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martedì 17 agosto 2021

The Nerve - Audiodacity

#PER CHI AMA: Groove Metal, Rage Against the Machine
Era il novembre 2013 quando usciva questo funambolico disco da parte degli australiani The Nerve. Ed io che ero convinto che la label australiana fosse focalizzata quasi esclusivamente sul post rock/metal, vengo smentito dalle bordate di questo 'Audiodacity'. Per la serie ristampe da oltreoceano (Indiano questa volta), ecco il poderoso sound di questi musicisti (membri di Mammal, COG e Pre-Shrunk) che ci scaricano addosso badilate di melma infuocata. L'iniziale "14 Again" sembra un pezzo pescato dalla discografia dei Pantera, la successiva "Witness" fa l'occhiolino invece ai Rage Against the Machine, con quel rifferama sincopato ed un cantato quasi rappato, con una porzione solistica davvero avvincente ed un finale che pesca addirittura dai Faith No More. C'è un po' di tutto degli anni '90 in questo disco, facendomi sobbalzare e poi cadere dalla sedia. Il cantato rappato torna anche in "Poser (First World Problems)", altra hit di poco più di due minuti e mezzo che spingono a quel classico pogo isterico di massa. Ancora bei riffoni per "Be Myself" che evocano un che dei Pantera, con la linea di chiterra un po' più edulcorata ed una voce qui molto vicina al buon Mike Patton. I pezzi vanno ascoltati tutti d'un fiato, per questo mi lascio tramortire dall'hard rock robusto di "Excuse Me" senza farmi troppe domande, un pezzo che prende però le distanze dai pezzi ascoltati sin qui. Non male per groove e potenza ma forse ho maggiormente apprezzato i precedenti brani, sebbene assai più derivativi. Un plauso va sempre alla sezione solistica, sia chiaro. Si torna a volare con "There May Come a Time" ed un sound sempre ricco di melodia, rabbia ed energia che spinge all'headbanging furioso, enfatizzato ancor di più da esplosioni alla chitarra solistica. Ancora un rifferama di scuola texana per "The Insight" ed un cantato qui che potrebbe anche emulare un che di Phil Anselmo. In chiusura, l'indiavolata "Respect", che mette sotto i riflettori l'eccellente performance vocale del sempre bravo Ezekiel Oxe e del mago della chitarra Glenn Proudfoot. Bravi e convincenti. (Francesco Scarci)

(Bird's Robe Records - 2013/2021)
Voto: 75

https://birdsrobe.bandcamp.com/album/audiodacity

super FLORENCE jam - S/t

#PER CHI AMA: Garage Rock
Continuano le uscite relativa al decimo anniversario della Bird's Robe Records, questa volta con il quartetto dei super FLORENCE jam (mi raccomando scritto rigorosamente in questo modo, non mi sono sbagliato). L'EP di quest'oggi rappresenta il loro debutto del 2009 e l'etichetta australiana ci ripropone il rock'n roll dei nostri per darci un assaggio di questi campioni (almeno in patria) di Sydney. La loro proposta? Lo dicevo una riga poco più su, un garage rock di settantiana memoria che sembra coniugare i Led Zeppelin (soprattutto con un vocalist che strizza l'occhiolino o forse meglio dire le corde vocali, con Robert Plant) con un che dei Beatles, mantenendo intatto quello spirito libertino di fine anni '60. Lo dimostrano le chitarre e i chorus dell'iniziale "Ghetto Project Fabulous", cosi come i fumi psichedelici della lenta e doorsiana "The Circle" per quello che un vero tuffo nel passato musicale più lisergico della nostra storia. Certo, siamo ovviamente lontani dalle divinità di quegli anni, però meglio non lamentarsi e divertirsi ripescando vecchie sonorità in grado di coniugare garage, punk, rock, psych e perchè no, anche stoner, con una verve allegra e rallegrante, come quella offerta da "Marcy" o dalla melodia orecchiabile di "Ten Years" e ancora dal roboante sound di "No Time", dove il frontman (in versione Ozzy qui) urla quasi fino a far esplodere l'intera collezione di bicchieri di cristallo che ho in casa. In chiusura, spazio alla malinconica "No Man's Land", una specie di ballata semiacustica, e dai tratti pink floydiani a livello solistico, che chiude un disco forse più indicato per gli amanti di simili sonorità, curiosi di conoscere una realtà che forse si erano lasciati scappare in passato. (Francesco Scarci)

Sordide - Les Idées Blanches

#PER CHI AMA: Black/Punk
Quello dei francesi Sordide è un bell'esempio di black dalle sfumature punkeggianti. 'Les Idées Blanches' è il quarto album per la band transalpina che nelle sue fila conta membri di Ataraxie, Mòr e Malemort. Sette malvagi brani che probabilmente non aggiungeranno molto di nuovo al panorama estremo se non la visione sghemba di questo trio originario di Rouen. Quindi, se siete amanti di sonorità scuola Deathspell Omega o Blut Aus Nord, il tavolo è apparecchiato per una nuova storia di suoni distorti, voci catramose, ritmiche trasversali e un caos primigenio che vi terranno incollati allo stereo per poco meno di quaranta minuti di musica ostica e ostile. Parlavo di punk inizialmente e infatti lo potrete cogliere nelle linee di chitarra dell'iniziale "Je N'ai Nul Pays" o nella ritmica incalzante di "Ruines Futures". Questi suoni si mischiano poi con elementi disarmonici che caratterizzano alla fine la proposta del terzetto normanno, abile non solo nelle linee musicali più veloci, ma anche in quelle più atmosferiche. Le influenze punkeggianti rieccheggiano nella parte iniziale di "L'atrabilaire" sebbene il pezzo affondi poi le sue radici nel black old school di scuola norvegese, che vede in esponenti quali Carpathian Forest, Taake e Darkthrone, i maggiori punti di riferimento per i nostri. Quello che sorprende poi è che in un brano come "Ne Savoir Que Rester", i nostri rallentino vertiginosamente le loro ritmiche spietate per immergersi in un sound decisamente più fangoso, oserei dire quasi sludge. Ecco il punto di stacco dal black norvegese, la capacità di modulare la ferocia della propria proposta in pezzi dal piglio più compassato, come ritroveremo anche nella melmosa ed ipnotica title track o nella conclusiva "Vers Jamais" che coniuga un po' tutte le caratteristiche della band in un'unica e lunga song di quasi nove minuti che arrivano addirittura a strizzare l'occhiolino a sonorità prog avanguardistiche. 'Les Idées Blanches' alla fine è un gradito ritorno, certo non sarà facile da apprezzare sin da subito ma i fan di queste sonorità lo adoreranno, ne sono certo. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions - 2021)
Voto: 70

https://ladlo.bandcamp.com/album/les-id-es-blanches

giovedì 12 agosto 2021

Crystalic - Watch Us Deteriorate

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Melo Techno Death
L'inizio di 'Watch Us Deteriorate' vale da solo l'acquisto di questo lavoro: coinvolgente, melodico, trascinante, potente. Devo ammettere di essermi innamorato immediatamente del debut della band finlandese, in giro ormai dal 1998, ma che soltanto dopo una decade è stata in grado di rilasciare la propria interessante prima release. Poco meno di quaranta minuti di musica death metal melodica, influenzata nelle ritmiche dagli Arch Enemy ma rievocante anche il sound e il feeling di act quali Death, Control Denied e Nevermore. Nonostante un'insipida copertina, che penalizza enormemente l'impatto visivo, il disco si rivela invece estremamente valido e vivace. La traccia in apertura, "Blackened Image", è a dir poco entusiasmante, con quelle sue aperture melodiche ma potenti, le growling vocals (ottime peraltro) di Jarno ben bilanciate rispetto a tutti gli altri strumenti. Le successive “Severe Punishment” e “Defiance of Supremacy”, mettono in mostra l'elevato potenziale di fuoco del quintetto nordico: potenti riffs, ottima perizia tecnica (eccezionale il lavoro al basso di Arto, in grado di evocare i virtuosismi di Steve di Giorgio) e raffinato gusto per le melodie (bravissimi i due axemen). Sia ben chiaro, non stiamo parlando di un album molliccio, ma di un lavoro capace di dosare egregiamente potenza, tecnica e melodia. I Crystalic avevano tutte le carte in regola per raccogliere lo scettro lasciato da Chuck Schuldiner e compagni: musica aggressiva ma in grado di andare dritta al cuore. Peccato solo si siano persi per stradadopo il secondo splendido 'Persistence' del 2010. Da allora solo silenzio, fino all'ultimo single del 2020, che lascia ben sperare per il futuro. (Francesco Scarci)

(Manitou Records - 2007)
Voto: 75

https://www.facebook.com/CrystalicBandOfficial

venerdì 6 agosto 2021

Megadeth - Rust In Peace

BACK IN TIME:
http://www.secret-face.com/
#PER CHI AMA: Thrash/Speed
Probably my favorite Megadeth release to date. It's just melodic as all hell! That's what drove me to like this album! Dave sounds great, too! Especially on "Holy Wars..." and "Hanger 18." Megadeth has been such a huge influence in the metal community since they came about after Megadeth's great Dave Mustaine was fired from Metallica. They've been more consistent than that legendary band staying within the thrash/heavy metal roots. They never sold out, they always came back to write more great music but on 'Rust In Peace', the riffs were top notch, ABSOLUTELY!

Both Dave and Marty rip on the lead department! And the riffs are God-like. "Holy Wars..." probably my favorite song from the entire album. It's just so original and fresh. The intro to "Hanger 18" is killer too. But the whole album displays areas of amazing creativity by Dave mostly. I can't believe that Dave considers himself as a "failure" because of getting fired from Metallica. He's way better than he gives himself credit for especially for albums such as this and 'Peace Sells...But Who's Buying?' Amongst the countless other classics that Megadeth has contributed to the metal community!

The production was decent though it could've been a little better. But still, the album is ingenious! They deserve all the press that they get for this one and many others. Megedeth always came up with fresh riffs and on this one you'll hear what I'm talking about. These guys rip it up Nick and Dave Ellefson sounded great as well. Nick's passing at 51 was just way too young! And Dave now is out of the band permanently. What a waste. But his time with Megadeth was grand. New material is going to be out now too, but to reflect on this, Megadeth was at their primordial best and most creative. Other bands have duplicated riffs from them.

I had the cassette of this that's how old it is! But it's still a countless classic! They stayed great in the 80's and 90's but I kind of took a break from them in the later 90's and more recent albums. I kind of lost interest and wanted to focus only on the classics. Definitely a band that will never be able to duplicate. Only emulate. A lot of bands cover Megadeth songs and for a good reason: they AWESOME! I'm sure newbies to the metal scene need to get introduced to this album and other Megadeth albums that I mentioned. They're priceless! 'Rust In Peace' will go down as my favorite release of theirs ever! (Death8699)


(Capitol Records - 1990)
Score: 90

https://www.facebook.com/Megadeth

domenica 1 agosto 2021

Landskap - Landskap II

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psych/Prog Rock
Sedimentato lo stoner tettonico della prima prova, rocciosa ma poco velleitaria, il secondo album dei Landskap, intraprende una ventosissima direzione eminentemente nordic-prog (a partire dalla copertina e, a conti fatti, dal nome stesso della band), attenta però al sunny-psych finesessanta tipo Doors (il finale "Sun of no North") e Iron Butterly (la portentosa "Leave it All Behind") con qualche inattesa sortita NWOBM (il Maiden-riff che apre la già citata "Leave it All Behind" e la turbolenza à-la-Fade-to-black che la chiude). Soltanto se immaginaste voi stessi alla guida del pulmino dei Motorpsycho dispersi nella tundra norvegese mentre canticchiate "Riders on the Storm" alla ricerca di un cazzo di albero per pisciarci contro, allora vi figurerete l'immanenza della performance vocale di Jake Harding e, per estensione, dei trentasei minuti complessivi di questo straordinario album. Dovesse capitarvi di sentirvi preda di una accesso deipnofobico tornate a casa, accendete il camino, procuratevi un plaid e mettete su questo disco, ma solo dopo esservi assicurati di aver terminato la legna e il single barrel. (Alberto Calorosi)

(Black Widow Records - 2014)
Voto: 75

https://landskap.bandcamp.com/album/ii

sabato 31 luglio 2021

Amorphis - Under the Red Cloud

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Prog Death
Nel corso di dodici corposissimi album, il suono degli Amorphis si è evoluto dal primordiale death metal melodico finnico degli esordi ad un ben più raffinato death metal melodico finnico, ma con qualche timido germoglio metal-prog stile Dream Theater sotto la doccia (la title track di questo 'Under the Red Cloud'), qualche sparuto pollone Leprechaun-metal stile Blind Guardian in gita al lago di Lochness ("The Skull", "Tree of Ages"), qualche renitente barbatella soap-metal stile private line in un pomeriggio di shopping ("Dark Path"). Ragguardevoli le doti tecniche del cantante Tomi Joutsen, capace di passare da un quasi-Patton a un pre-LaBrie fino ad un grizzly incazzato collocato in fondo a un pozzo con la stessa disinvoltura di un cambio di tempo in un pezzo prog-metal ("Enemy at the Gates"). Ascoltate questo disco mentre vi recate a Helsinki in kayak per partecipare a un addio al celibato a cui non siete stati invitati. (Alberto Calorosi)

(Nuclear Blast - 2015)
Voto: 70

http://www.amorphis.net/

venerdì 30 luglio 2021

MaB - Decay

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ultracorposa invasione di palco da parte delle MaB al grido di "Su cunnu e Maomettu" e la cybermutazione di "Voglio vederti danzare" da tormentone-sta-finendo-il-concerto-di-Battiato in megatonica bordata hardcore da sangue nei padiglioni sarebbe stato, per chi c'era, il miglior imprinting nei confronti di questo schizofrenico album d'esordio, in cui però le quattro esangui fanciulle sarde giocherellano coi noise-clichet anninovanta inzuppando Hole, L7, muri di suono in un sulfureo magma alcalin-goth a base di Siouxie ("Astrophel"), Tarja ("Last Tango in London"), Amy Lee ("Black") e forse Alice Cooper. Immanenti i suoni, eteree le composizioni. Intriga e al contempo intenerisce lo sguaiato operettismo di Psycho Jeremy. "Adrenalina" è una cover dell'omonimo pezzo di Giuni Russo e Rettore. Trovatemi un qualunque metallaro, borchioso e no, che ne fosse informato. (Alberto Calorosi)

(Casket Music - 2007)
Voto: 60

https://www.facebook.com/mabofficial/

giovedì 29 luglio 2021

Sólstafir - Svartir Sandar

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental Metal
Un intrigante spleen introduce la prevedibile, poderosa galoppata a pelo nudo su strati di ossidiana incandescente e, in chiusura, un sofferente, epico landscape-wave da vesciche sui talloni: i panorami emozionali e la riuscita attitudine (ma solo quella) progressive di "Ljós í Stormi" aprono programmaticamente (come già accadde con "I Myself the Visionary Head" su 'Masterpiece of Bitterness' e, in precedenza, "Goddess of the Ages", stavolta in chiusura di 'Köld') questo tumultuoso joküll sonoro. Con l'eccezione della splendida ballata post-rock "Fjara", con tanto di ardito ritornello "abba-esque", il resto di 'Andvari', il primo di due dischi qui contenuti, espande o contrae gli elementi di "Ljós í Stormi" con la galoppante "Þín Orð" e la sofferente "Kukl". Spetta invece alle contrapposte epiche "Melrakkablús" e "Djákninn" ("Svartir Sandar" permettendo) il valoroso compito di traghettare, non senza qualche tollerabile lungaggine, il secondo disco 'Gola' nella direzione di un melodismo forse meno sussultorio ma senz'altro più ondulatorio. In altre parole, verso quel capolavoro indiscutibile e preterintenzionale che tre anni più tardi prenderà il nome di 'Ótta'. (Alberto Calorosi)

Primordial - To the Nameless Dead

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Pagan Black
Gli irlandesi Primordial sono di gran lunga una delle migliori band in ambito di metal pagano. Abbandonata l'oscura rabbia e le tematiche popolari del precedente 'The Gathering Wilderness', la band guidata da Alan Nemtheanga rilascia, solo nella prima edizione, un doppio cd assai malinconico (che include tra l'altro un raffinato libro di 40 pagine e un bonus live cd registrato nel 2005 al Rock Hard Festival), che avrà reso felici i fan più accaniti, che rimpiangono gli esordi più epici e bellicosi della band. Il disco apre meravigliosamente con un trittico ispiratissimo di brani: le tragiche “Empire Falls” e “Gallows Hymn”, che affrontano il tema di Nazione e le sue implicazioni politiche, regalandoci una band rinnovata, fiera e matura, con un Alan Nemtheanga, che credo non abbia rivali in ambito estremo, grazie alla sua voce espressiva, sofferente, ricca di pathos e in grado di conferire a tutte le songs un'aura mistica, mortale e fugace. La terza “As Rome Burns” (che tratta l'incendio di Roma ad opera di Nerone) è il tipico brano in stile Primordial: assai ritmato, trascinante nel suo climax ascendente grazie a quei suoi riff carichi di epicità, in grado di condurci, al termine dei suoi nove minuti, in un'estasi di piacere che non trova confini nel tempo. Sembra di essere scaraventati in un'altra epoca, un'era di battaglie in cui il sangue sgorgava a fiumi e le spade brandite nel cielo. Forti di un songwriting maturo e di elevata qualità, i Primordial rilasciano tonnellate di emozioni, emozioni che scorrono violente nell'incedere possente e monumentale di questo straordinario disco, frutto di duro lavoro e sacrificio. Con “Failures Burden”, la band irlandese affronta il tema della mortalità umana: ricompare il growling di Alan (più raro rispetto al passato, a dire il vero), mentre la musica si fa più heavy, diretta e veloce. Con la quinta “Heathen Tribes”, la band omaggia invece il nostro passato, andando a pescare dalla musica tradizonale e acustica del proprio paese. Dopo l'intro “The Rising Tide”, esplodono le finali “Traitors Gate” e “No Nation on this Earth”, con le quali si torna all'antico, in cui l'act irlandese sfodera una rabbia primordiale, che ha come tema portante la decadenza della società: echi di 'Storm Before Calm' riemergono vigorosi dalle note di questi due brani, dove ricompaiono forti le caratteristiche della band di Dublino, fatto di giri ossessivi di chitarra, cupe atmosfere doom e richiami alla tradizione celtica. Drammatici, emozionanti, epici, furiosi, oscuri e malinconici. questi sono solo alcuni degli aggettivi necessari a descrivere i Primordialdi questo lavoro. E correva l'anno 2007... (Francesco Scarci)

lunedì 26 luglio 2021

Deadmarch - Initiation of Blasphemy

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Experimental Death Metal
Allora, procediamo pure con calma per farvi capire che cosa avete fra le mani: 'Deadmarch: Initiation of Blasphemy' è stato il primo album registrato dai The Project Hate MCMXCIX nel lontano 1998, album che tuttavia non vide mai la luce, per una serie di incidenti ed episodi che ne portarono alla perdita del master originale. Finalmente nel 2005, la versione originale viene rilasciata dalla band sul sito ufficiale, in versione Mp3. Ma il desiderio di rilasciare questo cd in una versione più "ufficiale", con le vocals ri-registrate fu molto forte, tanto da spingere Lord K. Philipson, insieme a Dan Swano (ai mitici Unisound Studios) e alla Vic Records, a soddisfare questo desiderio. Cosi, finalmente riusciamo a capire le origini dei The Project Hate e capire da dove arriva quello straordinario sound, misto di follia, rabbia e creatività. Le otto songs di 'Initiation of Blasphemy' sono perfettamente in linea con le produzioni della band scandinava: brani tutti abbastanza lunghi, complessi e articolati, una forma embrionale dei vari 'Armageddon March Eternal', 'In Hora Mortis Nostrae' e via dicendo, in cui si intravedono già le enormi potenzialità della band. Gli ingredienti ci sono tutti: le songs viaggiano su un mid-tempo ragionato, con il giusto apporto tastieristico, le vocals crude di Mikael Oberg e l'angelica voce di Mia Stahl che irrompe, come un angelo buono, per contrastare la brutalità del maligno Mikael. I soliti cambi di tempo, magari non così geniali come nelle più recenti produzioni dei nostri, l'utilizzo dell'elettronica e la classe primordiale di Lord K. Philipson completano un lavoro, che tutti i fan della band svedese e non solo, dovrebbero avere! (Francesco Scarci)

(Vic Records - 2009)
Voto: 75

http://www.theprojecthate.net/

The Pit Tips

Francesco Scarci

Cicada The Burrower - Corpseflower
Laetitia in Holocaust - I Fall with the Saints
Fyrnask - VII: Kenoma

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Alain González Artola

Vampiric Tyranny - Ere The Lunar Light Diminishes
Moonscar - Blood Moon
Gojira - Fortitude

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Death8699

Arch Enemy - Wages of Sin
Megadeth - Rust In Peace
Warbringer - Woe to the Vanquished

Laetitia in Holocaust - I Fall with the Saints

#PER CHI AMA: Experimental Black
Per celebrare vent'anni di carriera, i modenesi Laetitia in Holocaust tornano con un EP di tre pezzi, giusto per dire "stiamo bene, siamo in forma e incazzati più che mai". Ecco come ho percepito il messaggio contenuto in queste tre nuove song, di cui in realtà solo due inedite, mentre la terza è una riproposizione di un pezzo contenuto nel primo disco. Si parte comunque con la title track e quello psicotico sound che avevo già avuto modo di apprezzare nelle precedenti release, un black avanguardistico in cui grandissimo spazio viene concesso al fretless basso di Nicola D.A. che in più frangenti si contorce su se stesso, assecondando le vocals schizoidi di Stefano G., le chitarre che disegnano stralunati accordi (qui peraltro troviamo due ospiti alla chitarra) e la batteria di Marcello M. a più riprese a suonare una forma di jazz black davvero unica. In seconda posizione in scaletta, ecco "Hair as the Salt of Carthago", contenuta nel devastante 'Tortoise Boat', e qui riproposta forse con un maggior appeal jazzistico, a rappresentare il fil rouge di questa funambolica release. Quello che mi sorprende di questi ragazzi, oltre alla perizia tecnica, è la capacità di risultare assai originali in un genere estremo qual è il black. Quei giochi di basso, che chiamano in causa Steve Di Giorgio per mostruosità tecnica, quelle ritmiche sincopatiche, singhiozzanti, tra tortuosi stop'n go e accelerazioni bestiali, rappresentano i punti di forza di una band che trova modo nella conclusiva "Crypts of Rain and Confabulation" di abbandonarsi in malefiche atmosfere di morboso e salmodiante noise. Peccato solo che l'EP si interrompa qui, francamente avrei ascoltato molto di più. (Francesco Scarci)

Not Movin LTD - Live in the Eighties

#PER CHI AMA: Garage Rock
Premessa all'ascolto di questo 'Live in the Eighties': se siete alla ricerca di suoni puliti e cristallini, questo non è il disco adatto a voi. Quello dei Not Moving, band garage rock piacentina in giro negli anni '80, tra le cui fila vi era quel 'Dome La Muerte', che abbiamo recensito qualche mese fa su queste stesse pagine, è un lavoro che comprende una serie di brani live risalenti al periodo 1985-88, e pubblicati nel 2005 dalla Go Down Records (il lavoro all'epoca includeva peraltro un dvd, oggi scaricabile dal sito della label stessa). Oggi, l'etichetta italica ristampa quel lavoro di una band riformatasi un paio d'anni fa con un moniker leggermente modificato in Not Movin LTD. Cosi, per rendere tributo alla band, ecco fare un tuffo nel passato per assaporare quei 13 brani che vedevano peraltro i nostri proporre anche "Break on Through" dei The Doors, l'inedita "Kissin Cousins" di Elvis Presley, "I Just Wanna Make Love to You" di Willie Dixon e "Cocksucker Blues" dei The Rolling Stones, giusto per inquadrare una proposta musicale che ora sarà molto molto più chiara. Ho parlato di garage rock all'inizio ma quanto contenuto qui è solo terremotante puro rock'n roll, registrazione pessima inclusa e stacchi tra un pezzo e l'altro che evidenziano come i brani siano stati estrapolati da più concerti, un peccato veniale quest'ultimo. Per il resto lasciarsi investire dal vibrante punk rock dei Not Movin LTD è l'unica raccomandazione che mi sento di darvi oggi, cosi come farsi ammaliare dalle voci di Rita 'Lilith' Oberti, una che potrebbe aver influenzato l’ugula istrionica di Pina Kollars dei Thee Maldoror Kollective di 'Knownothingism'. I brani sono tutti carichi di adrenalina, ma se dovessi scegliere i miei preferiti, direi la psichedelica "Sweet Beat Angel" e l'altra inedita "No Friend of Mine", un pezzo che potrebbe evocare un che dei Metallica del periodo 'Black Album' (un similare approccio è udibile anche nei primi secondi di "Catman"). Echi doorsiani emergono nella psicotica "I Stopped Yawning", mentre "Goin' Down" sembra essere un inno al punk. Insomma, una bella carrellata di pezzi che ci mostrano un pezzo di storia che per la maggior parte di noi è verosimilmente rimasta oscura. (Francesco Scarci)

La Go Down Records ristampa una gemma fonografica che aveva già pubblicato nel 2005, ovvero questo splendido 'Live in the Eighties' dei Not Moving, band che infiammò tra il 1981 e il 1988 i palcoscenici italiani e non solo con delle esibizioni dal vivo a dir poco devastanti. Il disco è la conferma della loro forza scenica che si esprimeva tra garage rock, post punk, punk, psychobilly e psichedelia ottimamente miscelati tra loro. Una band apprezzata anche da personaggi internazionali del calibro di Jello Biafra e John Peel, capitanata fin dagli esordi dalla splendida figura e voce di Lilith (Rita Oberti) e a ruota dalla chitarra di Dome la Muerte (Domenico Petrosino), un progetto che sfociò in una serie di concerti come spalla di veri autentici miti come Johnny Thunders o Joe Strummer e che diede vita ad una serie di album tra full length ed EP che sono divenuti leggendari nel cicuito underground. Il disco in questione nel formato del 2005 era accompagnato da un DVD ma nella ristampa odierna è solo cd e versione digitale (ma comunque si può visionare e scaricare tramite il sito dell'etichetta), ed è un peccato non poter riappropriarsi visivamente di  quelle performance diaboliche, riascoltare le cover riadattate di "Break On Through" dei The Doors o "Cocksucker Blues" dei Rolling Stones, assieme alle altre di Willie Dixon ed Elvis Presley, con il selvaggio rintocco delle note suonate come solo i Not Moving sapevano fare in quel periodo nel bel paese. Quest'album non rende giustizia al suono della band come qualità sonora, anche se l'audio è più che onorevole, ma la innalza a repertorio cultural-musicale che ha fatto storia, il fissare un momento nel tempo che oggi più che mai ha la funzione di portare in alto una band che nel panorama underground italiano, a cavallo degli anni '80, fece scuola e deve essere ricordata e riscoperta da tutti gli appassionati di musica alternativa del bel paese. La band portava il nome di un brano dei DNA di Arto Lindsay, rincorreva le forme artistiche di The Cramps e l'avanguardia di Lydia Lunch, una meteora sonora nata dal nulla nella sconosciuta provincia piacentina che scrisse delle pagine di rock sotterraneo a dir poco esaltanti. (Bob Stoner)