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venerdì 8 maggio 2020

Mnemocide - Feeding the Vultures

#PER CHI AMA: Death, primi Amon Amarth
Passati completamente inosservati dalla critica italica in occasione del loro EP di debutto intitolato 'Debris', gli svizzeri Mnemocide ci riprovano, rilasciando questa volta il full length d'esordio, 'Feeding the Vultures'. Sostenuti dalla sempre intraprendente Czar of Crickets Productions, il quintetto di Basilea si lancia a spron battuto con 12 nuove tracce e un concentrato di death melodico assai nerboruto. Si perchè di questo si tratta fondamentalmente, death metal avete capito bene, ricco di groove ma pur sempre un death metal bello compatto. Questo almeno quanto svelato da "Crash & Burn", che segue a stretto giro l'intro "Manifest". Ebbene, ritmica possente e mai troppo veloce, growling vocals da manuale, un discreto assolo e poco altro. Mmm, qualcosa mi sfugge nella scelta della label elvetica, da sempre attenta ad avere realtà assai particolari nel proprio rooster, nel 90% dei casi accomunate peraltro dalla loro origine comune, la Svizzera appunto. Ora, non sono qui a dire che la proposta del quintetto basilese sia di bassa qualità, giammai, piuttosto mi verrebbe da dire che non ha assolutamente nulla di originale, e proprio qui risiede il problema. "To the Nameless" è un brano diretto, il classico pugno nello stomaco di scuola Bolt Thrower, con quei suoi chitarroni che macinano riff a profusione, e su cui si staglia il vocione incazzato del bravo Matthias, ma siamo però sicuri che questo è quello di cui abbiamo bisogno? Voglio dire, di album del genere ne è pieno il mondo e i Mnemocide non fanno altro che accodarsi a questo carrozzone senza di certo stravolgere la scena. Mi spiace sembrare cosi tranchant nel commentare la fatica costata ai Mnemocide, usando parole piuttosto dure, ma francamente la musica dei nostri non mi trasmette nulla. Quel che è certo è che i cinque musicisti elvetici siano ottimi mestieranti, insomma la perizia tecnica è buona, pezzi come "In Pain" o "Like Ghost" (dove finalmente un ottimo assolo riesce a mettersi in luce) scivolano via piacevolmente, ma mi duole ammettere che arrivato alla conclusiva "Revolution Required", nulla di quanto ascoltato mi sia rimasto impresso nella testa, il che mi costringe a rimettermi all'ascolto di un lavoro che rischia di scadere nell'anonimato in un brevissimo lasso di tempo e che peraltro non mi invoglia a successivi ascolti. Non mancano i buoni pezzi lo scrivevo già poco più sopra, "Again" è uno di quelli, con uno stile che mi potrebbe chiamare in causa gli Amon Amarth, ma ancora una volta mi ritrovo in una posizione non troppo comoda nell'affermare quanto la proposta dell'ensemble sia assai derivativa e nulla di più. D'altro lato, una song come "Let Me Feed You" la trovo di una scontatezza disarmante. E quindi molto meglio ascoltarsi un pezzo oscuro, ottimamente ritmato qual è "Fear Me", la decima song dell'album, per rappresentare degnamente la proposta dei nostri. Un po' pochino ahimè per portare poco più di una risicata sufficienza, serve ben altro per solleticare il mio palato sempre più sofisticato. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets Productions - 2020)
Voto: 60

https://www.facebook.com/Mnemocide/

Megatherium - God

#PER CHI AMA: Stoner Psych Sludge
Ci siamo lasciati con i Megatherium nel 2016 quando uscì il debut album 'Superbeast'. Ci ritroviamo oggi con un nuovo solido lavoro dall'onnipotente e "poco ingombrante" titolo, 'God'. Otto tracce per i nostri, di cui solo cinque in realtà veri e propri brani, visto che "(generate)" funge come sorta di dronica intro, "(organize)" come intermezzo strumentale, mentre "(destroy)" è una più breve e avvinghiante rumoristica song. Con "The One" il quartetto di Verona inizia a macinare i propri classici mastodontici riffoni e la prima cosa che vorrei sottolineare rispetto al precedente lavoro, è un netto miglioramento a livello vocale: Manuele ha infatti aggiustato il proprio modo di cantare e ora lo trovo meglio collocato all'interno di uno stile musicale che rimbalza costantemente tra stoner, sludge e doom, senza tralasciare che altre componenti, quali math, heavy classico, alternative e psichedelia, s'intersecano in più punti nei brani. "The Holy" parte più in sordina, tra riverberi di chitarra e giri ritmici melmosi che sembrano evidenziare una minor accessibilità alla proposta dei nostri rispetto al passato, privilegiando qui un approccio più pesante e oscuro. Forse questo potrebbe essere il secondo punto che differenzia 'God' dal precedente 'Superbeast' e devo ancora maturare l'idea se si tratti di un punto a favore o sfavore di questa nuova release. Probabilmente la differenza risiede nel cambio di line-up, che ha visto la fuoriuscita di Davide alla chitarra e il successivo innesto di Alberto "Tode" a rimpiazzarlo. La quarta song, "The Truth", ha un incipit ben più atmosferico, frutto dell'utilizzo di synth in background che ne mitigano non poco, la fruibilità. Ampio spazio viene dato comunque alla parte strumentale, come a voler stordire l'ascoltatore prima di porgere un paio di carezze ristoratrici, carezze che coincidono con l'ingresso alla voce del vocalist. Ma il sound continua a rimanere urticante e duro da digerire, frutto di continui tortuosi giri ritmici che finiscono col produrre un effetto sfiancante. È il turno della song più lunga del lotto, "The Eye", quasi undici minuti in totale apnea, visto il grado di angoscia che il pezzo riesce a generare. Il brano apre con un arpeggio dal vago sapor mediorientale, prima che un ribassato rifferama si metta a costruire un enorme muro sonoro dove ancora una volta, il cantato di Manuele, cerca di addolcirne le asperità. Il sound dei Megatherium si fa ancor più minaccioso con un giro ritmico dai tratti fortemente dissonanti che trovano in uno psichedelico break percussivo di scuola tooliana, l'apice compositivo (e di irrazionalità) di 'God'. Ecco, questi sono i momenti che adoro di questa band, in cui ti prendono, ti portano all'inferno e li ti abbandonano. Quest'ultimo alla fine è l'episodio del disco che ho preferito, finalmente identificato dopo una serie estenuante di ascolti che mi ha portato quasi al delirio psichico. Tuttavia, il finale è affidato ad una song dal temperamento più hard rock oriented, "The Strenght", in cui i nostri mostrano inizialmente i muscoli con il loro stoner lento ma possente, intriso di una buona verve grooveggiante che rende questa song di facile presa anche laddove la band si infila in un tunnel ove una luce soffusa sembra voler intorpidire i nostri sensi con fare seducente. La porzione interamente strumentale qui votata peraltro alla psichedelia più pura, mostra un'altra faccia dei Megatherium, quella più lisergica e sperimentale prima dell'ultimo ingresso vocale di Manuele. La song chiude un riffing monumentale cosi ritmato che nel suo fading out mi ha evocato i Metallica di 'Master of Puppets'. 'God' alla fine è un album complesso che non si capisce certo al primo ascolto ma necessità di grande attenzione per poter coglierne dettagli a volte sommersi da un riffing pachidermico e assaporarne cosi tutti i suoi colori e odori. (Francesco Scarci)

(Argonauta Records - 2020)
Voto: 76

https://megatheriumstonerdoom.bandcamp.com/album/god

Windfall - Spiritual Famine

#PER CHI AMA: Black Old School, primi Dimmu Borgir
Buenos Aires l'abbiamo confermato da poco non è solo centro dove si balla il tango, ma inizia ad essere centro fiorente di black metal. La band di oggi addiritura viene da lontano visto che la sua nascita è da annoverare addirittura nel 1994, sebbene una pausa in mezzo di ben 20 anni. La band si è riformata infatti nel 2017 preparandosi nei successivi due anni al rilascio di questo 'Spiritual Famine'. Il disco si muove dalle parti di un black mid-tempo, questo si evince almeno dalle melodie sinistre della title track che apre il disco con fare lento e decadente, ma di sicuro impatto grazie ad un angosciante arpeggio che ci diletta nella sua più pura semplicità per tutto il pezzo, mentre in sottofondo la chitarra ritmica traccia un riffing morboso di vecchia scuola burzumiana e la voce gracchiante di Amend (che abbiamo già incontrato negli Hermon) si fa capire nel suo screaming mai troppo eccessivo. Il primo episodio scivola cosi, tra ombrose parti ritmate e accelerazioni più urticanti, comunque avvolte da un'aura melodica affascinante. Non cambiano certo le cose con la successiva "Tongues Burnt by the Truth" che prosegue nella riproposizione di vecchie dottrine black degli anni '90 che ci riportano al fiorire della scena in Norvegia, vera e unica fonte di ispirazione per il quartetto argentino. Il riffing zanzaroso di allora infatti rieccheggia anche oggi nella vastità della pampa sudamericana, con un'alternanza tra accelerazioni e rallentamenti, corredati in sottofondo da appena percettibili tastiere che conferiscono un tocco diabolico alla proposta dei nostri. Ben più ritmata invece "Salt Covered Wounds" che gioca invece con gli esordi dei Dimmu Borgir, quelli ancora dell'EP 'Inn I Evighetens Mørke'. Nulla di nuovo quindi sotto il sole cocente del sud, se non tributare un amore mai svanito per quelle sonorità con cui tutti i veterani del black metal sono cresciuti. Mi spiace quindi non potervi dire che 'Spiritual Famine' abbia in serbo per voi quali sorprese. "Circles Within Circles", la più ferale (ma anche più classicheggiante a livello solistico) "Signs Unveiled by the Light of the Sun and the Moon" e via via tutte le altre song qui incluse, sono solo un bel modo per riassaporare quei tempi andati in cui il black norvegese guidava il mondo dell'estremismo sonoro. (Francesco Scarci)

(Sons of Hell Prod. - 2019)
Voto: 66

https://www.facebook.com/sonsofhellprod

domenica 3 maggio 2020

Yaldabaoth - That Which Whets the Saccharine Palate

#PER CHI AMA: Grind/Experimental Black, Anaal Nathrakh
Quanto meno originale l'idea di far uscire il debut album di questa fantomatica band originaria dell'Alaska, il 29 febbraio 2020. Che gli Yaldabaoth siano peculiari, lo si deduce anche dal titolo culinario del lavoro, 'That Which Whets the Saccharine Palate', che nasconde in realtà un sound estremo e malato. Sei le tracce a disposizione dei nostri (anche se in realtà parrebbe trattarsi di una one-man-band) che irrompono con la delicata furia distruttiva di "Fecund Godhead Deconstruction". Mi rendo conto si tratti di un ossimoro, ma l'incipit cosi melodico viene spazzato via da un sound insano che va lentamente crescendo in schizofrenia e malvagità con linee di chitarra tracciate oltre la velocità del suono in modo dissonante, in quella che sembra essere una grandinata di suoni che annunciano la fine del mondo, in una tripudio di grind, black, noise e mathcore fuori di testa. Spero non vi spaventino queste mie parole, io l'ho trovato uno sprono ad andare avanti nell'ascolto curioso di questo lavoro, per capire come potrebbe evolversi in futuro l'approcio cosi violento dell'act di Anchorage. Influenzati dalla veemenza degli Anaal Nathrakh, dalle deliranti visioni degli Aevangelist e dalla dissonanza sonica dei Deathspell Omega, mi rendo subito conto che l'unica cosa da fare è stare fermi e lasciarsi trapassare dalle frenetiche vibrazioni impartite da questi terroristi sonori. Nel vorticoso arrembaggio sonico della lunga "Megas Archon 365", ci sento anche un che degli sperimentalismi spericolati dei Blut Aus Nord, giusto per darvi qualche altro riferimento e per cercare di inquadrare al meglio la pericolosa proposta degli Yaldabaoth e del caos sonoro da loro perpetrato, che quasi mi intimorisce nel muovermi anche ai successivi pezzi. Ma sono un tipo scafato, il pelo sullo stomaco non mi manca, mi attrezzo di corazza ed elmetto e mi lancio all'ascolto di "Gomorrahan Grave of the Sodomite". L'inizio è come al solito ingannevole, tra spettrali melodie di chitarra acustica e voci malefiche sussurrate, poi come lecito aspettarsi, è sufficiente uno spostamento di una lettera e da acustica ci si ritrova a caustica, anche se la band qui cerca quanto meno di smorzare i toni accesissimi con qualche rallentamento d'effetto e di grande atmosfera e per di più, qualche partitura jazzata, ove sottolineerei l'eccellente lavoro al basso. Non ho mai parlato di melodia per questo lavoro, in mezzo a questo macello non è proprio semplicissimo trovarne, eppure esiste un filo melodico e invisibile che collega le tracce lungo l'intera release, rendendola per questo ancor più interessante e digeribile. La title track è forse il pezzo più complicato da affrontare, cosi infarcito di riff destrutturati che mi scombinano le sinapsi dei miei pochi neuroni rimasti. Ciò non solo dimostra una vena creativa ma anche una preparazione tecnica di tutto rispetto. A degna conclusione di quest'incubo ad occhi spalancati, ecco la sgroppata finale di "Mock Divine Fury", un otre di ritmiche sincopate, riff ipercinetici, vocals maledette e qualche buona atmosfera angosciante, che vanno a sancire la validità di un lavoro che certamente rimarrà destinato a pochi fortunati adepti al male. (Francesco Scarci)

(Lycaean Triune/Aesthetic Death - 2020)
Voto: 76

https://yldbth.bandcamp.com/album/that-which-whets-the-saccharine-palate

Cénotaphe - Monte Veritá

#FOR FANS OF: Black Metal
The French scene is an unending source of excellent bands in the black metal field, being remarkably the last two decades, when this scene has flourished with a remarkable quality and quantity. As it is usual in this genre, we can always find musicians who shared its time with several projects, sometimes having an incredible amount of side projects. The French duo Cenótaphe is one of these cases. The project was founded back in 2015 by Fog and Khaosgott, who have several different projects. The case of Fog is impressive as he has been involved in around twenty projects, and as far as I know, he is, at least officially, still immersed in nine projects. This is outstanding to say at least. Going back to Cénotaphe, this project has been quite active, though it has only released a couple of demos and a split. The stuff contained in these works was interesting, though there was still a room to evolve and refine its compositions. Due to this, it was interesting to see what this duo could offer in a full length work after this period of progression.

Five years after its inception, Cénotaphe has recently released its debut album entitled 'Monte Veritá'. This work contains eight tracks, which as it is usually in France or Quebec, are sung in French. I always appreciate when a band sings in its own language, as it always helps to give a distinctive touch to their music. Musically speaking 'Monte Veritá' is firmly rooted in the black metal genre and it has a reasonably well-balanced production, with a certain grade of rawness, especially in the guitars. The vocals remind me some bands from Quebec and indeed the French scene, with distinctively aggressive and high-pitched vocals. The songs themselves have an unsurprising aggressiveness with a tendency of being quite straightforward and speedy, though the pace varies between fast and mid sections. Thank to this slight variety, these compositions never fall in an uninteresting tediousness. The album opener "Myosis" is a fine example with its fast pace and vicious vocals. The guitars, though having a slightly filthy production, have a strong melodic essence, which makes the song interesting. The first track has also an atmospheric arrangement, slightly buried in the mix, but which stills manages to enrich the track. Another interesting arrangement are the clean vocals introduced in the song "Aux Cieux Antérieurs", which add a solemn touch to the track. As the atmospheric arrangement, this resource is used a couple of times in the album. These elements make the album sound closer to a more atmospheric oriented stuff at times. In the song "De Mon Promontoire Astral", which is probably the best track of the album in terms of the guitar work, we can find both resources successfully used. This song has a nice balance between pure aggressiveness, atmosphere and energetic pace. We should never forget that is album is focused on the guitars, but the use of other musical ingredients, manages to expand the band´s sound avoiding the risk of sounding too restricted.

All in all, 'Monte Veritá' is a remarkably solid album, with a constancy in the quality and intensity of all the tracks contained in this debut release. The compositions have an interesting balance between ferociousness and melody, and its atmospheric touches make the songs richer and more interesting. What is initially a standard black metal album, ends being an excellent effort with an epic and atmospheric undertone. (Alain González Artola)

(Nuclear War Now! Productions - 2020)
Score: 78

https://nuclearwarnowproductions.bandcamp.com/album/monte-verit

sabato 2 maggio 2020

Battlestorm - Demonic Incursion

#PER CHI AMA: Brutal Death, Impiety
La storia di questo disco è alquanto tortuosa: uscito originariamente nel 2010 ma in edizione limitatissima per l'etichetta giapponese Deathrash Armageddon, 'Demonic Incursion' è stato poi più volte riproposto nel corso degli anni, prima in cassetta, poi in vinile nel 2013 e finalmente ripreso in cd nel 2018 dalla label colombiana Trauma Records, includendo come bonus track, le cover di "Satanas" dei Sarcófago e "Blasphemous Attack" dei Blasphemy. Citandovi queste due band, potrete immaginare verso quale direzione, quello che è nel frattempo divenuto un oggetto di culto nel più profondo underground, viri la proposta del terzetto di Singapore. Siamo nei paraggi infatti di un death brutale e non fatevi certo ingannare dalla melodia seducente dell'intro di turno, perchè quando "Necrophilic Damnation" (anche i titoli dei brani lasciano poco spazio alla fantasia) esplode nel mio stereo, la prima reazione che ho è quella di indossare elmetto e relativa armatura, vista la ritmica deflagrante e annientante messa in moto da questi sovversivi asiatici. Preparatevi quindi al dilagare di un death thrash dinamitardo che lascia ben poco spazio alla melodia, se non in alcuni assoli o sporadici frangenti lungo il disco. Per il resto, è un sound corrosivo, veloce, con la batteria che esplode come la più classica contraerea e le vocals di Hades si propongono come vetriolica risposta ai conterranei Impiety. Il disco è un susseguirsi di tremebonde mitragliate: "Supersonic Devastations", "Lust, War, Vengeance" e la title track, si susseguono in una vorticosa e lacerante devastazione, lasciando solo polvere dopo il loro passaggio. È poi il turno di "Celestial Perversion", la più ritmata, melodica e raffinata "Serpentine Curse", la martellante "Despotic Archdaemon Reign" e la conclusiva ed arrembante "Savage Incarnate", che fondamentalmente non spostano di una virgola il loro range di azione se non proprio per un leggero tocco di melodia aggiuntiva. Dalle cover che aspettarsi poi se non una devastazione nuda e cruda. Bene, l'unico full length dei Battlestorm è un chiaro esempio di come vadano le cose nel sud est asiatico, sempre più spesso affascinato dalla furia distruttiva del brutal death, da cui nemmeno il terzetto di Singapore ne esce immune. (Francesco Scarci)

(Trauma Records - 2018)
Voto: 66

Nudist - Incomplete

#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge
Parto con il commentare l'ottimo artwork di copertina, curato da Coito Negato, per la nuova opera dei fiorentini Nudist. L'album, mixato e masterizzato da Eralbo Bernocchi, è da ascoltare con massima attenzione, per assaporarne tutte le sfumature e le variegate contorsioni compositive. Siamo all'interno dello sludge e del postcore, quello più viscerale e abrasivo, essenza che potevamo trovare già nelle atmosfere del seminale 'Aggravation' dei Treponem Pal, unito alla drammaticità nevrotica e decadente dei lavori micidiali dei Forgotten Tomb, di cui la voce dei Nudist, Lorenzo Picchi (anche al basso), ne ricorda non poco lo stile vocale. Originali nel loro sopravvivere nella sfera del genere, uniscono ritmi claustrofobici (ottimo il drumming Francesco Caprotti) e coloratissime sfumature di nero, sottolineate dai taglienti riff al vetriolo di Gabriele Fabbri (c' è anche lo zampino magico di Xabier Iriondo - chitarrista degli Afterhours - in questo bel disco), che penetrano nella carne (l'opener "Roped and Tied" ad esempio) come lame affilate, per un totale di una quarantina di minuti tutti da gustare con vorace desiderio di musica nera e avvolgente, uno sfogo di rabbia palpabile, meditato, finemente realizzato e niente meno che registrato al teatro Fabbrichino di Prato. Si sente, traccia dopo traccia, l'esperienza maturata di una band navigata, che fa valere le sue qualità musicali acquisite. Sferzate soniche e rallentamenti in slow motion per un film in bianco e nero dagli accentuati chiaroscuri, dove le parti 1 e 2 del brano "River", rivelano un'ottima vena sperimentale, con variazioni nel canto (con l'aiuto vocale di RYF) che si elevano dalle usuali vocals in screaming, aprendo il suono della band ad ulteriori frontiere ipnotiche e psichedeliche. Il terzo brano, "Demolition", si erge nella sua sofferta cronaca lisergica, con un'escalation di drammaticità a dir poco epica, in una sensazione di sospensione avvenuta in uno spazio senza tempo, marcato dall'oscurità incombente. "Crawl in Me", si muove a passo lento in un ambito fumoso e cupo, per uno scenario filmico e d'ambiente noir, un sound originale, vicino al depressive black, con voce salmodiante, straziante e lacera per una marcia funebre, maligna e lugubre che non fa prigionieri. I pregi artistici dei Nudist vengono messi in bella mostra da una eccelsa qualità di registrazione per l'intero percorso del disco ed anche nel lungo brano conclusivo, che porta il titolo dell'opera, "Incomplete" appunto. Una lunga soffertissima interpretazione acida, dall'incedere progressivo ed ossessivo, che si abbatte sull'ascoltatore come un macigno, per porre fine ad un set di canzoni che rapiscono per coinvolgimento emotivo ed un'atmosfera ammaliante virata al nero cosmico. Un album da mettere forzatamente tra le vostre collezioni migliori. Ascolto obbligato ed intensificato. (Bob Stoner)

Nameless - Eternal Grief

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi My Dying Bride
Calì, luogo d'incanto, cosi ammaliante, voluttuosa e libertina, vuoi per le sue bellissime donne, vuoi per i canti e i balli che si sprecano per le vie della città. Calì è anche uno dei luoghi più pericolosi al mondo e proprio qui, nel 1992, nascono i Nameless, band che in quasi 30 anni è riuscita a rilasciare solamente due album, l'ultimo dei quali è il qui presente 'Eternal Grief', uscito nel 2018 per la Demonic War Cult Productions. La proposta musicale del quartetto colombiano mi conduce dalle parti di un death doom che, introdotto dalla classica intro pianistica, si palesa in tutta la sua sostanza con "Lament", una song che riflette fondamentalmente le influenze per la band, che ci riconducono ai primissimi My Dying Bride. 'Eternal Grief' è infatti un disco che tende a privilegiare l'aspetto più death oriented che quello più poetico e decadente che è emerso nelle successive release dell'ensemble inglese. E qui ahimè casca l'asino, perchè il sound dei nostri risuona davvero obsoleto. Ho provato ad ascoltare con la dovuta attenzione anche le successive tracce, ma francamente la furia esplosiva più vicina al black di "Quiet Melancholy", mal si coniuga con il tentativo di offrire un sound piacevole o che possa minimamente destare un qualche interesse, sebbene sporadici tentativi di avvicinarsi, con arpeggi o parti vocali in pulito, anche alle proposte di 30 anni fa dei primordiali Anathema o chi per loro, ha dato il via ad un movimento che poi ha imposto nuove regole e nuovi standard qualitativi. La proposta dei Nameless non è fresca, e magari non ambiva nemmeno ad esserlo, ma francamente non mi sentirei mai di consigliarne l'ascolto. Là fuori ci sono cosi tante release di generi affini assai più meritevoli di questo vetusto 'Eternal Grief'. Me ne dispiaccio, soprattutto alla luce della lunga storia di quest'ensemble colombiano, ma non basta un intermezzo acustico qual è "Abisinia" (o la conclusiva "Manifesto"), per calmierare i limiti in termini di creatività, che lamenta la band. E pezzi dotati di una certa vena malinconica, come "Pain Beyond the Grave" o "The Void", fungono solo da parziale copertura ai rimanenti brani che si possono semmai fregiare dell'etichetta di death metal, punto e basta. La musica ha bisogno di crescere e non di rintanarsi in suoni che ormai hanno fatto il loro tempo, laddove la creatività si è ormai affievolita, se non svanita del tutto. (Francesco Scarci)

(Demonic War Cult Productions - 2018)
Voto: 55

https://namelesscol.bandcamp.com/album/eternal-grief