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lunedì 18 agosto 2025

The Ravenous - Assembled in Blasphemy

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Death/Horror
Rozzi, brutali, marci. Tutti questi aggettivi dovrebbero rendere l’idea di quello che sono i The Ravenous. Il cast che compone questo gruppo ha una sua rilevanza nel panorama musicale: Chris Reifert (Autopsy), Killjoy (R.I.P., ex Necrophagia) e Dan Lilker (ex Brutal Truth, S.O.D., Anthrax e tante altre band). Bene, questi folli (è il caso di dirlo) hanno composto un album fatto da riff di chitarra semplici e malati dove la registrazione è volutamente grezza, e con queste peculiarità sin qui esposte, trovo anche delle forti somiglianze con i Necrophagia (complice la voce del frontman). Nei brani dei The Ravenous si possono ascoltare parti tipicamente death senza disdegnare sfuriate black. La voce di Killjoy è furibonda e indemoniata, mai doma, sempre in continuo cambiamento per tutta la durata dell’album. I testi sono di chiara ispirazione splatter-gore, chiaramente un tutt’uno con la splendida copertina veramente realistica e vomitevole. Per chi ama le emozioni forti.

(Hammerheart Records - 2000)
Voto: 70

https://www.metal-archives.com/bands/The_Ravenous

domenica 17 agosto 2025

Kim Gordon & Loren Connors

#PER CHI AMA: Ambient/Drone/Noise
Nell'abbrivio ("Movement 1") metem-psychotico sono esplicitate le istanze atomistiche del concept, qualcosa che ritorna ancora ("Movement 3") e ancora ("Movement 4") e ancora (esatto, "Movement 5"). Un acronico e sonnolento climax eiaculatorio e immensamente diffratto ("Movement 2"). Barriti, immanenza, la voce di Kim, una sofferenza atonica, atonale, ancestrale (di nuovo "Movement 5") che diventa attesa dolorosa e ribollente ("Movement 6"). E poi la sospensione molecolare del cosmo intero, ora ("Movement 7"), e ancora ("Movement 8"), nell'attesa vana sebbene inesorabile, sedicentemente catartica, dell'apocalisse western-sonica prossima ventura (di nuovo "Movement 8"). Fotografia sgranata, le luci servono solo per i profili. Fumo. Kim Gordon backwoman e Loren Connors bluesman shoegazer, distillano su vinile i migliori trentasette minuti estratti da una nota improvvisazione della durata complessiva di oltre un'ora e mezza datata dicembre 2014 all'Issue Project Room di New York. Estasi o noia. Nessun compromesso. Estasi o noia? C'è il video su Youtube. (Alberto Calorosi)

sabato 16 agosto 2025

Below the Sun - Immanence

#PER CHI AMA: Post Metal
Che fastidio che il nuovo album dei Below the Sun, sia rimasto in forma digitale. Sebbene discogs riveli che esista una release fisica, io di tracce nel web di quel formato, non ne ho trovate. 'Immanence' comunque è il nuovo viaggio musicale profondo e introspettivo del duo di Krasnoyarsk, che esplora tematiche esistenziali attraverso sonorità avvolgenti e atmosferiche. Con questo nuovo lavoro, la band prosegue nel costruire il proprio sound distintivo, mescolando elementi di post-metal, doom e ambient, sfoggiando sei nuovi pezzi che prendono alla gola sin dalle note iniziali dell'intimistica "Instinct", che si muove all'altezza di un bivio tra sonorità sludge e post metal. Quest'ultime che si prendono la scena nella successiva "Restraint", un brano in bilico tra pesantezza e melodia, un equilibrio sofferto tra il post rock iniziale e l'asfissiante doom che si palesa a metà brano, con le vocals che da growl passano a un pulito emozionante in un crescendo emotivo (e musicale), che lascia quasi senza parole. Un clamoroso passo in avanti rispetto al vecchio disco 'Alien World', ormai datato 2017, una maturità acquisita che potrebbe rendere i Below the Sun significativi almeno quanto i Rosetta, per non dire anche qualcosa di più. Il che si conferma anche nella cerebrale e distorsiva potenza di "Being" o nell'essenziale musicalità di "Beholder", un pezzo più sperimentale ed etereo che avvicina i nostri a una band come gli Explosions in the Sky, in un'architettura sonora ben più morbida rispetto agli altri brani (fatto salvo per la strumentale "Illumination"), ma dotata comunque di una raffinatezza e un approccio onirico di un certo livello. "Revelation" è la traccia di chiusura, una specie di epopea progressive shoegaze che combina riff lenti, clean vocals e orpelli vari che avvicinano i Below the Sun a territori probabilmente mai esplorati. Il brano inizia in modo soft, con vocalizzi appunto shoegaze e un crescendo che culmina in un finale maestoso, a sancire quanto realmente sia interessante questo disco e quanto mi continuino a girare le scatole per non averlo ancora trovato in un formato fisico. (Francesco Scarci)

giovedì 14 agosto 2025

Ereb Altor - Hälsingemörker

#PER CHI AMA: Viking/Epic
'Hälsingemörker', l'ultima epica creazione degli Ereb Altor, trascina l'ascoltatore in un viaggio attraverso paesaggi sonori maestosi, dove regnano atmosfere cupe e ancestrali echi della mitologia nordica. La leggendaria band svedese, maestra nell'arte di fondere viking metal e doom in un'unica, possente visione, forgia ancora una volta un universo musicale di rara potenza e complessità. Fin dalle prime, folgoranti note di "Valkyrian Fate", si percepisce l'intensità titanica con cui il gruppo scandaglia i misteri più profondi della natura e delle saghe norrene. Gli intrecci di melodie epiche e riff devastanti creano una cattedrale sonora monumentale, sublimata dalla voce cristallina e potente di Mats, sostenuta da cori che evocano gli spiriti degli antichi guerrieri. La sua performance vocale è un'autentica epifania: attraversa l'intero spettro emotivo umano, regalando momenti di connessione mistica che toccano l'anima. La produzione raggiunge vette di eccellenza assoluta, scolpendo ogni singolo strumento con precisione chirurgica, senza mai sacrificare quell'aura greve e atmosferica che avvolge l'intero capolavoro come una nebbia ancestrale. I brani si dispiegano in un equilibrio perfetto tra passaggi melodici di struggente bellezza e sequenze frenetiche che scatenano tempeste sonore, mantenendo l'ascoltatore in uno stato di costante, elettrizzante tensione. Tra le gemme di questo tesoro musicale, brillano la già citata, gloriosa opener, la misteriosa "Vi är Mörkret" e la travolgente "Träldom": tutte forgiate con ritmiche possenti avvolte da un misticismo epico che fa tremare le fondamenta di Midgard. "Ättestupan" introduce invece una tonalità più malinconica e solenne, offrendo un momento di pausa riflessiva dove l'anima può contemplare l'infinito, mentre "The Waves, the Sky and the Pyre" sembra addirittura pervasa da un'aura di sacralità primordiale. 'Hälsingemörker' si erge come monumento definitivo al talento sovrumano degli Ereb Altor: un'opera che conquisterà non solo i devoti seguaci della band e i cultori del genere, ma anche nuovi esploratori in cerca di sonorità epiche capaci di trasportare l'anima in regni inesplorati. La loro capacità di incarnare e far rivivere l'essenza più pura della cultura viking metal rimane leggendaria e ineguagliabile, consacrandoli definitivamente come i supremi maestri di questo stile immortale. (Francesco Scarci)

(Hammerheart Records - 2025)
Voto: 80

https://erebaltorhhr.bandcamp.com/album/h-lsingem-rker

mercoledì 13 agosto 2025

Eigengrau - Radiant

#PER CHI AMA: Post Rock strumentale
Nel primo vero album, dopo tanti singoli, della variopinta band di allegroni danesi, il cui nome in tedesco significa "interiormente grigio", individuerete senza difficoltà un suono pervaso di melodismi post-rock nevrilmente pronto a innescare insinuanti testurizzazioni, ciò che inevitabilmente conferisce una invero straordinaria (elettro)dinamicità, protesa nella nota non-direzione postrocchettara di un climax sonico. Che sopraggiunge, sì, ma solo sporadicamente e sempre inaspettatamente. Invece che generato dagli strumenti (non ci sono parti cantate), il suono vi sembrerà emanare dolente da una specie di sorgente infinitamente remota, come una sorta di carsismo cosmico, baluginante, inesorabile ed eidetico. Tutto viene esplicitato (fin troppo presto) nella introduttiva "Once I Was". Oltre la quale l'universo appare ripetersi nebulosamente, se non nella forma, almeno nelle movenze (sonore), fino al necessario e nichilistico deliquio conclusivo ("Moving Clouds"). Interessante, ma già sentito. (Alberto Calorosi)

martedì 12 agosto 2025

Pale Blue Dot - (h)eart(h)

#PER CHI AMA: Psichedelia/Shoegaze
A volte basta guardare in un cerchio molto ristretto per trovare ottima musica, guardare appena fuori dalla porta di casa e trovare una band come i Pale Blue Dot, che con l'unione di musicisti dall'esperienza più che decennale, ci offrono un disco senza pieghe, lacune o cali di qualità. La band emiliana prende spunto per il nome, dalla definizione data dall'astronomo Carl Sagan, a una foto della Terra scattata dallo spazio, a qualche miliardo di km di distanza, e la musica si rivela subito in sintonia con il nome scelto, per il suo ampio spettro sonoro, che spazia dallo shoegaze, passando dalla psichedelia fino alla new wave. Il cantato è in inglese ma questo disco è uno degli album italiani che mi hanno più incuriosito dall'inizio dell'anno, anche se, in verità, l'artwork di copertina del disco non mi attirava granché all'inizio, a differenza delle più interessanti copertine dei singoli. Il motivo è semplice e s'intuisce fin dalle prime note: in questo disco sono presenti delle chitarre stupende, che contribuiscono a donare un lavoro magistrale ai loro suoni che evocano epoche lontane, che non tutti ricorderanno e che accomunano gli australiani The Church (magari quelli di 'Forget Yourself') al sound dei primi iper psichedelici Ride, senza plagi o forzature, con una grazia che li rende veramente credibili e con un'identità assai riconoscibile. All'apertura di '(h)eart(h)', mi sono ritrovato a pensare a "Constant in Opal" dei The Church, ma ero talmente assorto dall'ammaliante psichedelia, cristallina e spaziale dei primi due brani, tra cui l'ottimo singolo "For the Beauty of Miranda", che ho provato un intenso senso di nostalgia nel proseguo dell'ascolto. In effetti, da tempo non sentivo un disco con una magia sonora tale da farti perdere la connessione con il mondo esterno, quello che ti può accadere forse ascoltando 'Remote Luxury', proprio dei The Church. I suoni sono curati e la sezione ritmica è ben presente, il cantato è poco invadente, essenziale, minimale, orecchiabile, mai estroso, proprio come in dischi del calibro di 'Nowhere' dei Ride, rumorosi ma eleganti, d'atmosfera ma rock, quel rock che certa new wave prima e lo shoegaze poi, hanno reso unico e immortale, dando vita a un suono sofisticato e sognante per un insieme di brani che suonano alla perfezione. La band sa come fare e come ottenere quel tipo di sound, ed è il caso della meravigliosa e lisergica "Green Fairy Tale", che ci permette di navigare nel cosmo, molto vicini al Sole, senza passare per una band d'oltremanica o d'oltreoceano. I Pale Blue Dot, hanno nel loro DNA, i cromosomi della new wave, della psichedelia sonica e della neo psichedelia inglese di fine anni '80 (Loop e affini), quella ragionata e mirata, e la suonano in maniera egregia, mostrandoci ottime capacità anche nella lunga e vorticosa "Star Cloud", ipnotica e magnetica canzone di chiusura dell'album, dove cantato e chitarre si sovrappongono alla ricerca continua di uno spazio sempre più profondo da esplorare. Un album e una band con un sound maturo e internazionale, retrò quanto basta, ma attuale e molto appetibile per un pubblico musicalmente elevato, leggermente nostalgico verso certe sonorità ma tanto, tanto visionario. Splendido lavoro di cui ne consiglio fortemente l'ascolto! (Bob Stoner)

lunedì 11 agosto 2025

Cultus Sanguine vs Seth - War vol III

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine 
#PER CHI AMA: Black/Doom
Questa “guerra” fu un esperimento molto interessante perché oltre a rifare due pezzi loro, le due band, Seth e i nostrani Cultus Sanguine, dovevano coverizzare un brano dell'altro gruppo, e infine, entrambe dovevano proporre una cover scelta in comune. Iniziamo con i Cultus Sanguine che propongono qui un vecchio pezzo, "My Journey is Long But My Time Is Endless", tratto dal debut mcd. Questo brano acquista una forza e un impatto veramente coinvolgente, cosa che nel passato, per una pessima registrazione non aveva; come ospite in questa canzone c’è peraltro Steve Sylvester. Di seguito troviamo una versione remixata di "We Have No Mother", che sinceramente non mi piace per niente perché si è persa la vena triste e depressiva che aveva, manipolandola con vari effetti sintetici. Il pezzo dei Seth ("L'Hymne au Vampire") rifatto dai milanesi ricalca appieno l’aria che si respira ascoltando un album dei Cultus Sanguine, molto bella. Infine "Behind The Wheel" dei Depeche Mode, musicalmente è ipnotica e sofferta ma non trova un valido appoggio nella voce di Joe, forse non proprio a suo agio in questo contesto non metal. E ora tocca ai Seth: due brani sullo stile dello scorso 'Les Blessures de l’Ame', pieni di pathos e tristezza con le parti di piano molto accattivanti. Per quanto riguarda la canzone dei Cultus, "The Calling Illusion", rifatta dai francesi, ascoltiamo un cambiamento radicale di alcune parti, rese qui veloci e violente. A essere sincero, non avrei mai pensato di sentirle in questa veste, è stata una bella sorpresa. L’ultima song è arrangiata in modo completamente differente dal modo in cui era stata concepita dai Depeche Mode, decisamente una versione metal irriconoscibile. Non so quanto possano essere d’accordo gli estimatori dell'electro-dark su questo stravolgimento, comunque, esperimento riuscito.

domenica 10 agosto 2025

Corrupted - El Mundo Frio

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Doom/Drone
Non fosse per certe ultra lunghe sezioni ambientali, dove quello che soltanto un'entità aliena dotata di un ciclo biologico di quattromila anni e una pazienza eonica, potrebbe definire un "arpeggio" si sviluppa su tappeti sintetici in verità quasi soltanto ipotizzati, il quarto album della misteriosa band ultradoom giapponese che canta ("una diffusione aerofagica vocale" è una definizione tecnicamente più corretta) in spagnolo, non prende l'aereo e non rilascia interviste se non per ribadire che non rilascia interviste, assomiglia moltissimo al primo (dove però non c'era la sezione acustica introduttiva), qualcosa in più di moltissimo al secondo (dove però c'era un secondo volume di inutili dronerie assortite) e qualcos'altro in più di moltissimo al terzo (dove però la sezione acustica e quella elettrica erano addirittura suddivise in tracce differenti): quel medesimo suono estenuante, psichicamente densissimo che sembra provenire direttamente dalla Discontinuità di Gutenberg del mantello terrestre. E nient'altro. (Alberto Calorosi)

(HG Fact - 2005)
Voto: 70

https://corrupted1994.bandcamp.com/