Cerca nel blog

lunedì 20 gennaio 2020

Vofa - S/t

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Evoken
Tre sole tracce (di dodici minuti ciascuna) sono sufficienti per gli islandesi Vofa per farci sprofondare nel loro sound cupo e deprimente. "I", "II" e "III" sono i titoli delle suddette song che faranno la gioia sicuramente di tutti coloro che amano il funeral doom nella sua accezione più viscerale ed atmosferica. Gli ingredienti del genere ci sono ovviamente tutti e non possiamo certo parlare di quale miracolo musicale o quant'altro però in una serata in cui la nebbia scivola sinistra attraverso le vie della mia città, una proposta cosi spettrale ci calza giusto a pennello. Le melodie sono dissonanti e stritolanti quasi ci si trovi tra le spire di un serpente a sonagli. La voce cavernosa del frontman è bella arcigna e ben ci sta su quel tappeto ritmico altrettanto aspro e al contempo indolente. Questo per dire che l'ascolto del debut album di questi misteriosi Vofa, band formatasi in Islanda in un non meglio specificato luogo, non è proprio la più facile delle release a cui accostarsi. Le tre tracce sono tutte accumunate dalle medesime caratteristiche strutturali, con una musicalità asfissiante che colpisce ai fianchi fino a farci barcollare, in una vena che può ricordare gli Evoken o gli altrettanto misteriosi EA. Nella seconda traccia sottolineerei la presenza di un cantato pulito spettrale che si affianca al growling ed un lavoro alla batteria quasi tribale che caratterizza il sound dei nostri. La terza track, a parte presentare un intro ambientale, poi si muove sulle medesime coordinate stilistiche, ossia a rallentatore, anche se a metà brano, la proposta sembra movimentarsi un po' di più e con delle voci demoniache a supporto. Insomma, avrete capito che quello dei Vofa non è proprio un album per tutti, quindi la raccomandazione è quella di avvicinarsi con cautela a questo caustico maelstrom sonoro. (Francesco Scarci)

domenica 19 gennaio 2020

En Declin - A Possible Human Drift Scenario

#FOR FANS OF: Dark Rock, Anathema, Klimt 1918
The Italian project En Declin is not a new band being founded in 1996 under the moniker My End. Later on, the project evolved and changed its name to En Declin, releasing two different albums between 2005 and 2009. As it usually happens, the line-up stability was the main problem for these guys to continue improving and evolving its sound, as some members came and left the band during a long period of time. In 2016, the three remaining members, Andrea, Marco and Mauricio decided to continuing as a trio in order to forge a renewed sound and release a new work, which would mark a new beginning for En Declin. The result of this effort is ‘A Possible Human Drift Scenario’.

En Declin’s style on this album is a more sophisticated and mature form of its previous sound. ‘A Possible Human Drift Scenario’ navigates between the realms of dark rock, melancholic pop and some noticeable progressive influences. The band´s music is a vivid soundtrack of a dreamy journey, forged by deep emotions as melancholy or the evocation of a long forgotten past. Musically speaking ‘A Possible Human Drift Scenario’ recalls the softest creations of bands like Katatonia or Anathema. Maurizio’s vocals are delicate yet mournful with a very fragile and beautiful tone; his vocals appear quite in the front of the mix, mainly alone, but also many times doubling them and giving the effect of having several singers singing at the same time, some nice examples would be the excellent ‘Caronte’ or the also fine tune ‘Mr. Lamb’. As mentioned, this is not a particularly heavy album, but a release more focused on being evocating. For this reason, the guitars play an accompanying role of the vocals with tastefully done melodies and chords with a strong prog nature, but being closer to the pop style more than an actual rock band. The guitars compositions like the necessary rhythmic base create structures with a simple, but a interestingly evolving progression in the most inspired compositions. A representative example of this is given by the longest track of the album ‘Das Eismeer’, which is probably the most interesting composition. These highlights improve the overall result because sometimes these kinds of albums tend to be slightly monotonous, as one may find some tracks particularly similar in its structure. Marco, who is the guy behind the drums, tries to enrich the sound of this album adding some atmospheric arrangements, like little electronics effects which serve as a intro for some songs or as a background ambience. I particularly like these adds as they reinforce the evocating nature of this album.

Overall, ‘A Possible Human Drift Scenario’ is a pleasant listen if you like these calm and slightly gloomy albums, where the atmosphere is more important than the strength of the compositions. It will obviously please those who enjoyed the softest side of the aforementioned bands like Katatonia or of particularly emotional projects like Klimt 1918. (Alain González Artola)
 
(My Kingdom Music - 2019)
Score: 70

https://endeclin.bandcamp.com/

Prime Creation - Tears of Rage

#PER CHI AMA: Heavy/Power, Hammerfall, Stratovarius
Dopo le iniziali scorribande nelle lande del power metal, i membri orfani del gruppo svedese Morifade, si riuniscono nel 2015 in un nuovo progetto che sancisce una svolta sostanziale negli intenti dei musicisti di Linkoping: i Prime Creation. Esauritasi infatti la spinta del filone power scandinavo, probabilmente indispensabile per sostenere i quattro album all’attivo, non molto convincenti a dire il vero, e terminati gli argomenti da spendere in materia, i tre amici e compagni Henrik Weimedal al basso, il batterista Kim Arnelled ed il chitarrista Robin Arnell hanno optato per una brusca sterzata al loro sound originale. Già dal 2016, con l’omonimo (ottimo) disco d’esordio, i Prime Creation mettono in chiaro i propri intenti per un deciso passaggio verso territori meno aulici e più diretti. Un solido heavy metal di scuola svedese con qualche riffone di chitarra e cavalcate in doppia cassa da headbanging puro, talvolta a sconfinare nel thrash. Un po’ il percorso che seguirono a suo tempo i connazionali Hammerfall, ma senza il loro classico biker-appeal. Durante la stesura del primo album, l’ensemble si completa con il reclutamento di Esa Englund ($ilverdollar, Hellshaker), vocalist dalle tonalità baritone, decisamente più adeguate allo scopo. Tuttavia, sembra quasi che il cambio di direzione fosse più convinto e convincente, nell'album d’esordio, rispetto a quest’ultima uscita intitolata 'Tears of Rage', risalente a pochi mesi fa. Nonostante l’impronta sia quella più heavy tradizionale che avevamo sentito in 'Prime Creation', questo secondo disco lascia permeare tra i solidi riff, qualche respiro rievocante il passato dei Morifade. Qualche refrain a ritmi abbassati, i cori e le tastiere che ritornano a farsi sentire pressoché in tutti i brani (seppur con peso differente) e sporadici rimandi a certe icone della vecchia guardia. Penso per esempio ad “All for my Crown” che sa un po’ di Stratovarius, anche se quelli meno ispirati del periodo tardivo. Oppure i Symphony X più orecchiabili (di 'Paradise Lost', per dire), con un alone percepibile in “Before the Rain”. Appunto, pare che solo qualche anno fa, i nostri fossero stati più radicali nelle scelte stilistiche. Oltre al sound meno deciso rispetto al precedente esordio, le sezioni “di respiro” si fanno più frequenti. Le tastiere ritornano ad assumere maggiore importanza, in tracce come l’opener “Finger Crossed”. Oltre a questa, buoni anche i brani “Pretend till the End” con la suo intro elettronica e la title-track “Tears Of Rage”, coi suoi carichi ed abbondanti riff ed un’ottima sezione solista di chitarra. Mancano però quei meccanismi che inneschino la giusta scintilla. Questa seconda fatica dell’ensemble svedese non è decisamente al livello del precedente. Un po’ troppo diluita forse. Oppure banalmente povera di ispirazione nel songwriting, magari troppo affrettata a causa del contratto discografico, anziché beneficiato dai giusti tempi per composizione e organizzazione delle idee. Anche la conclusione appare un po’ fuori luogo, con un tappeto di tastiere e la cadenzata voce di Englund su ritmi blandissimi in "Endless Lanes". Un passetto all’indietro quindi per i Prime Creation: peccato perché ci avevano davvero stupiti all’esordio, piazzando un bel colpo alla prima uscita. Ma appunto per questo, restiamo fiduciosi in attesa. (Emanuele 'Norum' Marchesoni)

giovedì 16 gennaio 2020

Monarque - Jusqu'à la Mort

#FOR FANS OF: Atmospheric Black
When we speak about strong local scenes in the black metal sub-genre, there are a few ones which always stand out among the best, and if I should choose one with a particularly strong profile, I would personally mention the Quebec scene. It has always amazed its almost infallible quality, its devotion to the French language and this area´s cultural heritage, regardless of the specific lyrics of each project. Another fact I find particularly interesting, is the tasteful balance between a straightforward aggression and the atmospheric essence of the genre, which all these projects seem to master. You will find some of them which tend to lean to one side or another, but without leaving apart completely the aforementioned balance.

Monarque is one of the most interesting projects of this scene and unsurprisingly they master this delicate balance between strength and ambiance. This is not a new project as it was founded in 2003 by musicians who actively take part in other bands located in the same region, as the excellent Forteresse, Cjethe or Dèlétère, just to mention some of them. Prior to the current work, the band released three very interesting albums, the last one, ‘Lys Noir’, was released in 2013. It seems that the band is taking an increasing time to release a new full length, although fortunately they have returned with a new EP entitled ‘Jusqu'à la Mort’. The new work contains only three songs though its length, clocking around 22 minutes, and its quality make the listen worth of your time. The homonymous opening track is the finest example of a black metal song equally rich in ferocity, speed and melody. The vocals are aggressive, raw and wild, always accompanied by generally fast drums, though with a healthy variety in their tempo. The guitars are obviously the highlight with those riffs full of atmosphere and strength. Their melodies are truly addictive and excellently executed. In the background we find here and there some arrangements which enhance the ambience, making the music even more hypnotizing. As the EP progresses, those characteristics become stronger, especially for those touches which make each composition unique. Those acoustic guitars, the background keys or the organ, just to mention a few examples, provide the perfect contrast to the ferocious vocals and the top-notch guitars. All the songs may present a similar structure, but all the tweaks make each song in this EP distinctive and interesting.

At the end, Monarque has returned with an excellent EP which makes the wait for the next full length even more exciting. Personally, I only hope that the next record will have new compositions in the vein of this EP. Moreover, I would not be unhappy if they include some of these tracks as I have really enjoyed them. (Alain González Artola)


(Sepulchral Productions - 2019)
Score: 80

https://monarqueqc.bandcamp.com/album/jusqu-la-mort

mercoledì 15 gennaio 2020

The Lu Silver String Band - Rock' n' Roll is Here to Stay

#PER CHI AMA: Rock'n'Roll, Status Quo
Il nuovo album della The Lu Silver String Band mantiene le promesse consegnando al mondo una manciata di brani incandescenti, suonati con passione ed esperienza, per una lunga carrellata nel mondo del rock, condito di soul e blues al fulmicotone. Niente fronzoli ma puro rock'n'roll d'altri tempi che attinge a piene mani dai classici suoni di Rolling Stones, Flamin' Groovies, Faces, Tom Petty e Status Quo, per regalarci un gioiellino super divertente da ascoltare, che fila liscio e punta adrenalinico al nostro lato più selvaggio e ribelle. Dieci brani suonati perfettamente e prodotti in maniera esemplare, ridanno vita ad un'epoca speciale, tra polvere di strada, pub, saloon, auto americane, moto e vita spericolata. Con due cover ad effetto di Small Jacket ("No More Time") e Stevie Wright ("Hard Road"), 'Rock' n' Roll is Here to Stay' ha poi da offrire un piano e chitarre bollenti, una batteria dal suono fantastico e coretti sparsi qua e là alla maniera del southern rock, ballate e bruciante rock'n'roll. Lu Silver & Co. ritorna cosi a svegliare le anime assopite con il suo tocco di classic rock dalle forme perfette, piacevole all'ascolto, elettrizzante, mai pesante nè stantio, energico, come lo era 'The Southern Harmony and Musical Companion' dei micidiali The Black Crows all'epoca. Un album dai marcati riscontri temporali, che attinge alle memorie eterne del rock, tanto vintage e per nulla innovativo ma che fa esplodere una bomba sonora che funziona da decenni. Niente di nuovo ma tanto di buono, meraviglioso rock'n'roll, una miscela musicale che ci fa saltare dalla sedia, un intruglio sonico che con una sequenza di brani omogenea e coinvolgente, riesce a tenerci legati all'ascolto per l'intero disco. Splendida la ballata, "In a Broken Dream", con la voce di Lu a ritagliarsi un posto d'onore assoluto, per bellezza, calore e profondità profuse. Ascolto obbligato per gli amanti del rock con R maiuscola e la V maiuscola di vintage nel cuore. (Bob Stoner)

(GoDown Records - 2019)
Voto: 75

https://www.facebook.com/lusilverandstringband

martedì 14 gennaio 2020

Dimholt - Epistēmē

#PER CHI AMA: Black, Kriegsmaschine, Immortal
Formatisi a Burgas nel lontano 2003, i bulgari Dimholt tornano con la loro seconda release in 17 anni. Il sound del quintetto ripercorre i dettami del black death scandinavo, ove una linea melodica alquanto tagliente ma assai melodica, arma la matrice ritmica dei nostri. "Death Comes First" è la perfetta song d'apertura di questo 'Epistēmē', tre minuti di funamboliche ritmiche intessute in perfetto stile Immortal con voci demoniache che calzano qui a pennello. In "Into Darker Serenity", la proposta della band perde in violenza ma acquisisce galloni di malvagità con divagazioni esoteriche che rendono più interessante e personale la musica dei cinque, anche laddove si torna a colpire con una certa veemenza. Le atmosfere sono oscure, nere come la pece direi, ricordano forse un che dei Mgła e dei Kriegsmaschine, il che è bene, bilanciando alla perfezione brutalità e melodia. In fatto di brutalità, credo che "Sacrilege" si batta alla grande per rappresentare uno dei momenti più feroci del cd, con un'aggressione tiratissima e malefica tra ritmiche serrate e screaming belluine. Quello che all'inizio pensavo un cd di scarso interesse, mi sta facendo non troppo lentamente ricredere sulle eccelse qualità degli strumentisti di quest'oggi. Ancora suggestioni più lente e decadenti con "The Martyr's Congregation", quasi a voler alternare pezzi incandescenti stracolmi di blast beat con altri mid-tempo più ragionati, malinconici e dal tocco quasi progressivo, con quella vena ritualistica sempre presente in sottofondo a sottolineare che i Dimholt non sono certo dei pivelli, soprattutto quando la band prova ad abbracciare sonorità più sghembe e disarmoniche che evocano un che di Satyricon, Enslaved e pure Ved Buens Ende. Si torna alla carica con "Nether", una polveriera in fatto di malignità, che ha il merito di sottolineare l'abilità dei Dimholt nel gestire con una certa disinvoltura i cambi di tempo, con rallentamenti repentini tra stoccate ritmiche e tirate di freno a mano. Un delicato arpeggio di chitarra apre "The Fall", ma ne rappresenta la classica quiete prima della tempesta sonora scatenata dall'entropica sezione ritmica che prosegue senza soluzione di continuità anche nella spregiudicata "The Hollow Men", dove lo screaming ferale del frontman diviene ancor più convincente. Nella speranza di non dover attendere un altro lustro per ascoltare qualcosa di nuovo dei Dimholt, vi invito a proseguire nell'ascolto delle rimanenti tracce. A rapporto mancano infatti "Scars of Seclusion", dai forti ammiccamenti alla Deathspell Omega, la corrosiva “Reliquae” (la song più lunga dell'album) e “Aletheia", tre marcescenti song che contribuiscono ad inferire il definitivo colpo di grazia all'ascoltatore con quel loro giusto mix tra black insano, spruzzatine prog e atmosfere infernali. Cercate un difetto a 'Epistēmē'? Io direi la mancanza di veri e propri assoli, ma il rischio sarebbe stato di avere tra le mani un disco bomba, ossia quello che auspico di ascoltare nella prossima release targata Dimholt. (Francesco Scarci)

Action & Tension & Space - Explosive Meditations

#PER CHI AMA: Psych Rock
Tre pezzi per quaranta minuti di musica strumentale, quella dei norvegesi Action & Tension & Space. Moniker particolare, ma anche la musica di questo 'Explosive Meditations' non scherza affatto in peculiarità. Lo dimostra subito l'opener "Peruvian Dream", libera ad abbandonarsi nella più pura improvvisazione tra un drumming tribale, tocchi di mellotron e organo, con una fumosa atmosfera da lounge bar, e a sguazzarci in mezzo troviamo delle sorprendenti chitarre rock che fluttuano nell'etere fantasioso di questi quattro musicisti che inglobano tra le proprie fila membri di Soft Ride, The Low Frequency In Stereo, Ape Club, Electric Eye e Lumen Drones. La loro militanza in queste realtà particolari si materializza in questo trittico di song altamente fulminate che ricordano i Pink Floyd più deliranti e sperimentali, ma anche le divagazioni frastornate e lisergiche dei The Doors. La band ci tiene a far sapere che il disco è stato registrato sull'isola di Karmöy durante una due giorni di pioggia pesante e burrasca che in un qualche modo deve aver influenzato gli umori del disco, conferendogli una maggiore dinamicità. E io non posso far altro che apprezzare e godermi i meditabondi impulsi sonici della band che si gioca la carta dell'onirino nella successiva e un po' strampalata "Mørke Skyer Over Sildabyen", fino ad arrivare alla conclusiva "Destroyer of All Worlds", gli ultimi venti minuti scarsi di una release senza alcun dubbio coraggiosa, che ha ancora modo di soggiogarci attraverso il sound cosmico, dronico, ambient, a tratti anche fumantino, di una band che vi invito caldamente ad assaporare in tutte le sue peculiari venature sonore che potrebbero evocare addirittura i Motorpsycho di un ventennio fa. Consigliatissimi. (Francesco Scarci)

domenica 12 gennaio 2020

The DogHunters – Splitter Phaser Naked

#PER CHI AMA: Indie/Psych Rock
Arriva da Colonia questo secondo album dei The DogHunters, ricco di spunti retrò e voglia di buona musica che sicuramente dai più verrà accolto con una certa diffidenza. Dico retrò perché mi piace pensare alla band tedesca come una riedizione del talento che fu di Lloyd Cole and the Commotions ai tempi di 'Rattlesnake' quando alla fine degli anni ‘80, la neo psichedelia si intrecciava al rock, al garage, al folk e alla new wave, costruendo favole sonore uniche, cadute ahimè nel dimenticatoio troppo in fretta. Questo paragone lo faccio per sottolineare che i The DogHunters sono un’entità anomala nel calderone psichedelico attuale, pescando a piene mani dal pop psichedelico, con una cantabilità fuori dal comune ed una costruzione musicale tanto classica quanto intuitiva ed efficace, figlia più delle correnti neo psych di fine anni ‘80-inizio ‘90, piuttosto che dagli originali anni ‘60 o ‘70. I nostri si portano appresso tracce dei primi The Charlatans e degli Happy Mondays, un che dei Kasabian in "Make it Happen (Love Ain’t in Vain)", quando la band calca un po' troppo la mano alla ricerca del brano radiofonico a tutti i costi, ma il suono migliora (sicuramente più concreto e più personale ora che nel loro primo full length) e prende spessore quando si rende più underground e garage, con spinte acide di un tempo che fu. Il lato più melodico e pop dei The (T4) si muove leggiadro tra un brano e l’altro fungendo da ottimo collante, ampliando e colorando il raggio d’azione del quintetto teutonico. Anche certi umori spettrali degli Shadows (e penso a "How do you Know?") si celano dietro il loro sound, conferendo una vena rock di tutto rispetto, pur non calcando mai il piede sull’acceleratore e sulle distorsioni, alla fine sempre ben controllate e lisergiche al punto giusto. La produzione non è esplosiva e pur essendo buona, ricorda assai i lavori ipnotici e allucinogeni della scuola garage rock, cosi sotterranei ed esoterici (tipo 'Easter Everywhere' dei The 13th Floor Elevators), rivisitati però con una vena più soft, moderata e per certi aspetti anche moderna. Sono 12 le canzoni contenute in 'Splitter Phaser Naked', mai troppo lunghe, sempre orecchiabili e ben suonate, e che guardano all’indie quanto al rock psichedelico. Non possiamo parlare di un disco originale ma certamente di un album ispirato, e di un suono in esso contenuto che non mostra segni d'innovazione ma che presenta una buona cura ed una ricerca di suoni ad effetto. La band comunque suona bene ed il matrimonio tra rock ed eleganza sonora è alla fine perfettamente riuscito anche grazie ad un vocalist dalla timbrica calda e liquefatta ed un sound avvolgente in tutte le scorrevoli song. Forse non tutti li apprezzeranno ma come i loro compatrioti Love Machine,  anche i The DogHunters sapranno soddisfare chi avrà il coraggio di avvicinarsi alla loro musica così intrisa di umori rock acidi, per un album tutto da scoprire! (Bob Stoner)

(Tonzonen Records - 2019)
Voto: 73

https://www.facebook.com/thedoghunters/