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mercoledì 7 maggio 2025

Obliterate - The Feelings

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Grind
Questo gruppo propone un ben scandito death metal con stacchi grind e una voce che ricorda spesso Chris Barnes (Six Feet Under, ex Cannibal Corpse), anche se altre volte invece è strillata. Ma la troveremo anche sussurrata e pulita. L’influenza più evidente nelle sonorità e nello stile, fa riferimento però ai Napalm Death di 'Fear, Emptiness, Despair…', ma quello di oggi, è un album costantemente cadenzato e secco. I pezzi si susseguono non con molte variazioni, ma quelle poche che ci sono, sembrano ben azzeccate. La maggior parte dei braniè guidato dalle chitarre e dall’ossessività tipica del genere, instaurata quest'ultima, dalla batteria. Ben suonata ma canonica. I tempi sono più rallentati là dove un’arida atmosfera deve prevaricare sulla brutalità, cosi come accade in "Indian Holocaust". Sporadici i giri taglienti. Vi è molta alternanza di tempi ma poca caratterizzazione dei brani. L’ultima canzone è l’unica propriamente grind, una scheggia di 13 secondi. Pure la copertina ricorda i Napalm Death. Esprime bene però il concetto sottinteso dal loro nome, Obliterate.
 
(Erebos Productions - 2000)
Voto: 62
 

martedì 6 maggio 2025

Sunrot - Passages

#PER CHI AMA: Sludge/Drone
I Sunrot si trascinano fuori dalle fogne del New Jersey con 'Passages', un EP di cinque tracce rilasciato dalla Prosthetic Records, come un caso irrisolto lasciato a marcire. Nato negli stessi vicoli creativi di 'The Unfailing Rope', questo EP in realtà non ne rappresenta un seguito, ma una piaga che si gonfia, un groviglio di sludge e noise che si contorce per sedici minuti in un vicolo cieco di sofferenza. Questo quintetto non ha carezze da offrire, solo il tanfo di un’esistenza schiacciata sotto un cielo di piombo, un biglietto per un passaggio che finisce dritto nell’oblio. "Death Knell" è il primo passo, ma non c’è musica: solo un ronzio che stride come il respiro di un ubriaco che sta tirando le cuoia. È un’apertura cruda, un’ombra sonora che afferra alla gola e non molla. Poi arriva "The First Wound", con Dylan Walker dei Full of Hell alla voce, che si unisce al gioco come un sicario in prestito: i riff strisciano come larve su un corpo freddo, il drumming colpisce come un pestaggio in un parcheggio deserto, e le urla si mescolano in un coro di anime perse. È una ferita slabbrata, un ricordo che puzza di marcio sotto strati di distorsione, un urlo che svanisce nel frastuono di una città che non dorme mai. "Sleep" è un vicolo senza uscita. Con Brandon Hill degli Stress Test alla voce, mi aspettavo un indizio, magari una svolta, ma è solo un rumore informe, voci filtrate che si perdono come parole sussurrate in un confessionale abbandonato. È un sonno da barbiturici, un’interruzione che ti lascia a galleggiare in un nero senza fondo. "Untethered" inizia lento, un bagliore post-metal che si spegnerà subito in un riff sludge in grado di pestarti come un creditore incazzato. In sottofondo, il violoncello di Jack Carino entra in scena come un lamento che taglia il buio, mentre le voci si torcono accanto allo screaming acido del frontman, in un dialogo tra fantasmi in una stanza senza porte. "Ra" chiude il dischetto, ma non c’è soluzione: spoken words si mescolano a disturbanti derive droniche che ronzano come un neon rotto in un motel di quart’ordine. È un addio che non dice niente, un epilogo muto e opaco. (Francesco Scarci)

(Prosthetic Records - 2025)
Voto: 65

https://sunrot.bandcamp.com/album/passages

lunedì 5 maggio 2025

Dominus - Godfallos

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Groove Metal
Crossover o che cos’altro? Il suono dei Dominus mi ha lasciato con questo dubbio atroce. Non ho ascoltato quello precedente, ma se come dicono era in stile death, questo sicuramente non ripercorre la medesima strada. Anzi, il loro progresso è sicuramente calato se le loro intenzioni ricadevano a imitare malamente Metallica e Pantera. E proprio in queste ispirazioni, è diviso un album deludente: la prima rappresentata quindi dai Pantera, specialmente nel cantato, che ricorda senza alcun dubbio Phil Anselmo e nella seconda, da parti di chitarra di chiara ispirazione Metallica, dove anche la vocalità cambia di tono, prendendo la forma di un altro famoso cantante, James Hetfield. Alla fine 'Godfallos', non è un album totalmente inascoltabile, ma in giro c'era e c’è sicuramente di meglio di questi inutili Dominus.

(Progress Records - 2000)
Voto: 45

https://www.metal-archives.com/bands/Dominus/2911

domenica 4 maggio 2025

Onirophagus - Revelations from the Void

#PER CHI AMA: Death/Doom
A volte la buona riuscita di un album dipende anche dal moniker della band, non credete? Gli spagnoli Onirophagus, con questo nome, non partono già bene, diciamolo chiaro e tondo. La proposta poi di 'Revelations from the Void', terzo lavoro per il quintetto catalano, non brilla in fatto di originalità: cinque lunghi brani di death doom canonico che abbiamo sentito e risentito nel corso degli ultimi 30 anni. "The Hollow Valley" apre il cd con riff di chitarra pesanti come un macigno che si trascinano senza mai realmente raggiungere un climax significativo, mentre il growl potente di Paingrinder, evoca un senso di terrore e oscurità. Le percussioni provano ad aggiungere un po' di dinamismo, accanto ad alcune accelerazioni black nel finale, ma il risultato pare alquanto prevedibile. Attenzione, non sto parlando che quello fra le mani sia un brutto album, ma ecco, pur esplorando una vasta gamma di ritmi e stili, con momenti di lentezza opprimente alternati a sezioni ritmiche più dinamiche, non sento la freschezza che mi sarei aspettato. E la successiva "Landsickness" sembra sprofondare ulteriormente in territori derivativi sin dai suoi giri iniziali di chitarra, chiamando in causa le sonorità più retrò di gente come Officium Triste e Saturnus nei momenti più doomish, e Avulsed in quelli più death oriented. Le song scivolano lentamente, proiettandomi con "The Tome" a sonorità anni '90, evocando anche i mostri sacri My Dying Bride e i primissimi Anathema, provandone qui però ad alterare quell'inerzia con deflagranti accelerazioni death, che talvolta riescono anche a colpire nel segno, complice l'utilizzo di vocals più pulite. La ritmica rallentata di "Black Brew", con quei suoi rintocchi di campana, sembra cosa trita e ritrita, ma le caustiche accelerazioni (la parte che alla fine prediligo), ci consegnano una veste differente e meno indolente della band. In chiusura, rimane l'ultimo Everest da scalare, ossia i quasi 16 minuti della conclusiva "Stargazing into the Void", un pezzo drammatico nel suo incedere iniziale, complice anche l'utilizzo di uno splendido violino e di sonorità che rimandano anche a i The Blood Divine. Ciò restituisce lustro a una release che rischierebbe di cadere nell'anonimato della moltitudine di album che ogni giorno viene rilasciato. Il sound è comunque un onesto death doom malinconico che poco altro ha da aggiungere. Insomma, alla fine, mi sento di consigliare il disco ai soli appassionati del genere in cerca di qualcosa per riempire la loro libreria musicale. (Francesco Scarci)

sabato 3 maggio 2025

Versatile - Les Litanies du Vide

#PER CHI AMA: Industrial/Symph Black
La Svizzera si conferma terreno fertile per le sonorità industrial black. Dopo aver scritto di recente sui Borgne, è il turno dei Versatile, che fanno il loro ingresso nella scena con il debut 'Les Litanies du Vide'. Quest'album, un amalgama di black metal dissonante, industrial freddo e una certa macabra teatralità, si presenta colmo di un’energia inquietante. Pubblicato dalla Les Acteurs de l’Ombre Productions, questo lavoro offre un ennesimo viaggio sonoro complesso, arricchito di visioni apocalittiche e influenze ispirate alle catacombe parigine e alla Corte dei Miracoli. Più che suonare sinistro, l'album lo incarna, con una feroce audacia estetica. Il disco si apre con "Géhenne", un'anticamera orchestrale che prepara il terreno al travolgente “Enfant Zéro”, dove riff abrasivi s'intrecciano con un drumming implacabile e le urla strazianti di Hatred Salander. Il modernismo del black metal dei nostri emerge in una fusione di texture elettroniche e grooveggianti, che possono ricordare una sintesi tra i The Kovenant e gli Aborym, ma qui con un’anima più oscura. Inizialmente, devo ammettere che temevo di trovarmi di fronte a un gruppo con poche idee e ben confuse, ma sono stato sorpreso dalla capacità dei Versatile di equilibrare caos e struttura. Se brani come “Morphée” sembrano essere un’esplosione di declamazioni possedute e passaggi onirici, con un’intensità che alterna violenza pura a momenti di oscura poesia, un brano come "La Régente Blême", incarna la moltitudine di anime che permeano questo quartetto di Ginevra, tra ammiccamenti vampireschi e derive elettro-industrialoidi, che si fanno ancor più evidenti nella successiva "Ieshara". "Graisse" si distingue per il suo approccio prog black, con ubriacanti cambi di tempo e campionamenti che ci conducono in un racconto distopico, in una proposta sonora che potrebbe quasi evocare i nostrani Sadist. “Alter Ego” sonda territori cyberpunk, mescolando francese e inglese in un duello linguistico, che amplifica il senso di alienazione. Ciò che rende l’album davvero diabolico è tuttavia il suo approccio eclettico e innovativo. I Versatile non si accontentano di replicare il black metal ortodosso: lo smembrano, lo arricchiscono con partiture industriali e sinfoniche, ricostruendolo poi in una forma moderna e profondamente inquietante. Le chitarre di Cinis e Famine rilasciano arpeggi dissonanti mentre la batteria di Morphée colpisce con precisione cibernetica che sottolinea l'estetica industriale della band. Tuttavia, non suona tutto cosi perfetto ma glielo si può anche perdonare ai Versatile, visto lo status di debutto di quest'opera. L’assalto sonoro ridondante infatti può talvolta risultare monotono cosi come l'eccessiva complessità di alcuni passaggi rischia di attenuarne l’impatto. Ma questi sono peccatucci di gioventù, in un’opera che osa tanto da creare una definita identità. 'Les Litanies du Vide' colpisce per la sua violenza controllata e per un immaginario grottesco, che portano il black metal verso nuovi orizzonti, mantenendone intatta l'anima oscura. È un’esperienza che attrae e respinge, un’aberrazione affascinante e inquietante. Un debutto potente e visionario sicuramente consigliato agli amanti di Dimmu Borgir, Borgne o Blut Aus Nord. (Francesco Scarci)

venerdì 2 maggio 2025

Gràb - Kremess

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
The German duo Gràb was founded back in 2015 by Gránt and Gnást, two quite active musicians who are involved in different projects related to the extreme metal scene. Contrary to other projects that release several demos prior to a full-length debut, Gràb only released an EP, but its debut 'Zeitlang' was an impressive first try and a magnificent display of German black metal. The balance between fury and melody was great, captivating the fortunate listeners who discovered this first opus.

Four years later, Gránt and Gnást are back with a sophomore album entitled 'Kremess'. A second try is always a key moment to confirm that a project can have a long-term impact on the scene, and a reasonably successful career. The new album's production has a perfect balance, equally clean and powerful, where both vocals and instruments have room to shine and be enjoyed by the listener. Stylistically, 'Kremess' is again firmly rooted in the black metal genre, but touches different palettes of the genre, sounding furious or melodic and even epic when required. The impressive album opener "Waidler" combines a barbaric/epic feeling with the always present ferocity. This track reminds me of pagan black metal bands with its powerful riffs and intense atmosphere. The title track differs a lot, as it has a strong influence from the atmospheric black metal subgenre. Nevertheless, as it happens with other compositions, the composition finds the balance between atmosphere and a more straightforward aggression as it introduces several tempo changes to create a more diverse structure. Gràb seems to master the art of reaching a perfect equilibrium between atmosphere and strength. You will find several examples throughout the album. "Kerkemoasta", for instance, has a simple, yet beautifully captivating piano. Anyway, this song goes way further than having a catchy melody, as the German duo always create pieces rich in details and dynamism.

Another highlight of the album is the excellent track "Vom Grab im Moss", where Grab masterfully combines tasteful melodic touches with tremendous guitar work. The riffing is varied and excellent, regardless of whether we focus on the most atmospheric parts or the heaviest ones. The ups and downs in intensity are crafted faultlessly, creating a truly remarkable composition. A great album like 'Kremess' needs to be closed by an equally good final track, and "Das Letzte Winter" is the memorable composition the album needed. As usually happens, this final song is the longest one, and although it is not as varied as other compositions in terms of pace, it does not lack interesting details. This is a solemn track with an intense atmospheric touch that has a truly touching final part where the melody becomes absolutely hypnotic and emotional. The vocals, the main guitar melody, and the different arrangements all form a tremendously beautiful harmony that leaves the listener engrossed.

'Kremess' is exactly what Gràb needed to confirm its immense potential. Its approach to black metal is carefully crafted with many details that enrich each composition and make them unique and undoubtedly enjoyable. A highly recommendable work. (Alain González Artola)


(Prophecy Productions - 2025)
Score: 85

https://grab.bandcamp.com/album/kremess

giovedì 1 maggio 2025

Cowards – God Hates Cowards

#PER CHI AMA: Post Punk/Noise Rock
In effetti ci ho messo un po' per assimilare 'God Hates Cowards' al meglio: tanti e ripetuti ascolti, per capire cosa mi rendesse dubbioso, ma alla fine ho capito che la differenza tra un album derivativo e un album conservativo è molta, ed è molto importante riconoscerne la differenza. Nel nuovo disco dei Cowards, ci sono suoni e trame che al primo ascolto potrebbero essere confuse o scambiate per il solito clone di band più blasonate, ma a un attento ascolto, ci si accorge che la band marchigiana ha saputo cogliere al meglio quell'essenza musicale che spinge verso un periodo di rock alternativo ben definito e per un post punk intenso e oppressivo. La sua chiave di ascolto la si può trovare nei suoni distorti di chitarra, suoni che sono curatissimi, distorsioni e riverberi adorabili che rimandano a band di culto come My Bloody Valentine, A Place to Bury Strangers, Sonic Youth, Pixies e God Machine, come in una sorta di catarsi compositiva, dove raccogliere i frutti di questi artisti per trarne ispirazione, calcarne le orme e intraprenderne un cammino sonoro similare. Ecco svelate le mie perplessità, tra il derivativo e il conservativo. Quindi, questo è un album che conserva e ripropone le teorie e le gesta magiche di band che hanno fatto la storia del rock trasversale, grigio, sonico, inserendosi tra le loro note, vivendo di persona il significato del loro suono fino a comprenderlo e farlo proprio, e partorendo alla fine un album che vale la pena ascoltare. "Storm" e "About a Friend" sono due brani molto intensi, le chitarre di "3020" fischiano che è un piacere, come le ricercate stonature chitarristiche shoegaze di "Scream". Giulia Tanoni al basso e alla voce, che divide con il chitarrista Luca Piccinini, emula i vecchi fasti di Kim Gordon, mentre è in "Barefoot Walking the Head", che la band tocca una vetta notevole tra chiaroscuri sonici, intensi e ruvidi. L'apporto di Michele Prosperi dietro le pelli, già con i Jesus Franco & the Drogas, chiamato a sostituire il membro fondatore e batterista, Peppe Carella, dopo la sua tragica scomparsa, e a cui è dedicato l'intero album, dona l'impulso necessario per rendere ancora più aggressivo e immediato l'effetto sonoro di questo lavoro. Cogliere l'urgenza creativa che si nasconde tra le note di questi brani è facile quanto capirne l'umore cupo che li ha ispirati, un intenso modo, superbamente retrò ma altrettanto attuale di fare musica, che può insegnare ancora molto alle giovani leve di oggi. Il modo più giusto, semplice e rumoroso di concepire il rock alternativo. E per cui l'ascolto è consigliato. (Bob Stoner)

mercoledì 30 aprile 2025

Borgne - Renaître de ses Fanges

#PER CHI AMA: Industrial Black
Sono quasi tre decadi che gli svizzeri Borgne regnano incontrastati negli abissi dell'industrial black, alla stregua di una macchina sonora implacabile, che plasma paesaggi sonori che oscillano tra il caos nichilista e una malvagità primordiale. Con 'Renaître de ses Fanges', undicesimo capitolo della loro discografia, il duo svizzero guidato da Bornyhake, e affiancato dalla sempre più centrale Lady Kaos, torna a scandagliare le profondità dell’animo umano, dandoci modo di immergerci in un viaggio oscuro e tormentato, come già certificato nell'apertura affidata a "Introspection du Néant", un preludio freddo e inquietante che sembra evocare le atmosfere di un’astronave derelitta, prossima a raggiungere l'orizzonte degli eventi. Dopo un inizio in sordina, è con "Comme une Tempête en Moi qui Gronde" che il disco rivela la sua vera natura: un assalto di black glaciale, con riff distorti, melodie minacciose e una drum machine martellante che scandisce ritmi disumani, ci coglie quasi di sorpresa. La produzione, cruda e glaciale, amplifica un senso di disagio che ritroveremo forte lungo gli oltre 60 minuti del disco, mentre le tastiere di Lady Kaos aggiungono un’epica malvagità, un tocco che dona carattere ma non sempre riesce a elevare i brani oltre una formula già esplorata. Rispetto al precedente 'Temps Morts' infatti, che si distingueva per le sue digressioni elettroniche e una forte aura enigmatica, 'Renaître de Ses Fanges' appare più diretto, quasi a segnare un ritorno a un black più canonico, seppur filtrato attraverso la lente industriale. Brani come "Même si l’Enfer m’Attire Dans sa Perdition" (la traccia più lunga del lotto con i suoi quasi 11 minuti) o l'acuminata "Ils me Rongent de l’Intérieur", vanno a segno, colpendo per intensità e per i riff contorti, ma forse mancano di quei ganci memorabili che hanno reso i lavori precedenti così avvincenti. Qui, la struttura dei brani, sempre lunga e complessa, tende quasi a ripiegarsi su se stessa, con pattern di accordi che, per quanto efficaci, sembrano reiterare soluzioni già proposte nella discografia dal duo di Losanna, e probabilmente da qualche altro interprete del panorama estremo. Un elemento di forza rimane comunque inalterato nell'intelaiatura dei nostri: l’atmosfera. Si, perché anche questo nuovo album ci permette di affondare in paesaggi apocalittici, sorretti da synth eterei e da un senso di vastità che richiama, inequivocabilmente, i Blut Aus Nord o i Lunar Aurora. La conclusiva "Royaumes de Poussière et de Cendre" potrebbe rappresentare il momento più ispirato, con quel suo mid-tempo affranto e un’atmosfera avvolgente che sembra suggerire una profondità stilistica che il resto del disco non sempre mantiene. Eppure, anche qui, si avverte una certa mancanza di audacia: dove 'Temps Morts' osava con deviazioni sperimentali, 'Renaître de ses Fanges' si accontenta di consolidare un suono ormai familiare, senza spingersi oltre i confini che i Borgne stessi hanno tracciato in passato. Forse, non aiuta il confronto con la loro storia, avendo costruito la propria carriera su un’evoluzione costante, alternando pulsioni sperimentali a una ferocia old school. Quest'album, invece, sembra un passo indietro, un’opera che, seppur ben confezionata, non riesce a eguagliare la personalità travolgente di 'Y' o l’audacia di 'Temps Morts'. In definitiva, 'Renaître de ses Fanges' è un album che non delude, ma nemmeno esalta. È un viaggio oscuro e ben eseguito, capace di trascinare l’ascoltatore in un vortice di disperazione e caos, ma che manca di quella scintilla innovativa che aveva reso i precedenti lavori così memorabili. (Francesco Scarci)