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sabato 11 aprile 2020

Licantropy - Extrabiliante

#PER CHI AMA: Surf Rock'n' Roll
Storie di lupi e di lune, di metamorfosi e delirio, di fantasie e demoni squisitamente antropomorfi. Scritte e cantate dal diabolic-trio più diabolic del Triveneto, i Licantropy. Incise ad arte su un compact-disc e confezionate da un’iconica copertina, decisamente evocativa (devo ammettere che mi ha fatto sorridere a prima vista). Se pensate che un tale abstract, non possa riassumere un album simile rendendogli giustizia, beh avete certamente ragione. Non è compito facile raccontarvi con esattezza cosa si può trovare dentro questo disco. Niente paura, non vi ho per niente rovinato la sorpresa, anzi: quelle non mancano. Sempre in agguato dietro l’angolo, brano dopo brano. Dopo una ispanica intro ("Hispanic Wolf") a dipingere il background notturno in cui ci trasportiamo, veniamo investiti dall’impetuoso surf-rock’n’roll sanguigno e affamato dei Licantropy. Aggiungiamoci un pizzico d’influenza punk e una buona dose di psichedelia ammaestrata dagli organi e dai synths di Mr. “Royal Albert Wolf”. Ed eccoci servito. Due brani diretti e sparati come "Big Bad Affaire" e la licantropica "Pale Moon Light", ottimamente impiegabile come colonna sonora per una surfata al chiaro di luna, con i suoi notevoli fraseggi affidati all'Hammond guitar. E ancora, dopo le cavalcate a ritmo di rock della title-track (che contiene addirittura una sezione di scratching), arriviamo persino ad incontrare elementi progressivi: ad esempio in "Bite Me Wolf", con la sua struttura ritmica in continua evoluzione, seppur poco evidente ad un primo ascolto, o nella conclusiva "Coyote", perfetto brano da applausi finali. Dall’incalzante energia iniziale giungiamo, oso dire, ad una dilatazione in chiave stoner. Complessità strutturale, arrangiamenti da manuale ed un’altra abbondante dose di scratch per questo vero e proprio viaggio, verso la fine dell’incubo a luna piena, iniziato una decina di canzoni prima. La visione interpretativa personale di un rock’n’roll più oscuro e notturno, mi ha ricordato un’altra underground-band nostrana a cui sono piuttosto affezionato, gli Slick Steve & The Gangsters, seppur, sia chiaro, ci troviamo su due strade stilistiche abbastanza diverse. 'Extrabiliante' vede la luce come secondo album in studio dei Licantropy, che avevano esordito nel 2017 con 'We Were Wolves', un disco dalle sonorità molto più ruvide e scatenate. Il ritorno del trio composto da Tom Wolf (chitarra & voce), Luke Sky Wolfer (batteria & voce) e Royal Albert Wolf (organo & voce), vede un lavoro di canalizzazione di quella stessa energia in arrangiamenti molto ben studiati. Molta attenzione ai numerosi e ricercati dettagli, che emergono ascolto dopo ascolto: come dicevo, ricco di sorprese che non si raccontano, ma si devono ascoltare. Avvertenze: 'Extrabiliante' può causare irrefrenabile voglia di muovere la testa e battere i piedi a ritmo frenetico. Voluto omaggio al west di Costner 'Dances with Wolves'? (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

venerdì 10 aprile 2020

Golden Ashes - The Golden Path of Death Acceptance

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Credo che Maurice de Jong sia membro/leader grosso modo di una ventina di band (tra le quali vi ricordo Gnaw Their Tongues, Cloak of Altering e De Magia Veterum) ed ex di un'altra buona decina. Giusto per non stare con le mani in mano, eccolo tornare con un nuovo progetto, i Golden Ashes, per cui il factotum olandese ha già rilasciato lo scorso anno il debut 'Gold Are the Ashes of the Restorer'. Visto che la vena ispiratrice del musicista non si è ancora assopita e parrebbe che un nuovo album sia in uscita in questo 2020, ecco che Maurice ha pensato bene di deliziarci con un piccolo antipasto in cassetta, 'The Golden Path of Death Acceptance'. Un EP di quattro pezzi che si apre con l'ambient dronico-desolante della title track, che lascia ben presto posto a "The Light's Rebirth Unfolding", in cui emerge l'attitudine terrostico-sonora del mastermind di Smallingerland. Le ritmiche sono infatti furiose e sulla belligerante matrice musicale black, si inerpica lo screaming ferale dell'artista originario del Suriname e di supporto, anche una serie di atmosfere davvero interessanti che ne minimizzano la ferocia, arrivando il sottoscritto, quasi a fischiettare il motivetto di sottofondo. Incredibile. "The Golden Path" è un altro assalto all'arma bianca, tra dirompenti sciabolate estremiste e spaventose vocals, in un calderone sonoro che ha un suo fascino evocativo. Si arriva velocemente a "To Travel Unknown Spiritual Winds", la song più cupa del lotto ma anche quella apparentemente più controllata grazie ad una ritmica decisamente meno frenetica, un'effettistica più ingombrante e i soliti aspri vocalizzi del buon Maurice a condurre i giochi. Insomma, dopo aver rilasciato un centinaio di release con le sue molteplici creature, Maurice conferma ancora una volta di essere dotato di una sofisticata ed estrema vena creativa. (Francesco Scarci)

3 South & Banana - S/t

#PER CHI AMA: Psych Pop
È un album di svolazzante psichedelia cristallina, leggera e pop quello della one-man-band berlinese 3 South & Banana, un lavoro dal carattere indie e da una curata rilettura di alcune sonorità dei '60s, grazie alla voce del mastermind Aurèlien Bernard a coordinare poi tutto il resto (una voce che ricorda peraltro quella dei Mercury Rev). I ritmi del disco sono soffusi, a volte esotici e le composizioni cariche di suggestioni e richiami solari con la psych a materializzarsi alla maniera di Fruit Bats e altri artisti simili accasatisi sulle rive dell'odierna e inimitabile Sub pop. L'album sfodera una certa dimensione alternativa, con affinità bossanova/new wave stile Nouvelle vague con la raffinata eleganza e l'attitudine da moderno menestrello cosmico. La sognante "KittyKatKatHappyBadSad", si colloca a metà strada tra un vecchio sound freak e il mondo incantato degli Eels di 'The Decostruction', (la canzone più bella del disco secondo me) mentre il trittico, "Intermission" (breve strumentale dal sapore cinematografico anni '60), "Avec le Coeur" e "Bâtons Mêlés" (altra bellissima canzone), tradiscono le origini francesi dell'autore, sfornando un suono ai confini con il pop, tanti suoni sintetici di vecchia scuola bubblegum music e la musica d'autore francese (penso a Marie Laforêt), senza scordare la new wave immortalata dalle ottime release uscite anni or sono, dalla Le Disque du Crepuscules, tipo Anna Domino nell'album 'East and West' del 1984, o il raffinato suono dei Durutti Column di primi anni '80 ('LC'). Il disco quindi si srotola in un'atmosfera surreale (guardatevi il bel video dai contorni naif di "55 Million Light Years Away" per farvi un'idea di quest'artista), sospesa e cosi dotata di una verve pacata e allucinata, come se il pop dalle tinte soft e il jazz, fossero immersi nell'LSD ("I Will Not Stop Loving You") forgiando cosi un suono coloratissimo, caldo ed esotico, come nella beatlesiana "Roof Top Trees". La chiusura è affidata ad una ballata cristallina ("Wings"), una song dalla cadenza ipnotica quasi in assenza di ritmo, per un finale poi dal moto ascensionale, pieno di magia, che ci permette quasi di fluttuare nell'aria. L'album è stato concepito nel ricordo della visione in technicolor che i Broadcast avevano della musica e il mito di 'The Soft Bulletin' dei The Flaming Lips nell'anima, ma qui con radici pop ben ancorate nel cuore. (Bob Stoner)

Darkseed - Ultimate Darkness

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Gothic, Crematory
Era il 2005 e i tedeschi Darkseed arrivavano al mirabolante traguardo del sesto album, il loro secondo per la Massacre Records, proseguendo un percorso evolutivo molto simile a quello intrapreso dai connazionali Crematory. Ricominciando là da dove avevano lasciato 2 anni prima con 'Astral Adventures', i nostri proseguono sulla stessa scia con questo 'Ultimate Darkness' continuando a proporre un genere che già all'epoca aveva ormai ben poco da dire. Non voglio stroncare tuttavia la proposta musicale del sestetto Monaco poiché, per quanto riguarda esecuzione e melodia, si attesta su livelli medi, quello che emerge semmai dalle note di questo album è superato. I cliché del genere ci sono tutti: chitarre cupe super infarcite di tastiere goticheggianti con richiami più o meno imbarazzanti ai vari Rammstein, o agli album 'Host' e 'Believe in Nothing' dei Paradise Lost. Come dicevo, le chitarre sono qui assai oscure e pesanti, però a farla da padrone sono decisamente le tastiere, sopra le quali si staglia la voce di Stefan Hertrich che spazia tra vocals pulite e altre un po’ più roche. In alcuni frangenti la proposta musicale dei nostri mi ha riportato alla mente gli Evereve, forse per i coretti tanto accattivanti quanto mai noiosi alla lunga; in “The Fall” ho sentito un riff preso in prestito da 'Symbol of Life' ancora dei Paradise Lost. Insomma tutto questo per dire che forse questo album potrebbe anche piacervi se i suddetti gruppi rientrano tra le vostre preferenze in quanto 'Ultimate Darkness' riesce comunque a coniugare un po’ tutti questi generi: gothic, elettronica, dark wave e piacevoli ritornelli. Il problema è che non crdo di riuscire ad andare oltre al terzo ascolto, poiché la band è priva di quella verve che la contraddistingueva agli esordi di cui ora rimane poco di entusiasmante e coinvolgente. Per i fan dell'ensemble teutonico, vorrei segnalare che in giro esiste anche un'edizione che comprende un secondo cd contenente 13 unreleased tracks della discografia dei nostri. (Francesco Scarci)

(Massacre Records - 2005)
Voto: 60

https://www.facebook.com/DARKSEED-46103123056/

Eluveitie - Slania

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Pagan/Death, Cruachan, Korpiklaani
Andiamo a ripescare quello che è stato il secondo lavoro degli svizzeri Eluveitie, ossia 'Slania' del 2008 (riproposto peraltro in occasione del decennale nel 2018 con una cover rinnovata e alcune bonus track, le demo version delle song incluse nell'album). La band elvetica torna con quel sound rude, ma atmosferico, caratterizzato dall'utilizzo di strumenti tipici della tradizione celtica (l'hurdy gurdy e la fisarmonica per esempio), tradizione alla quale si rifà la band alpina ma non solo, vista la presenza anche di altri strumenti tipici svizzeri come lo zugerörgeli (una specie di accordion) e il bodhràn. Più vicini alle sonorità di Korpiklaani e Asmegin, accomunati più per ideologia agli irlandesi Cruachan, l'act d'oltralpe (composto da ben otto elementi!) rilasciò questo interessante e suggestivo lavoro, addirittura per la Nuclear Blast e il risultato non fu affatto male. Il death metal dalle tinte folkish dell'act di Zurigo mantiene la rudezza del genere, ma grazie a preziosi e ariosi arrangiamenti, è capace di spingerci a ritroso nel tempo di mille anni, dove i riti pagani si consumavano quotidianamente. A me questo lavoro piace senza ombra di dubbio, anche se rimango stupito di fronte all'incedere super indiavolato di un pezzo come “Bloodstained Ground” che di folk ha ben poco, se non il finale. Sorprendente è l'aggettivo che si deve dare a un disco di simile fattura, perchè in grado di rievocare con estrema efficacia, le tipiche melodie popolari irlandesi, pur mantenendo intatto l'approccio feroce del death metal: riffing veloci, nervosi e ritmiche sostenute delineano il sound di fondo di 'Slania'; tocca poi al magico suono delle fisarmoniche e dei violini donare quel quid in più ad un lavoro in grado di spingere la band verso quello che sarà il meritato successo. (Francesco Scarci)

(Nuclear Blast - 2008)
Voto: 75

https://www.facebook.com/eluveitie

Blissful Stream - When The Wolves Start To Circle

#PER CHI AMA: Black'n'Roll/Doom, Venom
Qualcosa di magico alberga nel nuovo full length della one-man-band svedese Blissful Stream, dove Equimanthorn si prende l'onere e l'onore, di essere unico musicista e compositore delle affascinanti otto tracce che formano il disco. Dopo alcuni Ep, dove già si poteva intuire lo stile originalissimo del progetto, si arriva a questo rude, gioiellino underground, pregno di oscurità e fondamenta metal, orgogliose e pure. In realtà dietro a 'When The Wolves Start To Circle' c'è un vero e proprio esempio di conoscenza del genere sotterraneo, dal doom alla psichedelia, passando per rock'n'roll e gothic rock. Calcolando inoltre la militanza dell'artista tra le fila di una black metal band di culto, come i Pest (quelli svedesi), non possiamo che avvicinarci a questo album con interesse particolare. Prendete il concetto cantautoriale blues di stampo apocalittico dei The Devil's Trade ed accostatelo al maligno cataclisma sonoro dei Venom, unitelo alla profondità dei capolavori creati da band magiche come gli In the Woods e per finire avvicinatelo ad un panorama, simile per attitudine, agli intrecci chitarristici carichi di allucinazione, dei mitici 13th Floor Elevators. Solo così potremmo essere preparati ad ascoltare un'esplosiva e pericolosa miscela di black'n'roll dalle tinte fosche e drammatiche, che trafiggono il lato più dark dell'ascoltatore. Un magma sonoro oscuro e travolgente, che in meno di mezz'ora di musica ci proietta in una dimensione parallela nerissima, dall'umore tetro ma sempre carico di un'adrenalina hard rock/metal impensabile. Le danze si aprono con la bordata di "We See the Light" con il ricordo di Cronos e compagni ancora vivido; di seguito la spettacolare title track, con un riff portante di chitarra che fa terra bruciata intorno ed una interpretazione vocale da brividi. La lenta cadenza di "Sow the Seeds of Discontent" con il suo canto pulito ed un magnifico ritornello evocativo, non fa prigionieri nella sua semplicità devastante e gotica, che porta alla memoria (e non chiedetemi il perchè di questa mia impressione) certi primi lavori dei Joy Divison. Ci si inoltra sempre di più nella scaletta di un album pressochè perfetto, nella psichedelia sgraziata di "Covenant of Decay" e via verso altri quattro brani micidiali. Quando si parla di rock'n'roll dalle chitarre sonanti, dal timbro oscuro e violento, fatto con ispirazione e carico di emotività, di vera ribellione, di gotica genuinità con un certo indimenticabile sound stile batcave e un solenne, strascicato, passo pieno di enfasi, verso la musica del destino (DOOM), da oggi non potrete non ricordare questo magnifico disco. 'When The Wolves Start To Circle' è un album davvero degno di nota, il cui ascolto è a dir poco obbligato. (Bob Stoner)

domenica 5 aprile 2020

Allhelluja - Pain is the Game

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Death’n’Roll, Xysma, Spiritual Beggars
Avevo particolarmente amato 'Inferno Museum', full length di debutto datato 2004 della super band italica Allhelluja. Dopo 15 mesi, i nostri tornano in pista di nuovo pronti a sconquassare il mondo con quell’incredibile mix di suoni seventies, stoner e death’n roll. Dopo gli ottimi responsi ricevuti e le gig di supporto a nomi del calibro di Down, Raging Speedhorn, Gluecifer e Black Sabbath, la band rilascia il secondo 'Pain is the Game'. Undici brani per 39 minuti di musica sono sufficienti a spazzar via ogni dubbio che l’eccellente qualità dell’album di debutto non è stato, dopo tutto, un caso. La band di Stefano Longhi, sempre coadiuvata alla voce dal vocalist degli Hatesphere, Jacob Bredahl (sempre meno in versione growl, molto più rock’n’roll), è più incazzata che mai: la prova che sfoderano i nostri è quanto mai di classe, grazie anche al supporto di Tue Madsen (The Haunted, Sick of it All) alla consolle. Il sound di questo lavoro del combo italo-danese, in linea di massima non si discosta più di tanto dai suoni grezzi e ruvidi del debut cd: le ritmiche sono più rabbiose e sostenute, il che è forse andato a scapito di quelle influenze più ipnotiche e psichedeliche che contraddistinsero l’esordio dei nostri. Tecnicamente la band si discute, così come il gusto per la melodia; ottima dicevo la produzione, sempre attenta a porre in risalto il basso, vero protagonista di questo 'Pain is the Game'. Se avete amano il debut della band, non potrete fare a meno neppure di questo secondo gioiellino e della miscela esplosiva d’insano rock’n’roll; se non li conoscete e amate questo genere di musica, acquistatelo a scatola chiusa, tranquilli garantisco io per loro. (Francesco Scarci)

Chromb! - Le Livre des Merveilles

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde Sperimentale/Prog
I Chromb! non hanno bisogno di presentazioni nè di spiegazioni per poter definire la loro musica, che altro non è che libertà espressiva a pieno titolo. Il quarto album della loro carriera, 'Le Livre des Merveilles', è un parto ostico ma alquanto geniale, un salto in una musica cerebrale tout court, senza limiti di sperimentazione o creatività. Una linea creativa che unisce la voglia di ambienti sonori molto vicini alle colonne sonore per film, con il jazz d'avanguardia, le escursioni uniche dei belgi Univers Zero e il canto a più voci progressivo dei Gentle Giant, una ventata di neo prog sempre in evoluzione, proiettato magicamente verso un sound moderno e dinamico. Sicuramente un'interpretazione originale del concetto più ampio di opera, dalla musica neo classica allo sperimentale senza tempo di casa Art Zoyd. Nulla passa inosservato e intentato in casa Chromb!, un impegnativo viaggio di scoperta per pochi esclusivi viaggiatori verso l'ignoto musicale, verso gli scritti di un libro del medioevo che raccoglie soggetti ed azioni da tutta l'Europa medioevale. Così come tra volti di santi, battaglie di scarabei, erbe magiche, pietre lunari, acque che non bollono, fantasmi a cavallo, foreste incantate, monti infuocati, donne barbute, sirene, streghe, chimere, morti viventi, licantropi e quanto altro vide nella sua vita il chierico e cavaliere Gervasio di Tilbury, il suono dell'ensemble francese evolve in un contesto maturo, intimo e serioso, lontano da frenesie e piroette stilistiche (ma non senza follie musicali), un aspetto colto, oserei dire accademico. Un collage di quattro brani, tra cui, due lunghe suite centrali e una miriade di suoni ad effetto scenico e cinematografico, riescono ad evocare tutte le visioni di quest'opera letteraria. Sicuramente uno sforzo da elogiare, un gesto compositivo coraggioso perfettamente riuscito, che solo una band nella piena coscienza della propria forza espressiva, poteva immergersi in questo intento. Un album che sarà certamente di nicchia e che per molti ascoltatori non consoni, si mostrerà come un tabù, lontano anni luce dalle mondanità del pop o del rock. In un universo tutto suo e sempre più vicino alla galassia della musica d'avanguardia più intellettuale, quest'opera eleva la band di Lione ad un grado assai alto nella scala musicale dei musicisti più rispettabili in ambito internazionale. (Bob Stoner)