di cui sarà opportuno riascoltare "Nudge it", prima traccia di 'Spare Ribs', 2021) con la ruvida primitività ante-fuzz old school stoogesiana: "Jerkin'" collide, devia e si ingarbuglia, asintoticamente prossima al classicismo londinese fine70 (UK subs? Sex p.?) ma non nei contenuti, squisitamente twenty-twenty (guardatevi il video). Sentite anche "Motorbike Song" (ma che idea stramba quei suoni psych di chitarra...), ma anche e soprattutto "It's Mine", dove l'asintoto potrebbe essere individuabile addirittura nei Discharge di 'Hear Nothing See Nothing Say Nothing'. Ma anche il riot grrrl postulato dai Blondie, ed evocato in "Bailing on Me" (trattenetevi dal cantarci sopra po/po-po-po/po-po e gustatevi il fischiettio coxoniano nel finale) e canonizzato dalle Hole (il secondo singolo "Chewing Gum", ma non solo). Il primo singolo "U Should not be Doing That" (altro videoclip grandioso) garantisce la continuità col fuzz-rock ultra-catchy del precedente 'Comfort to Me', proprio come la successiva "Do It" (Social distortion?). La tecnofunkettosa "Me and the Girls" in chiusura (chi ha citato gli ultimi Clash? I Chk-chk-chk? I Daft punk?) insinua nuovi stuzzicanti scenari. E poi c'è "Big Dream", straordinaria, malinconica, immensa sunset-ballad accompagnata da un video infinito, girato in un'unica take, imprescindibilmente sottocutaneo, piccolo capolavoro di composizione e produzione. Una delle cose migliori di questi aridi anni '20. (Alberto Calorosi)
 
(Rough Trade Records - 2024)
Voto: 75
 

mercoledì 23 luglio 2025

Concrete Age - Awaken the Gods

#PER CHI AMA: Death/Folk
'Awaken the Gods', pubblicato a maggio di quest'anno, celebra il traguardo del decimo album in studio dei Concrete Age, formazione russa che si è affermata come pilastro dell'ethnic metal grazie al suo stile unico che mescola death, thrash e influenze folk provenienti da tradizioni orientali e slave. Attivi dal 2010, il quintetto ora di stanza a Londra, ha conquistato la scena underground con lavori acclamati come "Bardo Thodol" nel 2020 e "Motherland" nel 2022, rinforzando la loro reputazione per l'uso di strumenti etnici e racconti mitologici intrecciati con sonorità estreme. Con il nuovo album, la band continua a superare i limiti del genere, proponendo un'opera ambiziosa che combina potenza sonora e una profonda esplorazione culturale, consolidandosi come una delle realtà più innovative nell'ethnic metal contemporaneo. La produzione raggiunge livelli straordinari, garantendo un sound ricco e ben bilanciato. Gli strumenti etnici come balaban, duduk e kamancheh si amalgamano perfettamente con pesanti riff di death e thrash metal, arricchiti da melodie orientali sin dall'iniziale "Prey for Me". Questo brano evoca atmosfere esotiche ed è impreziosito dalla performance carismatica del frontman, la cui voce spazia tra toni epici quasi narrativi e sfumature più aggressive. Tale versatilità amplifica l'impatto emotivo dell'album, creando un legame potente tra passato ancestrale e presente musicale. Tra i brani che spiccano, "Forbidden Ministry" si distingue per il suo riff thrash metal accompagnato da una ritmica incalzante, capace di evocare vibrazioni che ricordano un immaginario incontro tra Nevermore e Orphaned Land. La title track, invece, si fa notare per la sua riuscitissima fusione di elementi etnici e metal, culminando in un ritornello estremamente coinvolgente. È il fulcro narrativo del progetto, un tributo alla forza primordiale che prepara il terreno alle ritmiche frenetiche di "Cursed Reincarnation", memorabile soprattutto nella seconda parte con un'energia quasi tribale. La strumentale "Mid-East Boogie" è un autentico vortice di energia. Il groove dei riff s'intreccia prepotentemente con scale medio-orientali, mentre il balaban e la kamancheh aggiungono un'atmosfera distintiva. I ritmi rapidi e le percussioni tribali donano, inoltre, un tocco sorprendentemente danzereccio. Non meno impressionante è il resto del disco con "Warrior’s Anthem", che si conferma ricco di assoli spettacolari e intriso di quell'inconfondibile mood folklorico che attraversa tutto l'album. In chiusura, le cover di "Boro Boro" di Arash e "Şımarık" di Tarkan, aggiungono ulteriore profondità all'esplorazione della tradizione musicale orientale, identificando 'Awaken the Gods' come un album che riesce a emozionare, far ballare e trasportare l'ascoltatore in un mondo fatto di energia e sogno. (Francesco Scarci)

lunedì 21 luglio 2025

Black Sabbath - Tokyo Heaven - Japan Broadcast 1980

#PER CHI AMA: Heavy/Doom
18 Novembre 1980, Heaven and hell tour, leg asiatica. Un broadcast radiofonico sgraziato ma significativamente transizionale, tra l'impudico 'Live at Last' e lo strabordante 'Live Evil'. Giorni duri quelli. Giorni che di 'Mob Rules' esiste soltanto la title track, peraltro fuori scaletta, giorni che Vinnie Appice ha rimpiazzato Bill "Etilometro" Ward da poche settimane, e ancora non sa bene come muovere le bacchette e si capisce qua ("Sweet Leaf") e là ("Heaven and Hell"). Giorni che sanno di sushi rancido, giorni che Tony Iommi cambia colore quando sale sul palco e poi corre a vomitare dopo meno di un'ora. Esordio catacombale e quintessenzialmente ozzy-sabbathiano ("Supertzar" plus una cupissima "War Pigs") in evidente contrapposizione al tiro tastierosamente cosmic riscontrabile l'anno dopo in 'Live Evil' ("E5150" plus "Neon Knights"). R-J-D da contratto deve fare i conti col famigerato R.M.O., il "Raglio Metallico Osbourniano". Ancora non ha in repertorio né "War Pigs" né "Black Sabbath", ma cerca (in "Iron Man") e trova (in "Sweet Leaf") una prima interessante personalizzazione. L'assolo di V.A. in "Sweet Leaf" è muscolare ma, a tratti, scomposto. "Heaven and Hell" occhieggia con la jam di "Fools" (Deep purple) ma finisce per autodilavarsi in una sbrodolata, con la timbrica più simile a quella di un carburatore in uno straccio che a quella di un basso elettrico, e che non regge il confronto con la sua naturale evoluzione "Heaven / Southern Cross" codificata magistralmente in 'Live Evil'. Il giudizio finale si riferisce alla rilevanza storica del documento e non tiene conto, per esempio, della sciatteria dell'operazione né del nome tristemente goliardico della casa discografica responsabile di quest'operazione. (Alberto Calorosi)

Eels - The Deconstruction

#PER CHI AMA: Alternative/Indie
Visioni pessimistiche sul futuro ("The Deconstruction", "Sweet Scorched Earth"), amori tristi ("Premonition") o finiti male ("Bone Dry"), nostalgie assortite ("The Epiphany") e ripensamenti da mezz'età ("Today is the Day"). Quel mezzotempo alt-rock-tikabum garage-barattoloso eppure ritoccato da sapienti orchestrazioni escogitate in punta di archetto che rendeva straordinari i primi album, è riprodotto sì stancamente, ma con una certa residua efficacia (la title track e "Bone Dry" sono collocate saggiamente in apertura) quando non assume connotazioni prossimo-caricaturali (sentite il quasi-surf di "You are the Shining Light" oppure Today is the day, talmente indie-a-palla che a confronto i Rembrandts vi sembreranno i King Crimson), cede gradualmente il passo ai (troppo) numerosi lamentini centopercento anguillosi fangosamente intrisi di pessimismo che popolano la seconda parte del disco (le già citate "Premonition", cosi come pure "The Epiphany", "Sweet Scorched Earth", "There I Said it", "The Unanswerable", "In Our Cathedral") a conferire quella sbadigliosa patina forzosamente autoriale che ricopre la quasi totalità della discografia terzomillennio di Mr. E-ntusiasmo. (Alberto Calorosi)

(E Works - 2018)
Voto: 55

https://www.eelstheband.com/

sabato 19 luglio 2025

Nasciturus - Fabulae

#PER CHI AMA: Black/Hardcore
Rzeszów non è certo quella che potremmo definire una metropoli, eppure la capitale del voivodato della Precarpazia, deve avere una scena musicale piuttosto fiorente. Abbiamo da poco recensito infatti i Runopatia e prima ancora gli Into Dark. Ora ci arrivano questi Nasciturus, che completano una scena fatta anche dagli Epitome, dai Salceson X e dai Pandrador; peraltro alcune di queste band hanno visto in passato tra le loro fila, membri dei qui presenti Nasciturus. Comunque, bando alle ciance e torniamo a questo 'Fabulae', debutto discografico del terzetto del sud-est della Polonia, dedito a una forma oscura di black metal, che ci introduce a questi nuovi sette pezzi. Le danze si aprono con le criptiche melodie di "Pomirki", che ben presto si abbandonerà a selvagge ritmiche su cui si piazzano le vetrioliche vocals di uno dei tre vocalist. Il suono è parecchio crudo, credo volutamente ostico da digerire per quelle sue dissonanti linee di chitarra, per non parlare poi delle sghembe atmosfere che si palesano nella seconda metà del brano. Devo ammettere che l'ascolto non è dei più semplici, ma le visioni lisergiche che ci attendono in coda, rivelano una spiccata personalità della band. Rimanga però agli atti che l'ascolto rimane complicato, vuoi per un cantato rigorosamente in lingua madre, forse per l'eccessiva distorsione delle chitarre, o ancora per la crudezza di certi passaggi, che sembrano evocare un misto tra punk e hardcore ("Ogniem Uzdrowion"). Eppure i testi dovrebbero esplorare un immaginario radicato nel folklore slavo, ispirandosi a leggende locali, ma il suono non sembra andare nella medesima direzione delle liriche e lo confermano le accelerazioni devastanti della già citata "Ogniem Uzdrowion", o le linee di basso propulsive di "Potrójnie Przez Ziemię Wypluty" che sferragliano in una cornice ritmica pesante, impetuosa a tratti (quasi grind), e inacidita da vocals taglienti. Che fine hanno fatto allora quelle atmosfere surreali del primo brano? In chiusura di brano si paventa poi il rischio di sprofondare in sonorità doomish, ma trattasi soltanto di parvenza. I nostri riprendono a trottare a tutta velocità. "O Czudca Powstaniu" prova a rendere la ritmica più sludgy, ma il risultato sarà solo quello di renderne angosciante l'ascolto, per poi comunque riprendere velocità appena dopo metà brano, prima di lasciarci a un finale per lo più percussivo. "Pieklisko we Wróblowej" riparte dai ritmi spediti e spietati ascoltati sin qui, in cui chitarre e basso giocano a rincorrersi selvaggiamente per tutta la sua durata. "Silva Populo" parte decisamente più compassata, lasciando ampi spazi ai giri di basso e chitarra acustica. Ma è verso il secondo minuto che la band si abbandona a furibonde ritmiche post black, che vanno a sancire lo status di mio brano preferito del lotto, a cui rimane a questo punto solo la conclusiva "Pokuta". Inizio tranquillo, quasi un unicum del disco. Ipnotici e sinistri giri di basso ci preparano verosimilmente alla tempesta pronta ad abbattersi sulle nostre teste, che puntuale arriva dopo 90 secondi, con una voce completamente differente da quella ascoltata sin qui, quasi strozzata in gola, ed enfatizzata peraltro da una componente corale che aggiunge altri elementi, quasi pagani, alla proposta dei nostri. Il finale torna atmosferico e onirico. Alla fine 'Fabulae', propone un black metal sound veemente che va in controtendenza a un titolo che lascerebbe presagire invece qualcosa di etereo o sognante. Più che una favola a occhi aperti, direi a questo punto, un incubo. (Francesco Scarci)

venerdì 18 luglio 2025

Blood Thirsty Demons - Sabbath

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Thrash/Horror
Quello che al primo ascolto si era dimostrato qualcosa di infantile e scontato, si è invece dimostrato ai miei occhi quello che, in effetti, è: un CD 3-track più intro e outro basato su un concept solido, forse un po’ trendy per i primi anni 2000 (thrash vampiresco), ma tutto sommato buono, scaturito dalla mente di Cristian Mustaine, leader e compositore dei Blood Thirsty Demons. Canzoni facili ma non scontate per quanto riguarda gli arrangiamenti di chitarra; per gli altri strumenti si dovrebbe fare di più per riempire il suono, soprattutto per le tastiere e la batteria. La voce non è poi così male, anche se le parti recitate non vorrei suscitassero ilarità a chi non è abituato a questi toni. I testi non sono niente d’eccezionale, ma rispecchiano il credo orrorifico della band (o almeno ciò che dicono). Compaiono anche delle parti acustiche che potrebbero sembrare delle guasconate commerciali, ma che invece, alla lunga sortiscono un certo effetto: giudicate voi. Una nota: dietro le pelli siede Mike, batterista di Morning Rise e Sine Macula. Sicuramente, trattandosi degli esordi, il suono andava maggiormente curato cosi come una maggiore originalità era auspicabile, per poter essere una bella sorpresa per il futuro.

giovedì 17 luglio 2025

Wojtek - Nell'Abisso del Mio Io

#PER CHI AMA: Hardcore/Sludge
Nel vecchio 'Petricore' avevo sottolineato come l'esperimento affidato a "Giorni Persi", song cantata in italiano, fosse verosimilmente un unicum ma anche una soluzione ben riuscita per i padovani Wojtek. Ecco, devono avermi preso in parola, visto che questo nuovo EP, 'Nell'Abisso del Mio Io', è cantato tutto in italiano e peraltro, da un nuovo cantante, Leonardo Amati, il che consolida a questo punto, una loro stabile presenza nella scena hardcore/sludge italiana, con un approccio sempre più maturo e personale. Chiaro, magari non sono la persona più indicata ad affrontare questo genere di suoni, ma non posso che sottolineare come la band stia palesemente evolvendo il proprio sound, scarnificandolo, rendendolo più crudo e al contempo, efficace e immediato. L'ingresso del nuovo cantante ha reso possibile tutto ciò con uno screaming abrasivo ma comunque avvolgente che ben si amalgama con quell'estetica lo-fi tipica dell'hardcore che la band ha deciso di abbracciare. E in un uno-due devastante, il quintetto italico ci investe con il loro primo singolo, "E Quando il Sole si Spegnerà, Saremo Noi a Bruciare il Cielo", che vede chitarre ultra distorte andare a braccetto con la batteria pesante di Francesco Forin con la voce di Leonardo a vomitare tutto il proprio dissapore. Più emblematica la successiva "Ritmi", che scombina un po' le carte, aggiungendo ulteriori elementi che evocano, lontanamente per carità, un che dei System of a Down, dei progetti più violenti di Mike Patton, della causticità degli STORMO, e quel groove che si scorge dietro l'angolo, richiama anche un che degli IN.SI.DIA. I testi che esplorano introspezione e alienazione, spalancano le porte alla resistenza in un mondo in declino, andando per questo a creare un'esperienza più intensa e autentica. Nel frattempo si arriva al terzo pezzo, "Veleno d'Ombra", e dai suoni e voci iniziali, di quello che credo essere un mercato. Il brano si muove poi su binari più mid-tempo, opprimenti, lenti (sludgy direi), affiancati da una performance canora rabbiosa e, a tratti, più meditabonda, e da cori che finiscono per arricchirne gli arrangiamenti. L'approccio corale si enfatizzerà ulteriormente nella più malinconica e doomish, "Specchio", che va a chiudere un album sicuramente ostico, ma convincente, che potrebbe addirittura riuscire a far breccia anche nei cuori di chi, come me, non mastica particolarmente, questo genere di estremismo sonoro. (Francesco Scarci)

(Shove Records/Teschio Dischi/Violence in the Veins - 2025)
Voto: 75

https://wojtek3522.bandcamp.com/album/nellabisso-del-mio-io-2

Manipulated Slaves - The Legendary Black Jade

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Melo Death/Power
Si sa che il Giappone è la patria del metal, dal classico al progressive, passando per l’ultra melodico. I nostri Manipulated Slaves, non potevano nascere in un posto migliore. Nati nel 1994, i M.S., combinano un buon power metal, ben articolato da dei buoni arrangiamenti di batteria, con una sorta di classic metal, melodico, dove le chitarre la fanno da padrone e dove spiccano voci femminili ed alcune parti di violino abbastanza azzeccate. Alla voce possiamo trovare come guest, Johan Liiva, ex-Arch Enemy, che svolge egregiamente il compito di vocalist affidatogli. Tutto questo è condito da azzeccate parti musicali che a volte abbandonano il classic, per spostarsi verso lidi più death/thrash melodico che danno un tocco d’originalità al tutto. Poche volte ho sentito band giapponesi e, in ogni modo, spero suonino tutte in questa maniera. L’unico punto un po’ debole è forse la produzione, non molto pompata per quel che riguarda batteria e chitarre. L’ultima nota, ma non la meno importante, è la loro apparizione in live-acts di Tankard, Marduk, Arch Enemy e Witchery. Promossi.

(Worldchaos Production/Slumber Records - 2001/2012)
Voto: 70

https://manipulatedslaves.com/

Demons Of Dirt - Killer Engine

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Swedish Death/Crossover
Che dire di questa (allora) giovane band svedese che proponeva neanche a dirlo del death metal di stampo nordico? Penso che di questi gruppi ce ne siano davvero abbastanza, e solo pochi hanno portato qualcosa di buono a questa scena. Riff già risentiti e poco coinvolgenti, che cercano di essere sempre più tecnici, tralasciando quella sana melodia che caratterizzava i primi gruppi di questo filone. Per quanto riguarda la bravura e la tecnica, non ho nulla da recriminare con i Demons Of Dirt: manca semmai quel feeling necessario per coinvolgere il pubblico e non annoiarlo. Le chitarre si dilettano in ritmi quasi progressivi e, a mio parere, confusi, con assoli e riff già sentiti. Nota positiva, il cantante che si sbatte e sbraita efficacemente, rischiando certe volte di far sembrare il cantato molto vicino al crossover. La batteria potrebbe fare qualcosa di più visto la base abbastanza tecnica che deve accompagnare. Eppure, la band lavorò sodo per ottenere un contratto discografico, non affatto male, con la Hammerheart e pertanto merita, almeno di essere ascoltato e valutato. Li consiglio però solo agli amanti del genere, in primis dei The Haunted e dei The Crown.

(Hammerheart Records - 2002)
Voto: 60

https://www.metal-archives.com/bands/Demons_of_Dirt/

martedì 15 luglio 2025

Azathoth’s Dream - Solitary Forest Necromancy

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
After an interesting debut EP and the subsequent excellent full-length entitled 'Nocturnal Vampyric Bewitchment,' the USA-based duo Azathoth’s Dream is back for the rejoicing of 90s black metal die-hard fans. I personally enjoyed their debut album quite a lot, as it truly sounded like an honest and well-elaborated homage to black metal’s most authentic times.

Two years later, the duo is ready to unveil its new album, and the question is whether it will be on par with its predecessor or if it can improve upon it. 'Solitary Forest Necromancy' is the title of the new beast, and it follows the same patterns, for sure. The album is firmly rooted in the quintessential characteristics of the genre, with no big surprises regarding the elements that can be found in it, which is obviously good news for the average fan. The American duo has created ten pieces where rawness and atmosphere coexist in excellent balance. If we compare both albums, I would highlight that, in general terms, the atmosphere is even stronger here, but never to the detriment of the fierceness in the compositions. The keys play an important role, as their presence is notable. They are perfectly paced in the mix, and they embrace the rest of the instruments, creating a solid feeling of unity. Kudos for the production work, because even though the sound is raw and primitive, the guitars, keyboards, rhythmic section, and L. Azathoth’s vicious shrieks each have their own space to shine. Azathoth’s Dream's material is far from being complex, but it has the required variety in terms of guitar lines and tempo changes that make their compositions highly enjoyable and well-crafted. I personally appreciate it when a band tries to create compositions where the pace has its ups and downs and avoids sounding exasperatingly repetitive.

The album opener, "Denied", showcases the aforementioned characteristics with a fast-paced beginning, where L. Azathoth's screams lead the charge alongside the powerful guitars and hypnotic keys. Fast and slower tempos are tastefully combined to enhance the track's strong ambiance. This combination sounds even more inspired in "Ancient Black," which is one of the strongest tracks on the album. The guitar lines are particularly strong in the equally furious "Malevolent Enshrined," where the drums also sound remarkably powerful. The band slows down the pace a bit in the enjoyable track "Coven of the Ancient Black Flame," although, as is the case with the rest of the composition, you won't find a single song where fast or slow sections are completely absent. The mix of different rhythms is a key element of Azathoth's Dream and one that this project aims to preserve, which I consider a wise decision, as it is a fundamental ingredient of this well-crafted album.

'Solitary Forest Necromancy' is undoubtedly another solid step in Azathoth’s Dream’s career. The elements found in the previous works are still here, perfectly mixed and maintaining a great level of inspiration for our personal delight. (Alain González Artola)


Gravenia - S/t

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Siamo in ritardo di qualche mese nella recensione dell'album di debutto, via Overdub Recordings, dei Gravenia, band romana dedita a uno stoner rock virato a una certa emozionalità di fondo, molto accentuata e tipica di alcune famose band della scena indipendente italica. Forse perché i Gravenia usano la lingua madre e una certa ricorrenza alla licenza poetica per esprimersi, (non certo tipica del genere che è di solito associato al grasso delle motociclette o ai tubi di scarico delle auto anni '70, ufo, horror b movie etc.) e uno stile adottato per le parti vocali, atipico per questo tipo di rock, che subito balzano alla mente i Verdena, quelli più suggestivi, appunto quelli che sapevano trasmetterti qualcosa. Ora, se prendiamo l'effetto emotivo de 'Il Suicidio dei Samurai', e lo accostiamo a un suono pesante, desertico, non necessariamente di matrice americana, mi rendo conto con mia grande sorpresa e felicità, che questo debutto è molto vicino al sound di dischi usciti nella prima ora, album che hanno segnato la prima ondata dello stoner rock europeo, come l'omonimo irraggiungibile degli olandesi 35007 e il suono della polvere stellare degli australiani, e poco conosciuti, Wrench ('Oscillator Blues'). Il gioco sonoro dei Gravenia è fatto, ed è molto coinvolgente. Canonici nella costruzione sonora, i nostri hanno saputo costruire comunque un album omogeneo che, seppur attingendo e rimanendo confinati nel recinto del genere in questione, osano dare quel tocco di originalità in più, basandosi sulla volontà di voler comunicare attraverso la loro musica. Questo crea inequivocabilmente la differenza che li vede in vantaggio verso altre stoner band che si limitano invece a imitare pedissequamente. "Belve", "Vetro", "Serpenti", "Orbita", sono brani perfetti dal suono pesante e cosmico, ben equilibrato e compatto, che per essere così grosso e ruvido, accostato a questo modo di cantare, risulta per certi aspetti anche raffinato, artisticamente attraente ed evoluto, emotivamente intrigante, perfettamente a suo agio nel cosmo più oscuro. Un disco, peraltro dotato di un'ottima produzione, che forse, a torto, verrà sottovalutato, solo perché il cantato in lingua italiana non ha il fascino della lingua d'Albione. Eppure, musicalmente si tratta di un disco di tutto rispetto, integrato a dovere nello stoner rock, ed emancipato a dovere, per la musica indie nazionale. Un disco intelligente, dinamico e per molti aspetti psichedelici anche riflessivo. Ascolto consigliatissimo. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2024)
Voto: 82

https://www.facebook.com/graveniaband/

venerdì 11 luglio 2025

Aasar - I, the Hell

#PER CHI AMA: Blackened Deathcore
Secondo EP in due anni per i trentini Aasar, che con questo 'I, the Hell', propongono un nuovo colpo di scena nel panorama delle sonorità blackcore, seguendo il percorso tracciato dal precedente 'From Nothing to Nowhere'. Cinque i pezzi a disposizione per il quartetto nordico, con la rumba che prende il via con il rifferama sincopato della title track, un pezzo complesso e potente dotato di un'architettura musicale prettamente djent, arricchita però da blast-beat infernali, breakdown deathcore, vocals super caustiche, e un discreto senso della melodia, nonostante il corrosivo sound messo in piazza dai nostri, il che dimostra una certa versatilità nello stile della band. "Exiled" segue subito a ruota, caratterizzata da un bilanciamento più solido tra melodia e brutalità, complice una chitarra dal groove marcato in sottofondo, qualche orpello cibernetico qua e là, un'introduzione più atmosferica, e spruzzate di melodia che provano a smorzarne comunque la veemenza. Tuttavia la brutalità non tarda a farsi sentire, con accelerazioni implacabili, vocals al vetriolo e quel senso di vertigine apocalittico tipico dei breakdown. Che sia la top hit del disco? La risposta definitiva si avrà con il fade-out che introduce a "Crypt of Agony", che vede la collaborazione di Jake D. Sin (voce dei veneziani Unethical Dogma), la cui ugola s'intreccia con quella del frontman Simone Giacopuzzi, in un brano che fa del djent/deathcore, il proprio dogma, tra chitarrone super ribassate e tonfi ritmici che palesano nuovamente la potenza della band. "LiTh" tenta inizialmente di offrire una pausa con un'apertura più atmosferica ma ben presto, a prendere il sopravvento, sono ritmiche complesse e sinistre, accompagnate da urla graffianti e un predominante elemento deathcore, nonostante alcune spruzzate black metal siano riscontrabili durante l'ascolto. Ottima comunque la linea melodica di chitarra che guida l'ascolto, il basso pulsante di Daniele Nicolussi, senza dimenticare le funamboliche percussioni del mostruoso Denis Giacomuzzi che aggiungono ulteriore profondità al sound, riempiendoci i padiglioni auricolari di un sound mid-tempo ricco di intensità. Infine, "Spineless" chiude l'opera enfatizzando ulteriormente la spettacolare pulizia dei suoni, e la sua straordinaria e abrasiva densità ritmica. Pur non essendo un pezzo veloce, l'arrangiamento si dimostra incredibilmente energico, con una struttura che sarà capace di farvi colare il sangue dalle orecchie. Alla fine, non posso far altro che invitarvi alla cautela nel maneggiare questo pericoloso dischetto, rimanendo in attesa di un debutto su lunga distanza, che sembra già promettere grandi cose. E allora allacciate pure le cinture di sicurezza. (Francesco Scarci)

(Seek & Strike - 2025)
Voto: 74

mercoledì 9 luglio 2025

Shining - Divided You'll Stand & United You'll Fall

#PER CHI AMA: Black'n Roll
Sono sempre stato un fan degli svedesi Shining, eppure da qualche anno a questa parte, ho come l'impressione che Niklas Kvarforth e soci, stiano rilasciando un po' troppi riempitivi (tra live, Ep e demo) che francamente, non ho trovato di grandissima qualità. Questo EP, intitolato 'Divided You'll Stand & United You'll Fall', sembra voler andare nella stessa direzione, dal momento che su sei tracce, tre sono delle cover, una è già stata proposta e infine c'è un riempitivo di 27 secondi. Si parte subito con la roboante "Chief Rebel Angel", cover degli Entombed, il cui legame musicale con gli Shining, davvero mi sfugge. Fatto sta che la band svedese fa il suo compito alla grande con un sound roccioso, la voce di Niklas intrisa di una forte componente emotiva e per questo assai convincente, ma che comunque, con quello che è il sound depressive black dei nostri, c'entra poco nulla. Godibile, ma non capisco. Si passa quindi a "Pick Up the Bones" di Alice Cooper e potrete immaginare come il sottoscritto ci possa capire ancora meno, se non intuire una forma di bizzarro entusiasmo da parte di Niklas nell'esplorare brani completamente avulsi dal suo territorio. Con "Joakims Höghussång" possiamo saggiare finalmente lo stato di forma del sestetto di Halmstad, con un pezzo oscuro, lento e inquietante che sembra quasi presagire significative evoluzioni stilistiche future. "Crawl Across Your Killing Floor" è un altro pezzone rock, del buon caro Glen Danzig, che viene reinterpretato con grande personalità da Niklas e farà la gioia di chi attende con ansia il nuovo disco degli Shining, atteso peraltro a fine ottobre. Gli ultimi due pezzi sono l'inutile "Då Döden Äntligen Vunnit" e la violenta e in totale stile Shining, "Ugly and Cold", song che era già apparsa però su un 12" nel 2022 e che fondamentalmente, poco aggiunge a questo lavoro. Per quanto mi riguarda, preferisco i full length dei nostri a queste mosse un po' troppo commerciali al mio naso. (Francesco Scarci)

martedì 8 luglio 2025

Wardruna - Birna

#PER CHI AMA: Folk/Ambient
Leggere Columbia Records (alias Sony Music) accanto al nome dei Wardruna, devo ammettere mi faccia un certo effetto. La band norvegese d'altro canto, ha avuto un successo cosi importante negli ultimi anni (complice anche la partecipazione sonora alla serie TV Vikings e al videogioco Assassin’s Creed Valhalla) che gli varrà anche la possibilità di suonare all'Anfiteatro degli scavi di Pompei quest'estate. Fatto sta che 'Birna' è il sesto album del duo scandinavo che tra le sue fila in passato, ha visto anche la presenza di Gaahl. 'Birna', che in norreno significa "orsa", rivela un concept nel suo titolo, ossia il ciclo di vita dell'orsa, la sua morte e rinascita. Il disco, forte di una produzione a dir poco spettacolare che enfatizza ogni singolo strumento, include dieci tracce che vedono intrecciarsi elementi folk, ambient e ritual music, per un'esperienza sciamanica, evocativa, spirituale, capace forse alla fine di riconnetterci alla natura, sin da quel battito di cuore che apre "Hertan", un pezzo solenne, che stabilisce sin da subito che cosa attendersi dall'ascolto dei 66 minuti di musica che costituiscono questo lavoro monumentale. Un disco che vede un massiccio utilizzo di strumenti tradizionali, come la talharpa, il flauto, la lira, il corno di capra e l’arpa a bocca, combinati poi con suoni della natura, atmosfere ipnotiche e meditative ("Birna"), suggestioni ritualistiche che a occhi chiusi, inducono immagini che ci riportano a uno stato di primordialità e al contempo di sacralità ultraterrena. Suoni di ruscelli aprono "Ljos Til Jord", accompagnati poi da eteree voci femminili che accompagnano quella di Einar Selvik, su di un tappeto ritmico tribale. "Dvaledraumar" ha la pretesa di durare oltre 15 minuti, con un tema ambient per la maggior parte del suo tempo, il che, devo ammettere, alla fine stufa un pochino. Trovo infatti che i Wardruna siano più intriganti nei brani più brevi, caldi ("Hibjørnen"), o comunque formati da una struttura canzone più consolidata ("Skuggehesten"). Tuttavia, 'Birna' alla fine è un signor album che segna il ritorno di una delle band in ambito ambient folk, forse più influenti al mondo. (Francesco Scarci)

(Columbia Records - 2025)
Voto: 77

https://www.wardruna.com/