Cerca nel blog

sabato 4 febbraio 2012

As Autumn Calls - An Autumn Departure

#PER CHI AMA: Death Doom, Saturnus, primi Katatonia
Anche la scena canadese inizia a mostrare un certo fermento al suo interno; complici forse le sterminate distese di boschi o i ghiacci invernali, la quasi totale assenza di anima viva su un territorio esteso migliaia di km, tutto questo forse stimola non poco l’immaginazione delle band che, pian piano, stanno emergendo dall’underground, non ultimi i Crepuscule, da poco recensiti e questi As Autumn Calls. Quando poi leggo Autunno nel nome del gruppo di quest’oggi, inevitabilmente mi viene da pensare a sonorità tipicamente death doom, intrise di una forte vena malinconica. E in effetti dopo che il consueto intro ha fatto il suo corso e la successiva “Closer to Death” attacca, mi accorgo di non aver sbagliato di una virgola il mio pronostico. Quello degli As Autumn Calls è infatti un death doom dalle inequivocabili tinte autunnali, basato su ritmiche mid-tempo, sorretto da arioso melodie di tastiere, qualche gradevole intermezzo acustico, lunghe cavalcate epiche che con la mente mi riportano a sterminate zone boschive, ambientazioni decadenti, con le growling vocals di James (non proprio eccezionali) che si alternano a quelle pulite di Andrew, anche chitarrista del trio dell’Ontario. E cosi una dopo l’altra, le song si avvicendano come la (poca) luce al Polo Nord d’inverno: qualche schitarrata furiosa di derivazione death (la luce) che si alterna con i tanti momenti di quiete (le parti acustiche o altri frangenti decisamente più cadenzati) che costituiscono il nostro buio; esempio lampante di questa mia descrizione potrebbe essere “The Demons Therein”. Le song poi più o meno si assomigliano tutte, magari variando solo in termini di lunghezza (dai quattro ai nove minuti), prendendo come punto di riferimento il black doom primordiale dei Katatonia. Katatonia si, che peraltro vengono addirittura coverizzati, anche discretamente bene, col brano “Murder”, confermando alla fine la bontà (ma ancora un po’ acerbo) del combo canadese. Un invito è quello di continuare a seguire gli As Autumn Calls, perché mostrano delle buone potenzialità in prospettiva. Tiepido esordio, ora attendo la bomba! (Francesco Scarci)

(Naturmacht Productions)
Voto: 70
 

giovedì 2 febbraio 2012

Detestor - Fulgor

#PER CHI AMA: Swedish Death, Metalcore, ultimi In Flames
Della serie “a volte ritornano” e mai come in questo caso, il ritorno ci riporta alle radici del sound proposto dalla band ligure, la cui origine risale addirittura nella notte dei tempi, il 1986. Stiamo parlando dei Detestor, una delle prime realtà italiane nell’ambito estremo, che iniziò la propria carriera come esponente della scena thrashcore del bel paese, per poi affermarsi con uno splendido debut, “In The Circle Of Time”, un secondo lp dai suoni cibernetici (era il periodo del boom dei Fear Factory), “Red Sand”, ed un Ep, “Ego”; stiamo parlando del 1999 quando l’act di Genova si trova al culmine del successo (parliamo ovviamente in termini underground). Nel 2001, mentre la band sta registrando “Fulgor”, decide di interrompere le proprie attività e da allora solo silenzio, prima che nel 2010 la bomba della loro reunion mi scuotesse e mi infervorasse di gioia. Eh si, sono sempre stato un fan della band, ricordo che tra i miei primi concerti figurano proprio i Detestor, in compagnia degli amici fidati Sadist. Ma veniamo ai giorni nostri quando “Fulgor”, dopo vari avvicendamenti nella line-up, finalmente vede la luce e arriva sulla mia scrivania; spazzo via tutto, lasciando il solo cd dei nostri, in una sorta di rituale sciamanico, preludio del tanto sospirato riascolto di una band di cui avevo perso le tracce, come se un caro amico fosse ricomparso dal nulla. Ebbene? Inserisco il cd nello stereo e vengo investito da una furia brutale, alquanto inattesa: “God is Empty” è una bomba che esplode veemente nelle mie casse, e che nel suo incedere lascia il posto ad inusuali inserti acustici, contaminati a livello di vocals (direi quasi post hardcore). Sono frastornato; le ritmiche del debut riecheggiano finalmente nelle mie orecchie e mi traslo temporalmente a quasi vent’anni fa e la prova più evidente del ritorno alle origini del sestetto italico è “The Wrong Way”. Percepisco chiaramente il rifferama tipico del vecchio swedish death metal; che goduria poi per le mie orecchie che le vocals di Jaiko siano ritornate ad imperversare, alternandosi questa volta con quelle di Niki. Riecco i Detestor che mi hanno conquistato quasi due decadi fa, e sebbene risultino chiaramente influenzati dai vari trend del momento, l’ensemble ligure ha sfoderato una egregia prova che trova, oltre alle song già citate, anche in “Free to Cry” (molto simile agli ultimi grooveggianti In Flames), la distruttiva “I Feel Disgusted” e l’arrembante “Finished”, altri momenti di elevato interesse. Certo non tutto gira per il verso giusto, ci sono ancora dei momenti di calo fisiologico, attribuibili forse all’assenza dalla scena per quasi un decennio. Tuttavia, l’aggressività che da sempre contraddistingue i Detestor non è andata perduta, il sound pur mantenendo lo scheletro di quel magnifico debutto, è stato modernizzano da influenze post e metalcore, per un risultato sicuramente positivo. Da seguire obbligatoriamente. Ben tornati, vi stavo aspettando! (Francesco Scarci)

(Buil2Kill Records)
Voto: 75
 

Crépuscule - Neant

#PER CHI AMA: Post Black Atmosferico, Blut Aus Nord, Agalloch
I Crépuscule non sono altro che il side project del chitarrista dei Csejthe, Mr. Bardunor, che forse annoiato dal black minimalista della propria band madre, ha deciso di mettere in piedi questa one man band dedita ad un sound oscuro, ma al contempo atmosferico. “Neant” rappresenta quindi il suo debutto, ma si intuisce immediatamente che l’act canadese non è decisamente di primo pelo. Dopo una intro dal flavour tipicamente drone, si passa a ”Un Fruit Mourant pour les Corbeaux de l'Immortalité”, in cui è una ritmica nervosa, secca e ripetitiva a dominare, contraddistinta da soavi tocchi di sintetizzatore, che arricchiscono gli arrangiamenti con un feeling alquanto oscuro. Peccato solo che non facciano la comparsa le vocals, per rendere un po’ meno statica la proposta, ma un tuono a fine brano ne sancisce fragorosamente la fine. Il nostro eroe si rilancia con la successiva “Die”, in cui finalmente le grida di Bardunor esplodono in tutta la loro bestialità, mentre le chitarre tracciano lancinanti linee melodiche che si interrompono solo per brevi breaks atmosferici, e la batteria corre forsennata per tutta la traccia. Un’apertura affidata a chitarra acustica e drumming ci introduce a “Brumes” e come potete immaginare già dal titolo, quello in cui ci si imbatte sono suoni che potrebbero essere riassunti in un quadro dalle tinte aranciate, magari un bosco di aceri nel bel mezzo dell’autunno canadese, con il vento a spazzare le nuvole minacciose, cariche di pioggia che sovrastano il cielo. Sebbene il sound possa dipanarsi tra suoni drammatici e depressivi (complice delle vocals al vetriolo e delle ritmiche infuocate), riesco comunque a vedervi delle immagini positive, una sorta di quiete dopo la tempesta. Cosa che non accade invece nella successiva “Mort” (forse un richiamo fortuito ai francesi Blut Aus Nord, a cui i Crépuscule vorrebbero tendere?), dove invece è una coercitiva atmosfera carica di morte ad imperare in un controverso sali e scendi emotivo, legato essenzialmente alla struttura del brano, con le chitarre che si rincorrono attraverso ritmiche serrate, ancora una volta nevrotiche (ma ancora un po’ banalotte) e lo screaming al limite dell’infernale. La conclusiva “Les Yeux Pleins de Boue” è un reprise dal “Demo 2009” ed in effetti si mostra come la song più acerba del lotto, complice se volete, anche una registrazione non propriamente all’altezza ed un utilizzo delle vocals (non proprio il vero punto di forza della band del Quebec) un po’ troppo accentuato. “Neant” alla fine si rivela come un discreto lavoro, costituito da ambientazioni a cavallo tra il drammatico e il sognante, intrise di una cupa malinconia, ma anche di quel folklore tipico nord americano, insomma una sorta di mix tra Burzum, Agalloch e i deliranti Blut Aus Nord. Non male direi, ma ci sono ancora ampi margini di miglioramento! (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 70
 

domenica 29 gennaio 2012

Nordagust - In the Mist of Morning

#PER CHI AMA: Progressive Metal, Änglagard ed Anekdoten
Circolato come demo nel 2007, rimasterizzato e remixato nel 2010, il disco dei Nordagust contiene brani che iniziarono a prendere forma già a partire dal 1996. Pare che il nome Nordagust abbia origini mitologiche, e sia riferito al vento del nord. Ed è proprio il vento l'elemento che impatta su di me e mi trascina via nei ripetuti ascolti di quest'album. Un vento che arriva ovunque, tutto incontra e parte del tutto porta via con sé. Un vento carico degli odori della natura, talvolta secco, altre volte ebbro di umidità, testimone delle cose del mondo e narratore di poesia antica. Non può che essere di natura emozionale l'approccio con questo disco, che fin dall'opening (e title) track, accarezza e scuote la memoria di sensazioni che non hanno più rispondenza nella quotidianità binaria che ci soffoca. E così si trova la giusta posizione, si chiudono gli occhi e si ascolta il vento del nord. Inizialmente la nostra natura ci induce alla diffidenza ed, immobili, possiamo solo accorgerci del vento su di noi, e provare a respirarlo. Scivolano così via echi di Änglagard ed Anekdoten, ma è solo una folata, impossibile da afferrare; ed è inutile voltarsi indietro, perché quel vento è già passato e nuove raffiche con un penetrante odore di mellotron ci suggeriscono Barclay James Harvest ed alcuni dei momenti più cupi di King Kimson; ed ancora un'interpretazione tipicamente watersiana e passaggi progressive tipicamente made in Italy. Poi pian piano si prende confidenza con il vento, e si prova a lasciarsi trasportare da esso. Ed ecco che danzando, scompaiono le immagini evocate precedentemente ed una brezza animista ci conduce attraverso squarci norvegesi, la bruma, i sentieri, i ruscelli, le foreste. E l'ultima, fondamentale intuizione: è natura ma è allo stesso tempo la descrizione di un paesaggio dello spirito. Non ci può essere una conclusione ad effetto in questa recensione; il vento, eterno, continuerà a soffiare, e “In the Mist of Morning” continuerà a rivelare nuovi affascinanti panorami. (Dalse)

sabato 28 gennaio 2012

The Undergrave Experience - Macabre: il Richiamo delle Ombre

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Skepticism
Sono felice di poter appurare che le band italiane, non trovando fortuna nella nostra penisola ormai alla deriva, stiano scorgendo un porto sicuro fuori dai confini nazionali e che la consueta label russa, Solitude Productions, sia cosi lungimirante nelle sue scelte, da aver potenziato il proprio rooster, con tanti gruppi provenienti dal nostro paese, non ultimi, questi The Undergrave Experience. Questa nuova realtà lombarda è tuttavia una one man band, capitanata dal factotum Marcel, qui supportato da A. Mephisto alla batteria (Hanged in the Crypt) e da Moerke al basso (Consummatum Est) che propone un funeral doom, dalle forti tinte orrorifiche. Questo per dire che nei due brani a disposizione (per un totale di 43 minuti!), i nostri non solo si cimentano, ripetendo pedissequamente la lezione impartita dai grandi act nord europei (i soliti Skepticism e Thergothon), ma integrano il tutto con sonorità riscontrabili nelle colonne sonore della cinematografia horror nostrana (e penso ai Goblin e ai film di Dario Argento), flebili narrazioni, a dir poco inquietanti, in italiano (scelta fatta anche nell’ultimo lavoro degli Aborym) e poi in latino, con risultati a dir poco esaltanti. Non posso dirmi un grande amante del genere, sebbene consideri il funeral una corrente che abbia innumerevoli cose da trasmettere a livello emotivo, ma devo ammettere di essere rimasto totalmente affascinato e ammaliato dalla proposta del combo di Milano, che fin dalla iniziale “Mater Mortalis Tenebrarum”, si apre con quel piglio del tutto funereo, lanciandosi poi nella seconda metà del brano, in atmosfere a dir poco spettrali, ma totalmente malinconiche, arrivando a strozzarmi un nodo alla gola, quando ho come la parvenza che quelle note siano oltre modo simili a quelle della soundtrack de “La Finestra di Fronte”, film di Ozpetek. Solo queste drammatiche e profonde suggestioni infuse nel mio io, bastano a tenere il voto molto alto. Immerso ancora nella pesantezza della rarefazione dei suoni (sia ben chiaro non sto parlando di pesantezza di chitarre ma di plumbee atmosfere invernali) e dal cavernoso growling di Marcel, mi appresto ad affrontare i 20 minuti di “Graveyard Zombie Horizon”. Ancora soffici tocchi di pianoforte, che ci accompagneranno per l’intera durata del pezzo, ancora una ritmica ultraslow, ancora musica che espande le nostre menti in un universo parallelo fatto di luci tenui e ambientazioni da incubo, tra l’altro ancora più rallentate rispetto alla opening track. L’ossigeno diminuisce man mano che si avanza nell’ascolto di “Macabre: il Richiamo delle Ombre”, la vista inizia ad appannarsi, il sudore cola dalla fronte mentre un forte senso di ansia e vertigine si fa breccia nella testa e preme a livello del petto. Gira, gira la testa, le litanie ossessive, quasi ambient, mi fanno perdere la ragione, fino a perdere del tutto i sensi. Incredibili! (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 85
 

Boltdown - Omnicide

#PER CHI AMA: Death/Thrash, Kreator, Machine Head, Chimaira
Da dove devo iniziare per maltrattare questo cd? Intanto inizierei col gridare allo scandalo per la scelta del logo della band, veramente troppo simile a quella dei loro connazionali Bolt Thrower. Seguirei poi con la musica, davvero scontata senza il benché minimo briciolo di personalità, che fa della band di Newcastle l'ennesimo gruppo che va ad incrementare l'incredibile marasma di thrash-death metal band che affollano inutilmente il panorama metal mondiale. Se solo fosse uscito una quindicina di anni fa, “Omnicide” avrebbe forse avuto la speranza di ottenere un discreto responso da parte del sottoscritto, ma ora la vita si fa dura per il quartetto albionico: una scontatissima sezione ritmica che miscela lo stile americano (di Pantera e Machine Head per capirci) a quello più grezzo e diretto dei Kreator, accompagnata da vocals che si alternano tra l'aggressivo e il pulito (a la Killswitch Engage), ostentano tutta la mediocrità di un lavoro che ha la pretesa di suonare come i grandi del passato, Metallica, Megadeth e Iron Maiden in testa. Mah, l'unico consiglio che potrei dare a questi quattro ragazzoni, è di non incaponirsi nell'intento di imitare l'inimitabile... (Francesco Scarci)

(Dark Balance)
Voto: 50
 

Gor - The Medieval Project: Croisades

#PER CHI AMA: Medieval, Ethno Music, Ataraxia
Per coloro che ancora non hanno avuto modo di conoscere il progetto musicale GOR, è d'obbligo una breve introduzione biografica dell'artista Francesco Banchini, talentuoso musicista partenopeo diplomatosi al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli e autore fino ad oggi di ben cinque album, tutti pubblicati per Prikosnovénie. Nella giovane ma prolifica carriera di Francesco va sicuramente menzionata la collaborazione di lunga data con gli emiliani Ataraxia, ma sono da citare anche le prestigiose collaborazioni con il gruppo giapponese Jack or Jive, con i francesi LYS e con la cantante australiana Louisa John-Krol. Fin dai suoi primi passi nel mondo discografico, l'impostazione classica che Francesco ha ricevuto studiando al conservatorio si è aperta dunque alle contaminazioni più svariate, permettendogli di esprimere completamente la sua passione per la musica medievale, per quella etnica (precisamente quella tradizionale del sud Italia, dell'est europeo e del Medio Oriente) e infine per la musica estatica. Lavori quali “Bellum Gnosticorum”, “Ialdabaoth”, “Phlegraei” e “Qumran” sono la prova inconfutabile di quest'approccio libero dell'artista, teso sempre alla ricerca di nuovi suoni e nuove forme di espressione musicale. Con “Croisades” Francesco Banchini giunge al suo quinto album e in esso affronta per la prima volta il tema della speranza, attraverso il racconto di antiche vicende in cui la paura di amare, di combattere e di confrontarsi con la società si accompagna all'attesa di un cambiamento che possa portare giovamento e serenità alla propria esistenza. L'invito di GOR è quello di donarsi interamente con il proprio cuore e di lottare con tenacia se si crede in una giusta causa, ma sempre nel rispetto morale ed etico verso gli altri. Un messaggio che giunge alle nostre orecchie attraverso gradevoli canzoni d'ispirazione medievale; undici brani scritti e suonati da Francesco, che in quest'occasione è accompagnato da alcuni strumentisti quali Riccardo Marconi (chitarra classica e voce in “Flamma Amoris”), Nino Bruno (voce), Cristiano Della Monica (percussioni), Giuseppe De Luca e Giuseppe Galasso (entrambi nei cori di “Fraternitas”). Ascoltare “Croisades” significa trovare conforto nel canto sinuoso e delicato di “Mais no Seria”, farsi cullare dal dolce suono del flauto di “Mon Cor Aders”, concedersi ai tratteggi malinconici di “Fraternitas” e infine, nel silenzio, sentir riecheggiare nella mente le antiche e sagge parole di “Alla Societate”: "E voi più non conoscete lo profumo de li fiori, le canzoni de l'uccelli, la letizia dei ruscelli, la lucerna delle stelle, l'occhi vivi dei bambin che vorrebbero sanare le storture dello mondo - E così continuate senza sosta a duellare, trascinando vostri figli vostre orme a ricalcare, per l'orgoglio nel vedere vostro stemma a perpetuare, v'encensate ve gloriate, poi ven l'ora de morire...". (Roberto Alba)

(Prikosnovénie)
Voto: 85
 

Omitir - Cotard

#PER CHI AMA: Black Ambient, Burzum, Deathspell Omega
Altra one man band qui sulle pagine del Pozzo dei Dannati, a cura questa volta di Joel Fausto, mastermind dei portoghesi Omitir, oscuro ensemble dedito a sonorità black depressive. La band, conosciuta inizialmente come Bahamut, ha rilasciato dal 2007 ad oggi, ben due full lenght, tre Ep ed uno split, questo a dimostrare l’estrema prolificità del suo carismatico leader. Ad aprire “Cotard” ci pensano le sonorità tenebrose, quasi noise, di “Foco Abrupto”, che ha il grande pregio di incanalarci sin da subito in un vortice di terrore infinito, prima che le chitarre zanzarose inizino a ringhiare in pieno stile “burzumiano” e le vocals ad emettere grida lancinanti, presto accompagnate da un cantato epico con un approccio vicino a quello degli Isengard. Il finale della song ci lascia interdetti, prima grazie ad un intermezzo dominato da un sax impazzito e poi con uno sfolgorante finale di black epico. “Dor Submersa” comincia con un sample estratto dal film “Eraserhead” di David Lynch, per poi lasciar posto ad un black che, pescando un po’ dagli Immortal, un po’ da Burzum o dai primi Bathory, un po’ dai Mayhem del leggendario “De Mysteriis Dom Sathanas” per ciò che concerne le vocals, contribuisce a creare una malsana atmosfera infernale, prima che ancora una volta avvenga l’inatteso, l’imprevedibile, ossia la comparsa di uno psicotico e destabilizzante sax, che si rivelerà il vero punto di forza della band portoghese. Che l’act lusitano non sia del tutto convenzionale nella sua proposta, lo si deduce anche dall’agonizzante “Poço”, strumentale esempio di ambient apocalittico, che nonostante la sua tranquillità, riesce tuttavia ha alimentare una certa ansia nel sottoscritto, complice sempre quel maledetto suono spettrale del sassofono. Chitarre acustiche ci cullano in “O Dramaturgo”, ma si sa, la quiete è solo un preludio alla tempesta, che puntualmente si scatena nella sua veste più nera, nel corso del brano, prima di trovare un attimo di pausa nel suo break centrale e nella sua epica conclusione. Non riesco a definire il mio reale gradimento per questo album; quel che è certo è che lo trovo assai intrigante, magari non impazzisco per le sue sfuriate black old school (roba già sentita), ma devo ammettere di trovare geniali gli inserti di sax o di quelle ambientazioni al limite del post (black?), sprazzi di una creatività latente che trova la sua massima espressione in queste trovate decisamente spiazzanti, come quel pianoforte sghembo che segue la sporca ritmica di “Perda”, con dei suoni che mi lasciano con la bocca socchiusa, lo sguardo accigliato, come se stessi pensando o pregustando a quello che verrà dopo. Se dovessi fare un paragone del sound di Mr. Marcel, la sola band che mi viene in mente è rappresentata dai malati Deathspell Omega, anche se l’act transalpino è ancora di tutt’altro pianeta. Tuttavia, non posso che apprezzare la voglia di rischiare degli Omitir, un desiderio di mettersi in gioco che mi spinge a premiarli, anche alla luce della magnifica conclusione “Belle Indifference”, la migliore song del lotto. Continuate cosi per favore, magari relegando in secondo piano la furia fine a se stessa del black a beneficio di una ancora maggiore sperimentazione. (Francesco Scarci)

(Amor Fati Productions)
Voto: 75

http://www.facebook.com/OMITTERE?sk=wall