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venerdì 12 giugno 2015

StarGazer - A Merging of the Boundless

#FOR FANS OF: Avantgarde Black/Death Metal
One of Australia’s finest extreme metal acts, these Avantgarde Black/Death metallers’ third album is another utterly bizarre and darkened blast that really gets a lot to like here. From a solid framework of Black and Death Metal up-front with the swirling tremolo-picked patterns, tight rhythms and generally dark growls throughout, while the influx of experimental passages, ambient sections with light guitar patterns and off-kilter arrangements display far more of an avant-garde edge to the music without moving it into the progressive realm. The results of this is traditional-sounding Blackened Death Metal with experimental noodling breaking up many of those arrangements with soft arrangements that are just so agonizingly slow that there’s quite often large sections of the album that go by without much interest. While it’s impressive enough to be able to play that kind of complex, challenging work the fact that they’re more traditionally-arranged material was quite fun when it opted for unique arrangements within the normal rhythms would’ve made for a more cohesively-enthralling experience instead of what happens here. As the songs themselves aren’t much of a problem, it’s really the biggest issue plaguing this one. Opener ‘Black Gammon’ sticks more to blazing tremolo riffing and blasting drum-work that effectively maintains a traditional Black Metal atmosphere before incorporating a series of obscure drum-patterns into the clanking final half rhythms for a dynamic and impressive opening effort. ‘Old Tea’ begins to fully explore the Avant-Garde nature even more with clanging bass-lines, stuttering rhythms and odd time signatures offset by the extreme notes with the unusual instrumentation furthering the experimental nature of this, while ‘An Earth Rides Its Endless Carousel’ continues that notion with light lilting guitar-work, plenty of atmospheric passages and a light-hearted approach to traditional metal riffing throughout that makes it a touch more experimental with the more traditional arrangements carry this through the final half. This is momentarily halted as the title track continues utilizing the more traditional patterns with plenty of avant-garde drumming on display while the ravenous riffing is much more of a Black Metal base blasting away with a fury here for the album’s best overall offering. The massive epic ‘The Grand Equalizer’ brings things back into the avant-garde realm with a series of overall off-beat riff-patterns and clattering drumming while offering a series of rather impressive guitar leads swirling throughout the sea of avant-garde passages and off-bent riffs, and as the length doesn’t help this one out much by letting it just drag out endlessly for ages here it really does come off as the weakest track here. Thankfully, both ‘Ride the Everglade of Reogniroro’ and ‘Incense and Aeolian Chaos’ offer impressive Black Metal tremolo rhythms alongside frantic blasting drumming sweeping through the extreme rhythms which makes for some of the more impressive works here as they tend to sweep aside the experimental offerings for traditional, straight-forward mixtures of Black and Death Metal with unique arrangement patterns that could’ve been continued nicely throughout the whole of the album here. These really make a fine lasting impression here, though it’s really more the experimental meandering that really hurts this one overall. (Don Anelli)

(Nuclear War Now! Productions - 2014)
Score: 75

giovedì 11 giugno 2015

Profundae Libidines – El Viaje Definitivo

#PER CHI AMA: Heavy Psichedelia, Black metal sperimentale
Parlare di puro black metal oggi è sempre più difficile, considerando quanto si sia espanso ed evoluto questo genere negli ultimi anni. Ci sono band che ne rispecchiano attitudine e intenti pur oltrepassandone i confini classici, coniando nuove soluzioni e intrecciando i più disparati suoni con la fiamma nera delle origini; quello che era chiuso e impenetrabile, ora non lo è più e grazie alla fantasia di certi artisti underground, il black dei nostri giorni si mostra sempre più magico ed imprevedibile. Profundae Libidines è una one man band francese al secondo full lenght prodotto dalla Les Acteurs de L'Ombre Productions, che rispecchia in tutto e per tutto quella tipologia di artisti che rifiutano i canoni preimpostati e tutti coloro che possono limitarne il raggio di azione. Transitati da un primo album dai risvolti teatrali ma ancor legato al tipico sound black, la band capitanata da Philoxera si ripresenta al pubblico con un nuovo album dall'artwork splendido e allucinogeno (l'interno potrebbe ben figurare tra le grafiche degli Ozric Tentacles e quelle dei Voivod), come del resto i suoni psichedelici che caratterizzano l'intero lavoro. 'El Viaje Definitivo' è diviso in due parti con testi in lingua francese, giapponese e messicana (che intuisco dai testi del coloratissimo cd); i brani sono ispirati dalla cultura sciamanica e si presentano come uno stupendo ibrido tra metal estremo e psichedelia acida. Provate ad immaginare Mick Farren and the Deviants tornati dai primi anni settanta cosparsi di LSD e con un salto nel futuro si fossero reincarnati ed immolati nel tentativo di suonare come i migliori Satyricon, con una velata adorazione per il gothic rock dei primi magnifici Christian Death. Il tutto risulta malato, ossessivo, lisergico... semplicemente magico! Un'atmosfera surreale che spiazza l'ascoltatore fin dal primo brano. La violenta irruenza del black metal si lascia avvolgere in un alone di malinconica psichedelia, formando cavalcate potenti ed ipnotiche, atipiche e assai coinvolgenti che nascondono una intima ricerca personale occulta, carica di immagini esoteriche, distorte e dilatate, altamente intossicate in un vortice delirante di nera lisergia. La teatralità espressiva dei Peste Noir incontra la follia acida dei primi Vanilla Fudge per donarci uno spettrale ed balzano viaggio allucinogeno. Prelibatezze per cultori dell'avanguardia estrema e della psichedelia più dura, da evitare per i puristi del black metal old school. Un'opera unica, un suono coinvolgente, una profonda libidine... Un album tutto da scoprire! (Bob Stoner)

(LADLO Productions - 2015)
Voto: 80

lunedì 8 giugno 2015

Naïve - Altra

#PER CHI AMA: Post Rock/Progressive/Alternative, Demians, 
Marzo 2015: accade che ancora una volta in Francia, nuove leve crescano e mietano vittime. La brezza fresca questa volta arriva da Tolosa e risponde al nome di Naïve, un trio per cui sono già state spese ottime parole, una musica che si muove tra il metal, il progressive, l'elettronica e addirittura il trip-hop. Sette i brani a disposizione per dire chi sono questi ragazzi giunti al loro terzo Lp, mostrare le proprie qualità, emozionare e sapere di esserci riusciti, e ora avere anche la consapevolezza di aver trovato almeno un nuovo fan nel sottoscritto. 'Altra' è il titolo della nuova release, "Elevate/Levitate" il nome della lunga opening track: una musicalità lineare, semplice, che si insinua nella testa, un riffing vivace, un clima malinconico, un vocalist, Jouch, ricco di talento, grazie alla sua voce calda e sensuale, che da sola regge l'intelaiatura di tutto il disco. Brividi affiorano sulla mia pelle per le melodie toccanti che risvegliano ricordi lontani, quelli del debut dei conterranei Damiens. Un riffing di natura djent apre "Yshbel", poi non appena il vocalist si impadronisce della scena, ecco un fluire liquido di effetti vari in sottofondo, che rendono il tutto più accessibile a larghe masse, dall'hard rocker al deathster più open mind. La malinconia che risiede nelle note delle chitarre e nella voce di Jouch, è il filo conduttore dell'album, un lavoro quasi perfetto che ha un solo evidente difetto (sarà poi vero?), riscontrabile fin dalle prime due tracce, la lunghezza. Sbrodolano un po' troppo i nostri, rischiando in questo modo di stancare sul lungo termine; con un sound cosi accessibile sarebbe infatti stato meglio svilupparlo nella metà del tempo. Fatto sta che le canzoni continuano a prendermi: anche la terza track, "Mother Russia", affida la sua ritmica a tenui basi elettroniche che contribuiscono a dare quel pizzico di post rock alla release che non guasta mai. Ma ancora una volta, più di ogni altra cosa, anche se le atmosfere vi garantisco siano davvero splendide, è la magnetica voce del frontman transalpino (tra l'altro anche autore della bellissima cover) a conquistarmi, a dare quel quid in più per rendere 'Altra' una release davvero speciale. "Monument Size" è un brano molto più aggressivo, sorretto da una ritmica agguerrita, che vede nel drummer Mox un altro punto di forza dei nostri. Nello stretto giro di un paio di minuti però, l'epica cavalcata dei nostri si trasforma in un tribale e multicolore flusso trip-hop di scuola Massive Attack/Portishead, che eleva i Naïve ad altissimi livelli di originalità e li spinge in alto nella mia personale top ten di questo primo semestre 2015. "Surge" esplode con arroganza nel mio lettore, con un riffing sincopato che nuovamente richiama le poliritmie "meshugghiane", ma il sound dei Naïve è cosi mutevole che nel giro di pochi istanti cambia radicalmente l'atmosfera e l'elettronica, in combinazione con alternative e post rock, ci consegnano un pezzo splendido, che mi fa rimangiare quanto scritto in precedenza sulla eccessiva lunghezza dei pezzi. Ben vengano infatti le lunghe divagazioni dell'ensemble francese: ascoltare un loro brano è come leggere un libro thriller che regala costanti emozioni, che tiene col fiato sospeso e concede imprevisti colpi di scena. Colpi di scena come quelli di cui potei godere lo scorso anno con un altro splendido album di scuola francese, i Lost Ubikyst in Apeiron e per cui c'è un sottile filo conduttore che accomuna le due band. "Waves Will Come" nel frattempo ha ancora da offrire molto dell'essenza dei Naïve: una traccia in cui il vocalist sembra addirittura Sting, mentre la ritmica si muove gentilmente tra elettronica, metal progressivo e alternative rock, muovendo scomodissimi paragoni con Anathema, Porcupine Tree, Tool, Tesseract, Meshuggah e Gojira. L'ultima traccia è proprio la title track, in cui un violino fa la sua comparsa integrandosi alla perfezione negli oltre dodici minuti di musicalità da brividi, in una song che segna l'epilogo per un disco a cui tutti voi dovete dare necessariamente una chance, senza esitazione alcuna. (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 90

domenica 7 giugno 2015

Shakhtyor - Tunguska

#PER CHI AMA: Post Sludge/Stoner
Tunguska esercita, a più di un secolo di distanza, ancora un fascino esagerato. Non si sa cosa accadde realmente quella mattina del 30 giugno 1908, forse un grande meteorite, oppure una cometa, addirittura c'è chi ipotizza un blocco di antimateria proveniente dallo spazio, fatto sta che una vasta area della Siberia centrale fu rasa al suolo. Oggi, dopo essere stata menzionata da altre band, si torna a narrare in musica, la storia di quell'evento catastrofico. A farlo sono i tedeschi Shakhtyor, che con 'Tunkuska' arrivano al secondo album, edito dalla Cyclone Empire. Il nuovo disco del trio di Amburgo contiene sei lunghi brani strumentali che si muovono tra lo stoner/post metal della opening track, "Baryon", approdando nelle tracce successive, a divagazioni drone/post rock inserite nella melma più totale dello sludge. Tuttavia 'Tunkuska' si rivela un disco ostico e complesso: nella prima song accanto a chitarre dapprima stoner, suoni drammatici si dilatano in una claustrofobica rassegna che spazia tra il doom e lo sludge, andando a costituire la colonna sonora di quelle terribili fotografie che ritraggono la steppa siberiana spazzata via dall'urto di un qualcosa che aveva la potenza di mille bombe atomiche di Hiroshima. Il sonoro dell'act germanico è comunque oscuro, dilaniante, e la seconda metà di "Baryon" ha anche un che di funereo. Con "Pechblende" i nostri ci trascinano in abissi profondi che fungono in realtà solo da preludio alla successiva e lunghissima "Zerfall". Oltre 10 minuti in cui gli Shakthyor offuscano la nostra mente: l'inizio è criptico, la sensazione è quella di percorrere uno stretto e metallico condotto dell'aria, con una carenza d'ossigeno al limite dell'estremo e con l'ansia che si stringe in gola, mentre il tribale suono della batteria aumenta a rotta di collo, inseguita dalla minimalista chitarra di Chris e dal basso tonante di Chrischan. Il suono sembra farsi più ruvido man mano che passa il tempo, sembra essere sul punto di esplodere ma poc'altro succede se non una danza reiterata che ha la sola ambizione di alimentare paure e frustrazioni. Finalmente la furia distruttiva che si andava celando nella terza traccia, fuoriesce più selvaggia che mai nel turbinio ritmico di "Schlagwetter", song in cui emerge il temperamento post black della band teutonica. È comunque una canzone che ha il pregio di non peccare di immobilismo sonoro, proiettata com'è in una serie di divagazioni musicali che deviano più volte il sound degli Shakhtyor, proiettandolo nuovamente verso il post rock o il desolante sludge. Desolante è la parola che torna nella title track per descrivere la percezione che si respira durante il suo ascolto. È come se realmente mi trovassi nella landa siberiana e guardandomi intorno a 360°, l'unica cosa che vedo è solo uno spoglio orizzonte e null'altro, niente alberi, niente case, niente persone o cose, niente di niente. Neppure un deserto è cosi nudo all'occhio umano. Questa è "Tunkuska", queste le emozioni evocate dalla sua mortale litania. Giungo alla conclusiva "Solaris" sfibrato, privato di forze ed energie, causa il suono estenuante degli Shakhtyor e complice anche la totale strumentalità di un lavoro che rende il tutto più difficile da digerire. L'ultima traccia è comunque la più dinamica, la più lineare e melodica da seguire, quasi che il futuro riservi comunque un bagliore di speranza... (Francesco Scarci)

(Cyclone Empire - 2015)
Voto: 75 

Ølten - Mode

#PER CHI AMA: Instrumental/Sludge/Post-metal, Cult Of Luna, The Melvins
Per inquadrare il sound degli Ølten, non si può che procedere per associazioni: immaginate i Red Fang o i vecchi Mastodon alle prese con un album strumentale; pensate ai Cult of Luna strafatti di erba che splittano con i SunnO))); immaginate i Pelican che suonano i Karma to Burn al rallentatore con la strumentazione dei The Melvins. Le sonorità sono quelle tipiche dello sludge (non mi stupirei se il batterista, in cameretta, avesse il poster di Dale Crover alle pareti: sentite il drumming di “Ogna”), finalizzate però a un post-metal strumentale sporco e oscuro, inquietante, lento e ossessivo. Il trio svizzero è al secondo disco, e la loro maturità è facile da percepire proprio nelle scelte essenziali di songwriting: un timing minimal concentrato sul 4/4 (con l’eccezione dell’ipnotica “Mamü”), su cui le chitarre e il basso costruiscono architetture di grande atmosfera, con la complicità delle pesanti distorsioni e dell’accordatura bassissima. Il vecchio trucco del post-qualunque-cosa – momenti pieni e veloci alternati a cali di tensione – è usato con parsimonia, il che non può che essere un pregio. Al contrario, gli Ølten prediligono i crescendo, gli arpeggi dissonanti e l’ossessività del riff. Non mancano episodi più orientati al doom costruiti su un basso dal suono quasi elettronico (“Güdel”), o momenti più drone-metal come nell’opening “Bözberg”. Interessante la doppia versione della lunga “Gloom”: come brano strumentale e come unico brano cantato, con l’inserto dell’ospite Tomas Lilijedahl, che urla come un dannato sui muri sonori degli Ølten. “Gloom” è in effetti il vero capolavoro dell’album, con i suoi 10 minuti di incedere apocalittico, colonna sonora perfetta per un mostro tentacolare che emerge dai più oscuri abissi sottomarini per divorare il mondo. Un disco ben fatto e ben prodotto nella sua ruvidezza sludge che però – ed è un dato di fatto – non dice nulla che non sia già stato detto da altri. Un lavoro che, pur dimostrando pienamente la personalità della band e pur essendo più che piacevole da ascoltare, resta pur sempre non così originale. (Stefano Torregrossa)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 65

https://www.facebook.com/oltenband

Omnia Malis Est - Viteliú

#FOR FANS OF: Black Metal, Vreid, Infernal Angels, Leviathan
Managing to make it to their debut effort after years of inactivity, this Italian Black Metal solo project offers an overall impressive effort that really makes it a wonder why it took so long to get released. The main selling point here is the epic arrangements within this that still maintain a fiery melodic quality from the dynamic tremolo-picked riffing on display which allows for a series of high-speed efforts that really tend to wrap themselves into long stretches of majestic keyboards, blazing drum-work and those fiery tremolo rhythms that maintain a stylistic edge throughout here. The tracks are up-tempo and blast-heavy while also managing to incorporate enough melody to really appear quite appealing throughout here with this one really going overboard on the melodic lines running throughout here. The most surprisingly thing about all this melody running throughout the material is that it never hinders the Black Metal framework present, making the music all the more enjoyable with some really ferocious anthems on display, as well as plenty of energy and enthusiasm during the majority of the tracks here which is all the more surprising considering this is all done with one person. However, it’s not going to deny how good this is as there’s a lot to like here. The title track begins this nicely with a calming guitar intro against lapping waves before coming into stylish melodic riffing droning on into blasting high-speed drumming and fiery tremolo-picked rhythms firing throughout rampaging rhythms and plenty of sonic firepower for an utterly impressive start to this. Following this, ‘Al di delle Forche’ blasts through with charging riff-work and pounding drumming which features a much more obvious intent on melodic rhythms and frenzied tremolo-picked patterns that barrel throughout the second half here for an even more impressive effort. ‘A Diana’ tends to offer up much more chaos-riddled patterns up-front with discordant blasting drumming and frantic tremolo-picked patterns that most drop away for a series of long, droning guitar passages that just drag on a lot longer than it really should as the length here really works against this one. ‘Primavera Sacra’ makes up for this minor misstep with a blazing return to chaotic drumming, fiery tremolo-picked and blazing speed whipping through frantic energetic patterns that are simply dripping with melodic lines in the second half, managing to be one of the album’s highlights quite easily while setting up ‘Ner Tefúrúm’ as a mid-album breather bleeding through the sounds of a sword-clashing battle with light, melancholic riffing that feels a natural extension from the previous track. The blazing ‘Battaglia di Porta Collina’ is yet another hyper-speed melody-driven effort with plenty of fiery rhythms and dynamic drumming that doesn’t lose the speed throughout here despite again dropping off for more melodic firepower in the later half which makes this another strong highlight offering. ‘Sabella Carmina’ is a much better attempt at doing the epic-length track as this one doesn’t really lose much of the pounding energy and furious riff-work charging along the majestic ambient keyboards alongside the furious tempos on display as this really whips up the speed through some impressive riffing on display for one more solid, impressive track. Lastly, ‘Disfatta’ tends to just go for the jugular here as the furious riff-work and lack of melody dominate the charging patterns on display and really showcase the instruments firing off splendidly in one stand-out series of riffs after another while offering that blistering drumming, dynamic tremolo patterns and slight doses of melodic touches for an overall grand ending to this one ending on such a high. Let’s just hope it doesn’t take this long to get a second one, as this one was quite enjoyable. (Don Anelli)

(Hidden Marly Production - 2015)
Score: 85

https://www.facebook.com/omniamalisest

The Pit Tips

Larry Best

Korpiklaani - Noita
Civil War - Gods & Generals
Napalm Death - Apex Predator

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Claudio Catena

Faith No More - Sol Invictus
Eltharia - Innocent
Pearl Jam - Vs

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Francesco Scarci

Thank You for Smoking - Yomi
Traumatic Voyage - Traumatic...
Xerath - I

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Yener Ozturk

Deicide - Legion
Goatwhore - Constricting Rage of the Merciless
Neurosis - Times of Grace

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Michele "Mik" Montanari

Lorø - S/t
Obese - Kali Yuga
Blackwülf - Mind Traveler

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Don Anelli

Try Redemption-Hollow Be Thy Name
Omnia Malis Est-Viteliu
Kamelot-Haven

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Roberto Alba

Tribulation - The Children of the Night
Serpent Noir - Erotomysticism
Sulphur Aeon - Gateway to the Antisphere

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Philippe Perez

Instant Fantasy - The Wet EP
Heart Beach - Heart Beach
Various Artists - Eclosion: A Duskdarter Compilation

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Kent

Sunn O)))/Nurse With Wound - The Iron Soul Of Nothing
Of The Wand And The Moon - Sonnenheim
Current 93 - Swastikas For Noddy

sabato 6 giugno 2015

Lacertilia - Crashing Into the Future

#PER CHI AMA: Psych Stoner, Kyuss, 13th Floor Elevator 
I Lacertilia sono un quintetto che proviene da Cardiff, Galles, che dopo pregresse esperienze, ha deciso di riunire le forze per esprimere al meglio il proprio background musicale. Dalle informazioni disponibili, questo 'Crashing Into the Future' sembra essere il loro primo EP e devo dire che è un gran bel lavoro. Immaginate di prendere The Stooges, Kyuss, The 13th Floor Elevators, Pentagram e otterrete un mix esplosivo, pieno di groove, psichedelia e passaggi funky che vi ammalieranno istantaneamente. La copertina dell'album richiama molto chiaramente il movimento psichedelico, con una vallata e l'immancabile fiume che vi scorre in mezzo, il tutto sotto lo sguardo vigile dell'occhio-sole. I colori acidi completano il tutto, formando un quadro che rispecchia perfettamente lo spirito dei Lacertilia. "Do Something" è un brano di quelli furbetti, nel senso che grazie ad un riff easy di chitarra si fa amare sin da subito, dove peraltro, il quintetto da prova di una certa padronanza tecnica grazie a un sapiente utilizzo di sonorità perfette per il genere. Chitarre importanti ricche di fuzz, ma non quello iper saturo alla Ufomammut per capirci, bensì molto più vicine allo stile anni '70. Batteria e basso si divertono come dei bambini a condurre la danza ed aumentare le vibrazioni funky che ben si sposano con il timbro del vocalist, che deve avere gran stima dell'Ozzy dei tempi migliori. Lo stacco a metà brano si fa condurre dal riff distorto di basso, un botto di psichedelia fatto da chitarre liquide e slide, poi tutto riprende sulla falsa riga del riff iniziale per poi distruggere la nostra lucidità mentale con un finale doom da manuale. Un brano complesso e allo stesso tempo arrangiato in modo prevedibile, ma super godibile. "We Are the Flood" è una traccia riflessiva, intima e spirituale, merito dell'intro dalle sfumature etniche ed ancestrali. Percussioni e batteria creano quel tappeto ritmico che pulsa a ritmo del battico cardiaco e la nostra mentre si sincronizza subito con il mood della canzone. Il brano poi decolla con l'apertura delle chitarre che innalzano un muro granitico e resistente alle ondate di groove generato dal duetto batteria/basso. Nel frattempo un leggero solo di chitarra si insinua nel nostro inconscio e continua a ripetersi, diventando la litania di un ancestrale canto celebrativo. Il vocalist si inserisce facilmente nell'atmosfera più oscura degli altri brani, dimostrando flessibilità ed estro creativo. I Lacertilia pur strizzando troppo l'occhiolino ai Truckfighters, riescono a venirne fuori abbastanza bene anche con la title track. Tecnicamente ineccepibile, cosi come gli arrangiamenti e il classico break doom/psichedelico, ma niente di più. La band alla fine ha prodotto un gran bell'EP, basterebbe che i loro excursus stoner fossero meno ovvi e il mix sarebbe perfetto. L'onda psichedelica ormai sta invadendo il mondo, se i Lacertilia sfruttassero al meglio il loro lato funky, potrebbero aver trovato la carta vincente. (Michele Montanari)

Voto: 75

Ok, qua si decide di giocare proprio a carte scoperte: a partire dal nome, per continuare con l’artwork che reinterpreta l’occhio di Sauron in salsa psych, tutto concorre a permettere di individuare con un grado minimo di approssimazione la musica contenuta in questo disco (un po’ piú di un EP, un po’ meno di un album) d’esordio della band gallese, sorta di supergruppo formato da cinque musicisti provenienti da altri act di area contigua, come Witches Drum, Thorun e Akb'al. Quando l’abito fa decisamente il monaco, dunque. Quello che troverete in queste cinque tracce è un classicissimo coacervo di stoner, metal e space rock fatto di riff grooveggianti, suoni saturi e vocals muscolose in grado di soddisfare tutti fan del genere. I nomi di riferimento sono quelli, dai Black Sabbath ai Kyuss con tutto quello che ci sta in mezzo, passando per i 13th Floor Elevator, e gli altri metteteceli voi, non sbagliereste. La tiratissima title track apre il lavoro senza concedere un attimo di respiro e mette subito in chiaro le cose con chitarre “desertiche”, ritmiche forsennate e una voce davvero importante. Ognuno degli altri quattro pezzi ha la sua dignità, cercando soluzioni interessanti in termini di arrangiamento, integrando ottimamente riff di basso distorto ("Abstract Reality"), blues dall’incedere sciamanico ("We Are the Flood") rarefazioni space in cui la chitarra si permette divagazioni lisergiche ("Do Something") e riffoni schiacciasassi con rallentamenti di stampo quasi doom (la conclusiva “Tryin' To Do A Good Thing”). Il lavoro è molto ben confezionato, con una produzione potente e pulita allo stesso tempo, e i cinque hanno dalla loro tecnica ed esperienza sufficiente per sapere come si scrive e si suona del gran bello stoner rock. Una menzione d’obbligo per l’ottimo vocalist, potente, grintoso e carismatico, merce sempre più rara al giorno d’oggi. Se siete alla ricerca dell’ultima moda musicale, o se vi aspettate anche solo un po’ di innovazione e sorprese, non cominciate neppure ad ascoltarli, ma se tutto quello che chiedete ad un disco rock è quella piacevole sensazione di solidità, i Lacertilia vi regaleranno tante mezz’ore di puro godimento. (Mauro Catena)

(Self - 2015)
Voto: 75