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giovedì 9 febbraio 2017

Dysylumn - Conceptarium

#PER CHI AMA: Post Black/Death, Deathspell Omega
Dysylumn atto secondo... o meglio atto primo visto che 'Conceptarium' è uscito temporalmente prima di 'Chaos Primordial', da poco recensito su queste pagine, ma che ha visto una pronta ristampa targata Pest Productions sul finire del 2016 (con l'aggiunta peraltro di due bonus track, ossia le due parti della title track cosi come erano state originariamente concepite nel 2013). Avevo scritto che i nostri proponevano sonorità black death forti di una certa dissonanza musicale straniante e malsana che chiama in causa i Deathspell Omega. Facciamo un passo indietro e andiamo a scoprire se anche il full length d'esordio è un contenitore di sonorità di questo tipo. "Vide Spatial" e la seguente "Cauchemar" confermano quanto di buono ascoltato nel nuovo EP, con una maggiore propensione verso il death sulfureo, forse ultimo retaggio della precedente formazione brutal death in cui militava Sébastien Besson (vocals, chitarra e basso). 'Conceptarium' si palesa come un disco oscuro, tetro e maligno, che sembra voler rievocare i fasti di un death metal di stampo svedese mai assopito, ossia quello dei primi anni '90, in coabitazione però con sonorità più moderne che solcano l'onda impetuosa del post black o del death ultra tecnico in stile Obscura. Le atmosfere persistono nell'essere rarefatte, a tratti dilatate ma anche in grado di risultare straordinariamente dense ("Esclave Céleste") e nebulose, come garantito dalle due parti della title track. La durata mai eccessiva delle canzoni permette comunque un ascolto più semplice, anche quando le strutture ritmiche si fanno assai più complesse o insane. Ultime menzioni per le strumentali "Voyage Astral"e "Nébuleuse", ultime siderali galoppate nel cosmo più profondo, all'insegna di un post black miscelato a suoni progressivi, a sancire le enormi potenzialità che il duo di Lyon avrà in serbo nell'immediato futuro. (Francesco Scarci)

Methedras - The Worst Within

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death/Thrash, Dark Angel, Exodus
Inquietante il digipack che mi trovo fra le mani con una copertina orrorifica tipica delle brutal death band americane. Invece questi Methedras sono un quintetto italiano esistente addirittura dal 1996 che suona un death thrash d’annata (e non solo perché il cd in questione risale al 2006). Eh si, perché il primo nome che mi è venuto in mente, già dal primo ascolto, è quello di un gruppo storico del metal italiano, che pochi di voi conosceranno, gli Alligator. Lo stile della band nostrana riprende un certo thrash in voga negli anni ’80; palesi sono i riferimenti, secondo me a band illustri quali Exodus, Dark Angel o Testament dei primi tempi, con qualche incursione in territori death. Dall’ascolto di questi sette pezzi non rimango però così impressionato dalla capacità compositiva del gruppo che ripete pedissequamente gli insegnamenti impartiti quasi trent'anni fa dalle band storiche del genere e da qui non si smuove. Non posso stroncare la band da un punto di vista tecnico perché i ragazzi sono bravi e preparati nel costruire montagne di riffs granitici e saccheggiarci le orecchie con ritmiche martellanti, però da un punto di vista prettamente musicale non riesco proprio a dare la sufficienza ad un cd che stenta decisamente a decollare. Le song sono belle toste ed incazzate, un pugno nello stomaco, troppo poco però per farmi sussultare dalla sedia. Parecchi video live e una sezione multimediale completano questo cd nella versione limitata. Anacronistici. (Francesco Scarci)

mercoledì 8 febbraio 2017

Demogorgon - Dilemma. Revenge. Snow.

#PER CHI AMA: Black Ambient, Burzum, Enslaved
Il numero di band provenienti dalla Cina sta iniziando a crescere di giorno in giorno, merito anche della superpotenza dell'etichetta di Nanchang, la Pest Productions. Francamente, ritengo che questa ondata proveniente dall'estremo oriente sia cosa assai positiva, perché porta una ventata di freschezza ad una scena a tratti stagnante, grazie ai folklorici suoni della tradizione cinese. I Demogorgon sono una delle ultime realtà che compaiono sulle pagine del Pozzo, ma a dire il vero, alcuni suoi membri li abbiamo già incontrati in passato, in quanto l'ensemble include musicisti provenienti dai Zuriaake, Holyarrow e dai Destruction of Redemption. Ma entriamo più in profondità in quello che è il debut EP di questa band. Due le canzoni a disposizione, la lunghissima "Dilemma. Revenge. Snow." e la strumentale "Sadness Moon", per un totale di 25 minuti. Si inizia con le sonorità nordiche della title track, fatte di chitarre in tremolo picking, atmosfere fantasy, chorus epici, che potrebbero far pensare ad una qualche band scandinava dedita al viking metal, in stile Einherjer o Manegarm. I testi arrivano addirittura da una novella cinese sugli eroi marziali, "Fox Volant of the Snowy Mountain". Il risultato è ragguardevole, sebbene la produzione non sia proprio delle migliori. Quelle aspre cime innevate in copertina poi, la spada della back cover, i synth in stile Burzum con harsh vocals annesse, mi spingono a idealizzare la opening track come la melodia perfetta per le 'Cronache del Ghiaccio e del Fuoco', in un brano che tra passaggi ambient e stridori black, ha ancora modo di citare Enslaved e Windir. La seconda traccia si affida completamente al tepore dei synth, un po' come se il Burzum più minimalista, ipnotico e visionario, si mettesse a suonare una musica della tradizione cinese e con la melodia dell'ambient, riuscisse addirittura a dipingere le terre sconfinate di quella terra. Sicuramente l'esperimento riesce, grazie alla solennità dei suoi suoni e ad un incedere che va via via in crescendo, in un brano che altrimenti rischierebbe di suonare troppo ripetitivo. La colonna sonora per un qualche film epico in grado di ritrarre la Cina, la sua magia ed i suoi segreti. (Francesco Scarci)

martedì 7 febbraio 2017

Penfield - Parallaxi5

#PER CHI AMA: Electro/Prog Rock/Jazz
Al primo ascolto di questo secondo full length degli svizzeri Penfield, c’è da sentirsi disorientati. Dentro 'Parallaxi5' c’è un po’ di tutto: fusion, lounge, prog rock settantiano alla Pink Floyd, funky, dub, elettronica asciutta come nella moda contemporanea, post-rock nella gestione dei crescendo. Eppure – per strano che sembri – c’è una coerenza di fondo che è innegabile. I Penfield hanno le idee chiare, eccome, anche quando mescolano insieme generi solo apparentemente distanti tra loro. “Rosen” è l’apertura strumentale (in realtà, solo in tre degli otto pezzi appare la voce: il resto sono spoken words campionate) che muove le sue basi da una cassa reversed sulla quale si alternano soli di sax e chitarra che non possono non ricordare il David Gilmoure di 'Echoes'. C’è del funky nella seguente “La Physique Anarchique”, tinto di prog da un interessante partitura di moog, appena prima di approdare in territori più soft-jazz, dove resterà fino ai quasi 13 (lunghissimi) minuti di durata, lasciando peraltro il dovuto spazio all’improvvisazione degli strumentisti. La voce teatrale dell’ospite Walther Gallay guida “Apax 34 002”, che ha il sapore dei King Crimson di 'Islands' frullati da James Blake; ed è sempre Robert Fripp o persino Brian Eno a fare eco nella dilatatissima “Abyss”. MC Xela rappa su “Fashioned Wonderland” ed è subito r&b da club d’alta classe, in stile Fun Lovin Criminals (ma immaginateli mentre sorseggiano champagne, anziché tequila). C’è giusto il tempo per la veloce elettronica ballabile di “DNA”, ed ecco che anche Capitaine Etc. rappa su “L’Anonyme” – ma il brano è inquieto, più riff-based (ma è il moog a svolgere il grosso del lavoro), decisamente più rock prog dei precedenti. Chiude una stranissima “Les Sentiers Goudronnés”, col suo arpeggio quasi scolastico che apre a territori dub conditi da delay sul rullante, basso in sedicesimi e organo in levare. Difetti? Ce ne sono, beninteso. Troppi mid-tempo, forse. Alcuni brani troppo prolissi, ma senza manierismi fini a se stessi. Passaggi non indimenticabili (anche per l’assenza di vocals) e, in generale, un genere che non può essere ascoltato con leggerezza. Solo al secondo o terzo ascolto di 'Parallaxi5 'diventa più chiara la definizione che i Penfield danno del loro genere: cinematic prog o new prog. Una colonna sonora solida, colorata, organica, suonata e registrata impeccabilmente. Non un sottofondo da ascensore o supermercato, intendiamoci – una colonna sonora vera, parte integrante di ciò che vediamo. (Stefano Torregrossa)

Decknamen - Obsidian Scriptures

#PER CHI AMA: Post Black Strumentale
Formatisi solamente un anno fa, gli statunitensi Decknamen, dopo aver rilasciato un paio di demo nel 2016, escono con l'EP di debutto 'Obsidian Scriptures', in questo primo scorcio di 2017. Cinque tracce contenute in questo enigmatico lavoro all'insegna di sonorità post black strumentali. Lo si evince con l'introduttiva "Epos", poco più di due minuti di arrembanti sonorità estreme, in cui il trio a stelle e strisce, suona apparentemente distruttivo. A dissipare le nubi che nel frattempo si stanno già accumulando nella mia testa, ci pensa "Shrine of Amenti", un pezzo che mette in luce pregi e difetti della band. I punti di forza riguardano una certa freschezza a livello ritmico da parte del combo americano, con una certa predilezione poi nel mettere in primo piano il lavoro pulsante del basso. Tuttavia, c'è da sottolineare una certa carenza in fatto di precisione a livello strumentale, cosi come quella sensazione che la registrazione, non del tutto professionale, penalizzi il risultato conclusivo. L'apparato ritmico si conferma devastante e parecchio cupo all'inizio della successiva "Omniregency", song che trova modo di rallentare ed accelerare con una facilità disarmante. Quel che emerge però forte arrivati alla terza traccia, è la mancanza di un ultimo fondamentale strumento, la voce. Sebbene i tre musicisti siano bravi a celare la carenza di un vocalist, utilizzando in modo vivace synth e programming, e creando stridolii vari con le chitarre, la necessità di un urlatore, arriva a farsi quasi impellente verso la conclusione del disco. Sono apprezzabili le fughe post rock sul finire della terza traccia o nella prima metà di "The Black Land", segno di una certa apertura mentale e della voglia di sorprendere da parte del trio, però anche in questo caso poteva essere utile una voce, un lamento, un parlato in sottofondo che rendesse la proposta più completa. Ecco, sembra che la musica dei Decknamen sia monca, che il trio arrivi fino ad un punto ma non riesca ad andare oltre perché evidentemente c'è una lacuna profonda, un solco difficilmente superabile, a meno che non si trovino delle soluzioni alla falla. Di potenzialità ce ne sono anche parecchie, vista una rilettura abbastanza originale del genere post black, ma di strada da percorrere in futuro, ce n'è assai di più... (Francesco Scarci)

domenica 5 febbraio 2017

Wolf Counsel - Ironclad

#PER CHI AMA: Doom/Sludge, Saint Vitus, Cathedral, Candlemass, Black Sabbath
Alla prova del secondo album, gli svizzeri Wolf Counsel confezionano un piccolo gioiellino che si muove nei territori del doom e dello sludge vecchia scuola, supportati in particolare dall’ipnotica voce di Ralf W. Garcia – chiaramente ispirata ai grandi del genere come Wino e Lee Dorrian – e da una capacità di songwriting veramente eccellente. Con brani mai sotto i 5 minuti e più facilmente sopra i 6, non è facile non annoiare: ma, nonostante una scrittura nemmeno troppo riff-oriented (siamo da tutt’altra parte rispetto, ad esempio, al riffing di Mastodon o The Melvins!), gli Wolf Counsel riescono a tenere altissima la tensione dal primo all’ultimo minuto di 'Ironclad'. Apre le danze la splendida “Pure As The Driven Snow”, un canto di battaglia ipnotico e ripetitivo, persino epico negli assoli, guidato da una melodia che non dimenticherete facilmente. La successiva “Ironclad” mi ha ricordato i molto più metallari Grand Magus, che tuttavia con i Wolf Counsel, sembrano condividere la stessa passione per le corna alzate e per i potenziali cori di risposta dal pubblico nei live. L’oscurità arriva con le successive “Shield Wall” e “The Everlasting Ride”, pesanti come un macigno e, stavolta, più concentrate nel riffing e nella batteria marziale. L’acida “Days Like Lost Dogs” e la nerissima “When Steel Rains” (il punto più doom del disco) sembrano uscite dritte dritte da uno split tra Saint Vitus e primi Black Sabbath (di nuovo, la voce di Garcia qui è da pelle d’oca, specie quando arricchita dal delay). Chiudono l'opera i 7 minuti abbondanti di “Wolf Mountain”, che di nuovo tributano Cathedral e Candlemass nell’uso dei cori, nei fill di batteria e nell’ossessività delle melodie. Se vi piace lento, cantabile e un bel po’ vecchia scuola – ma amate le produzioni cristalline e i suoni potenti, contemporanei – 'Ironclad' sarà il vostro disco dell’anno. Da ascoltare. (Stefano Torregrossa)

(Czar Of Bullets - 2016)
Voto: 75

https://wolfcounsel.bandcamp.com/album/ironclad

Vilemass - Drilled by Bullet

#PER CHI AMA: Death Old School, Cannibal Corpse
"...Nuntio vobis gaudium magnum", ovvero "vi annuncio una grande gioia". Da qui parte "Vulgar Religion", prima traccia del primo demo 'Drilled by Bullet' dei pugliesi Vilemass. Tanto death old school per il combo di Bisceglie, che in 25 minuti fa capire che non ha tanto tempo da perdere in fronzoli e ciliegine. Il sound è corposo come si addice alle migliori produzioni death americane, con riff non ricercatissimi ma che fanno della semplicità la loro arma vincente, e con l'ascoltatore che non deve crucciarsi per capire cosa i nostri stiano combinando. La batteria copre ogni angolo nascosto in modo esemplare, e una voce diretta, "sputa" una monotonalità growl con grande professionalità, quindi, vene sul collo grandi come vasetti di sottaceti e la classica vena sulla fronte pronta ad inondarci di sangue bollente una volta esplosa. Partendo dalla opening track, che parte con varie ispirazioni ad altrettante religioni e si dispiega con riffs e crismi alla Cannibal Corpse, si passa alla title track che si snoda con ottimi cambi tematici. Tuttavia la migliore per il sottoscritto è "Illuminati", che parte velocissima e non dà tregua fino a metà, dove lo stop pennato è da SERIE A ed è li che si supera il fossato che distingue i Vilemass dagli altri gruppi nel mazzo. La sirena ci fa passare da "War Machine", rabbiosa e più ignorante, mentre un riff granitico ci introduce a "Trapped" song con tapping incorporato e rallentamenti alla Morbid Angel. "Lizard Law" è traccia assai martellante, che chiude in bellezza con un delay questo demo. Respiro. Un ottimo debutto, anche se questi ragazzi non sembrano essere alla prima esperienza; ho visto che stanno anche per realizzare un videoclip, che sicuramente suggellerà e farà avanzare il gruppo ad un livello superiore. E sopra le scale, ci sarò io ad aspettare il loro prossimo lavoro. (Zekimmortal)

Coma Cluster Void – Mind Cemeteries

#PER CHI AMA: Techno Death/Mathcore, Ion Dissonance, Gorguts
Non si può certo negare a questo album la meritata conquista del titolo di essere stato considerato da più fonti, una delle migliori uscite del 2016 in ambito death metal tecnico, super tecnico oserei dire. La band comprende musicisti di più nazionalità (USA, Canada, Germania) con esperienze importanti (Cryptopsy, Dimensionless, Thoren, Xelmya), senza dimenticare la presenza del compositore a tutto campo (vedi le sue ottime composizioni per viola, violoncello e oltre...) John Strieder (già collaboratore con i mitici War From a Harlots Mouth) alla chitarra e Sylvia Hinz, al basso, altro eclettico artista animato da spirito di ricerca in tutte le direzioni. Il punto fermo per affrontare al meglio questo album è capire che il death metal visto da questa angolatura è da considerare soprattutto una condizione cerebrale e tutto il processo che avviene nella creazione dei brani nasconde un'infinità di strutture sonore che s'incontrano e scontrano, processi mentali contorti elaborati e rielaborati sotto forma sonica stratificata e dissonante, violenta e astratta, come se venisse da un abisso creatosi all'interno dei nostri più profondi sentimenti. Stilisticamente parlando potremmo mettere 'Mind Cemeteries' in un limbo sospeso tra l'attraente brutalità d'avanguardia degli ultimi Napalm Death, il super tecnicismo dei Beyond Creation, il death metal artistico dei Gorguts e l'immaginario oscuro e futurista degli Ion Dissonance, anche se rimane sempre difficile rinchiudere i Coma Cluster Void in una singola cerchia di derivazione musicale, visto l'alto potenziale di originalità che questo primo full length esprime. Oscurità, oppressione, schizofrenia e nevrosi sono di casa nel visionario mondo di questa band assai speciale, che non vive assolutamente di banale e devastante velocità ma trasforma in musica reali sentimenti ed emozioni umane esplorando, come racconta il titolo dell'album, storie ed incubi di un cimitero mentale diffuso e radicato. Produzione egregia, ottima esecuzione con tutto collocato al posto giusto e con le dissonanze della chitarra che spiccano per splendore e perversa fantasia in undici brani caotici e catartici, avvolgenti come un nero mantello. In ogni traccia si apprezza tutto e c'è da sbizzarrirsi nell'inseguire i vari strumenti attraverso le variazioni e le acrobazie sdoganate e senza limiti. La traccia che riflette l'umore dell'intero disco è da identificarsi in "Iron Empress", una vera e propria delizia metallica, stralunata ed imprevedibile, seguita dalla pirotecnica "Drowning Into Sorrow" e dalla sinistra "The Hollow Haze". Belli, atipici e anche particolari, considerati l'intermezzo "Interlude: I See Through Your Pain" e la chiusura di "Epilogue: As I Walk Amongst the Sick" con una voce femminile di sicuro effetto destabilizzante. Debutto notevole e immancabile album nelle librerie degli amanti del genere. Da avere ed amare a tutti i costi, un lavoro superlativo. (Bob Stoner)