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#PER CHI AMA: Post Metal/Black, Altar of Plagues, Amenra |
La Primavera Sacra (Ver Sacrum in latino) era una pratica rituale di origine antica, che consisteva nell'offrire negli anni di carestia, come una sorta di sacrificio, tutti i primogeniti nati dal 1º marzo al 1º giugno; l'immolazione non era però reale, in quanto i bambini crescevano come sacrati, per emigrare in età adulta a fondare nuove comunità altrove. Ora, questa Primavera Sacra è stata traslata per identificare il periodo di uscita di questo nuovo capitolo degli italici Wows, affidando una sorta di sacralità all'evento (questa la mia libera interpretazione), dato che abbiamo atteso quasi cinque anni per ascoltare la terza fatica dei nostri. E non ne vedevo l'ora. Cinque pezzi quindi per tastare il polso ai sei musicisti veronesi, anche se "Elysium" è una malinconica intro pianistica sul cui sfondo si aggira una spettrale e appena percettibile voce femminile. "Mythras" divampa poi spaventosamente nelle mie casse, con una ritmica al vetriolo, schiaffi sui piatti, una voce che arriva direttamente dall'oltretomba e una minacciosa crescita musicale che mi rievoca immediatamente uno dei brani che più ho amato degli Altar of Plagues, "God Alone". Date un ascolto attento alla song e godete con me nel sentire come gli insegnamenti dell'ensemble irlandese siano stati presi in dote dalla band e riadattati, resi forse anche più claustrofobici nell'evoluzione angosciante di una traccia che rischia di divenire alfiere di una nuova ondata post-black. Si perchè, parliamoci chiaro, l'evoluzione dei nostri iniziata già ai tempi di 'Aion' non si è affatto conclusa ma prosegue nel suo dilaniante disagio interiore, esteriorizzato dai suoni malefici e angusti di questo 'Ver Sacrum' che pone la band di fronte ad un nuovo bivio futuro, di cui vorrei conoscerne già la risposta. Tornando alla track, questa si muove in bilico tra un sound melmoso e un più furente e apocalittico post-black, figlio di questo maledettissimo periodo che stiamo vivendo. È gioia estatica la mia nel farmi inglobare dall'insana musicalità della compagine nostrana e quale orgoglio nel sentire che simili suoni escano da una band italiana piuttosto che dalle solite realtà americane o svedesi. Che abilità poi nel passare tra lo sludge, il black, l'hardcore e poi concludere con un funeral dalle tinte morbosamente ossessive. "Vacuum", la terza traccia, è tutt'altra cosa con un incipit shoegaze, fatto di impalpabili e decadenti melodie di chitarra e nostalgiche clean vocals che riversano il proprio straziante malessere su quei minimalistici tocchi di chitarra. Poesia allo stato puro, che non preannuncia nulla di buono, visto che sul finire del pezzo, la realtà sembra distorcersi e sembra volerci annunciare di prepararci ad affrontare una distorta forma di realtà. E cosi sia. "Lux Æterna" parte da lontano, con quanto rimane dal precedente album, ossia un minimalistico pizzicare di corde di chitarra e la voce del buon Paolo Bertaiola a declamare pochi versi (ci sento un po' di scuola Amenra in questo frangente). Un ipnotico riff di chitarra inizia a salire nel frattempo, affiancando il più muscoloso riffing portante, mentre una terza chitarra sembra addirittura lanciarsi in un tremolo picking dal forte effetto disturbante. Un forte senso di angoscia sale man mano che le chitarre nel loro marziale incedere, vedono la voce del frontman urlare straziata. La song rimane però bloccata nelle sabbie mobili di un tortuoso e ossessionante giro di chitarra, francamente avrei osato di più in questo frangente, considerata la sua rilevante durata di oltre 13 minuti, un peccato perchè la song sembra castrata e depotenziata nei dettami di un genere che necessita di nuove intuizioni. E arriviamo, senza nemmeno rendercene conto, alla conclusiva "Resurrecturis", non sembra, ma trentadue minuti di sonorità oscure sono già scivolati e quanto ci rimane, sono gli undici rimanenti dell'ultima traccia. L'inizio è un ambient dronico che funge da apripista ad un sound che persiste nel parcheggiarsi dalle parti di un post-sludge lisergico ove riappaiono i fantasmi dei Neurosis ma pure dei Tool. La voce di Paolo si conferma su tonalità pulite ed acute, ma sempre dotate di un profondo senso di sofferenza, mentre il saliscendi ritmico alla fine è da mal di testa e per questo varrebbe la pena sottolineare la performance dietro alle pelli di un magistrale Fabio Orlandi soprattutto nel roboante finale affidato ad un feroce climax ascendente. Per concludere, non posso che enfatizzare ottima la performance in toto della band italica, sebbene in tutta franchezza, avrei garantito più minutaggio alla componente post-black dell'iniziale "Mythras", vero gioello del disco. Aggiungerei poi i complimenti al duo Enrico Baraldi e Luca Tacconi dietro al mixer presso gli Studi Sotto il Mare dove la band ha registrato e ultima menzione per il lavoro sempre di prim'ordine, di Paolo Girardi per l'ennesima spettacolare cover artwork del disco. Che altro volete di più, devo forse intimarvi di far vostra questa spaventosa creatura che risponde al nome di 'Ver Sacrum'? Ora vi prego, non fateci attendere un altro lustro per avere nuove notizie della band, si sa dopo tutto che la fame vien mangiando e io ho già appetito per un'altra release targata Wows. (Francesco Scarci)