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domenica 25 aprile 2021

Epica - Omega

#FOR FANS OF: Symph Metal
This is by far my favorite Epica release from start to finish. 70+ minutes of beautifully orchestrated symphonic metal. Simone sounds intriguing like a beautiful songbird that she is. The music is wholly original and riffs just kick ass. The keys brighten the music up from being dark to celestial if that! The changes throughout songs makes it ever-most endearing. They totally killed it on here! The tempos are slow pretty much and the lead guitar is angry and fierce. That is, when it shows up in it's presence allure. The backup vocals are also intriguing. There is nothing on here that I would say for the band to change.

Simone is at her best on here and she just sounds utterly beautify. I love it! The hoarse vocals are on here too, but not too much. They balance it out quite well. Definitely everyone on here that did the songwriting knew that this was to be their most epic release ever! I'm glad too that the album is long. It shows that they put a lot of work into making this utterly spellbinding. Simone sounds like her best ever that she has performed ever. A lot of the songs have brief introductions before they really set in. The guitars are heavy but well rounded. They have what it takes on here to make a beautiful release!

I'm applauded that they didn't get higher ratings I mean mine is the highest rating I could possibly give. But I'm backing it up with what I've heard from the album making an educated review of their music on here. The production quality and mixing was just extravagant. So you don't have to worry about making a mistake sound-wise for this one. Sure the symphonic stuff can be irritating at times but they didn't overload you with that symphonic stuff. They balanced it out entirely. And the hoarse vocals as well. Simone is at her best here and I think everything that's on here musically is ABSOLUTE PERFECTION.

I listened to this on Spotify before I thought about buying the album. I ordered the CD pretty much right away because I was in awe to what I heard. So yes, it is a part of me now. Some people have doused this release as something that's just somewhat mediocre and boring. I thought that it was the best release of theirs that I ever heard. I'd say that 'The Quantum Enigma', 'The Holographic Priciple' and 'The Solace System' were all really good, but this one is definitely I think their strong ever that I've heard to date. Long live Epica in their wonderful metal music and let them live it on with this one as their ultimate gem! (Death8699)


(Nuclear Blast - 2021)
Score: 85

https://www.facebook.com/epica

Sounds of the New Soma - Trip

#PER CHI AMA: Krautrock/Psichedelia/Ambient
Nel loro universo costellato di numerose release, in un tempo relativamente breve, il duo di Krefeld, mostra nomi illustri nell'indicare le fonti della propria ispirazione, citando artisti del calibro di Nick Turner e degli Hawkwind, fino ad ammiccare con un titolo di un album, 'Moebius Tunnel', nel 2016, alle opere dello sperimentatore sonoro e mitico guru del movimento krautrock, Moebius. Detto questo, noto con piacere che proprio al krautrock il duo tedesco volge sovente lo sguardo. I nostri presentano brani intrisi di psichedelia, ma con un suono attualizzato e una veste più moderna, spesso spinto da una certa propensione all'elettronica più ipnotica e ambientale (la mente vola ai dischi della Ultimae Records). Sono tanti gli album interessanti e variegati della band teutonica, esplorano lo shoegaze ed alcune teorie amate dai Death in Vegas, sposandole con l'ambient mistico del già citato krautrock in molte delle sue famose forme, concedendosi poi escursioni nel postrock più morbido e a volte strizzando l'occhio perfino a certa elettronica, cosparsa di avanguardia. In questo nuovo 'Trip' i Sounds of the New Soma si concedono il lusso di immaginare il proprio sound scarnificato e quasi in assenza totale di ritmo, dove piccole, mirate variazioni, cambiano il tema portante di un unico brano lunghissimo che sfiora i 43 minuti di durata. Si parte con un tema ambient dal clima estatico, di memoria Brian Eno, tocchi leggeri per un'armonia fluttuante quasi a voler rincorrere certi canoni dei Boards of Canada. Lentamente ci s'incammina sulle atmosfere che animeranno l'intero brano, ovvero il tema robotico/cosmico, rivisto con suoni attuali ma con un'anima legata all'elettronica primordiale ed un cuore vintage. Lo scandire di un sax rarefatto e spettrale, detta le variazioni e le evoluzioni nel segno dei Kraftwerk, sempre in maniera pacata, scarna e minimale, cosi come le chitarre cristalline leggere come l'aria. Quando dopo il primo quarto d'ora di musica, rispunta il magico sax, il cosmo ci appare ancora più vicino. Il suono si fa qui più interessante con rumori astratti di percussioni, mentre l'ingresso di un canto rituale avvolto in suoni ciclici, ci incanala verso una vera e propria sinfonia robotica in balia delle teorie sonore dei maestri elettronici di Dusseldorf. Il sax è sempre un'arma letale in questo disco, quella che precede il tutto e lo rende così d'avanguardia, che ridona umanità alla ghiacciata musica elettronica delle macchine. 'Trip' è un buon album di ambient/psichedelia, per veri appassionati del genere, un disco ostico per via della durata ma allo stesso tempo delicato, stratificato ed etereo, ideale per stimolare la propria psiche. L'ennesimo tassello di una serie di opere tutte da scoprire, un nome, quello dei Sounds of the New Soma da segnare nella propria agenda dei futuri ascolti preferiti. (Bob Stoner)

The Bottle Doom Lazy Band - 2005 – 2020 Doom Over The Years

#PER CHI AMA: Doom metal
Una lunga carrellata di titoli compone questa raccolta nostalgica, uscita per Sleeping Church Records, che si prefissa lo scopo di onorare 15 anni di carriera on the road, passati tra cavalcate metalliche, ed epiche evoluzioni sonore, portate avanti a passo lento, pesante e cadenzato dai doomster transalpini, The Bottle Doom Lazy Band. Il lasso di tempo che intercorre tra le registrazioni è molto lungo, ovvero dal 2005 al 2020, e tutte sono catturate da performance live ruvide e acide, con la voce di Bottleben a guidare la nave da capitano esperto, con modi e costumi da trascinatore di folle, sicuro e convincente. La sua è una voce atipica, a metà strada tra un Captain Beefheart d'oltretomba, un Jello Biafra demoniaco ed un epico Johan Langquist d'annata, con una teatralità ed una intensità, di scuola francese, molto coinvolgente. Un vocalist originale, dalla moderata estensione vocale ma che la sa usare in maniera molto intelligente, facendola risultare selvaggia e salmodiante allo stesso tempo, un po' alla maniera dei mitici Saint Vitus. La musica fa la sua parte mostrando un doom metal carico e teso, con parti di chitarra che emergono a forza laddove il gruppo si muove bene e si sente che è capace. Tuttavia, il suono del disco non è sempre dei migliori come qualità e qui vi rimando a rispolverare gli album da studio del combo francese, 'Burn' del 2020 ed in particolare 'Lost'n Drunk', album del 2015, che contiene un autentico capolavoro al suo interno, ovvero, il lungo brano dal titolo, "Welcome to the Nearest Grave", un gioiellino doom coreografato da un'altrettanto splendida cornamusa. In questo live non può passare inosservato un brano che è divenuto un cult, ossia la storica e magnifica "Night of the Living Dead", suonata e cantata in maniera prorompente, e l'inusuale e conclusivo unplugged di "Into the Necronef", estratto acustico sofferto e profondo. La musica dei The Bottle Doom Lazy Band, a discapito delle affermazioni della stessa band, non è solo rozza e alcolica, è molto più radicata. A mio parere, esiste una ricerca stilistica molto curata dietro alla facile figura da ciurmaglia grezza ostentata dai nostri, che mira a centrare e soddisfare in tutto e per tutto, le aspettative di un genere musicale esigente, ostico ed ortodosso e, nonostante la poca volontà promozionale intrinseca nel DNA della band, alle orecchie di un cultore, Bottleben e compagni possono godere di un posto di riguardo sul podio del doom metal più underground a livello globale. Originali e senza compromessi, una realtà sotterranea ancora sottovalutata e tutta da riscoprire. (Bob Stoner)

sabato 17 aprile 2021

Dagor Bragollach - Cosmogony of Yggdrasil

#PER CHI AMA: Atmospheric Black, Windir
Ufa, Repubblica della Baschiria. È da qui che arrivano questi Dagor Bragollach, nome Sindarin (linguaggio elfico parlato nella Terra di Mezzo) che significa letteralmente "Battaglia della Fiamma Improvvisa". E il moniker di questi quattro russi fa infatti riferimento ad una delle Quattro Grandi Battaglie del Beleriand accadute durante la Guerra dei Gioielli descritto nell'immaginario di J.R.R. Tolkien. 'Cosmogony of Yggdrasil' sembrerebbe (ma sarà limitata solo alla traccia in apertura) seguire la narrazione di quelle vicende sin dall'opener "Mordor - My Kingdom" che descrive appunto l'universo creato dallo scrittore inglese attraverso il verbo del black sinfonico. Una proposta, quella dei quattro musicisti russi certo non originale, soprattutto nei contenuti lirici, ma suonata comunque in modo che riesca a catturare l'attenzione nella sua essenzialità. Accattivante la melodia di fondo che ha subito presa nella sua essenzialità e nella centralità delle chitarre nel progetto, che si prendono la scena per tutto il tempo, imbastendo ottimi assoli e una ottima matrice musicale. Ne sono rimasto piacevolmente colpito, devo ammetterlo. E non si tratta certo del classico fuoco di paglia visto che anche "Skadhi Winter Giantess", song che ruota attorno alla figura della gigantessa Skaði, si conferma una song solida, dotata di un valido pattern chitarristico, buone melodie e con lo screaming di Art a narrare le vicende di questo personaggio della mitologia norrena. Proseguono i riferimenti ai miti nordici in "Howl of Garm" che presumo si rifaccia al cane infernale che sorveglia l'entrata del regno dei morti. Lo stile del brano ricalca il sound norvegese di metà anni '90, in primis Ancient ed Emperor, con stilettate alla sei corde, voci graffianti e melodie sempre ben presenti. Chissà se la band riuscirà ad impressionarmi lungo tutti i loro dieci brani? Non ho citato volutamente l'undicesimo, trattandosi della cover "...the Meditant" dei Blut Aus Nord. Comunque l'ensemble baschiro prosegue nella sua narrazione con "Raunen" che nel linguaggio germanico significa bisbigliare: la song è un oscuro mid-tempo che ci mostra un'altra faccia dei Dagor Bragollach. "Niflheimr" si riferisce nel mito nordico al regno del ghiaccio e si palesa proprio come un pezzo di black glaciale, fatto di chitarre taglienti (scuola Windir) e urla efferate, niente per cui stropicciarci gli occhi però. Tempo di un brevissimo pezzo death/black strumentale e si torna a bomba con "Underworld" e chissà se i riferimenti ci riportano nuovamente al regno del ghiaccio visto poc'anzi: musicalmente lo confermo con linee aggressive di chitarre inserite in un contesto mai esasperato e comunque dove la melodia rimane un punto fermo per la compagine russa. Ancora black tirato nei successivi pezzi, dove ahimè sembra essersi un po' persa per strada quella magia che avevo sottolineato nei primi brani. Tuttavia, segnalerei ancora il death black sulfureo della lunga "Nobody Needs This World", song dotata di un interessante break atmosferico con tanto di inquietanti voci sussurrate. Un bel pezzo dinamico è "Yggdrasil", che con le sue note diaboliche fa riferimento all'albero cosmico, l'albero del Mondo e che al suo interno contiene inaspettate melodie medievali (scuola Summoning, soprattutto a livello di percussioni). Citavo la cover "...the Meditant (Dialogue with the Stars)" dei Blut Aus Nord in chiusura: da 'Memoria Vetusta II: Dialogue with the Stars', uno dei miei lavori preferiti dei francesi, ecco la reinterpretazione di questo classico della discografia di Vindsval e soci, riletto in modo abbastanza fedele all'originale, che continuo però a prediligere. Insomma, bella scoperta questa dei russi Dagor Bragollach, una band di cui non conoscevo assolutamente l'esistenza ma che da oggi in poi rientrerà a pieno titolo sotto il mio radar. (Francesco Scarci)

May Result - Tmina

#PER CHI AMA: Symph Black, Emperor
Uscito originariamente nel 2001 per la CCP Records, 'Tmina' rappresenta il secondo album dei serbi May Result che ricordo all'epoca fu quasi una sorta di scoop che una band dell'ex Jugoslavia proponesse sonorità metal. Il disco è caduto poi nel dimenticatoio, complice una distribuzione alquanto limitata. Lo scorso anno però, la Careless Records ha pensato bene di riesumarne il corpo e riproporlo ad un pubblico più ampio. Questa premessa per contestualizzare meglio che quello che stiamo per ascoltare non è un disco attuale, ma rilasciato ben 20 anni fa e che se accostato con i grandi dischi dell'epoca, forse non ne sarebbe uscito con le ossa rotte. Le coordinate stilistiche di riferimento riportano inequivocabilmente ai primi Dimmu Borgir, ai Limbonic Art o agli Emperor, insomma ai fasti del black sinfonico degli esordi norvegesi, suonato però nei sobborghi di Belgrado. E il risultato non sarebbe affatto male, appunto se rapportato a fine anni '90. Il disco si muove comunque attraverso sette pezzi che irrompono con l'attacco frontale della lunga "Oгањ/My Martyred Soul", delle sue rare orchestrazioni affidate alle primordiali tastiere, ma soprattutto alla tempesta annichilente prodotta dal sestetto serbo. E l'annientamento strumentale prosegue anche nelle successive tracce, dove l'essenziale melodia è guidata dalle keys, sulle quali poggia poi tutta l'architettura ritmica a tratti davvero articolata. Ascoltando "Thy Last War of Times", ho ripensato ad un disco che al suo primo ascolto mi trasferì un feeling analogo, 'Goat Horns' dei Nokturnal Mortum, sebbene in quel caso, i livelli qualitativi fossero ben più elevati. Ecco, forse ai May Result manca proprio quello spunto vincente che tutte le band citate poco fa mostravano sin dai loro primi vagiti. I May Result invece rischiano di essere un po' caotici nella loro proposizione, quasi volessero impressionare l'ascoltatore con cosi tante cose nello stesso momento che alla fine, accalcate l'una sopra l'altra, rischiano di creare un bel pasticcio. Ci provano infatti nell'olocausto sonoro di "Stars Hysteria" ad emulare un ibrido vocale tra Arcturus e Korowa, ma il risultato si perde nel marasma sonico creato. Il che mi fa propendere nel dire che non sono degli sprovveduti a livello strumentale, soprattutto il batterista, ma il tutto all'epoca non fu convogliato nel migliore dei modi, pur proponendo tutti gli elementi chiave del black norvegese, tra linee di chitarra davvero tirate, screaming vocals ma anche break atmosferici davvero ben riusciti. A tal proposito, ascoltate "Nocturnal Pedigree" per comprendere ed apprezzare al meglio la proposta dei nostri. Diciamo che 'Tmina' potrebbe essere considerato un lavoro interlocutorio, che ha poi visto la band tornare con altri due full length (più compilation varie) prima di sparire definitivamente dai radar nel 2013. Chissà che riproporre questo disco non stia a significare che il sestetto è ancora vivo e vegeto e che presto ne sentiremo delle belle. Nel frattempo mi andrei ad ascoltare i loro ultimi due dischi più che altro per capire se alla fine, quell'evoluzione stilistica c'è realmente stata a seguito di questo promettente lavoro, che peraltro vide anche la comparsa di un paio di ospiti: Nefas dei Гавранови (altra band serba) in quella che è a mio avviso la migliore traccia dell'album, "Nocturnal Pedigree" e Pavle al violino che a deliziarci nelle note introduttive della devastante "Coldwinds Dominion (Son of Stribog)", che vanta peraltro uno splendido break acustico centrale e nel malinconico epilogo di "Јата моја црна (Мрак праскозорја)", due episodi davvero peculiari del platter che andrebbero meglio approfonditi. Alla fine, la riesumazione di 'Tmina' non è stata assolutamente cosa sgradita anzi, mi ha permesso di riscoprire una band a cui all'epoca non avevo dato troppo credito. (Francesco Scarci)

(CCP Records/Careless Records - 2001/2020)
Voto: 68

https://carelessrecords.bandcamp.com/album/tmina

venerdì 16 aprile 2021

Caelestra - Black Widow Nebula

#PER CHI AMA: Post Black/Melo Death
È un death black dal forte impatto emotivo quello della one-man-band britannica Caelestra che nel debut 'Black Widow Nebula' ci delizia con sette pezzi e poco più di mezz'ora di sonorità estasianti. La musica di Frank Harper, polistrumentista di Bristol, scivolano via che è un piacere a partire dalla stratosferica opening track "Solaris", che evidenzia tutte le qualità dell'artista inglese, che tra post black e oniriche parti atmosferiche, screaming e sofisticate clean vocals, mi dice che quello che ho fra le mani è uno degli album più interessanti dell'ultimo anno. Nella prima parte di "The Astral Sea" siamo nei paraggi di un prog metal delicato e soffuso, nella seconda più vicini alle sonorità cinematiche dei Fallujah, in un pezzo a dir poco celestiale. Ma l'apice a mio avviso lo tocchiamo in "Cassiopeia", cosi ricca di groove che permette al mastermind di oggi di scrollarsi definitivamente di dosso la scomoda etichetta black. "In Utero" è un intermezzo ambient noise che ci introduce ad "Everglow", dove ad aspettarci c'è un'altra intro vocale davvero spettacolare, ricca di malinconia e che evidenzia ancora le sorprendenti qualità vocali del frontman, con parole dapprima sussurrate alla musica che va via via crescendo in intensità senza mai realmente minacciare di sfociare in una vera baraonda sonora. Arriva ahimè troppo presto l'atto conclusivo di 'Black Widow Nebula' affidato a "Caelum", emozionante nel suo incipit atmosferico, più tormentato nella sua grinta black che si affianca a fantastiche melodie progressive di scuola Opeth, che chiudono in modo esaltante questo sorprendente lavoro dei Caelestra, band da ora in poi, da tenere assolutamente nei vostri radar. (Francesco Scarci)

Temple Desecration – Communion Perished

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Black/Death
Una funzione liturgica assai particolare apre 'Communion Perished', EP dei polacchi Temple of Desecration. Sembra infatti una donna posseduta quella che urla dopo il cerimoniale religioso che funge da brevissimo intro a questo disco. Mini album che rivela la natura impossessata della band che sfodera in “Ghoul Prayer” tutta la propria furia distruttrice con un sound death old school. Ancora una volta vengono chiamati in causa i Celtic Frost anche se qui le velocità che si raggiungono sono assai più ragguardevoli, fatto salvo per l'apocalittico break centrale, in cui è possibile udire le voci della possessione demoniaca, quella che verosimilmente coglie anche l'indemoniato vocalist dei nostri. Il sound dei Temple Desecration è comunque pieno di odio: le chitarre macinano riffs granitici, mentre piovono dal cielo frustate incontrollate che lasciano indelebili segni sulle nostre schiene. A dir poco malmenati, ci avviamo al side B del dischetto ("Apotheosis"), laddove suonano campane a festa (forse la liberazione dall'ignobile spiritello) mentre i nostri si preparano ad un nuovo tremendo attacco frontale che non tarda ad arrivare e la malvagità trabocca da ogni solco di questo malefico 12". Tutto finisce cosi come era iniziato, dalle maligne parole di una donna posseduta. Solo 14 minuti di musica, in grado di maciullare i miei timpani e null'altro. (Francesco Scarci)

giovedì 15 aprile 2021

Orecus - The Obliterationist

#PER CHI AMA: Groove Death
Ci hanno impiegato ben 10 anni gli svedesi Orecus a maturare il loro full length d'esordio. Era infatti il 2011 quando il quartetto si formava nei sobborghi di Stoccolma ma solo in questo 2021, 'The Obliterationist' vede finalmente la luce. C'è da dire che i nostri si sono presi una lunga pausa di riflessione tra il 2016 e il 2020 quando poi sono ritornati per prepararsi al massacro contenuto in questo disco. Le dieci tracce incluse nel platter sono fondamentalmente votate ad un death metal ricco di groove anche se il riffing bello massiccio dell'opener, nonchè traccia che dà il titolo al disco, paga un forte tributo ai conterranei Meshuggah. E quindi fiato alle trombe e via per farci maciullare le ossicine da un sound compatto, a tratti serratissimo, in cui a mettersi in luce è sicuramente il vertiginoso lavoro alla batteria da parte di Elias Ryen-Rafstedt (peraltro anche chitarrista) e la prova al microfono del ruggente Philip Grüning, che in passato abbiamo apprezzato negli Apathy Noir. Detto questo, se la prima canzone era dinamica e carica di groove, la seconda "Distress Signal" appare un filo più monolitica e meno apprezzabile per il sottoscritto, mentre la terza "The Destruction Path" cattura in assoluto per una ritmica frenetica, con la voce del frontman a rimbalzare tra un growling possente e qualche urlaccio qua e là. L'indemoniato rifferama spacca che è un piacere, con le chitarre gonfie come le nubi cariche di pioggia in uno scenario apocalittico. Nella quarta "Blodvite", ecco la prima ospitata: Chad Kapper (cantante americano dei Frontierer, A Dark Orbit e When Knives Go Skyward) si affianca al bravissimo Philip in una song che potrebbe evocare nelle parti ritmate i Pantera (soprattutto quando a cantare è un Chad in un pattern vocale vicino a Phil Anselmo). Poi la song è sicuramente più affine ad una carneficina metallica, anche se non mancano momenti di oscurità e angoscia. Con "Omnipotent" si torna a respirare l'aria incendiaria del groove death metal dell'opening track, in cui rimane in evidenza la caratura tecnica dell'uomo dietro alle pelli, in un brano bello dritto nello stomaco, di quelli che fanno piegare inesorabilmente le ginocchia. Ma questo è il marchio di fabbrica degli Orecus che ci danno la loro visione di un suono che non puzza ancora di stantio per quanto siano 30 anni che lo sentiamo in giro. Forse perchè lo fanno con passione, sincerità, non ne ho francamente idea ma per quanto esso sia derivativo, mi ha conquistato. E il massacro prosegue con "Below the Threshold" e la seconda ed ultima guest star fa la sua comparsa, sempre dietro al microfono. Sto parlando di Fredrik Söderberg, corrosiva ugola degli svedesi Soreption, che ben si presta per questa proposta musicale a tratti annichilente, a tratti malsana nella sua stravagante interpretazione. Detonante in questo frangente il basso di Martin Maxe, uno che quando c'è da picchiare sulle quattro corde del suo strumento, non si tira certo indietro. L'incipit di "Unborn, Reborn" mostra il lato più melodico dei quattro svedesi con la chitarra di Francis Larsson a creare visioni cinematiche vicine alle cose meno intransigenti dei Fallujah, ma la pacchia dura giusto quel tempo che i nostri si rimettono in sella al loro potente cingolato e riprendono a far danni, assestando colpi davvero micidiali. La band scandinava sa certamente il fatto suo e la dimostrazione sta in "My Manifest", un brano più rallentato che palesa ottimi arrangiamenti in un pezzo comunque dal piglio abrasivo. La manina gli Orecus non la tirano certo indietro, continuando a deflagrare colpi su colpi ben assestati: si senta la violenza che divampa in "Become the Nihilist", un brano che unisce nuovamente accelerate mortifere con rallentamenti più ragionati. In chiusura, "Extinct" con le sue divagazioni jazzate, pone la classica ciliegina sulla torta, ma non fatevi prendere per il naso perchè star dietro alle sciabolate delle due asce, al basso tonante e all'infervorata voce del frontman, non sarà certo una missione facile. Se avete voglia di un ascolto adrenalinico, fate pure, i cardiopatici siano davvero cauti. (Francesco Scarci)

(Violent Groove Music Group - 2021)
Voto: 74

https://orecus.bandcamp.com/album/the-obliterationist