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sabato 15 gennaio 2022

Mineral Réflectance - Des Chemins de Vie

#FOR FANS OF: Experimental Black
In leu of venturing into the progressive black sort of genre, I'd have to say this is a quite delightful platter! Seven different vocals (guest) and unique progressing in the riffs, some fast, some moderate tempos. It's very unique here this French based band, that is Stephan's project. A lot of work went into it and some music videos as well. Aside from the music being unique, the fact that they juggled around so many vocalists for the sake of being unique! I've never heard of this many session singers to make one LP. It sounds like a totally terrible idea but in actuality it really turned out very sufficiently!

The music on here is quite savvy in the guitar department. Stephan's at the core of this being in charge of pretty much everything. I think he did a great job especially recruited quite an array of different types, some screaming, some clean, some growling. But everything seemed to fit! I liked this whole album! I though that it's one of those that you can't get tired of because it is so entirely eccentric, but neat! Don't expect a super heavy album though, just something that can borrow different genre styles in the vocals but staying in the main genre of progressive black. Stephan says death/black but on here we seem to think progressive black.

The quality in the production/mixing was quite distinctively good! For an independent recording, it is quite savvy. And the album altogether on many different platforms gets released on December '21. That's when it gets released on various different streaming music platforms. So you can get into it to sample and hear what I'm raving about! I only took some points off for the guitar riffs being a tad atypical but I still felt it good enough to be in a "B" rating category. The fact that right now they may be pretty much of an unknown, that's all going to change when the new year sprouts about wholeheartedly!

My first impression of this without knowing much of anything about the band except what Stephan submitted to me. As a few more listens to and background knowledge, it began to make sense. I plan on eventually getting this on CD, that's probably happening next year sometime. I think this project has great potential. You'll be able to hear what I mean especially the vocals and music. It all seems to fit together. And I don't really have a beef in it in any respect! This act is going to enter into the platforms and I think with explode with fury! These contributors and main project head, Stephan H he'll be happy of the support here and fans as well! (Death8699)


venerdì 14 gennaio 2022

Adoperta Tenebris - Oblivion: The Forthcoming Ends

#PER CHI AMA: Black/Death Old School
Ancora Les Acteur de L'Ombre Productions, ancora Francia, ancora black death con un'altra one man band. Non è che questa formula finisca per essere un boomerang per la label francese e si corri il rischio di arrivare sul fondo del barile e iniziare a raschiare? Vediamo se giungerò a tale conclusione dopo aver ascoltato il secondo lavoro, 'Oblivion: The Forthcoming Ends', degli Adoperta Tenebris (AT), creatura originaria di Nantes guidata dall'enigmatico G., qui aiutato da Äzh (Defenestration e Natremia) alla batteria e da uno stuolo di ospiti. La stortura musicale degli AT parte da "We Were Giants" e il suo lento e oscuro incedere in quella che è la traccia più lunga della release (otto minuti e mezzo). L'inizio è sicuramente spettrale e bisogna attendere di superare la metà del brano per vedere i giri del motore aumentare in un vorticoso sound che chiama inevitabilmente in causa i Deathspell Omega. Le glaciali dissonanze musicali non tarderanno anche con i successivi brani, dal piglio melodico tipico del black svedese di "Vultures Over the Mass Grave", in cui alla voce a porgere i suoi servigi, troviamo Romain Richard (Kolizion), al pezzo più breve del lotto, quella "In Our Mazes" in cui a prestare la propria voce urlata troviamo Mephisto, mente dei Cult of the Horns. Questo pezzo mi convince più degli altri, forse perchè si perde meno nel maelstrom ritmico in cui molto spesso band di questo tipo vanno ad inabissarsi. Alla fine pur essendo più lineare e melodico, lo trovo anche tra i più riusciti, soprattutto nel suo apocalittico finale. Con "A Farewell to Hope", la ritmica si presenta compassata e il cantato di Roy de Rat (Void) sembra quello meglio adattarsi alla proposta del polistrumentista transalpino. Quello che mi convince meno è invece la mancanza di un vero sussulto in questo brano ma in generale in tutto il lavoro che riesca veramente a catturare l'attenzione dell'ascoltatore. Ci prova la doomish "Utter Manifest" a prendersi la palma di miglior pezzo del disco, non fosse altro per l'eccellente performance dietro al microfono di T.C. dei Regarde les Hommes Tomber. Il brano è lento, melodico, a tratti malinconico, con un finale troncato improvvisamente che non ho francamente ben capito. Segue il dirompente black death di "Calvaire" e i suoi affilatissimi giri di chitarra che sembrano evocare gli Emperor. Il brano è devastante e pur non proponendo nulla di originale, finalmente sembra rapirmi con quel suo feeling maligno, in cui un riffing black si alterna con un ben più compatto death metal che trova modo anche di regalarci un insospettabile break atmosferico e finalmente, un doppio grandioso epico assolo. Eccolo finalmente, ho trovato il pezzo migliore del disco. In chiusura, "The Season of Gallows" è una song che vede l'ospitata di Chaos I e Florian Pesset, rispettivamente chitarra e basso degli Incipient Chaos, a dare l'ultimo supporto a G. in un granitico, caustico e tempestoso esempio di black metal. Gli Adoperta Tenebris alla fine hanno rilasciato un album onesto, non certo memorabile, che lascia presagire tempi difficili anche per la lungimirante label francese. Sarà forse arrivato il momento di scorgere nuovi orizzonti sonori? (Francesco Scarci)

domenica 9 gennaio 2022

Dawn of a Dark Age - Le Forche Caudine 321 a​.​C. - 2021 d​.​C.

#PER CHI AMA: Black/Folk/Avantgarde
Con l'intento di tributare nuovamente le proprie origini sannite, come già fatto peraltro ne 'La Tavola Osca', Vittorio Sabelli torna con un nuovo capitolo della saga Dawn of a Dark Age, intitolato 'Le Forche Caudine 321 a​.​C. - 2021 d​.​C.'. Ovviamente, la citazione storica riporta alla battaglia delle Forche Caudine in cui i Sanniti, sotto l'egida di Gaio Ponzio, sconfissero i Romani, imponendo poi loro la prova mortificante di passare sotto gli omonimi gioghi. Tre i brani a disposizione dei nostri per narrare quegli eventi e farne anche un parallelismo storico con la nostra era. Qui supportati da un esteso numero di ospiti a suonare ogni tipo di strumento inimmaginabile (zampogne, mandoloncello, darbuka, tamburello, vibrafono, archi e fiati vari, flicorno, conchiglie), i Dawn of a Dark Age propongono, attraverso una sorta di narrazione storica fatta di dialoghi, cori e quant'altro, il loro classico sound a cavallo tra black, folk e sperimentazioni varie. Il disco apre con "Excerpt 1 (Scene 3 -7)", un brano di black atmosferico, in cui a mettersi subito in luce è il clarinetto di Vittorio che ne accompagna anche la voce narrante (sempre di grande impatto). Il brano è un susseguirsi di movimenti, tra black, partiture folk e attimi di grande epicità, laddove il tremolo picking si prende la scena. Il lavoro prosegue con "Le Forche Caudine - Atto I": si sentono i cavalli sopraggiungere, chiudo gli occhi e provo ad immaginare la scena che i suoni e le cupe melodie dei fiati, provano a descrivere. Mi sento proiettato indietro nel tempo, una chitarra acustica dà il la alla musica con una lunga parte introduttiva che fino al settimo minuto si manterrà esclusivamente strumentale, proponendo sin qui un sound mediterraneo suonato con tutti gli strumenti a disposizione del collettivo. Si palesano poi le vocals con lo screaming caustico di Emanuele Prandoni a riportare gli eventi storici, mentre il sound in sottofondo ci conduce a luoghi lontani nello spazio e nel tempo. La voce di Emanuele viene poi soppiantata dalla narrazione di Vittorio e il tutto acquista ancora più veridicità storica quasi il mastermind molisano si trasformi in una sorta di Alberto Angela del metal. Lunghe parti ritmate vengono affiancate da tratti folklorici in un'alternanza tra frammenti atmosferici, momenti di narrazione e scorribande black, a cui aggiungerei addirittura derive jazz poco prima del diciannovesimo minuto, dove la perizia tecnica della band si miscela con la pura poesia musicale guidata da un eccellente assolo di clarinetto, per un finale da brividi. Dopo gli oltre 21 minuti dell'atto I, ecco "Le Forche Caudine - Atto II", poco meno di 17 minuti di sonorità estreme, avanguardistiche, heavy (ascoltatevi l'assolo in apertura di brano), tradizionali, jazzy, prog rock, classiche, post-black, orchestrali, mediorientali, a condensare quasi tutto lo scibile musicale, in un brano ad altissima intensità ed elevato spessore artistico, che rischierà di piacere, a largo spettro, sia agli amanti dei Jethro Tull che a quelli dei Wolves in the Throne Room. Gioiellino. (Francesco Scarci)

Kosmodome - Kosmodome

#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
Il giovane duo dei fratelli Sandvik si mette in mostra con questo interessante primo album dal titolo omonimo e dai toni caldi e curati. Un'attitudine space rock nella grafica di copertina, nel moniker e nell'atmosfera generale del disco, che abbonda di effetti cosmici, aiutati dai vari rhodes, organo, piano e mellotron, suonati dal bravo Jonas Saersten, unico ospite nel progetto. Il sound dei Kosmodome è sofisticato e riconduce, come affermato nelle note della pagina bandcamp, alle sonorità prog rock degli anni '60, a cui aggiugerei anche primi anni '70, rinnovati alla maniera degli Anekdoten, anche se meno cupi e più solari. Ottimo l'impatto strumentale, dove Sturle Sandvik suona chitarra, basso e canta, mentre il fratello Severin siede dietro ai tamburi. Entrambi si comportano assai bene sfoderando ottime prestazioni, sia in fase esecutiva che compositiva, arricchendo e colorando tutti i brani in maniera intelligente. Questi nipotini degli osannati Camel di inizio carriera, hanno imparato perfettamente come esprimersi in ambito rock, acquisendo una formula sonora navigata, vintage e classica, ridisegnata degnamente con verve attuale e accorgimenti moderni di scuola post rock e space rock, sia nel canto che nella scelta delle sonorità. "Deadbeat" né è un manifesto con una coda in stile folk etnico che fa un certo effetto scenico. Tra i brani si manifestano esplosioni in stile stoner come in "Waver I" e "Waver II", ma il parallelo con i Mastodon rivendicato dalla band, mi sembra eccessivo. In effetti, il suono caldo ed elaborato è di buona fattura ma non raggiunge mai la potenza del combo americano. Comunque, la vena prog nello stile dei Kosmodome prevale sempre, anche quando schiacciano sul pedale dell'acceleratore, ecco perchè li avvicinerei più ai mitici Anekdoten e agli allucinati Oh Sees come attitudine, mentre se parliamo di stoner li avvicinerei piuttosto agli Apollo 80 o ai precursori olandesi Beaver. I paragoni lasciano il tempo che trovano e devo ammettere che il disco è assai bello, piacevole, ricercato e si consuma tutto d'un fiato, cosa che permette all'ascoltatore di entrare in un'atmosfera astratta e cosmica intrigante, capitanata peraltro da una voce pulita e sicura che a volte inspiegabilmente mi ricorda certa new wave psichedelica degli anni '80. Ascoltate il brano "The 1%" e godetevi l'estasi, oppure "Retrograde" per farvi sovrastare da un' ottima psichedelia progressiva. Gran bella prova per questo giovane duo norvegese di Bergen, che fa parter del rooster di una splendida etichetta discografica, la Karisma & Dark Essence Records. Album da non perdere! (Bob Stoner)

(Karisma & Dark Essence Records - 2021)
Voto: 78

https://kosmodome.bandcamp.com/album/kosmodome

sabato 8 gennaio 2022

The Spacelords - Unknown Species

#PER CHI AMA: Psych Rock Strumentale
Devono averlo per vizio i tedeschi The Spacelords di pubblicare tre brani per volta. L'avevano fatto in occasione di quello 'Spaceflowers' che ricordo aver recensito durante il primo lockdown, lo rifanno oggi con questo nuovo capitolo intitolato 'Unknown Species'. Tre brani dicevo che si aprono con le psichedeliche melodie di "F.K.B.D.F" (chissà poi per cosa sta quest'acronimo), un pezzo nemmeno cosi lungo ("solo" otto minuti) che in tutta franchezza, non sento nemmeno cosi originale e catalizzante. Si rimane in territori strumentali votati ad un psych rock magnetico, a tratti lisergico, ma che in questa traccia d'apertura, non mi rapisce sguardo e mente. Ci riprovano con la successiva song, la title track, che ci trastullerà per poco meno di un quarto d'ora: partenza tiepida in cui a calamitare l'attenzione c'è un bel basso di pink floydiana memoria in sottofondo, mentre una chitarra dal sapore kraut rock, danza in prima fila come una ballerina indiana. L'effetto è sicuramente di grande impatto emotivo, un viaggio a luci spente in cui è sufficiente chiudere gli occhi e immaginare, un viaggio, un paesaggio, una persona, una scena, quello che volete, quello che la musica vi induce sotto pelle, fino a penetrarvi nel torrente circolatorio e da lì raggiungere il cervello come una sostanza psicotropa pronta ad alienare i vostri sensi, quasi quanto i colori sgargianti che contraddistinguono la cover artwork del disco. E iniziato questo trip mentale, non vi è nemmeno permesso scendere dal treno, che prosegue dritto con la terza e ultima "Time Tunnel" che vi porterà al mare nelle sue note iniziale. Si perchè i suoni che si sentono nei primi secondi, quando la chitarra acustica apre il pezzo, sono quelli delle onde del mare che sfiora la battigia. Ma l'immaginazione corre lontano, a falò sulla spiaggia, spinelli scambiati, pensieri sfuocati e tanta leggerezza, come giusto ci servirebbe in questi giorni di schizofrenia. Il sound monta piano tra echi orientaleggianti e fughe tra psichedelia, hard rock e stoner, ma intanto sale, sale ingrossandosi e crescendo di intensità attraverso ciclici e roboanti giri di chitarra in una sorta di infinita scala a chiocciola dove non riuscire a raggiungere la cima, tanto meno poi a scendere. Non so se realmente se sono riuscito a spiegarvi che diavolo ho sentito durante l'ascolto di questo disco, rileggendomi non ci ho capito granchè nemmeno io, ma queste sono le immagini un po' sbiadite che si sono autogenerate nella mia mente mentre il sound cosmico degli Spacelords mi assorbiva tra le sue spire. E le vostre, quali sono state? Godetevi 'Unknown Species' e fatemi sapere. (Francesco Scarci)

Sleepmakeswaves - Live at the Metro

#PER CHI AMA: Post Rock Strumentale
Non amo particolarmente gli album dal vivo, figurarsi poi di un lavoro interamente strumentale. Tuttavia, riflettendoci bene sopra, quella live potrebbe essere la sede che meglio si adatta a proposte di questo tipo, per gustare in modo più diretto il feeling che la band vuole emanare direttamente ai suoi fan. E la band di oggi, gli australiani Sleepmakeswaves, non sono proprio gli ultimi sprovveduti, essendo tra le realtà più interessanti della scena post rock mondiale. 'Live at the Metro' poi cattura un concerto tenutosi a casa loro, a Sydney, al Metro Theatre nel 2015 e prova con la sola musica, a farci immaginare le vibrazioni, l'atmosfera e l'energia di quella che deve essere stata una magica notte. Nove i pezzi proposti dai nostri, che già un paio di volte abbiamo recensito su queste stesse pagine. Largo alla quindi musica di "In Limbs and Joints" ad aprire questo lavoro che rientra tra i dischi da riscoprire per l'etichetta Bird's Robe Records. L'interazione col pubblico aiuta immediatamente a calarsi nella dimensione live, il resto lo fa una musica cangiante che si muove tra il post rock intimista e malinconico dell'opening track, con i suoi riverberi chitarristici, le sue mutevoli percussioni e la successiva e deflagrante, almeno inizialmente, "Traced in Constellations". Poi spazio a frangenti shoegaze, progressive, chiaroscuri mai stucchevoli ma anzi di grande impatto emotivo, splendide melodie che ci accompagneranno fino alla conclusiva "A Gaze Blank and Pitiless as the Sun". In mezzo grandi pezzi, dai singoli "Great Northern" e "Something Like Avalanches" che quasi non meritano nemmeno menzione (eppure andatevi ad ascoltare il pianoforte introduttivo della prima con quei suoi ritmi quasi esotici), o il cinematico sound della robusta "How We Built the Ocean", un trip fatto di suoni catartici, post rock o semplicemente rock (mi sembra addirittura di scorgere un riffing che richiama gli U2 ad un certo punto), che alla fine esibiscono tutte le qualità, emotive e tecnico-strumentali, di un ensemble costituito da ottimi musicisti, che possono anche fare a meno di un vocalist per piacermi. E allora fidatevi del sottoscritto, ma soprattutto fidatevi degli Sleepmakeswaves e del loro sound vibrante ed eclettico che avrà ancora modo di stupirvi con l'imprevedibilità di "Perfect Detonator" o la forza di "Emergent". (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2015/2021)
Voto: 76

https://sleepmakeswaves.bandcamp.com/album/live-at-the-metro

Bryan Eckermann - Plague Bringers

#PER CHI AMA: Black/Death/Heavy
Della serie one man band come se piovessero, ecco arrivare dal Texas Bryan Eckermann, uno che con questo 'Plague Bringers' ha tagliato l'onorevole traguardo dell'ottavo album in sette anni, quindi non proprio l'ultimo degli sprovveduti. Bryan ha infatti accumulato un bel po' di esperienza e affinato la propria proposta anche con altre band (Scars of the Flesh e Wings of Abaddon, tra le altre), fatto sta che 'Plague Bringers' (sequel peraltro di quel 'Winters Plague (The Final Eclipse)' uscito nel 2018) contiene nuove 12 tracce devote ad un mix tra black, death ed heavy metal, palese quest'ultimo soprattutto nelle eccellenti parti soliste che il polistrumentista statunitense sciorina a profusione in questo disco. L'album si apre comunque con le dirompenti ritmiche di "Ice Queen" e lo screaming efferato del mastermind che ci mostra quanto la proposta della band sia bella dritta e violenta, pur trovando grandi spunti di interesse, come accennavo, nelle parti soliste, quasi il buon Bryan si trasformasse qui in un guitar hero. Analogo l'incipit della successiva "Sands of the Hourglass", un pezzo di certo più oscuro, malinconico e compassato dell'opener, che oltre ad ospitare alle pelli Clint Williamson dei Darker by Design, trova modo di dar sfogo alla propria irruenza con un sound che percepisco ammiccare per certi versi, ad un che degli Old Man's Child, per quella sua vena melo-sinfonica abbinata a brutalità death/black. Il comparto solistico si conferma anche qui ad alti livelli e questo sicuramente rappresenta uno dei punti di forza dell'artista nord americano. Intro tastieristico scuola King Diamond per "The Devouring Sun" e spazio poi ad un death/thrash venato di sofisticazioni sinfoniche e vocals gracchianti, ancora a confermare la propria ispiratissima proposta, in un brano peraltro dal finale davvero avvincente. Ottime le keys in apertura a "Reflections in a Dirty Mirror", brano tosto e compatto, che vive di un'alternanza tra parti atmosferiche e altre decisamente più tirate, mantenendo comunque inalterata l'elevata dose di melodia. Un orrorifico tastierone apre "Moonlight and Frostbite", song che vede il featuring dell'esplosiva ugola di Stu Block, ex Iced Earth e attuale voce degli Into Eternity, ad impreziosire ulteriormente una proposta costantemente accattivante, che qui si muove tra le maglie musicali del Re Diamante, a cavallo tra black, thrash ed heavy metal (da urlo a proposito l'assolo, peccato sia cosi breve). Convince, convince il sound del buon Bryan, e sembra funzionare piuttosto bene anche laddove l'artista non fa la classica scoperta dell'acqua calda (leggasi il sound grooveggiante della title track o la più piattina "An Oath of Scrying Souls"), dove tuttavia basta un tocco pregiato di chitarra per ribaltare un risultato inizialmente scontato. Prologo atmosferico per "Astral Realms", un brano che francamente non mi ha, come si suol dire, scaldato il cuore, troppo insipido rispetto agli standard del disco. Si torna a far male con l'approcco temibile di "Skinwalker", un pezzo dai mille volti, dalla devastante parte introduttiva al break sinfonico nella parte centrale, fino al mid-tempo conclusivo, in cui a mettersi in mostra sono tutte le facce di Bryan. Ma c'è ancora spazio per i brani più lunghi (oltre sette minuti) della release, la spettrale e dirompente "Of Death and Decay" e la struggente melodia di "Tomorrow's Lie", quest'ultima da ricordare anche per il ritorno di Clint Williamson, non solo a prendersi cura della batteria ma anche della voce. L'acustica tiepida di "Oblivion" chiude un album intrigante (peccato solo per quell'orribile artwork di copertina), di un artista che in tutta sincerità non conoscevo, e che oggi mi invoglia ad andarne a sapere molto di più dei suoi precedenti lavori. Ben fatto Bryan! (Francesco Scarci)

mercoledì 5 gennaio 2022

Death - Leprosy

#FOR FANS OF: Death Metal
Heavy AS FUCK! This is the beginning to Death's musical evolution in music. Pretty much a new lineup every recording (with exceptions). I had this album on cassette and later bought the CD to capture it on my stereo. Most people don't operate out of a stereo anymore, but not me! It gives 'Leprosy' better audio (to me). This album is heavy like I said but catchy. 'Scream Bloody Gore' was the beginning of death metal, better (in my opinion) than Possessed's 'Seven Churches'. And 'Leprosy' is another evolution to Death's music. Safe to say here this is the band that began death metal itself, arguably though.

This album the whole way through has great songs filled with Chuck's songwriting and lyrical concepts. The music fit the lyrics perfectly. But you see that he's getting away from the "gore" in his songs and putting more effort into the words. Rick Rozz adds a different element to the lead department, a lot of whammy bar solos that complement the music, ABSOLUTELY. Even though I like all Death releases, the earlier stuff namely this one is creative and innovative. But as time went on and lineups/musical direction changed Death turned from death metal to more progressive metal. Hence, moving forward to Control Denied and Death's main man Chuck died in 2001.

The vocals on this album go perfect with the songs (music). Rick brought a new element to Death, but not good enough for what Chuck's direction was going towards. Obviously, Rick was probably disappointed with his removal from the band going towards Massacre (his formed band). I don't think that this album really had many flaws, hence the perfect score. The music, leads, vocals, production and mixing all went through really well. I couldn't ask for a better Death release. They did better than fine here. I'm surprised it took me so long to write about this one, maybe it's bringing it out of the archives and revisiting the sounds.

I say, BUY THE ALBUM. If you're into CD's or Vinyl, better yet. This is Chuck playing raw but not so much as on 'Scream Bloody Gore'. It's in my opinion, better than their debut. Definitely, so this is the beginning of movement all across the board with Carcass, Obituary, Deicide, et al. This big move into the real heavy stuff thanks to Chuck. Even if people say Possessed is responsible for this rise in death metal I say no Chuck's band was responsible for the early rise in this genre. But what later happens, is the musical direction towards a more melodic sound. 'Leprosy' is vintage death metal galore! Check it out! (Death8699)


(Combat Records - 1988)
Score: 90

https://death.bandcamp.com/album/leprosy-reissue