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martedì 9 settembre 2025

Postmortal - Profundis Omnis


#PER CHI AMA: Funeral Doom
Dici Aesthetic Death e, il più delle volte, dici funeral doom. E cosi, in quel vasto e spesso soffocante regno, dove ogni nota sembra un passo verso l'abisso, i Postmortal emergono come un sussurro pronto a trasformarsi in un rombo sotterraneo. 'Profundis Omnis' è il loro debutto su lunga distanza, sebbene altri vagiti siano emersi dalle viscere nel 2018. Questo disco si palesa attraverso quasi un'ora di meditazione lugubre su temi di dolore, morte e disperazione, incarnando i dettami del funeral doom, nella sua forma più primordiale e intransigente. Ascoltando il duo di Cracovia sin dall'opener "Fallen", posso dire che è inequivocabilmente ispirato ai maestri del genere quali Thergothon, Shape of Despair ed Evoken. Pur non reinventano la formula, la distillano in un'essenza cruda e malata, complice peraltro un contesto low-fi che privilegia l'opacità e la profondità emotiva su ogni artificio tecnico. Il suono è un monolite compatto, con un basso e voce cavernose che rimbombano come un'eco nelle catacombe, mentre le chitarre striscianti, sembrano avvolte in un velo di riverbero che amplifica quella fastidiosa sensazione di soffocamento. Insomma, non di certo una scampagnata in un verde prato in una giornata di primavera, tutt'altro. Direi piuttosto una lenta discesa negli inferi, accompagnata da uno slow-tempo funereo con sporadici cambi di tempo che contribuiscono a opprimere ulteriormente quel peso che grava su un cuore già in agonia. Non sono sufficienti quelle tiepide tastiere in "Darkest Desire", che aggiungono un velato alone gotico all'incedere del disco, per provare alleggerire un lavoro pachidermico, e in grado di generare solo una plumbea angoscia esistenziale. Come quella sprigionata nelle note iniziali di "Decay of Paradise" da spettrali vocals che provano a fare da contraltare al growling profondo di Dawid in un pezzo comunque asfissiante, che non vede troppi sussulti, fatto salvo per una seconda parte di brano più atmosferica. Il disco continua a presentarsi come una montagna invalicabile e i quasi 22 minuti delle successive "Prophecy of the Endless" e "Queen of Woe", non mi agevolano certo il compito nel descrivervi un classico sound funeral doom che persiste nel mantenerci intrappolati in una profondità abissale dalla quale sarà assai complicato venirne fuori. Per pochi impavidi coraggiosi. (Francesco Scarci) 
 
(Aesthetic Death - 2025)
Voto: 67
 

Mellom - The Empire of Gloom

#PER CHI AMA: Black/Death
In un panorama metal dove l'oscurità è spesso un'arma a doppio taglio, i teutonici Mellom irrompono con 'The Empire of Gloom', debut album uscito a inizio 2025, un disco che trasforma il black/death metal in un monolito di piombo fuso, pesante come un sudario di cenere che si deposita lenta ma inesorabile. Questo duo originario di Francoforte, costituito dai musicisti David Hübsch e Skadi, emerge dalle nebbie dell'underground come un'entità che non urla solo la propria rabbia, ma la sussurra attraverso corrosivi strati di black metal atmosferico. Radicati in una tradizione black metal dal piglio scandinavo, i Mellom non reinventano di certo la ruota, ma la ricoprono sicuramente di una ruggine stridente, con un lavoro che pesa sull'anima senza bisogno di artifici di alcuna sorta. La produzione, affidata a un approccio diretto e senza troppi fronzoli, sembra essere il vero collante di questo impero di tenebre, in cui gli arrangiamenti si mostrano minimalisti ma stratificati, con l'incedere sonoro che si muove tra serrate scorribande black ("Rules of the Universe" e a ruota, la successiva "The Last Dance") e frangenti più mid-tempo oriented (ascoltatevi "Burden", la title track o la più doomish "Feed the Machine", in cui ho sentito qualche eco dei Rotting Christ nella marzialità delle sue chitarre). Alla fine, quello che ne viene fuori è un disco sano e onesto che, come detto, non scopre certo l'acqua calda, ma trasforma il metal estremo in una terapia oscura e senza compromessi, con il caustico screaming di Skadi ad accompagnare un riffing glaciale, a tratti disturbante, con linee melodiche non troppo catchy, ma comunque presenti. Il disco è sicuramente ostico da ascoltare, complici le laceranti vocals della frontwoman, ma anche l'assenza di certi picchi melodici, a cui recentemente il black ha aperto. Ciò non toglie che per chi è un fan di certe sonorità "old fashion", 'The Empire of Gloom' potrebbe rappresentare un'alternativa ai vecchi classici. Prima di chiudere, vorrei citarvi un ultimo brano, "Beyond the Endless Waves", che con il suo melodico tremolo picking, e le sue clean vocals, potrebbe rivelarsi il pezzo più accessibile del lotto, sicuramente il mio preferito, emblema di un disco che presenta al mondo questi nuovi Mellom, che con qualche aggiustamento in futuro, potrebbero essere anche una paicevole sorpresa. (Francesco Scarci)

lunedì 8 settembre 2025

Contemplation - Au Bord du Précipice

#PER CHI AMA: Atmospheric Death/Doom
Nell'underground più profondo, la one-man band francese dei Contemplation sembra volersi distinguere come un progetto visionario, guidato dal polistrumentista francese Matthieu Ducheine. Il secondo full-length (ci sarebbe anche un disco in collaborazione con i Chrono.fixion), 'Au Bord du Précipice', vorrebbe infatti rappresentare un audace esperimento in grado di fondere doom death con elementi atmosferici, pagani e folk, nel tentativo di creare un ibrido unico nel suo genere. Attivo dal 2021 con un debutto omonimo, all'insegna di un death più sinfonico, il factotum Ducheine si lancia in sonorità affini (seppur più cupe e funeral) anche in questo lavoro, sciorinando arrangiamenti complessi, coadiuvati da un violino contemplativo, che lui stesso suona, chitarre super ribassate, e in generale, una linea ritmica solida e profonda, ammorbidita da eterei synth, e imbestialita da uno spaventoso growl cavernoso (per cui auspico a breve di affiancare clean vocals). Se i testi sembrano esplorare temi introspettivi, la musica esprime, attraverso il malinconico suono del violino, immagini di paesaggi desolati e montagne intese come rifugio spirituale, con il titolo dell'album a suggerire una condizione al confine dell'abisso esistenziale, decisamente in linea con l'estetica doom. Musicalmente, ho adorato "Endless Mental Slavery", per la sua atmosfera pesante e meditativa, frutto di un riffing pachidermico che s'intreccia con le splendide dinamiche offerte dal violino. La title track, introduce elementi sperimentali (qualcuno li definisce addirittura dub) più marcati con ritmiche che emergono da un'intro atmosferica, a cui il violino fa costantemente da contraltare, senza scordare comunque una linea melodica notevole, sempre presente nell'intelaiatura musicale dei Contemplation. Fatto sta, che la proposta della band transalpina si lascia piacevolmente e sorprendentemente ascoltare, pur proponendo un genere di per sé, assai ostico. Eppure, con sperimentazioni vocali che mi hanno evocato un che dei Violet Cold ("Le Recours Aux Montagnes"), raffinate linee melodiche e ampie parti atmosferiche ("Dust to Dust"), il disco ha saputo conquistarmi per la sua originalità sin dalle prime note. (Francesco Scarci)

mercoledì 3 settembre 2025

She’s Green - Chrysalis

#PER CHI AMA: Shoegaze/Dream Pop
Uscito poco più di due settimane fa, 'Chrysalis' è il secondo EP dei She’s Green, quintetto originario di Minneapolis e attivo dal 2022, che si muove con disinvoltura tra indie rock, shoegaze e dream-pop. Composto da Zofia Smith (voce), Liam Armstrong e Raines Lucas (chitarre), Teddy Nordvold (basso) e Kevin Seebeck (batteria), il gruppo conferma con questa uscita un’evoluzione sonora che amplia i confini del loro sound, mantenendo intatto quel gusto etereo che li aveva fatti emergere sulla scena a suo tempo. Il risultato che ne viene fuori è un suono che coniuga densità evocativa e limpidezza: le chitarre in tremolo picking s'intrecciano malinconicamente a timbri naturali in una stratificazione che trasforma l’ambient in un organismo vivo con una poetica affascinante che lascia spazio a ogni strumento per respirare e mantenere la propria identità. Questo è quanto si evince già in apertura con "Graze", un crocevia di immagini intense che, a braccetto con la potenza sonica dei nostri, instaurano un’atmosfera d'inquietudine palpabile. A ruota segue "Willow", più vibrante e ritmata, in cui la voce di Zofia, si fa fragile ma urgente, e sembra stagliarsi calda al tramonto, al termine di una giornata di fine estate. "Figurines" è più introspettiva e forse troppo melliflua per il sottoscritto, con quel suo dream pop assai spinto, mentre "Silhouette" opta per un minimalismo (anche nella durata) romantico e poetico, costruendo un climax emotivo soffuso e sospeso. A chiudere il tutto, ecco "Little Birds", la giusta conclusione per un lavoro del genere, una traccia commovente, un vellutato ed etereo viaggio intimistico nel profondo delle nostre anime. (Francesco Scarci)

(Self - 2025)

martedì 2 settembre 2025

Tetramorphe Impure - The Sunset Of Being

#PER CHI AMA: Death/Doom
Immaginate un crepuscolo che non svanisce mai, un orizzonte avvolto da una nebbia di piombo che inghiottisce ogni barlume di luce. Ecco, questo potrebbe essere il mondo evocato da 'The Sunset of Being', debutto discografico dei Tetramorphe Impure, via Aesthetic Death, dopo una gavetta durata quasi vent'anni nel sottobosco italico. Quello che vi presento, è il progetto solista di Damien, uno che ha suonato nei Mortuary Drape ai tempi di 'Buried in Time', e che ha pensato bene di tuffarsi nel funeral doom, dopo aver esplorato il black con i Comando Praetorio. E cosi, affondando le radici negli abissi di band quali Thergothon e Skepticism, il buon Damien si è lanciato con questo monolite sonoro in una scena doom sempre più affollata di epigoni, cercando di distinguersi dalla massa, nel trasformare la lentezza in un'arma affilata, un suono che non aggredisce ma erode. Forte di una produzione curata e incisiva, il lavoro si conferma come un'opera di oppressione sonora capace di sfoggiare un suono plumbeo, denso come fango che inghiotte ogni passo, dove il basso rimbomba come un tuono sotterraneo e le chitarre si trascinano in riff corrosivi che sembrano scolpiti nella roccia erosa dal tempo. Non c'è spazio per troppi fronzoli qui, gli arrangiamenti privilegiano una stratificazione essenziale, con il drumming che procede a ritmi funerei e accelerazioni sporadiche che evocano un cuore in affanno, e il basso che funge da spina dorsale, ancorando il tutto in un abisso di gravità. Quattro pezzi per quasi 40 minuti di musica in cui le chitarre, avvolte in un pesante velo di distorsione, si muovono in territori death, mentre sporadici inserti di tastiere aggiungono un velo di nebbia eterea, senza mai alleggerire il fardello che questo disco si porta. Nell'apertura affidata a "Forsaken Light", emerge subito un senso di abbandono, con immagini di discesa verso l'oblio che riecheggiano le angosce esistenziali di un mondo che sta per cadere a pezzi, e in cui Damien infonde il proprio tocco personale, nel proporre un death doom intriso di una malinconia goticheggiante, alternando peraltro growling vocals a un pulito intonato e spettrale. "Night Chants" sembra rallentare ulteriormente, sebbene non manchi una sfuriata death dopo un paio di giri d'orologio, ma è da qui che si aprono passaggi più crepuscolari, quasi esoterici e decisamente più originali per l'economia dell'album. "Spirit of Gravity" mostra il suo cuore oscuro, chiamando in causa, nelle sue linee di chitarra, un che dei primi Paradise Lost, in un pezzo che si palesa con un pesante rifferama doom e un'alternanza vocale ipnotica e sinistra. Infine, la title track chiude il cerchio con una violenta discesa negli abissi, dove i growl si dissolvono in clean malinconici, accompagnati da timide tastiere che evocano un tramonto eterno – un finale che incarna la dissoluzione, rendendolo il culmine significativo di un album che non concede redenzione. (Francesco Scarci)

Novarupta - Astral Sands

#PER CHI AMA: Post Metal/Post Rock
I Novarupta sono una one-man band svedese, capitanata dal poliedrico Alex Stjernfeldt, ex membro dei The Moth Gatherer. Nel 2025 il factotum scandinavo ha fatto uscire il quarto lavoro, 'Astral Sands', che va a chiudere un ciclo ambizioso di quattro album, che era nato nel 2019 come una sorta di supergruppo underground. In questi sei anni, la band ha scavato un solco profondo nella scena post-metal e sludge, distinguendosi per un approccio collaborativo che vede ogni album della loro tetralogia elementale, ospitare una parata di cantanti ospiti dal mondo metal estremo. Questo quarto capitolo, dedicato alla terra, conferma la band come una forza creativa nell'ambito post-metal, dove lo sludge si fonde con echi shoegaze e post-rock, bilanciando egregiamente introspezione e intensità, senza per forza cadere nel cliché. Il suono di questo nuovo disco non si discosta poi molto dai precedenti, offrendo un approccio mid-tempo contemplativo e atmosferico, privilegiando una tiepida stratificazione sonora piuttosto che l’assalto frontale. Le chitarre, centrali negli arrangiamenti, alternano riff corrosivi e grooveggianti a linee melodiche eteree, supportate da un basso solido e una batteria che varia tra groove cadenzati e fill dinamici. Parlavamo di ospiti e non potevano mancare nemmeno qui con una serie di collaborazioni vocali che rappresentano il vero asso della manica della band: si va infatti da Jonas Mattson (Deathquintet) nella splendida "Seven Collides" a Martin Wegeland (dei Domkraft) nella conclusiva "Now We Are Here (At the Inevitable End)", passando attraverso la poetica di "The Bullet Shines Before Impact", in compagnia di Kristofer Åström (Fireside) e scavando nell'anima attraverso le malinconiche melodie di "Endless Joy", dove a dividersi la scena, troviamo Per Stålberg (Divison of Laura Lee) e il musicista dronico Johannes Björk. Il disco è delicato, emozionale, maestoso, vario e non solo per l'alternanza vocale dietro al microfono. È un lavoro che tocca le corde dell'anima in ogni suo frammento, e per questo l'ho amato sin dal primo ascolto. Vi basti ascoltare un pezzo come "Terraforming Celestial Bodies", dove alla voce troviamo Arvid Hällagård (Greenleaf) e ve ne innamorerete immediatamente. Per non parlare poi della successiva "Breathe Breathe" con un ottimo Patrik Wiren (Misery Loves Co) a regalare una performance ineccepibile per un disco davvero avvincente, che mi sento di consigliare a 360°. (Francesco Scarci)

lunedì 1 settembre 2025

Enzø - Noisy Ass Makes You Smile

#PER CHI AMA: Alternative/Hardcore/Psichedelia
Prendete la ritmica di un brano come "Then Comes Dudley" dei Jesus lizard, solo la ritmica mi raccomando, e immaginatela il più distorta possibile. Aggiungete un po' di sano sarcasmo e critica agli usi e costumi della società odierna, poi un pizzico di quell'attitudine caotica che richiama certe idee dei DNA, riviste con un taglio alternative/hardcore molto aggressivo e istintivo, come vi capiterà di ascoltare anche nel brano, diciamo piacevolmente astratto, "Pazzi Smith" degli Enzø. Ecco, se riuscirete a mettere insieme tutto il mosaico, avrete una vaga idea sonora di quello che propone il duo beneventano. Sulla linea dei Lighting Bolt, con un'idea di canzone più accessibile e meno sperimentale, la band suona veramente in modo pulsante, rumoroso e dinamico, e spesso si sente anche una buona vena psichedelica di memoria grunge. Il progetto è composto solo da un batterista e un bassista/cantante, il quale riesce sempre a distinguersi nel marasma sonoro prodotto, per un bel timbro vocale potente e una certa attitudine alle melodie orecchiabili, sempre di giusto impatto, che fanno da contraltare al suono quasi perennemente ultra distorto dei nostri. Il singolo "Wah" resta un must di questo disco, per immediatezza e fluidità, con annesso un video assai carino. "Ballad of Enzø" è bellissima e ricorda la follia di certi Primus mischiati al Tom Waits più sbilenco e distorto. Anche la ritmica di "Les Good to Sail in a Pool of Clay", nella prima parte ricorda i Primus di un tempo (e non solo per il suo titolo bizzarro), e in generale, il funk metal degli anni '90. Nel suo insieme il disco è molto buono e stimola l'ascoltatore a valutarlo da tante angolature diverse, grazie a un sound monolitico che a suo modo è in continua mutazione. Basti pensare a "Pigface" che, complice un cantato davvero potente e un sound ipnotico, inaspettatamente, mi porta alla mente la voce e la forza irriverente e devastante dei Venom o quella di Tom Gabriel Fischer nei Trypticon. Alla fine, questo nuovo album degli Enzø, con una bella e folle copertina curata da Maria Caruso, e dal titolo 'Noisy Ass Makes You Smile', dove già il titolo la dice lunga, si dimostra una lunga e interessante carrellata di idee che mettono in mostra il modo rude, scarno e contorto di esprimersi dei due musicisti, di fare musica alternativa senza troppe regole. E la Overdub Recordings ha pensato bene di non farsi scappare questo progetto. La buona musica alternativa in Italia esiste ancora, magari come in questo caso, non cantata in lingua madre ma a tutti gli effetti, ancora esiste e resiste. (Bob Stoner)

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