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venerdì 3 marzo 2017

John, the Void - II

#PER CHI AMA: Post-Metal, Cult Of Luna, Amen Ra
Sono cresciuti. Questa è la prima cosa che mi passa per la mente dopo i primi minuti di 'II', il nuovo lavoro dei bad boys di Pordenone, John, the Void. Dalla regia però mi dicono che tecnicamente è il loro primo full-length, sinceramente non ricordo se il loro primo lavoro l'avevo vagliato come un EP, ma se non ricordo male le tempistiche erano piuttosto prolisse (mai quanto questo, s'intende). Si nota subito che i brani sono più strutturati, più pensati e completi rispetto all'impressione avuta dall'ascolto del precedente self-titled. E il suono è sicuramente più ricercato e calibrato per far emergere sensazioni e scenari durante il suo ascolto. Quello che mi balena in mente è: degrado provinciale notturno, ruggine e vetri rotti. "John Void" è ossessione, ripetitività, inadeguatezza alla vita. Opener lunga, lacerante e schietta nel dire chi si è, cosa si vuole, perché non si è e perché non si vuole. La successiva "Enter" (traccia che a mio parere sintetizza nei suoi oltre 14 minuti, tutto l'album e la proposta del gruppo), dato il titolo e i suoi primi minuti, sembra voler dire che la song precedente era solo un avvertimento e ora comincia il vero viaggio promosso dai John, the Void. La voce è tagliente, incontrastabile, grama nell'incidere tra le cupe bordate chitarristiche, le quali creano polverosi vortici sonori, mentre i ritmi monolitici trascinano inevitabilmente nell'abisso creato dal sestetto friulano. Queste prime tracce che segnano la prima metà del disco sono d'impatto, enormi, violente, fanno muovere (al giusto ritmo) la testa nei momenti aggressivi e svuotarla nelle parentesi più dilatate. Si apre quindi la sezione oserei dire più "soft", con l'eterea "Obscurae Terrae", la quale segna una cortina dal sapore droneggiante a metà del disco. La seguente "Neon Forest" anche se movimentata da caustiche accelerazioni, corrode la prospettiva claustrofobica con delicati inserti melodici, mentre l'ultima "Season" culla fino alla conclusione di questo viaggio con pacata dolcezza. Le tracce si amalgamano perfettamente l'una all'altra, tanto che è facile lasciarsi trasportare e non rendersi conto che il disco è già ricominciato. In conclusione, 'II' è un lavoro che corrisponde ai canoni compositivi del post-metal ma con una propria personalità evidenziata dagli inserti elettronici molto più marcati rispetto al disco precedente e dall'atmosfera qui fredda e oppressiva. Atmosfera che vale tutto l'ascolto dell'opera. (Kent)

(Drown Within Records/Dullest Records/Dingleberry Records - 2016)
Voto: 70

https://johnthevoid.bandcamp.com/album/ii

giovedì 29 gennaio 2015

John The Void – S/t

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge, Cult of Luna
Si presentano con un umile prodotto completamente confezionato in casa, grafica sobria e minimale, un gradevole rivestimento in cartoncino ripiegato su se stesso, ma i John The Void sono un gruppo da vedere live più che da ascoltare su disco. Riffoni prolissi, ritmi lenti e cadenzati, saturazione sonora, il quintetto di Pordenone propone, come sempre accade nel nostro mesto Paese, musica che vide i suoi anni migliori qualche lustro addietro. Ciò che rende il tutto piacevole tuttavia, tralasciando quell'alone di già sentito, è l'utilizzo dell'elettronica tramite synth e campionatori, nulla di eclatante o di mai affrontato, ma sicuramente di rilievo rispetto a diverse altre band nostrane alle prese con lo stesso genere. Detto ciò, il tutto scorre altalenandosi tra divagazioni dal sapore electro-ambient, enormi muri sonori al limite del doom ("The Reversionist"), immancabili picchiate volumetriche e smarcamenti acustici (la cui summa è rappresentata da "Quiescence". Le composizioni, nonostante riescano tranquillamente a superare il classico scoglio della noia o l'eccessiva ripetitività a livello ritmico, non spiccano per originalità, strizzando l'occhiolino qua e là a Cult of Luna o Isis, e vedono il loro punto di forza nelle parti meno violente, ove la calibrata effettistica riesce ad elaborare piacevoli sonorità. La mia valutazione finale considera comunque 'John the Void' un buon lavoro, onesto e non pretenzioso, che speriamo costituisca, per il futuro dei nostri, un saldo punto di partenza da cui potersi migliorare, uscendo dai rigidi e già calcati schemi compositivi del post-sludge. (Kent)

(Self - 2014)
Voto: 65