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domenica 1 novembre 2015

mercoledì 7 ottobre 2015

Dalla Nebbia - Felix Culpa

#PER CHI AMA: Black Progressive, Enslaved, Windir
'Felix Culpa' è il nuovo lavoro degli statunitensi Dalla Nebbia, che già avevamo avuto modo di apprezzare con il full length di debutto 'The Cusp of the Void' del 2013. I quattro loschi figuri del South Carolina tornano con una importante novità ossia la presenza al violino di Sareeta (Borknagar e Solefald tra gli altri) a donare un pizzico di magia in più al sound maledettamente oscuro del combo statunitense. Cosi dopo l'immancabile intro, ecco materializzarsi "Until the Rain Subsides", song che palesa quel filo di malinconia che contraddistingueva già la proposta dei nostri agli esordi e che oggi assume connotati ancor più forti, quando è proprio il violino di Sareeta a irrompere sul tappeto eretto dalle melodiche ma serrate ritmiche dei Dalla Nebbia. La voce di Zduhać si conferma velenosa e interseca i propri vagiti con quelli puliti (e più rari) di Yixja. Tuttavia, la cosa che più mi colpisce (e maggiormente ho apprezzato nel corso dei ripetuti ascolti dell'album) è la psichedelica matrice sonora che vede la band dell'East Coast miscelare il black con il progressive (in stile Enslaved) e l'avantgarde, mantenendo tuttavia inalterato il proprio estremismo sonico. Una proposta che vede irrobustirsi nella successiva "Abandoned Unto Sky" che ci affida una band decisamente più matura che in passato, il che si riflette anche in un più complicato approccio musicale. Con "Lament of Aokigahara" il sound dei nostri sprofonda nelle viscere di un black doom dalla vena funeral che mostra un suono nostalgico ma rarefatto, che va a nascondersi in anfratti ambient e arriva a sfociare nel devastante impatto di "The Banner of Defiance", dove il quartetto esprime tutta la frustrazione accumulata in questi due travagliati anni che hanno anticipato l'uscita di 'Felix Culpa'. Il brano segue uno strano cammino con suoni disarmonici ma sontuosi, talvolta difficili da decifrare, che tuttavia rappresentano il punto di forza del nuovo lavoro dei Dalla Nebbia. Sebbene non sia cosi facile avvicinarsi alla musicalità dell'act statunitense, a causa di una marcata complessità sonora, che basa le proprie fondamenta su una certa alternanza di atmosfere depressive e altre ritmiche infernali, il disco trova la sua summa in "Not Within the Stone", che vede la presenza alla chitarra, in qualità di guest, di Aort dei Code (il quale presterà i suoi servigi anche nella title track). Le chitarre confermano la propria vena schizofrenica anche in questo pezzo, stratificandosi su più livelli, rendendo la proposta dell'ensemble americano ancor più interessante e longeva in termini di ascolto. A questo aggiungete il violino di Sareeta, una certa imprevedibilità di fondo che mi ha evocato un che degli Oranssi Pazuzu e una struttura piuttosto ricercata, e forse sarete solo lontanamente in grado di assaporare gli umori che si celano e alternano nelle complesse note di questa song. Manca immediatezza non ve lo nascondo, i suoni non sono cosi facili da essere digeriti, intanto il disco prosegue con il funambolico refrain della title track che vorrei associare a dei coloratissimi fuochi artificiali che esplodono nel cielo, quando il gran finale garantisce la presenza di tutti gli esplosivi a illuminare a giorno l'oscurità della notte. I Dalla Nebbia analogamente utilizzano tutti gli orpelli strumentali, le chitarre, le tastiere, il programming techno, i violini, le screaming vocals che sono a loro disposizione e sfoderandoli tutti insieme, e finendo per ubriacarci tra le distorsioni elettriche ed elettrizzanti del loro sound. Sembra l'inizio di un deprimente film in bianco e nero degli anni '50, quello invece affidato alle note di "Paradise in Flames", con le chitarre che seguono l'overture di violino e tastiere, e richiamano il grande amore nordico del 4-piece verso i Windir, con un epico incedere che ondeggia nell'etere come il vento gelido del nord sferza minaccioso l'aria. Il brano per 2/3 strumentale, trova solo nel finale una maggiore efferatezza nei suoi toni con lo screaming di Zduhać a palesarsi nell'ennesimo cambio di passo di un disco che farà certamente la gioia degli amanti di sonorità estreme che ambiscono, con un malcelato interesse, a sperimentazioni soniche assai ricercate. Il disco placa il proprio flusso evocativo nel conclusivo interludio semi-acustico di "The Silent Transition" che conferma, qualora ce ne fosse stato ancora bisogno, la stralunata vena psicotica dei Dalla Nebbia. (Francesco Scarci)

(Razed Souls Productions - 2015)
Voto: 85

sabato 26 luglio 2014

Dalla Nebbia - The Cusp of the Void

#PER CHI AMA: Black Epic Progressive, Windir, Enslaved, Agalloch
Apro questa recensione ringraziando Jeremy Lewis e la sua infinita pazienza per avermi inviato due copie di 'The Cusp of the Void', e bacchettando poi le poste svizzere che si sono perse una delle due copie. Comunque mi fa specie (e piacere) trovare una band statunitense che sceglie come proprio nome una parola italiana, Dalla Nebbia appunto. I Dalla Nebbia sono un quartetto del South Carolina che debutta su lunga distanza sul finire del 2013 con questo album di black metal progressivo, che raccoglie in realtà le song del demo ('From the Fog') e dell'Ep ('Thy Pale Form...'), precedentemente prodotti dall'ensemble americano. Andiamo meglio ad inquadrare qual'è la proposta dei nostri: dicevo di black progressive e infatti quando "Dimmed Through the Smoke" fa irruzione nel mio stereo con le sue malinconiche melodie autunnali (perfette per questo periodo), mi lascio travolgere dal suo incedere che trae forte ispirazione in primis dai suoni etno-folk cascadiani degli Agalloch, ma anche dalle produzioni più ricercate degli Enslaved. Insomma mica pizza e fichi, questo a dimostrare che la proposta dei nostri assume una certa rilevanza artistica per i suoi contenuti davvero interessanti e mutevoli. La traccia alterna infatti diversi umori con una linea di chitarra flebile e triste che si stampa nella testa e successivamente muta tra bilanciati slanci black, momenti acustici e altri atmosferici, e infine parti corali da brivido. Ottimo il mio giudizio fin qui anche se dopo il solo ascolto della opening track. Irrompe la furia selvaggia di "Standing on the Precipice", song carica e veloce ma avvolta da un'aura magica ed epica, con lo spettro dei Windir che ammanta la song e la carica di puro misticismo. Sono rapito dalla proposta dei Dalla Nebbia, che si rivelano band dotata di grande intelligenza e capacità tecniche. E dire che le song sono vecchie di 2-3 anni, chissà quindi cosa attenderci dalla maturità compositiva di questi ragazzi. "Thanatopsis" conferma le influenze nord europee per il combo, con una traccia ricca di pathos e maestosità, nonostante tracimi del black metal velenoso e incazzato: ci pensano poi degli intermezzi in cui compaiono strumenti ad arco o break rock progressive, a restituire l'ordine a quell'empio caos sonoro su cui i nostri poggiano, ma solo per alcuni frangenti, la loro proposta. Proseguo con la spettrale "Humanity (The True Art)", song che mostra un ipnotico giro di chitarra a guida del pezzo e un chorus liturgico spezzato dalle scorribande sonore dell'axeman Yixja e dal growling acido di Zduhać (simile per certi versi a quello di Grutle Kjellson dei già citati Enslaved). Le song dei Dalla Nebbia continuano a stupire per la loro ecletticità, la capacità di modulare i propri suoni disorientando non poco l'ascoltatore, offrendo un qualcosa a dir poco fenomenale. Speranzoso che stiate già segnando l'ennesimo nome sul vostro taccuino, "Sovereign Moments" mi concede un paio di minuti di tregua con un interludio acustico che ci prepara a "The Apex of Human Sorrow", il brano più brutale del disco che mostra le capacità guerrafondaie di Tiphareth al basso e di Alkurion dietro le pelli, gli ultimi entrati in casa Dalla Nebbia. Non è solo violenza quella offerta da questa song, ma come sempre ci si imbatte nei consueti break acustici, prima di venire nuovamente mitragliati dalla sezione ritmica esplosiva della band. "Shade of Memory" chiude la serranda con i suoi quasi dieci minuti di tenue atmosfere, sperimentazioni varie e accelerazioni black. Il disco non si chiude qui perchè in serbo ha la sorpresa della cover dei Windir, "Black New Age", song del 2001 contenuta in '1184' che anche nella sua rilettura, conserva intatto quel suo spirito epico e battagliero che resero la band di Valfar davvero unica. Onore ai Windir, onore ai Della Nebbia per aver creato questo splendido 'The Cusp of the Void'. (Francesco Scarci)

(Razed Soul Productions - 2013)
Voto: 85

https://www.facebook.com/dallanebbiamusic