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mercoledì 7 settembre 2016

Moloch – Verwüstung

# PER CHI AMA: Black/Ambient/Dark, Abigor, Beherit
Il black metal offre in termini stilistici numerosi spunti creativi a discapito della sua fama di musica chiusa, statica e ripetitiva e Moloch ne è un buon esempio. Il connubio di arte estrema, espressa a suon di ambient, dark e black metal di carattere teutonico, emotivo, drammatico, ricco di venature strazianti ed interpretazioni vocali lancinanti inclini a seviziare la voce di un'anima perduta, devota alla solitudine, al nichilismo totale nei confronti di un mondo in caduta libera, genera sempre un certo effetto a sorpresa. La one man band ucraina ha sfornato una miriade di creazioni e collaborazioni anche importanti dalla sua fondazione (2004) ad oggi e l'album in questione datato 2014, e distribuito dalla Metallic Media, spinge ulteriormente la fase creativa della band verso un suono ancor più rigido, glaciale, ferreo e di confine. Tramutando il malessere esistenziale in conflitto contro il mondo insano in cui si è destinati a sopravvivere, Moloch (Sergiy Fjordsson aiutato alla batteria dal prestigioso Gionata Potenti, già al lavoro con numerose band tra cui Blut Aus Nord e Deathrow), esaspera ed esalta il tipico sound black in forma compatta e nevrotica, esuberante nei sui ritmi serrati e sinistri, carichi di disperazione e dall'umore macabro. Riff taglienti e gravidi di ossessione, calati in atmosfere cupe e malate. Le composizioni sono frastagliate, oserei dire primordiali, anche nella produzione, a volte grezze e rudi, sempre pronte a rimarcare la linea continuativa che le legano con il passato e le origini di questo genere musicale estremo. All'interno dei brani troveremo aperture decadenti e buie, ritmiche martellanti di batteria ad incalzare un cantato tetro e teatrale, instancabile nella sua ricerca della perfetta melodia del dolore. Il suono non evoca particolari virtuosismi ma è costante la presenza di una certa maestria nello stendere composizioni sotterranee, dall'odore acre e dal sentore paludoso e di perdizione. Una collaudata e singolare tecnica compositiva, selvaggia e radicale, cosparsa e disseminata nell'intero album che lo rende omogeneo ed ipnotico, qualità che brano dopo brano diventerà sempre più presente e notevole. In perfetta comunione tra loro, troviamo musica e artwork di copertina, con un lavoro grafico criptico e raggelante, sostenuto anche da una colossale durata del cd di quasi ottanta minuti. Lontano dalle luci della ribalta e legato nel sangue da una corrente espressiva sotterranea e violenta, Moloch incalza con la sua opera l'arte di band ai margini come Centuries of Deception, Abigor, Inquisition e Beherith, con un sound difficile da assimilare e descrivere, ma per chi saprà captarne la profondità d'intenti si aprirà un vaso di Pandora che può condurre nei meandri più bui della nostra esistenza. Aperto da un intro ambient nero come la pece ("Todestille"), il disco esplode nel suo interno con tutta la sua perversa spigolosità, senza dare tregua per tutta la sua durata, depressivo e riflessivo in totale opposizione al concetto di mainstream. "Du Bist Nichts in Dieser Sterbenden Welt ", condotta da un intro di basso distorto, offre la prima tregua dopo sei brani devastanti per approdare alla titletrack, "Verwüstung" che, con tutta la sua rarefatta onnipotenza, mostra una lunga coda rivolta ad un'ecatombe del genere umano, la sua scomparsa osannata a suon di drone music, dark, ambient e sfuggenti tocchi di piano e rumori silenziosi, bui, in assenza totale di ritmo per ben undici minuti. La chiusura è affidata inaspettatamente ad una traccia nascosta ("A Symphony" by Chopin) con la sua prima ventina di minuti passata nel totale silenzio sonoro per poi aprirsi ad una sinfonia classica orchestrale, presumo un omaggio all'autore (perdonate la mia lacuna in ambito classico). Un album definitivo, l'oscurità in piena regola. Disco da avere. (Bob Stoner)

(Human to Dust/Metallic Media - 2014)
Voto: 85

https://molochukr.bandcamp.com/album/verw-stung-2

giovedì 26 maggio 2016

Ancst - Moloch/In Turmoil

#PER CHI AMA: Black/Hardcore/Crust
Con mia sorpresa, dopo aver infilato il full length di debutto degli Ancst (all'attivo però anche una distesa infinita di split ed EP) nel mio lettore, convinto di trovare le dieci tracce di 'Moloch', me ne sono ritrovate invece 23, perchè incluse nella mia versione, ci sono anche le 13 della compilation del 2013, 'In Turmoil'. E allora prepariamoci insieme a una scorpacciata di musica feroce, dritta in your face, che sfiora gli 80 minuti di musica. Un avvicendamento costante di brevissime song che oscillano tra i tre e quattro minuti di durata e che scorrono veloci, dipanandosi tra black, crust e hardcore. Si parte con la ferrea title track che apre il cd e mette in chiaro la sostanza dell'album: ritmiche killer, vocals graffianti in pieno stile hardcore, scorribande black, mini assoli e un discreto groove ad ammantare l'intera release. Questi gli ingredienti dell'intenso lavoro dei berlinesi Ancst (termine utilizzato per indicare il sentimento primario della paura). "Behold Thy Servant" ha un approccio più mid-tempo, ma non temete perchè la tempesta metallica ben presto si accanirà sulle vostre teste, soprattutto nella successiva "The Skys of Our Infancy", il cui incipit è di derivazione palesemente post black per poi mantenere, nel suo incedere sprezzante, una velata malinconia di fondo che la eleva immediatamente a mia song preferita dell'esteso lotto. Si torna a correre come assatanati con "In Decline", song micidiale e furibonda nella sua isterica cavalcata. Finalmente un attimo di pace, grazie al prologo più rilassato di "Strife", traccia che dischiude almeno inizialmente, derive post metal fin qui tenute celate; ovviamente il treno impazzito guidato dal quintetto teutonico riprende il suo turbinio sonoro tra violente accelerazioni (ove il suono della batteria non mi fa troppo impazzire) e momenti più compassati, su cui si stagliano le corrosive e arcigne vocals di Terston Bellafonte. Le scudisciate sonore dell'ensemble germanico persistono senza sosta alcuna anche con le successive "Devouring Glass", "Turning Point" e "Human Hive", presentando un sound ancor più infame e selvaggio, ideale per vomitare tutto il proprio dissapore per la società, relegando la melodia a puri sprazzi di spoken words e brevissimi bridge. L'irruenza dei nostri prosegue sugli stessi binari anche con "No More Words" prima che l'apocalittica "Lys" lasci intravedere antri ancor più bui in seno alla band. Esaurito l'olocausto sonoro di 'Moloch', ci addentriamo, un po' più superficialmente, nella compilation 'In Turmoil', che racchiude pezzi sparsi qua e là nell'estesa discografia dell'act di Berlino. Si parte con le spettrali atmosfere di "Ascetic", che mostrano un approccio più meditativo a cavallo tra black e post hardcore. Ovviamente è sempre meglio non lasciarsi traviare da simili manifestazioni, visto che con "Entropie" si torna a pestare sulla tavoletta con delle più consone cavalcate per i nostri, spezzate questa volta da inediti, almeno per il sottoscritto, break acustici, al limite del post rock, che mi fanno sobbalzare dalla sedia. Si picchia con crudeltà, non temete e un'altra folta schiera di tracce, mostrano tutta la veemenza di cui sono dotati questi ragazzi. Tuttavia non mancano le sorprese: l'inizio "cibernetico" di "The Faceless" ne è un esempio, cosi come il crust punk di "Patterns & Dreamers", le asfissianti ritmiche di "Seasons of Separation", il break di "Conditio Humana", la noisy "Howl", o l'intrigante finale affidato all'oscura "Peripheral", a dimostrare le varie facce della stessa medaglia rappresentata da questi baldi giovanotti tedeschi. Un lavoro sfiancante che ha evidenziato un sound molto più vario nella compilation datata 2013 a fronte di un disco più diretto, senza tanti fronzoli, qual è 'Moloch'. Laceranti! (Francesco Scarci)

domenica 18 gennaio 2015

Merkabah - Moloch

#PER CHI AMA: Experimental Avantgarde/Jazz/Noise, Zu, Yakuza, John Zorn  
Album splendido e fantasmagorico, apoteosi della follia, invenzione divina e valchiria selvaggia del modo più libero di fare e intendere la musica, questo è 'Moloch' il nuovo album dei polacchi Merkabah. Un infinito di colori in musica, tecnica e genialità al servizio della pazzia compositiva, venata di jazz e post-core, la perfetta colonna sonora per un'opera tratta dal teatro dell'assurdo di Samuel Beckett. Tutto questo mi spaventa ma al tempo stesso mi commuove, rendendomi particolarmente felice di tenere tra le mani un cd cartonato dal digipack stupendo, dal nome e titoli illeggibili, con all'interno un ricco booklet pieno di foto astratte e nessun'altra notizia riguardante la band. Sentire con quale angelica irruenza e demoniaca violenza il suono si scaglia nell'aria, con quale energia ci rende alieni alla realtà che ci circonda, proiettandoci verso fughe mentali senza freni, caotiche e sconvolgenti, entusiasti di correre all'impazzata verso il nulla. Prendete il progressive rock dei Catapilla fino ad arrivare al metal d'avanguardia di Yakuza, unitelo alle stratificazioni dei Soft Machine nei migliori anni del Canterbury sound, gli Zu di 'Carboniferous', il progetto capolavoro 'Painkiller' a nome John Zorn/Bill Laswell/Mick Harris e avrete soltanto una lontana idea del cosa aspettarsi da questo capolavoro. Guidato da un sax che supera i confini della realtà, meno violento del più famoso Zorn ma più stralunato, nevrotico, psichico e ipnotico, sulle orme di un moderno James Chance (vedi James Chance and the Contortions), padrone assoluto della scena strumentale, che cavalca una schizzatissima onda sonora prodotta da un combo che suona come se i Napalm Death di 'From Eslavement to Obliteration' si trovassero alle prese con un brano dei King Crimson, il tutto con un suono naturale, raffinato e graffiante, caldo e avvolgente sulle coordinate soniche degli Anekdoten di 'Nucleus'. Licenziato nel 2014 via Instant records, 'Moloch' è un vero gioiellino da avere a tutti i costi. Otto tracce strumentali per perdere la cognizione del tempo e della morale, da "Reed Idol" fino alla conclusiva "Ah! Ça Ira" in un album altamente tossico che annienterà la vostra stabilità mentale grazie a una tecnica compositiva straordinaria unita ad una esecuzione magnifica. Non cercate di immaginare il solito album dai dogmi jazz prescritti e virtuosismi a go go inutili, questa è arte allo stato puro... ovvero l'Avanguardia per antonomasia. (Bob Stoner)

(Instant Records - 2014)
Voto: 95