Mmm, mi sa che questo giro quello che ho fra le mani è qualcosa di veramente strano anche per me, che viene dalle lande sperdute della Russia. Prima di tutto la lunghezza forse esagerata dei 4 pezzi, poi devo riuscire a vincere la mia avversione al cantato in lingua madre russo, più che altro nelle vocals pulite, però questo “Heliopolis” scotta parecchio per i suoi contenuti estremamente particolari. L’album, concettualmente basato sulla letteratura distopica del 20° secolo (per intenderci la letteratura che ipotizzando che attraverso la tecnologia e il controllo sociale si possa davvero creare il mondo "perfetto"), si apre con “Saturn”, song assai complessa e affascinante, che partendo da sonorità doom avanguadistiche simili a quelle dei connazionali Rakoth, esplora in modo più profondo il genere, arricchendolo di aperture progressive (si stile Porcupine Tree, avete capito bene), tenendoci incollati allo stereo anche per qualche sconfinamento in territori un po’ più estremi (più che altro solo per l’uso di vocals più corrosive e decisamente accettabili dal sottoscritto). Il sound del quartetto est europeo è davvero caleidoscopico, perché si passa con estrema disinvoltura da un genere all’altro; ne è un palese esempio il cambio di ritmo nella parte centrale di “We’ll Die Smiling Broadly” dove da un’apertura quasi folk rock si passa ad attacco frontale black anche se della durata di pochi secondi, per poi far ritorno in modo quasi frastornante, verso sentieri psichedelici, tribali, progressive in un vorticoso turbinio ritmico che non può che lasciarmi spiazzato, cosi come non può che lasciarmi spiazzato o a dir poco basito, l’inserimento del “Pink Panther Theme” nella title track, song che inizia con una melodia darkeggiante, le solite insopportabili liriche in russo (solo questa cosa mi costringe a tener relativamente basso il mio voto), melodie orientaleggianti e poi la follia, la pazza imprevedibilità, quello che non ti aspetti, l’inserimento appunto del tema della Pantera Rosa. I nostri fanno un po’ tutto quello che passa loro per la testa e lo fanno con estrema intelligenza e gusto, fregandosene di etichette, di opinioni di stupidi recensori o testate giornalistiche. I Letargy Dream stupiscono per la loro bravura, la loro intensità, per la capacità di farci cogliere i loro umori, le emozioni e le percezioni e saperle incanalare attraverso un ubriacante viaggio in un mondo incantato fatto di colori inimmaginabili, suoni spettacolari e orchestrazioni da brivido. Peccato solo per quel maledettissimo modo di cantare che proprio non riesco a tollerare, e che altera notevolmente il mio ascolto attento del pezzo, altrimenti l’album avrebbe potuto ricavare molto di più. Se si vuole far breccia nel cuore (meglio nell’orecchio) dell’ascoltatore europeo, meglio lasciar perdere le liriche in russo e iniziare a fare un bel corso di inglese, in modo da potersi aprire ad un pubblico più vasto. Da rivedere decisamente in futuro questa debolezza, mentre musicalmente ci siamo, eccome… Provare per credere! (Francesco Scarci)
(BadMoodMan Music)
Voto: 75
Voto: 75