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mercoledì 4 novembre 2015

Sergeant Thunderhoof - Ride of the Hoof

#PER CHI AMA: Stoner/Space Rock, Monster Magnet
Eccolo, finalmente. Dopo l’abbondante antipasto rappresentato nel 2014 dal super EP 'Zigurat', i Sergeant Thunderhoof danno alle stampe il loro primo album. Se 'Zigurat' li aveva posti all'attenzione per le loro non comuni capacità di scrittura in un ambito, quello stoner, che spesso è preda di una perpetua riproposizione di cliché frusti e idee di terza mano, 'Ride of the Hoof' centra in pieno l’obiettivo di confermare le qualità della band e si pone come importante pietra di paragone per la scena negli anni a venire. Rispetto all'esordio, sembra esserci qui una maggiore apertura verso una prospettiva di evoluzione, laddove invece 'Zigurat' pareva piú ancorato a riferimenti classici. Sono molto interessanti il suono delle chitarre e l’uso della voce, che riescono a coniugare alla perfezione modernità e un certo gusto classico. Quello che maggiormente colpisce, nel suono dei quattro ragazzoni del Somerset, è che sembra fatto di una materia allo stesso tempo pesante e leggerissima, in grado di penetrare fino al centro della terra così come repentinamente schizzare nello spazio a distanze siderali. E questa dualità riesce a rendere l’ascolto sempre interessante, vivo e fresco. L’album si snoda lungo sei brani mediamente lunghi, per un totale di una cinquantina di minuti davvero densi. Dall'apertura, affidata a “Time Stood Still”, si nota subito la grande abilità a livello di songwriting e una ricerca sonora in grado di coniugare sprazzi post a classicità stoner doom. Si prosegue senza cedimenti con l’incedere pachidermico di “Planet Hoof” e i riff trascinanti in stile '70s di “Reptilian Woman”, fino a “Enter the Zigurat”, song dalle forti componenti psych e la monumentale “Goat Mushroom”, 13 minuti di stordimenti doom, improvvise accelerazioni ipercinetiche e immani cavalcate stoner psichedeliche. La chiusura di 'Ride of the Hoof' è affidata a quella “Staff of Souls” che rivela un lato totalmente inedito e affascinante della band inglese, fatto di delicati arpeggi dal sapore post-rock e un cantato sognante, il tutto lasciato sospeso in un modo davvero magico. Maniera eccellente per chiudere un album carico di decibel e distorsioni che vi faranno friggere le orecchie, ma che ha anche un altro effetto collaterale: creano dipendenza. In ambito stoner, i Sergeant Thunderhoof si confermano tra le migliori uscite dell’anno. Senza dubbio. (Mauro Catena)

(Self - 2015)
Voto: 80

martedì 3 novembre 2015

Kevel – Hz of the Unheard

#PER CHI AMA: Sludge/Alternative/Post Metal
Arriva direttamente da Atene la sorpresa che non ti aspetti, una band formatasi solo nel 2012 che al debutto licenzia, autoproducendosi, un piccolo gioiellino interamente strumentale. La scelta di mettere presto da parte la voce si mostra alquanto efficace: le composizioni trovano infatti un perfetto equilibrio da sole, con un sound potente, compatto e dinamico, in evoluzione costante tra chiaroscuri, cambi di tempo e umori vari. Alla fine i brani si sviluppano in modo scorrevole e l'effetto globale risulta letale per chi ascolta. Nella musica dei Kevel non ci sono regole scritte, tutto è permesso all'interno di uno stile assai personale, quindi, trovare una composizione progressiva con l'emotività e il sound di casa Tool ai tempi del mitico 'Undertow' sarà cosa normale ascoltando 'Hz of the Unheard'. Non solo, pensateli mischiati alla forza espressiva dei Pelican, alla tensione dei Kylesa, la vena cinematica dei Red Sparrowes e l'oscurita post core dei Battle of Mice (senza voce ovviamente!), il tutto suonato con una pesantezza da far invidia ad una band sludge, con un tocco di post black che non guasta mai e anzi fa la differenza. Mi risulta difficile descrivere questi brani, poiché la loro complessità e bellezza è assimilabile solo ascoltandoli ripetutamente. Il suono è corpulento ma snello, teso, di altissima qualità e non stanca mai, intelligente nella sua composizione e perfetto nella trascrizione di oscure visioni in grigio, psichedelia, intricati percorsi psichici frammisti a complicate deviazioni dell'anima (guardatevi il video di "Seeds of Famine" e giudicate voi, semplicemente geniale!). Sono cinque i pezzi che costituiscono l'esordio della band ateniese, e tutti di ottima qualità, di media-lunga durata e curatissimi nei suoni, cosi come nell'artwork (a cura di Dimitrios Kyriazis), che riflette a dovere un ensemble che esce dai canoni senza stravolgerne le coordinate, l'impatto ed il risultato. Una scrittura che dona sfumature davvero interessanti ad una musica che può essere catalogata come alternative/sludge metal ma che in realtà al suo interno nasconde una moltitudine di influenze più o meno legate al variegato mondo della musica estrema. Un piccolo gioiello che nei primi due brani, "Pavlova" e "EoD (Edward on Death Row)" trova la sua magnifica essenza. I Kevel, con la propria musica, sovrastano e sconfiggono la pesante crisi economica greca, sfornando un debutto di notevole carattere e di respiro internazionale. Da ascoltare e avere! (Bob Stoner)

(Self - 2014)
Voto: 85

Kveldsmoerke - III: ...Av Naturen

#PER CHI AMA: Black Progressive, Fleurety, Ancient, primi Dimmu Borgir
Sono passati più di vent'anni da quando uscì ' For All Tid' dei Dimmu Borgir, che mostrò al pubblico come si potesse coniugare il black metal con delle sapienti melodie dettate da lineari tastiere. A distanza di anni, c'è ancora chi prende spunto da quel mitico lavoro e lo rielabora con una discreta dose di personalità. È il caso dei norvegesi Kveldsmoerke (la cui traduzione starebbe per l'oscurità della notte) e del loro secondo capitolo 'III: ...Av Naturen', che proprio dal debut album dei loro conterranei più famosi, vanno a pescare a piene mani. Si inizia con la opening track, "Ved Vannkanten", un intro di otto minuti e mezzo, divisi tra un ambient primordiale e tiepide chitarre ronzanti, una sorta di mix tra Burzum, gli stessi Dimmu Borgir e gli In the Woods più pacati. Con "De Store Trærne" ecco emergere il sound fiero ed epico del black metal anni '90, che rese celebre anche altri acts norvegesi quali Ancient o i primi Satyricon. Ci troviamo di fronte ad un sound scarno, dotato di una produzione lo-fi, rigorosamente cantato in lingua madre, che non disdegna lo screaming selvaggio quanto un approccio ben più corale. Contestualmente a questo shift a livello di vocalizzi, le atmosfere divengono anche più eteree e sognanti. Certo, la produzione non aiuta, però è bello abbandonarsi a frangenti che scomodano qualche altro paragone con il sound progressivo degli Enslaved di 'Monumension'. Ancorati alla tradizione nordica, i Kveldsmoerke sembrano voler tributare la loro eclettica visione del black metal alle band che ne sono state alfieri negli ultimi 25 anni. E il risultato ve lo garantisco, oltre ad essere tremendamente nostalgico, non è affatto male, anzi. Ci sono chiaramente tante cose che andrebbero riviste, ma forse proprio in questo risiede la genuinità del mastermind RNR che si nasconde dietro a questo monicker. Si, perché i Kveldsmoerke, come da tradizione norvegese, sono una one man band, l'avevo volutamente tralasciato. Nel frattempo il disco prosegue con "Løpende", una song strumentale che si dimena tra ritmi incalzanti e atmosfere soffuse, questa volta a richiamare il debut album dei Fleurety, 'Min Tid Skal Komme' che si rese celebre per la capacità di unire black, jazz e progressive. La colata lavica di black furente riprende con "Kveldsmørke", una song che oltre a mettere in luce l'acido cantato del musicista di Bergen, colpisce per le sue splendide tastiere che abbassano i toni, talvolta esasperati dalla crudezza di un riffing nevrotico e incandescente, anche nel break che si trova nella seconda parte del brano, dove ancora trovano posto suoni progressivi d'annata. "Fugler", la quinta song, sembra inizialmente evocare il tema dei Vangelis in "Blade Runner", ma poi si lancia in uno splendido assolo rock, che favorisce la comparsa della pelle d'oca sulle mie braccia e per un attimo mi fa dimenticare di essere all'ascolto di un disco black. Semplicemente favoloso. La cavalcata furiosa riprende puntuale nella seconda metà del brano, in cui vengono anche relegati i pochi malvagi vocalizzi di RNR. Se "Skumringstimen" è un inutile intermezzo di nove minuti di cui sicuramente si poteva fare a meno, la conclusiva "Under Vann" ha modo di convogliare tutta la produzione della scuola norvegese nei suoi quasi tredici minuti, un vero e proprio tributo a un genere che ha contribuito alla storia del metallo estremo, il black. Nostalgici. (Francesco Scarci)

(Non Existing Music - 2015)
Voto: 75

domenica 1 novembre 2015

Interview with Dalla Nebbia

Follow this link to know much more about Dalla Nebbia, an interesting underground band coming from US, in the vein of Agalloch and Windir: 

Disloyal - Goddess

#FOR FANS OF: Death Metal, Hate Eternal, Immolation, Morbid Angel
The fourth full-length from this Polish Death Metal act really seems to have hit their stride here with one of their tightest, most consistent and cohesive efforts yet. Deftly mixing together dynamic technical riffing and over-the-top wankfest-style leads here with a tight rhythm section that often-times gets dragged into thrashier realms with their speed-driven crunch intertwined together all makes for quite the dynamic collection here that fully offers a fine collection here to draw upon for their work here. The fact that there’s not a full-on devolution into mind-numbing technicality and instead offers plenty of truer crunch here that oftentimes results in fine chugging riff-work is such a fine tool wielded throughout here that it alone is the single greatest driving force on the album, not being overly concerned with the technicality at the forefront of the songs but dousing the rhythms with enough lead-work to appear complex and challenging while the more concise blasting and tight rhythms charge the rest of the song along. These here manage to give this a lot to like here, which does manage to stumble slightly here with one track here that drops a lot of that in favor of more melodic and atmospheric work instead of the charging Death Metal that had been largely the focus on the rest of the album here, yet the fact that the rest of the songs are of high quality does keep this one significantly better than expected. Instrumental intro ‘Abruption’ gives off some dark industrial themes and droning guitars that settle nicely into proper first song ‘Give Place unto Wrath (Vengeance Is Mine; I Will Repay)’ which fully unleashes scathing swashes of technical riffing, dexterous drum-blasts and utterly maddening tempo changes that occur at the drop of a hat which makes for some really dynamic times here with the different elements making this a truly impressive and explosive track that signals the album highlight right off the bat. ‘New Enemy Rising’ is much the same with a slightly less technically-proficient riff and settles into more of a slightly more traditional Death Metal crunch though still manages to maintain that impressive and tightly-wound rhythm section that still incorporates enough of the technical bursts in the second half to remain equally as enjoyable. The scathing ‘Dybbuk’ is their most technically challenging and proficient series of riff-work throughout here which offers up some of the fastest rhythms, pounding drumming and utterly ferocious technical runs throughout the album while getting the most out of its atmospheric leads charging throughout the finale which make this another spectacular highlight track. Offering a slight change-up, ‘Self-carving Titan’ drops the mainly frenetic paces here with a change-up into slightly more mid-tempo areas offset with some melody-driven lead rhythms and a significantly less intense series of riffs that’s decidedly enjoyable if coming off like a different group playing such is the disparity between the other tracks. Both ‘Mechanism of Deceit’ and ‘Mors Imperator Mundi’ bring back that enjoyably technical rhythms and blasting drumming that keeps the rather dynamic riffing at the forefront here with the different tempos allowing for a charging collection of wanking and steady chugging rhythms that make these another fine standouts. ‘Corporate Beasts’ features some solid mid-tempo charging here that does manage to come off rather nicely here with the drop-off of technical prowess off-setting the enjoyable charging riff-work at the forefront here that does feature a highly-technical finale which is a solid if somewhat lower-quality effort from the other tracks here. ‘On the Ashes of the World’ is yet another high-quality charging blast-fest filled with scalding lead rhythms, utterly pounding drumming and a ferocious tempo that charges through as strongly and powerful as the remaining tracks with driving intensity and full-on technical prowess that makes this another powerful track. Lastly, finale ‘The Chastener’ manages to offer even more intensity here as the technical rhythms and driving energy are on full-display here with plenty of vicious leads and pounding drumming that carries on nicely through the rather frantic tempos here into a nice atmospheric finale that ends this on a high-note. It’s mostly that one out-of-place track that holds this one down. (Don Anelli)

(Ghastly Music - 2015)
Score: 85

Defrakt - Bow To The Machine

#PER CHI AMA: Death/Djent/Math, Meshuggah
Se sulla copertina del disco, anziché campeggiare la scritta “Defrakt” ci fosse stato “Meshuggah”, ve lo giuro, avrei pensato: wow, Thomas Haake e soci hanno fatto un nuovo disco e non ne sapevo niente (e sarebbe stato abbastanza impossibile). E in effetti, credo che questa sarà la recensione più corta che io abbia mai scritto: i Defrakt sono i Meshuggah. Punto. Hanno i loro suoni, la loro voce, la loro capacità di destrutturare i riff in poliritmi; suonano con la stessa spaventosa tecnica, con le stesse bassissime distorsioni digitali, con la stessa voce brutale e potente, con gli stessi giochi ritmici tra chitarre e batteria. Questo disco è in effetti un tributo all’intera discografia dei Meshuggah: ci sono brani più veloci che sembrano usciti da 'Destroy Erase Improve' ("Smite"), brani che sono lente cavalcate all’inferno ("Normative" e "Become"), altri che potrebbero essere stati b-side dell'ultimo 'Koloss' (“Things”). L’unica nota appena negativa? I suoni della batteria, in particolare del rullante, sono ancora troppo artificiali e andavano, forse, lavorati appena di più. In breve: siete stufi di ascoltare a ripetizione 'Obzen', 'Catch 33' o 'Chaosphere' in attesa di un nuovo lavoro? Mettete i tedeschi Defrakt a tutto volume e sarete felicissimi: sono bravi, potenti, ispirati – non potrete non muovere la testa a tempo. Cercate invece originalità, innovazione, personalità? Questo disco non fa per voi. (Stefano Torregrossa)

(Self - 2015)
Voto: 65

sabato 31 ottobre 2015

Annwn - Idris Awaits

#PER CHI AMA: Black/Folk, Agalloch
Gli Annwn sono una band gallese attiva ormai dal 2005, quando era un semplice solo project. Dopo la solita trafila di demo/promo, il quartetto di Swansea si mette a scrivere il primo lavoro. Era il 2009. Finalmente nel 2015 vede la luce 'Idris Awaits', un EP di 4 pezzi per venti minuti di sonorità folk black, che vedono addirittura includere una tradizionale ninna nanna gaelica, la conclusiva (e sonnolente) "Suo Gan". I nostri esordiscono però con "Mountain's Sunrise", che abbina chitarre elettriche con giri acustici e voci corali che riprendono un sound celtico unito ad influenze di "Agallochiana" memoria. Ottimo l'intermezzo folkloristico che si può ascoltare a metà brano, in cui l'aggressività data dalla sezione ritmica, cede il passo a melodie paesane, arpeggi ed epici cori. Il dolce suono della sei corde apre anche "Moutain's Peak", song semiacustica narrata da una voce forse un po' troppo fredda e asettica. Le chitarre tornano a vibrare con "Mountain's Farewell", la song più interessante delle quattro, ma anche quella in grado di evidenziare pregi e limiti di questo EP. Partendo dai primi, sicuramente da non trascurare le buone atmosfere che si respirano e l'approccio dei nostri che torna a chiamare in causa gli statunitensi Agalloch. Inoltre il sound è decisamente più dinamico con una certa alternanza tra linee di black metal frammiste a partiture folk, con le vocals di Owain ap Arawn che trovano anche uno sfogo urlato. Se vogliamo evidenziare i punti deboli del disco, sono invece rintracciabili in una produzione forse non all'altezza, e nell'utilizzo talvolta elementare degli strumenti a propria disposzione. C'è ancora molto da lavorare, ma le idee degli Annwn sono potenzialmente buone. Spero solo non serva un altro lustro per partorire nuove idee, sarebbe un bel problema continuare a ricordarsi di questo nome. (Francesco Scarci)

giovedì 29 ottobre 2015

Moonreich – Pillar of Detest

#PER CHI AMA: Black, Deathspell Omega, Blut Aus Nord
Album di assoluto valore questo 'Pillar of Detest' della one man band transalpina che risponde al nome Moonreich, lavoro pieno di derivazioni e influenze venute dalle terre più sacre del black metal d'avanguardia, tra cui posso citare con piacere immenso, Deathspell Omega, Arcturus, Blut Aus Nord, Ved Buens Ende e per attitudine al perfezionismo sonico e modernismo anche Ishanh. Weddir, il mastermind francese è mostruoso, cinque album tra EP e full length tra il 2008 e il 2015 è una mole di lavoro immensa considerando la caratura dei sui lavori e la vetta creativa raggiunta con questa maestosa opera ultima. Qui troviamo di tutto: dissonanze e melodia, attacchi velocissimi in stile hardcore, grind, black e atmosfere originalissime care al progressive metal, l'ombra dei Watain, la malinconia, le tenebre mescolate ad una intensità e una peculiarità compositiva che appartiene solo a chi osa spingersi oltre. I primi tre brani scivolano divinamente, con "Ad Nauseam" in apertura che fluttua nel segno di un'avanguardia fantasiosa e folle. Si arriva all'ascolto di "Sheitan", il quarto brano, uno strumentale che mostra una stupenda scrittura prog, con cui rischio lo smarrimento spirituale soffermandomi nell'apprezzare i vari strumenti giocare con le dissonanze e le cadenze mistico/ancestrali. Il successivo lungo pezzo è la title track, una cascata di violenza controllata e trascinate in puro stile black, modello Blut Aus Nord, con chiaroscuri degni di nota, cambi di tempo frequenti e una coda che richiama i classici del thrash più puro. Il musicista parigino non si risparmia e suona divinamente ogni strumento e cosa che avvalora ancor più il suo operato, è una produzione al di sopra delle righe che permette di apprezzare ogni singolo accordo e ogni minima battuta di un album psicotico tutto da amare. La velocità non manca e neppure la fantasia, tutto è giocato infatti su un'imprevedibilità di fondo e dal riff inaspettato, rumoroso, raffinato e complicato, d'atmosfera o d'impatto, comunque, sempre assai spettacolare. Una sensibilità compositiva evoluta unita ad un artwork di copertina molto bello che centra la trasversalità della proposta musicale e che impreziosisce ulteriormente l'opera. 'Pillar of Detest' è un album carico di pathos, figlio degenerato ed attualizzato in veste black metal delle forme e delle ricerche sonore progressive rilasciate dai King Crimson nei tempi migliori. L'avanguardia fatta realtà! Album notevolissimo di un grande artista, da far proprio a tutti i costi! (Bob Stoner)

(Les Acteurs de l’Ombre Productions - 2015)
Voto: 90