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mercoledì 10 maggio 2023

Negurā Bunget - ’N Crugu Bradului

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black Melodico
Black metal dalla Romania. “Esplorando le tradizioni folkloristiche si possono scoprire tesori nascosti”, si legge all’interno della traccia multimediale (realizzata, con la consueta perizia, da Twan Sibon) inclusa nel cd. Una dichiarazione di principio senz’altro condivisibile. Peccato che i Negurā Bunget non l’abbiano messa in pratica nella stesura delle canzoni. I quattro lunghi brani che compongono l’album presentano un’alternanza di parti aggressive e passaggi più calmi, il tutto però all’insegna del black metal, con quel che ne consegue. Sono le aperture melodiche a dare un tocco di godibilità al lavoro dei Negurā Bunget. Sappiamo tuttavia come la band è riuscita a coltivarle, arricchendo la propria proposta di ingredienti folk, e rendendo tanto più apprezzabile il proprio percorso evolutivo, interrotto prematuramente nel 2017 con la morte di Negru. Se volete potete riscoprire questo disco, riproposto peraltro in vinile nel 2021 in due colori sempre dalla nostrana Code666.

Hyrgal - Sessions Funeraires anno MMXXIII

#PER CHI AMA: Black/Death
Dopo aver recensito più o meno positivamente tutti i full lenght degli Hyrgal, ecco che fra le mani mi capita anche il loro nuovo EP, 'Sessions Funeraires anno MMXXIII'. Registrato (credo) volutamente con un approccio casalingo, l'album consta di cinque nuove tracce più la cover dei Marduk, "Dark Endless". Come ovvio che sia, il quartetto transalpino continua a muoversi nel sotterraneo mondo estremo già dall'iniziale "Deuil Éclair". Come da protocollo, i nostri ci trascinano nel loro personale inferno fatto di sonorità black metal nude e crude, come più volte sottolineato dal sottoscritto nelle precedenti recensioni. Difficile quindi trovare grandi spunti innovativi nelle song qui contenute, se non un tentativo di coniugare in taluni frangenti il black al death (soprattutto a livello di un robustissimo rifferama), o di affidare ad interessanti porzioni melodiche lo svolgimento di un brano comunque complesso e controverso come può essere "Phalanges Assassines". Sghemba al punto giusto "Épique Spleen", spaventosa peraltro nel suo roboante incedere, che la rende, nella sua magniloquente potenza, anche sontuosamente claustrofobica. "Gorge Blanche/Surin Noir" entra assai lenta e inquietante, quello che stupisce è poi la porzione ritmata su cui poggia un brillante assolo (si, avete letto bene, un assolo, che peraltro tornerà anche nel finale) e i vocalizzi dannati dell'ex Svart Crown, Clément Flandrois (aka C.F), sia in forma urlata che più pulita. Ecco, se all'inizio parlavo di pochi spunti innovati nel sound degli Hyrgal, mi devo rimangiare le parole, visto quest'ultimo brano e l'esperimento ambient/noise della successiva "炎が秒を貪り食う場所 (Honō Ga Byō o Musabori Kuu Basho)", sottolineano una ritrovata vena di creatività dei nostri. Certo, se poi riproponi una cover dei Marduk, ecco forse una volontà di cambiamento non la leggo affatto e sulla scelta di includere questo brano, ci sarebbe forse un po' da discutere. Comunque, un discreto ritorno sulle scene, sebbene l'ultimo album fosse datato 2022 e quindi ritengo non fosse strettamente necessario dare un segno di vita. Eppure, qualcosa di interessante e potenzialmente rivoluzionario, lo si può anche ritrovare in questo 'Sessions Funeraires anno MMXXIII'. A voi l'arduo compito di recepirne il messaggio subliminale. (Francesco Scarci)

domenica 7 maggio 2023

Mortali Irae - Promo cd 2000

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Prog Death, Opeth
Il genere proposto in questo promo cd è di chiara matrice death-prog svedese. L’aria che si respira all’interno è decadente e melanconica. Per i Mortali Irae (oggi M.Ire per definire un cambio stilistico volto all'heavy rock/ndr), il paragone con i maestri Opeth (quelli degli esordi) è d’obbligo, ritrovando perciò caratteristiche stilistiche e di timbrica vocale molto vicine ai succitati. Il livello tecnico è molto buono e lo si nota anche dalla facilità con cui i nostri riescono a gestire pezzi della durata media di 6-7 minuti senza stancare l’ascoltatore, dandogli modo di essere attento ad ogni cambiamento d’atmosfera effettuato all’interno delle canzoni. Dopo aver ascoltato questo promo cd, si è tuttavia pervasi da un senso di amarezza, dovuta ad una eccessiva somiglianza alle sonorità che hanno reso grandi gli Opeth, sebbene si tratti comunqui di un ottimo prodotto.

Karne - Condamnés

#PER CHI AMA: Black/Thrash
Terzo lavoro per i francesi Karne intitolato 'Condamnés' e se non li conoscete, beh iniziate a documentarvi bene su questo ensemble, potrebbe sorprendervi. Se di primo acchito potreste infatti pensare al tipico black old school, un ripetuto ascolto potrebbe aprirvi la mente anche ad una miscela esplosiva tra black e thrash dalle forti venature di matrice svedese. Non c'è da sorprendersi se "Mandragores" ci tira subito due schiaffi ben assestati in volto, con quelle sue ritmiche infuocate (spaventoso a tal proposito il lavoro alla batteria di Armory) e lo screaming efferato di Julien Remy (aka Apathy), il tutto comunque ammantato di una certa vena melodica. Il lavoro tritacarne del quintetto di Nancy prosegue anche nella successiva e più dilaniante "Kamarde", che vive di ottimi cambi di tempo, di un'atmosfera decadente, a tratti malinconica, e di quelle chitarre che evocano per certi versi lo spettro dei Dissection. Ecco perchè trovo la band transalpina più interessante di tante altre che suonano magari con la stessa furia e tecnica, ma a cui manca quello spirito epico che ritroviamo qui, e non solo nei cori battaglieri, ma anche nell'afflato musicale e in quella ricerca chitarristica che fa di 'Condamnés' un lavoro da tenere in enorme considerazione. Ottime le cavalcate ritmiche della seconda traccia, interessanti le grim vocals del frontman, ma più di tutto, il mio interesse vola sulla melodia di quelle chitarre maestose e incandescenti che mi richiamato alla memoria anche gli esordi dei Sarcasm. "Limbus Puerorum" ha un incipit dotato di un suono pieno e avvolgente, ma da li a poco esploderà in un velenoso attacco black che avrà modo di evolvere in chiaroscuri musicali (con un riffing qui di scuola norvegese), tale da rendere la proposta dei nostri più appetibile (ma non troppo originale). "Caffa" parte decisamente in sordina rispetto agli standard del disco ma è solo questione di mezzo giro di orologio, visto l'andazzo minaccioso che vi brancherà dal trentesimo secondo in poi. Certo l'alternanza ritmica agevola l'ascolto anche laddove il batterista sembra tenere in mano una mitragliatrice piuttosto che le bacchette. Lavoro mostruoso, lo ribadisco. E anche il suono delle chitarre qui, nuovamente intriso di malinconia, dà il giusto valore al disco. Qualora ce ne fosse bisogno, anche "Le Silence Est d'Ordre" contribuisce a dare del valore aggiunto a 'Condamnés', grazie ad un riffing che sembra quasi ululare nella possenza dell'impianto ritmico. Chiusura affidata a "La Fin Aux Misérables", l'ultima apnea musicale a cui ci costringono i Karne per l'ultimo attacco all'arma bianca di questo 'Condamnés' che sottolinea la buona prova della band, che necessita tuttavia ancora di quel piccolo passettino in avanti per definire una sua propria e consolidata personalità. C'è ancora da lavorare, ma sicuramente siamo sulla strada giusta. (Francesco Scarci)

(Epictural Production - 2023)
Voto: 72

https://karnebm.bandcamp.com/album/condamn-s

Edredon Sensible - Montagne Explosion

#PER CHI AMA: Jazz/Avantgarde/Kraut Rock
Due anni fa presentavamo la band di Tolosa come un tossico mix di Seefeel, Ottone Pesante e Naked City. Oggi siamo qui a riproporveli con la stessa esilarante verve ma con caratteristiche più evolute: detto che squadra che vince non si cambia, l'accoppiata di due percussionisti e due fiati si dimostra tutt'altro che logora di idee e punta dritta al salto di qualità. In effetti il nuovo disco, intitolato 'Montagne Explosion', parte subito a mille all'ora con un brano, "Poulet Gondolé (Chasuble)", accelerato ritmicamente e molto vicino allo Zorn più scanzonato e divertente passando per "Une Bonne Soupe Au Lard" che, tra strampalate grida euforiche, ci espone un tema ipnotico e paranoico. Krautrock per forma e sostanza, un sound compulsivo, sull'orlo di una crisi di nervi, suonato da sax impazziti e una ritmica cara ai Tambours du Bronx (in un numero ristretto di percussionisti) quanto ai giochi percussivi di Byrne in 'Rei Momo'. Il tutto vale anche per "GQ" e "Where Is un Alcool Japonais Qui Aime Se Baigner En Restant à La Même Temperature" . Canoni sonori che si ripercuotono in tutto il disco e lo caratterizzano fortemente. Lungi però dal pensare che gli Edredon Sensible siano ripetitivi anzi, dimostrano infatti in questo secondo full length, di aver raggiunto un consolidamento stitlistico di tutto rispetto ed una fantasia compositiva sopra la media. Di certo usare i concetti compositivi che sono più identificabili con la musica elettronica pulsante ed ossessiva, tanto per fare un nome alla Miss Kittin and the Hacker, in forma sempre progressiva, psichedelica e jazz fuori dagli schemi, non è proprio da tutti, e anche il suo ascolto non è proprio per un vasto pubblico. Il quartetto francese è senza freni e viaggia sulle onde del free jazz più libero permettendosi di mandare più di una volta in orbita l'ascoltatore, come un vero e proprio progetto di musica trance, mantenendo sempre un fortissimo legame con le fondamenta del jazz più d'avanguardia ma anche quel tocco frizzante di certo acid e free rock, come se gli Us3 riprendessero una song per riproporla in chiave psichedelica, dallo sterminato catalogo del maestro Zorn. Titoli di canzoni strani per una musica complessa e carismatica, fatta per essere compresa da una piccola nicchia di veri ascoltatori e adoratori di sperimentazione intelligente, suonata da musicisti con la M maiuscola. Quando "Lo Pastour Bai Amouda" stravolge e silenzia il tutto, passando ad un canto appena sussurrato e folk, rurale e ancestrale, con sperimentazioni vocali nel ricordo delle divine scuole di Meredith Monk, Joan la Barbara e l'ancestrale mistico di Sharron Krauss, rivela un brano assai suggestivo composto in compagnia delle belle voci di Lola Calvet, Lisa Langlois, Noëllie Nioulou, Marthe Tourret, in una traccia molto diversa e inaspettata per lo stile della band, ma davvero intrigante. Come già accennato, l'efficacia percussiva della band, si apprezza alla grande in "Where Is un Alcool Japonais...", che potrebbe rientrare nel catalogo dei Banco de Gaia (stupendi peraltro i momenti in cui la musica sembra incepparsi), mentre nei brani a seguire ci si gioca la carta dell'atmosfera e dell'esotico, ampliando ulteriormente la rosa di sonorità toccate dal quartetto. "Danke Schoen Paul" è il brano più d'impatto e disturbato del lotto, con degli stop musicali interrotti da cori stile festa di capodanno e urla forsennate tra sax impazziti e ritmi trascinanti, mentre "Gros Pinçon" è una spettacolare, straziante e lunghissima marcetta progressiva, in stile no wave, coinvolgente e stralunata, che mi ricorda lo stile dissonante di 'Eine Geschichte' dei Palais Schaumburg, unito a certe atmosfere impossibili di Terry Riley, per una melodia insana, intensa e malata. Questo è un vero disco per appassionati ascoltatori, indifferenti alle etichette di ogni sorta, questa è vera avanguardia sonora. Fatevi avanti gente, qui ce né per tutti i gusti! (Bob Stoner)

(Les Productions du Vendredi - 2023)
Voto: 84

https://edredonsensible.bandcamp.com/album/montagne-explosion

venerdì 5 maggio 2023

Mushroom Giant - In a Forest

#PER CHI AMA: Post Rock
Li avevo recensiti due anni fa in occasione del decennale dell'etichetta Bird's Robe Records, con l'album 'Painted Mantra', uscito originariamente nel 2014. Li ritrovo oggi con un album nuovo di zecca, 'In a Forest', ed un sound che non si discosta poi di molto da quella che è l'architettura post rock di fondo degli australiani Mushroom Giant. Il "Fungo Gigante" ci offre sette nuove tracce, che si rivelano introspettive nel loro incedere sin dall'iniziale "Owls", che richiama inequivocabilmente in causa i due gufi ritratti in copertina. I suoni dicevo, sono alquanto introversi, ma ci stanno se l'intento è quello di narrare di una foresta e dei suoi misteriosi abitanti. La band di Melbourne è sapiente nel miscelare post rock con una buona dose di dark, progressive e suoni cinematici vari, per quello che è il marchio di fabbrica del quartetto australiano. Poi, chi li conosce, sa perfettamente cosa aspettarsi dall'ascolto di questo nuovo capitolo: le atmosfere spettrali che si respirano nella seconda metà della prima traccia sono un esempio delle caratteristiche dei nostri ma non solo. Io li ricordo anche come abili costruttori di break di pink floydiana memoria e a tal proposito mi viene in soccorso la settantiana e nebulosa "And the Earthly Remains". "Vestige" è caratterizzata da una stratificazione di chitarre che esibisce la tecnica-compositiva dell'ensemble, che necessiterebbe tuttavia di un bravo vocalist per dare una narrazione a quello che la band allestisce in sede musicale, e per tirarci fuori dalle sabbie mobili di un genere, a volte, troppo spesso ingessato nei suoi rigidi paradigmi. "Earthrise", song da cui è stato peraltro estratto un video, parte lenta e malinconica, ma sarà in grado di aumentare i giri del motore grazie a una splendida chitarra solista che si sovrappone a una ritmica più ordinaria. "Aire River Rapids" sembra prendere le distanze dal post rock dei primi pezzi, risultando decisamente la più pesante delle tracce, complice un robustissimo riff e un drumming bello potente. Ah, una voce un po' urlata, come avrebbe fatto comodo nelle insenature di questo pezzo, e forse ancor di più nella successiva e sinistra "Mountain Ash" che sfodera un grande lavoro sia alla chitarra solista, e ancor di più a quella ritmica, che improvvisamente s'interrompe per cedere il passo a "And the Earthly Remains". "The Green Expanse" propone il secondo video di questo lavoro: un'apertura dai tratti ambient e poi i classici suoni dilatati del post rock, per una chiusura che ha il solo difetto di risultare un po' troppo scontata nei suoi contenuti, nonostante l'eccelso lavoro svolto a livello di suoni. Il fatto è che, attenendosi troppo agli standard del genere (e penso anche al tremolo picking proposto qui), il rischio è quello di sapere già cosa ci sarà ad aspettarci nell'evoluzione di un brano, e per questo opterei, anche a piccolissime dosi, all'inserimento di una voce o anche di un parlato, che dia maggiore imprevedibilità ad un disco che ha il solo rischio, di risuonarvi nelle orecchie come già sentito. E sarebbe un peccato. (Francesco Scarci)

Yattering - Human’s Pain

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Grind/Brutal Death
Fortunatamente la ripubblicazione del primo loro album, che fu apprezzata solo in Polonia, sarebbe stata solo la solita fortissima mazzata sui denti, invece con una cover dei Brutal Truth, una degli Slayer più brutali, e l’inserzione di un’altra bonus track, si rinforza questa dose di violenza. L’album è brutal grind, che aizza anche numerose digressioni di cieca ferocia, ed è in generale schizzato, secco, arido e sgraziato, con una voce straziata ed una cavernosa e profonda, forzata; strilla anche un urlo cupo. Il loro secondo album è più intricato. Questo è una soluzione, senza morbidezze, compatto, di isterie che maneggiano molteplici lame dalla batteria alle chitarre. Gli assoli spezzano la brutalità da riminiscenze thrash, ma più spesso esprimendo senso di disgusto mordace.

(Moonlight Productions/Season of Mist - 1998/2001)
Voto: 70

https://seasonofmistcatalogue.bandcamp.com/album/humans-pain

Nott - XX

#PER CHI AMA: Black Metal
Da non confondere con l'omonima creatura statunitense, i Nott di quest'oggi sono una one-man band italica, dedita a quello che il mastermind H. Archvile definisce "primitive black metal". E non posso che essere d'accordo con tale definizione, laddove "Two Decades of Oblivion" irrompe nel mio stereo con quella sua forma primigenia di black nero come la pece. Sembra un tuffo indietro nel tempo di quasi 30 anni, quando il black metteva a ferro e fuoco la penisola scandinava e avanzava strisciando minaccioso nel resto d'Europa. Ecco dove affonda le sue radici il factotum bresciano che da ben vent'anni ha in mano le redini di questo progetto (ormai al quinto album) ma che compare anche in altre realtà come i Nebrus, i Necrutero e I Sentieri di Staglieno. La proposta del polistrumentista si muove in modo piuttosto omogeneo in tutti e gli otto capitoli di questo lavoro, attraverso un riffing vorticoso e tagliente, screaming vocals che vengono inframmezzate qua e là da un cantato epico e folklorico che sembra stemperare per alcuni secondi, quella furia atavica di darkthroniana memoria messa in musica da Archvile. Se "We Are the Virus" segue pedissequamente le trame chitarristiche dell'opener, con "Naked Apes", il musicista lombardo prova quanto meno ad iniziare con un suono più compassato che da lì a pochi secondi, divamperà comunque in un incendiario attacco black. Fortunatamente la song gode di molteplici cambi di tempo che le permettono di staccarsi dal routinario sound ascoltato sin qui. C'è anche una certa parvenza di thrash metal a permeare il brano, che permette di apprezzare meglio il lavoro. Chitarre (melodiche) e voci al vetriolo contraddistinguono invece la successiva "So Close in the Fog". Il sound è veloce, ha un taglio infernale, le vocals sono oscure e le ambientazioni inquietanti, tanto da evocarmi gli Aborym più feroci degli esordi. Ancora un sound più controllato quello che si respira in "Conclave of Fire", lugubre e atmosferica e per certi versi più vicina alle produzioni passate dei Nott. Il nuovo verbo imposto da Archvile al proprio sound deve essere però quello di un black al fulmicotone, scarno e lineare quanto basta; ecco perchè al quinto minuto, si ritorna su ritmi decisamente più tirati, sebbene un'alternanza tra rasoiate e altre più atmosferiche. E se si parla di atmosfera, anche "Earth’s Black Box" deve essere inclusa tra quelle song che la esibiscono almeno per pochi secondi, per poi dar fuoco all'aria con ritmiche sanguinose (e qui anche più sghembe), per poi ripristinare la famosa quiete prima della tempesta con un cantato epico e maestoso. Il disco continua con il medesimo canovaccio con altri due brani, "Culicidae Cult" e "Twelve". Il primo mette in mostra un ipnotico giro di chitarra come matrice ritmica, pertanto una maggiore ricerca atmosferica, che forse alla fine dei conti, lo renderà il mio brano preferito. La seconda, di burzumiana memoria nella parte più evocativa, riprende con un riffing serrato a base di chitarre zanzarose e blast beat. Forse qui risiedono i limiti di questa release, che poco ha da dare in termini di originalità, ma che magari farà la gioia di tutti gli amanti della prima ondata black metal norvegese. Intriganti si, ma credo che in pochi ascolti si esaurirà l'interesse verso questa release, un po' troppo piattina per i miei gusti, nonostante abbia assistito a fine anni '80, alla nascita del black. (Francesco Scarci)

(Schierling Klangkunst - 2022)
Voto: 66

https://schierlingklangkunst.bandcamp.com/album/nott-xx