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giovedì 27 aprile 2023

Svntax Error - The Vanishing Existence

#PER CHI AMA: Psych/Post Rock
Era da un po’ che non avevo dischi della Bird’s Robe Records da recensire, ci pensavo qualche giorno fa, eccomi accontentato. A giungermi in soccorso in questa mia richiesta, ecco arrivare i Svntax Error, band australiana che rilascia questo ‘The Vanishing Existence’ a distanza di quattro anni dal precedente ‘Message’. La proposta, come potrete intuire dall’etichetta discografica, è un fluido post rock (semi)strumentale come solo la Label di Sydney sa offrire. Dico fluido perché è la prima sensazione che ho fatto mia durante l’ascolto della traccia d’apertura “Radio Silence”, timida, psichedelica, quasi ipnotica, a cui si aggiunge poi quell’ipnotismo claustrofobico intimista della seconda “Broken Nightmares”, che vede peraltro comparire la voce di Ben Aylward in un pezzo dai forti brividi lungo la schiena, un vellutato manto di dolce malinconia che fa allineare i miei chakra a quelli dei musicisti originari di Sydney. “215 Days” è ancora imbevuta di note di velluto, flebili e morbide come la famosa copertina di Linus, un porto sicuro, un abbraccio della persona amata, un posto dove piangere, riflettere o rilassarsi. “Circular Argument” è invece un pezzo più da lounge bar, di quelli dove un riff o un giro di chitarra si fissa nel cervello e da li non si muove; nel medesimo brano ritorna anche la voce del frontman a confortarci con la sua ugola gentile. Esperimento che si ripeterà anche nella percussiva, arrembante e ben riuscita “Relentless”, un brano che mi ha in questo caso richiamato gli Archive più sperimentali, e nella conclusiva “Backwards Through the Storm”, in una sorta di tributo ai Tool. La title track si affida ad un post rock strumentale cupo e dal flavour notturno, che nella sua crescente dinamicità, potrebbe addirittura evocare un che dei Pink Floyd. Ultima menzione per “Kelvin Waves Goodbye”, con i sentori pink floydiani che si coniugano alla perfezione con gli estetismi shoegaze dei Mogwai, ma dove a prendersi tutta la scena, è in realtà lo spettacolare suono del theremin di Matthew Syres. Provare per credere il crescendo di un brano di una portata spettacolare, unico ed epico, che vi invito decisamente a supportare. (Francesco Scarci)

mercoledì 26 aprile 2023

Karnak - Melodies of Sperm Composed

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Techno Death
La band in questione nasce come Subtraction nel ’93 con una line-up differente; dopo cambi di formazione, di monicker, correzioni di stile, tre demo tape, un mini cd ed un cd, giungono a questo lavoro intitolato 'Melodies of Sperm Composed'. Non avevo mai ascoltato nulla di questa band e non immaginavo che in Italia esistesse un gruppo del genere! Infatti il sound del gruppo è composto da una personale e strabigliante miscela di death metal ipertecnico dal gran gusto compositivo e dalla grande varietà di idee ove ogni musicista dà l’impossibile ed ogni secondo di ascolto si rivela una sorpresa! Questi quattro matti sono irraggiungibili ma il più malato è probabilmente Gabriele Pala: le sue parti di chitarra sono folli e quelle di tastiera sono macabre, morbose, deviate, allucinanti, squilibrate, originalissime e totalmente fuori dall’ordinario! Questo gruppo insegna qui a come usare la tecnica come mezzo e non come fine, e spaccando pure il culo! Insomma, immaginate un disco che comprenda l’influeza di Meshuggah, Arcturus, Death, Nocturnus, Pestilence, Voivod, Cynic e compagnia bella, non era questo che stavate aspettando? Le liriche di questo disco parlano poi di malatissime perversioni e visioni di assassini ormai completamente estraniati dal mondo e probabilmente lo è anche chi le ha scritte! La stravaganza delle parti musicali calza perfettamente con le incredibli nefandezze raccontate dai testi. L’artwork è curato e a tema. La produzione è buona e il fatto che il disco sia stato registrato in soli quattro giorni, conferma l’eccelsa abilità dei componenti di questo magistrale gruppo. Ottimo lavoro.

(The Twelfth Planet Records - 2001)
Voto: 80

https://www.facebook.com/karnak.death/

Fiesta Alba - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Math Rock
Se cercate qualcosa che possa alterare i vostri sensi con sonorità stravaganti, oggi potreste essere nel posto giusto. Si perché questi Fiesta Alba provano a ridare un po’ di vitalità ad una miscela di suoni stralunati che sembrano pescare qua e là indistintamente da funk (alla Primus), post punk, math rock, alternative e sperimentazioni varie. Tutto chiaro no? Per me francamente non è stato proprio così semplice, visto che ho dovuto ascoltare e riascoltare l'ipnotico trip iniziale affidato a “Laundry” diverse volte. Eppure, ho vinto le mie paure e mi sono lasciato sedurre da quel sound sperimentale, contaminato da un certo percussionismo etnico, dall’elettronica, dal funk e appunto dal post punk (prettamente a livello vocale, ove segnalerei la comparsata del primo ospite dell’album, Nicholas Welle Angeletti). Più si avanza nell’ascolto e più diventa complicato per uno come me abituato a pane e black/death metal. In “Juicy Lips” vengo addirittura inglobato in una spirale dub, in cui i suoni si ripetono in un inquietante moto circolare con un cantato, ad opera della guest The Brooklyn Guy, che sbanda pericolosamente nel rap, mentre quel che rimane delle chitarre (qui sommerse da un massivo lavoro elettronico), vaga per cazzi propri in caleidoscopici universi paralleli, di cui ignoravo l’esistenza. Un turbinio sonoro che evolve in un chitarrismo dissonante nella successiva “Dem Say”, che sembra consengnarci un'altra band, in grado qui di condurci nel cuore dell’Africa nera, grazie ad un’effettistica mai ingombrante, ma che comunque ci distrae da tutto quello di folle che va comunque palesandosi nel corso di questo brano, con una voce (il featuring è qui del nigeriano Kylo Osprey) che narra di favole sulla madre di tutte le terre mentre un virtuosismo chitarristico da paura (in tremolo picking) gioca con le note in sottofondo. “Burkina Phase” combina splendide e ariose chitarre all’elettronica, in un incastro di suoni ricercati, mentre una flebile voce (Thomas Sankara) estratta dal “Summit Panafricano, 1987”, sembra gridare il suo desiderio di libertà verso il neocolonialismo. Il movimento funky richiama anche in questo caso l’estetica freak e zappiana dei Primus, l’elettronica evoca il kraut rock germanico, ma quel sax in bella mostra emana vorticose emozioni jazz. La chiusura del disco è affidata a “Octagon”, un pezzo elettronico, un battito del cuore, un ossessivo agglomerato di suoni che sancisce la genialità di questo misterioso ensemble formato da quattro lottatori mascherati, Octagon, Pyerroth, Fishman e Dos Caras, che sapranno assoldarvi nella loro lotta contro il conformismo della società contemporanea. Io sono pronto ad unirmi alla sommossa popolare dei Fiesta Alba e voi? (Francesco Scarci)

(Neontoaster Multimedia Dept – 2023)
Voto: 75

https://fiestaalba.bandcamp.com/album/fiesta-alba

martedì 25 aprile 2023

Wintarnaht - Anþjaz

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Formatisi originariamente col moniker Winternight e come one man band capitanata dal bardo Grimwald (che sta dietro anche a band quali Dauþuz e Isgalder, oltre ad essere un ex di molte altre), il buon mastermind ha poi tradotto il proprio nome nella forma germanica più arcaica, ossia Wintarnaht, proponendo una commistione di suoni epic black pagani in questo lavoro intitolato ‘Anþjaz’. La classica intro atmosferica e poi via alle epiche battaglie già dalla title track di questo quinto album della band della Turingia. Se la copertina del cd lasciava presagire un prodotto scarno e forse mal registrato, in realtà ho trovato i contenuti di ‘Anþjaz’ al pari dei primi brillanti lavori dei Menhir (fatalità anche loro della Turingia, quasi ci fosse un magico sottobosco in quella zona di foreste della Germania) in grado di quindi di sciorinare un pomposo concentrato di black ispiratissimo che si muove tra arcaiche melodie, cori folklorici e galoppate di black furente, che trova però spesso e volentieri rallentamenti atmosferici che rendono il tutto decisamente più gustoso e appetibile (ascoltatevi “Wint Zuo Storm” per meglio comprendere il flusso musicale del factotum teutonico). “Regangrâo” è un bell’intermezzo acustico che ci conduce alla devastante “Haimaerþa”, una scheggia impazzita di black grondante odio nelle sue ritmiche infuocate e nel growling/screaming efferato del frontman. Grimwald picchia sicuramente come un fabbro, ma stempera l’irruenza del black con i suoi intermezzi folk con tanto di cori, che per certi versi mi hanno evocato gli Isengard. Nella lunga e tenebrosa “Untar þe Germinâri Mâno”, il black si sporca di sonorità doom che vedono in splendide aperture chitarristiche, tiepidi squarci di luce, cosi come pure il cantato pulito rende tutto evocativo, al pari di un basso che macina lugubri suoni in sottofondo. Ancora un break strumentale e poi arrivano le ultime due tracce, di cui vorrei sottolineare la vivacità di “Staingrab in þe Morganbrâdam”, ove ho la sensazione di captare tracce di Absu nelle sue linee di chitarra che nel finale, si sbizzarriscono in una ritmica impetuosa e devastante, diluita solo dal lavoro delle tastiere e dai molteplici cambi di tempo e coro. In chiusura, “Ûzfaran” sembra nascere dalla chitarra di un impavido menestrello, per poi evolvere in una sorta di rituale sciamanico che chiude alla grande un lavoro a cui francamente non avrei dato un euro e che invece ha saputo conquistarmi per i suoi interessanti contenuti. Ben fatto. (Francesco Scarci)

Zagara - Duat

#PER CHI AMA: Alternative Rock
L'ascolto di questo album mi lascia più di un punto di domanda. La band torinese, alla sua seconda uscita discografica, parte molto bene, e fino al quarto brano, "Apophis", strumentale e sperimentale in senso electro ambient rumorista, si comporta in modo degno di lode, curando testi e artwork in maniera ottimale. Le idee su cui imbastiscono il loro scopo sonoro sono attraenti, tra cantato e sfumature melodiche che raccolgono frammenti di prog rock italico dei mitici anni '70 miscelato a un alternative sound capitanato da una distorsione zanzarosa, esplosiva e accattivante, che espande l'idea di trovarsi di fronte ad una band assai originale, con richiami alla new wave degli '80 di Faust'o e Denovo, cosi come pure trapela una dose di passione per l'electro rock e l'elettronica nazionale moderna. Il tutto lascia sperare in un piccolo miracolo dei giorni nostri, visto come ce la passiamo per via di musica cantata in lingua madre in Italia. "Maat", "Quello che ha un Peso", "Se ha Fame" e appunto "Apophis", hanno questo sentore, se poi ci si aggiunge quel giusto pizzico di alternative rock emotivo, di vecchia scuola Afterhours o Verdena, senza difficoltà, ci si rende subito conto che i primi quattro brani diventano molto piacevoli. Questa sensazione purtroppo, viene a decadere nei successivi brani, dove l'ispirazione sembra attenuarsi per aprirsi a strade, per così dire più consone allo standard commerciale italico. Intendiamoci, l'album è ben fatto e ben prodotto, la band suona bene e quello che fa, lo fa bene, ma quando cade la tensione e si opta per aperture pop rock, dalla dubbia intuizione compositiva, sulla falsariga dei Coldplay di recente ascolto ("Pezzi di Ossa"), oppure, si crolla crudelmente in uno stile sanremese ("lluminami"), che crea una voragine tra i primi quattro brani e i successivi tre, bisogna prendere atto di un certo sconforto musicale. E se "Illuminami" dicevo potrebbe partecipare e vincere tranquillamente la kermesse ligure, "Amnesia", finalmente, risolleva la verve dei Zagara e si riappropria un po' di quel coraggio sperimentale presente all'inizio del disco. "Sole e Limo" parte un po' in sordina, ma ha un bellissimo finale, estremamente distorto, che compensa un'evoluzione abbastanza piatta. La chiusura è affidata a quello che probabilmente è il brano più intenso del disco, "Lago", che con coraggio, unisce ritmica post rock ad un cantato/recitato ad effetto, in un'atmosfera surreale e drammatica, con delle sospensioni temporali di scuola floydiana, miste ad aperture ed evoluzioni teatrali veramente intriganti. Un brano, a mio avviso, che può, e deve dare, la direzione artistica futura di questa band, che sembra non aver ancora trovato la sua vera identità, ma che ha tutte le carte in regola per divenire un qualcosa di veramente originale nel panorama italiano. Rimaniamo in paziente attesa. (Bob Stoner)

(Overdub Recordings - 2022)
Voto: 69

https://zagara.bandcamp.com/album/duat

Drakon - П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е (Awakening)

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
Mi fa piacere poter constatare che nonostante gli strascichi della guerra, arrivino nella mia cassetta della posta, ancora cd dalla Russia. Sapete come la penso, per me la musica non ha confini, non ha colori, nè bandiere. Quindi il mio giudizio sui Drakon e sul loro lavoro ‘П​р​о​б​у​ж​д​е​н​и​е’ (‘Awakening’ in inglese) è libero da ogni forma di pregiudizio. Concentriamoci quindi su quello che è a tutti gli effetti il disco di debutto del duo di Chelyabinsk (che conta anche tre EP all’attivo) e su sonorità che sin dall’iniziale “Closedness of Forest Darkness” mi hanno evocato i fasti degli Emperor. Ecco, avrete già inquadrato la musica dei nostri che peraltro includono in formazione anche il vocalist Demether Grail, un vagabondo del metal che abbiamo già incontrato nei Lunae Ortus, negli Shallow Rivers, negli Skylord e negli Arcanorum Astrum, giusto per citare le esperienze più significative. Tornando alla musica, il disco include sette song che sono fondamentalmente un inno al black metal old fashion di metà anni ’90, “sporcato” di una leggera vena melodica che rende sicuramente di più facile approccio l’ascolto di questo disco. Infatti anche la seconda “In the Gloomy Feuding” (userò i titoli in inglese forniti dalla band per facilitarne la memorizzazione) parte sparata alla velocità della luce, con ritmiche vertiginose, chitarre in tremolo picking e le classiche screaming vocals, come andava di moda negli anni d’oro del black norvegese, per poi trovare un delizioso break centrale che ne attutisce toni e velocità. L’incipit di “Lunar Path” è cupo e successivamente frastornante a livello ritmico, con una batteria che sferra colpi alla stregua di una mitragliatrice M60 e con la voce del frontman, che esce come proiettili da quello strumento infernale. Fortunatamente, un break atmosferico rende l’aria appena più respirabile, ma ben presto la band ripartirà da ritmi infuocati e acidi vocalizzi. Ecco, diciamo niente di nuovo dal fronte orientale. La proposta dei Drakon va ad appiattire una scena sempre più povera di proposte originali, anche se vorrei sottolineare che quella dei due musicisti russi non è assolutamente una prova da bocciare. Anzi, qualcosa di buono si sente, soprattutto nella più compassata e melodica “In the Murk of Night”, ma il messaggio che deve passare chiaro qui, è che non c’è una sola nota in questo disco che possa dirsi dotato di una certa personalità. Per quanto mi riguarda, i Drakon hanno preso il testimone da alcune realtà norvegesi di 30 anni fa e stanno provando semplicemente a portarne avanti il verbo con risultati accettabili. Un paio di menzioni prima di chiudere vanno all’acuminatissimo riffing di “Above All” e all’epica robustezza di “Ode to North”, quest’ultimo forse l’episodio meglio riuscito di ‘Awakening’, che vanta peraltro un notevole assolo a cura di tal Pavel Sochev, personaggio esterno alla band, cosi come il bassista Vadim Basov e il batterista Vyacheslav Popov. Per concludere, ‘Awakening’ è un lavoro indicato a chi ha amato il black norvegese e ancor oggi insegue i fasti di un genere che sembra non essere più in grado di uscire dalle sabbie mobili della propria storia. (Francesco Scarci)

(Soundage Productions – 2022)
Voto: 64

https://drakonblackmetal.bandcamp.com/album/-

venerdì 21 aprile 2023

Carnival in Coal - Fear Not

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Avantgarde Death/Grind
Skizzati! È la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando il terzo album di questi due francesi attivi dal 1995. La Season of Mist li descriveva come se i Morbid Angel avessero una overdose di Mr Bungle. Beh, anche se dei Morbid Angel non se ne sente granchè e i Mr Bungle non li conosco (ma so cosa posso apettarmi dal leader dei Faith No More), mai messaggio promozionale fu più azzeccato. Per farvi capire la stravaganza dei Carnival in Coal mi vengono in mente solo i Solefald di 'Neonism', anche se dei Solefald solo in pochi momenti si riscontrano le sonorità e la genialità. Le composizioni dei due francesi sono meno fluide e un po’ troppo eterogenee; d'altronde come coniugare violentissimi stacchi grind con musichette da gameboy come in "Daaahhh!!", o brani brutal death con basi Disco Music anni '70 come in "1308.JP.08*"? Gli episodi migliori sono quelli in cui uniscono la furia del brutal con ritornelli funky rock come in "Yes, We Have no Bananas" e "Don’t be Happy, Worry!". Già dai titoli potete capire lo stato d’animo del disco ma non pensiate che i C.I.C. non facciano sul serio, nulla è lasciato al caso, sono precisi e la registrazione è ottima. Certo è un album molto difficile o, meglio, è difficile digerire un tale miscuglio di generi e sonorità ma a me è piaciuto molto.

(Season of Mist - 2001)
Voto: 75

https://www.facebook.com/CinCofficial

Deicide - In Torment In Hell

#PER CHI AMA: Death Metal
Upon first hearing this, I think it's one of Deicide's worst albums with the Hoffman brothers. I thought 'Insineratehymn' was pretty generic despite my high score upon a few listens to. The newer generation of Deicide is pretty bad, 'The Stench of Redemption' I marked pretty poorly but in retrospect that was a decent album with Ralph Santolla (RIP) and Jack Owen. But 'In Torment In Hell' I still like, I just think it's really sloppy and uncreative. They kind of pulled a 'Serpents of the Light' intro with the title-track but it's just turned into their own riff. They're pretty careless on here and left their creative juices behind.

I like the intro, but overall the music just sucks. They didn't offer much in airing 31 minutes of shit metal. I'm not sure if they had their contract up with Roadrunner or what. A totally thoughtless release which had many fans (including me) disappointed. How can they take a break and make up for this. With 'Scars of the Crucifix'? I don't know, maybe. But the Hoffman brothers legacy is over onto the next generation (which it has been) of Deicide. I'll always appreciate the first 4 releases from this band. But talk about getting lazy! That's exactly what they did here and their previous (as I noted).

Nothing on here is worth getting excited over. You would think a band would progress over the years and not the reverse of that. But they just show you that they just suck on this album. It doesn't matter what track you pick, they're all equally worthless. I actually went ahead and ordered this on eBay hoping that some day I'll appreciate this album. Listening to it on headphones has me keyed into all the flaws with it that I don't want to do. They used to be an inspiring death metal band with riffs that were supercharged and creative. I guess that they just didn't want to continue their career making quality material.

I heard this on Spotify with disbelief. What happened!! This average score was 45% and hell my score is right about there too! I wouldn't say to buy this even if you are a Deicide fan. I did, but with much reluctance. Putrid as hell, what a major dud! There's nothing on here worth mentioned maybe check out the title-track, "Vengeance is Mine" and "Christ Don't Care." Then you'll get an idea of what to expect. They're still death metal, just at their worst. I don't want to turn you off from being a fan of the band it's just that when music sucks, something has to be said why or what happened that made it that way. Beware! (Death8699)


(Roadrunner - 2001)
Score: 45

https://www.facebook.com/OfficialDeicide/