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domenica 15 ottobre 2017

Next Step - Legacy

#PER CHI AMA: Alternative/Hard Rock, Alter Bridge
I Next Step sono un quartetto di Madrid che ha debuttato il 17 Marzo di quest'anno con l'album 'Legacy' per la label Rock Estatal Records. La band nasce però nove anni fa, quando i quattro elementi erano adolescenti ed il progetto era suonare cover divertendosi senza pensare troppo al futuro. Dopo qualche anno però, come spesso accade, la voglia di scrivere pezzi propri diventa forte e nel 2011 autoproducono il primo EP che riscuote un buon successo. Seguono due singoli, tra cui "Eternal", da cui è stato tratto un video che ha regalato visibilità ai Next Step che nel frattempo sono cresciuti musicalmente e non solo. 'Legacy' ha quindi la grande responsabilità di proiettarli verso la fama e notorietà oppure di affondarli e farli cadere nel dimenticatoio. La line-up ha subito nel frattempo vari cambiamenti ma il frontman Guillermo e la chitarrista Irene hanno mantenuto saldo il loro ruolo di mente e cuore del progetto. Il primo degli undici brani contenuti nel jewel case è "Wounds Become Scards", un brano convincente che si muove tra sonorità alternative/hard rock dalla ritmica pulsante e dotato di riff potenti. L'arrangiamento è ben fatto e ne scaturisce un brano solido e bilanciato tra allunghi e break dove non manca l'assolo di chitarra a coronare il tutto. La somiglianza con band del calibro di Alter Bridge e Black Stone Cherry è innegabile e ci fa capire l'amore della band spagnola per il filone rock americano. "Echos of a Life" si tinge di nero e tira fuori il lato più tenebroso del quartetto che si lancia in atmosfere post-grunge alla Puddle of Mudd e Creed, con il vocalist che dimostra il suo alto livello artistico. Guillermo infatti si destreggia benissimo grazie ad una buona estensione vocale e una timbrica fresca e grintosa in grado di trasmettere al meglio l'energia del brano. La sezione ritmica svolge appieno il suo ruolo regalando pattern coinvolgenti e allunghi che danno respiro alla canzone che può elevarsi verso l'alto fuggendo dalle atmosfere opprimenti. 'Legacy' rispolvera le radici hard rock della band di Madrid con passaggi acustici di chitarra che si alternano ad un ritornello graffiante e orecchiabile. Come detto prima, il lavoro di arrangiamento è ben fatto e l'utilizzo di accorgimenti come doppie voci non fa che confermare le impressioni iniziali su questo album. Irene si destreggia con stile e cognizione di causa con assoli da manuale che si sposano perfettamente con la sezione ritmica dell'eclettico frontman. Infine, la bonus track "Eternal" si merita di chiudere questo full length grazie al ruolo decisivo che ha avuto nel consolidare la posizione della band nella scena rock spagnola. La qualità audio del cd è molto buona ed insieme ad un mix in stile americano ci regalano un album che vale la pena di ascoltare, a conferma che il duro lavoro spesso ripaga. Anche se bisogna aver pazienza e dedizione. (Michele Montanari)


(Rock Estatal Records - 2017)
Voto: 80

sabato 14 ottobre 2017

Endless Sundown - Make Sense

#PER CHI AMA: Alternative Indie Rock, System of a Down, Muse
Si sa che io sia un grande supporter della scena francese, e quanto io la incensi per originalità, varietà ed elevata qualità, ma non sempre tutte le ciambelle escono col buco. Ecco arrivare gli Endless Sundown e il loro EP di cinque pezzi, intitolato 'Make Sense'. La proposta del combo di Lyon? È un alternative rock ruffiano che pensa di conquistarci con l'opener "Down the Rabbit Hole", una semi-ballad che mi fa storcere il naso per il suo abbinare momenti di dolcezza con altri più incazzati fuori luogo. Non mi convince appieno la voce del frontman, un ibrido tra il vocalist dei The Cult, Ian Astbury e un qualche cantante di band più orientata al versante pop rock (forse i Muse). Con l'attacco arrembante di "Dirty Feed" ero già pronto a rivedere la mia posizione nei confronti dei nostri, ma il fatto che durante le parti vocali, tutti gli altri strumenti sembra si assentino per farsi un riposino, mi disturba non poco, soprattutto perché il disco perde di ritmo e dinamicità. Certo che quando c'è da spingere sull'acceleratore, i nostri ci riescono con convinzione, forti di chitarre ruggenti e un frontman che sembra trovarsi più a proprio agio su tonalità alte che in un tentato growl presto boicottato. "A Need" è una song un po' piattina, che nulla aggiunge alla proposta della compagine transalpina, se non un discreto assolo conclusivo, poca roba però. "Homeless" è già più interessante per le sue altalenanti suggestioni sonore, sebbene il suono impastato delle chitarre mi convinca poco, mentre piuttosto notevole è il lavoro al basso e un cantato che per certi versi, mi ha ricordato i System of a Down. L'influenza dei SOAD ritornerà anche nell'ultima "Come(b)ack", una traccia oscura che risolleva le sorti di un disco che fatica tuttavia ancora a trovare una propria collocazione precisa nella scena. Da risentire con un album più strutturato. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 55

TarLung - Beyond The Black Pyramid

#PER CHI AMA: Stoner/Sludge/Doom, primi Cathedral
Ci siamo svegliati un po' tardi l'ammetto, e per un attimo ci eravamo quasi persi il secondo album degli austriaci TarLung, 'Beyond the Black Pyramid'. Il terzetto viennese torna alla carica, dopo l'EP 'Void' uscito lo scorso anno, con un lavoro mastodontico (66 minuti) di stoner-sludge intinto in una cupa salsa doom, uno di quegli album in grado di stritolarci nelle proprie spire ritmiche grazie ad un sound fosco e bieco. Lo fa però con eleganza il nostro combo viennese, con otto song (più intro) che ammiccano con le loro chitarre ultra distorte e ribassate (a supplire peraltro l'assenza del basso) ad uno sludge melmoso di stampo americano. È chiaro fin dalle note di "Dying of the Light", quanto nella successiva "Mud Town" (e se lo afferma già il titolo, c'è da fidarsi), in cui emerge il lato più stoner oriented della band austriaca. La voce del frontman Philipp è arcigna quanto basta, ma ben si colloca sul tappeto ritmico costruito dalla sua chitarra, dal suo socio alla sei corde Clemens e da un batterista, Marian, puntuale nei suoi attacchi, come un orologio svizzero (ops, mi perdonino i ragazzi). Una cosa che ho apprezzato molto durante l'ascolto del cd, sono stati quegli inserti di chitarra solista a spezzare la monoliticità di fondo di un album dotato di spessore, parecchio spessore, direi quasi paragonabile a quello di un muro di cemento armato di un paio di metri. Insomma se ci si schianta ad una certa velocità, si rischia anche di farsi parecchio male. E cosi capita anche durante l'ascolto di 'Beyond the Black Pyramid': i nostri provano ad edulcorare la propria proposta con qualche arpeggio delicato ("Kings And Graves", nella successiva "Resignation" e nella title track), ma i quasi dieci minuti di brano sono belli tosti da affrontare, soprattutto se i rimandi musicali (e vocali) mi spingono verso quel 'Forest of Equilibrium' dei Cathedral, che ha rappresentato un'influenza forte per tutta una serie di band venuta dopo quel mitico album. Dopo una simile scalata, ritrovarsi di fronte ad un pezzo come "The Prime Of Your Existence" non è assolutamente facile: altri undici minuti di sonorità lanciate al rallentatore ingabbiano la mente e i sensi, neppure ci fossimo fatti una bevuta del peggior mezcal di uno dei peggiori bar di Tijuana. Il sound dei TarLung arriva ormai annebbiato al cervello, distorto, estremamente compassato e a tratti lisergico. E non bastano gli interventi strumentali (peraltro ammantati da un'aura decadente) a ribaltare le sorti di un disco dalla forte e rigorosa connotazione sludge-doom. Un lavoro sicuramente interessante per gli amanti del genere, ma forse un po' troppo chiuso per chi non è proprio avvezzo a questo genere di sonorità. (Francesco Scarci)

(Black Bow Records - 2017)
Voto: 70

giovedì 12 ottobre 2017

Disco-Nected - Vision/Division

#PER CHI AMA: Alternative Rock
Esce in questi giorni il secondo EP dei parigini Disco-Nected, 'Vision/Division' dopo il positivo 'Family Affair' uscito nel 2015. Il genere proposto dal power trio transalpino è piuttosto trasversale, riuscendo a convogliare nel proprio sound influenze derivanti da Foo Fighters, Pantera, Incubus, Kings Of Leon e Biffy Clyro, in una proposta certamente carica di grande energia. Lo si evince immediatamente col rifferama rabbioso ma stracolmo di groove di "Here to Stay", che accompagna la voce calda e ammiccante di Aziz Bentot in una song breve, melodica ed efficace quanto basta per catturare la mia attenzione. Nessuna invenzione particolare, zero orpelli stilistici, solo tanta voglia di divertire ed intrattenere i fan con melodie ficcanti, come accade nella seconda "Unity", traccia che strizza l'occhiolino anche ai System of a Down. Un riffone incazzato apre "Dead Inside", un'altra song da hit parade, che ha le qualità per intrattenere il pubblico con una ritmica più controllata e un cantato che per tecnica ricorda il frontman dei SOAD. Dicevo, non siamo al cospetto di chissà quale innovazione musicale, ma il dischetto si lascia ascoltare piacevolmente, complici anche tutti quei chorus che popolano l'EP. Ecco, avrei evitato la ballad della quarta traccia, "Waves and Lies", una palla da laccio emostatico al braccio che mi spinge a skippare all'ultima "The Wolf Returns", una song che mi spinge ad un headbanging sfrenato e che sancisce la conclusione di un lavoro che probabilmente non ha grandi aspettative se non far conoscere il proprio alternative rock ad un pubblico più vasto. Coraggio. (Francesco Scarci)

Worselder - Paradigms Lost

#PER CHI AMA: Heavy/Thrash, Pyogenesis
La Francia continua nella propria missione di produrre solide certezze: quest'oggi sotto con i Worselder e il loro mix heavy thrash unito alla brutalità dell'hardcore, cosi come dichiarato nel loro messaggio promozionale. In realtà nei solchi di questo 'Paradigms Lost', i riferimenti che ci sento sono molteplici. Partendo dall'opener "Infighting" infatti, non è cosi difficile percepire un sound che chiama in causa i Pyogenesis del periodo di mezzo, unito a sonorità hard rock che evocano invece i gloriosi anni '80, con dei riffoni che se stessero su un disco thrash death, nessuno avrebbe da che ridire. Insomma di carne al fuoco, avrete intuito, ce n'è parecchia e allora andiamo con ordine, visto che dopo il bell'assolo della prima song, ecco il suono di un didjeridoo a braccetto con la batteria, esordire nella title track a offrire un sound dapprima tirato e poi stracarico di groove in un'altalena inattesa di cambi di tempo, di umore e generi in un pezzo alla fine davvero convincente. Con "Seeds of Rebellion" torniamo a suoni più retrò che un po' mi fanno storcere il naso ma che in pochi secondi riescono a trovare comunque un loro perché: nell'hard rock di questa canzone ci sento addirittura un evidente e palese richiamo ai Pink Floyd di "Another Brick in the Wall". Ancora una bella ritmica granitica con "Idols" che si chiama in causa sonorità stile 'Load' dei Metallica e influenze più heavy, con la voce che si muove tra porzioni pulite, urlate in stile power, e momenti più ruvidi. Ribadisco, difficile collocare i Worselder in un genere ben definito, lo dimostra anche l'incipit "The Sickening" dove delle chitarre più graffianti trasformano la song in una sorta di semi-ballad che in pochi secondi avrà modo di regalare belle aperture melodiche colanti enormi quantitativi di suoni ruffiani che cattureranno la vostra attenzione quanto la mia, in quella che è la mia song preferita, soprattutto in un finale che ci ricorda che i nostri hanno suonato con gente del calibro di Dagoba, Gojira e compagnia cantanti. Ancora rock'n roll con "Severed", almeno nei suoi primi novanta secondi, poi i nostri si divertono a suonare un po' come diavolo gli pare, votandosi completamente all'anarchia di un suono sempre imprevedibile e con parecchio da dire, seppur siano palesi le innumerevoli influenze che arrivano da qualsiasi decennio degli ultimi 40 anni di musica. Bravi, perché non è proprio cosi facile e scontato coniugare cosi tanti generi in un flusso musicale che non vive evidenti momenti di stanca o cali di tensione. Nell'inizio di "Home of the Grave" ci sento anche gli Eagles che in pochi secondi si ritrovano a suonare death metal ed evolvono ancor più velocemente in un ibrido tra nu metal, metalcore e thrash metal. Bravi Worselder, non era facile portare a termine l'obiettivo che si erano prefissati senza cadere in tranelli pericolosi. Missione compiuta. (Francesco Scarci)

(Sliptrick Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/worselder

Paolo Spaccamonti & Paul Beauchamp - Torturatori

#PER CHI AMA: Sperimentale/Drone, Ulver
Paolo e Paul, due musicisti particolari, il primo torinese (ma di origini lucane), il secondo americano ma trapiantato nel capoluogo piemontese. Un album, due brani, "White Side" e inevitabilmente anche un "Black Side", a definire i due lati del vinile (in vinile rosso) e le due facce della stessa medaglia di un disco tutt'altro che facile da ascoltare. Una proposta musicale in cui s'incontrano due amici e le loro anime sperimentali che si traducono in questo condensato musicale intitolato 'Torturatori'. Non conosco la ragione di questa scelta, posso solo dire che il loro torturare in realtà si svela dapprima in raffinate linee di chitarra acustica di stampo neofolk coadiuvate successivamente da una svalangata di suoni apparentemente improvvisati che ci accompagnano per quasi quindici minuti di musica minimalista, ipnotica e surreale, un ambient dronico, un'ipotetica colonna sonora per un film come 'Blade Runner 2049' anche se verso il decimo minuto, i nostri tornano a lanciarsi in un altro oscuro arpeggio di chitarra. Una proposta quella del duo italo-americano, che per certi versi mi ha ricordato quello di t.k. bollinger, anche se l'artista australiano può vantare nelle sue composizioni, anche un cantato che qui manca totalmente. Pertanto, spazio alle chitarre, ai synth, ad atmosfere rarefatte e oniriche, soprattutto nella seconda song, in cui il suono della sei-corde è decisamente più ribassato, e molto più spazio viene concesso ai suoni cibernetici affidati ai sintetizzatori di Paul Beauchamp, qui emulo di quelle sonorità alla Vangelis che popolavano il primo 'Blade Runner'. Un disco alla fine parecchio sperimentale per le nostre orecchie e i nostri sensi, per quanto in realtà, i due musicisti non offrano proprio sonorità avanguardistiche. Un'esperienza simile all'ascolto degli album strumentali degli Ulver, un ascolto da provare in rigoroso silenzio e nel buio più assoluto. (Francesco Scarci)

domenica 8 ottobre 2017

Arkhon Infaustus - Passing the Nekromanteion

#PER CHI AMA: Black/Death, Morbid Angel
Di pochi giorni fa la mia riproposizione della recensione di quello che era l'ultimo lavoro degli Arkhon Infaustus, 'Orthodixyn': era il 2007, poi una decade di silenzio, in cui si sono rincorse più volte voci di cambi di line-up o peggio di scioglimento. Torna invece sorprendentemente con un EP nuovo di zecca, la band transalpina, fresca di un nuovo contratto con la Les Acteurs de L'Ombre Productions. Che botta ragazzi, il duo formato da DK Deviant e Skvm non ha di certo perso lo smalto dei tempi migliori ed è pronta ad assalirci con quattro song davvero arrembanti che risuonano imponenti nello stereo grazie ad un sound come sempre malvagio. Lo si evince dal litanico incipit affidato a "Amphessatamine Nexion", song monumentale per ciò che concerne la qualità e la potenza del suono erogato dal malefico duo parigino, che dopo un inizio volutamente timido e ragionato, esplode tutta la propria furia infernale attraverso un sound che chiama in causa ancora una volta i Morbid Angel, in un riffing terremotante sorretto dalla sontuosa performance di Skvm dietro alle pelli. E la prova del drummer (peraltro membro anche di Temple of Baal, Helel e The Order of Apollyon) si conferma anche nelle successive tracce. "The Precipice Where Souls Slither" è il classico black/death targato Arkhon Infaustus: sembra infatti che il tempo si sia fermato per Deviant e soci a quel 2007, in cui i nostri proponevano un sound oscuro, carico di un’aura misteriosa, ove inserire claustrofobici momenti doom e inquietanti atmosfere sataniche. E cosi pure fanno gli Arkhon Infaustus in questo 2017, con un suono contraddistinto da repentini cambi di tempo ('Blessed are the Sick' rimane un riferimento importante per l'act francese), scale ritmiche da urlo, vocals che si muovono tra il growl e lo screaming, tirate assurde di freno a mano e ottime aperture melodiche che individuano la seconda traccia se non come la mia preferita del lotto, sicuramente la più strutturata. Ombre doom danzano nell'inizio di "Yesh Le-El Yadi", traccia affascinante, che poi divampa in una militaresca porzione ritmica, che rallenta e accelera paurosamente in sgroppate di musica estrema, chitarre ruggenti e vocalizzi demoniaci. Un ritorno alla grande, certificato anche dall'ultima sperimentale "Corrupted Épignosis", oltre dieci minuti di musica strumentale al limite di funeral/noise/drone/avantgarde. Bienvenue à la maison! (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2017)
Voto: 75

sabato 7 ottobre 2017

Hexgrafv - Altare

#PER CHI AMA: Stoner/Doom, Cathedral, Black Sabbath
Con parziale incolpevole ritardo, mi appresto a recensire l'album di debutto degli svedesi Hexgrafv. L'album, uscito nell'estate del 2016, è infatti arrivato tra le mie mani solamente un anno più tardi; poi si sa, prima di recuperare dalle scorie delle ferie estive, passa sempre qualche mese. E cosi, ecco finalmente arrivare la recensione di 'Altare', un Lp votato interamente ad uno stoner doom che riflette tutti gli stilemi del genere. Cinque le tracce a disposizione del trio di Jönköping per dimostrarci le loro qualità assolute. Si parte dall'opener "Altar of Disease", song che dichiara apertamente l'amore dei nostri per sonorità di "sabbathiana" memoria ma anche che strizzano l'occhiolino agli esordi dei Cathedral, di quel 'Forest of Equilibrium' che ha dato nuova linfa vitale al genere. La song è parecchio lunga, quasi dieci minuti di suoni circolari, chitarroni doom, voci alla Ozzy e un sound psichedelico che si trascina pachidermicamente fino alla seconda "1347", una traccia che si apre con un parlato latino che sembra l'incipit di una messa con tanto di "nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo" e l'officiazione liturgica posta su di una base ipnotica che da li a poco tornerà a celebrare l'indomito spirito doom dei primi Black Sabbath e sfociare in uno spettacolare assolo di reminiscenza settantiana. Mancherebbero solo i celeberrimi "Oh Yeah" di Lee Dorian e poi il lavoro sarebbe perfetto per tutti coloro che amano queste sonorità e queste band. "Ma'arra" è decisamente più breve ma questo non significa sia meno efficace, anzi, funge da bel ponte tra la prima metà del disco e gli ultimi due pezzi del cd. Il muro ritmico eretto dai nostri è infatti assai granitico, soprattutto negli ultimi 60 secondi del brano, quelli che ci preparano a "Witchstone", il pezzo più lungo e oscuro del disco, visto che i primi tre minuti sono all'insegna di una fitta coltre di nebbia che si dipana poi lungo uno spesso minutaggio che paga ancora tributo ai maestri del passato e che pone gli Hexgrafv accanto ad un altro nome del presente, i polacchi Dopelord. La song comunque dimostra le caratteristiche vincenti del terzetto svedese, ossia quelle di coniugare il doom con un rifferama stoner accattivante, corredato poi da brillanti linee di chitarra solistica che si lanciano in fughe lisergiche che ci accompagneranno ancora con l'ultima strumentale "Drowning", un pezzo mastodontico che puzza di pesanti atmosfere funeree. Ben fatto ragazzi, per essere un debutto direi che siamo decisamente sulla buona strada, già pronti per ascoltare del nuovo materiale che magari nel frattempo è stato prodotto. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 75