#PER CHI AMA: Doom/Post/Avantgarde |
Devo ammettere di essermi avvicinato con una certa titubanza a questo lavoro, in quanto le ultime uscite in casa Solitude, non mi avevano granché convinto, a causa di un eccessivo crescere di un movimento, quello doom, che se continuerà ad essere sfruttato in modo cosi massiccio, rischierà di veder ben presto la sua fine. Tuttavia, il debut album di questi brasiliani dal nome astruso, non fa che impressionarmi positivamente e vederli affiancare ai connazionali Helllight, come compagni di etichetta. Qui, non siamo di fronte ad una proposta tipicamente funeral doom, ma la musica del combo di San Paolo, colpisce piuttosto per la sua componente avanguardistica, che ben si fonde con quella death doom. Quel che è certo è, che anche qui si viaggia su durate piuttosto lunghe dei brani, con “The Consequence of the Other” che risulta essere una song ostica, difficile da delineare al primo ascolto, perché pur viaggiando su coordinate stilisticamente vicine al doom, trova il modo di impreziosire la propria proposte con inserimenti estemporanei di female vocals. La seconda “Won’t You Come?” si fa ricordare per un riffing di chitarra ipnotico e melodico, che immediatamente si stampa nel cervello e per uno splendido break centrale, dal vago sapore post rock (ottimo il pseudo assolo e l’intera componente ambient), mentre le vocals si alternano tra un cantato da cavernicolo ed uno più pulito. Ho alzato pertanto le mie antenne, capendo che il debut album degli Abske Fides, non è qualcosa che suona in modo scontato, ma piuttosto, va ascoltato con crescente attenzione, perché i particolari che si possono captare, risultano davvero azzeccati e notevoli da un punto di vista di godibilità del prodotto. Ecco non voglio sembrare uno da televendita, ma mi sembra di scorgere nel sound dei nostri paulisti, un tocco di originalità, che fin qui era venuta a mancare nelle uscite della label russa. Non tutto fila per il verso giusto, in quanto affiorano momenti di stanca, che si potevano sicuramente evitare o per lo meno, non tirare cosi tanto per le lunghe e penso all’infinito inizio onirico/visionario di “Coldness”, ma cavolo, non appena parte una chitarra seventies, di scuola pink floydiana, non posso che sobbalzare sulla mia sedia e porgere ancor più attentamente il mio orecchio, e sentire quelle meravigliose plettrate sulle corde della chitarra che mi fanno godere non poco. Poi le vocals si mostrano magari un po’ deboli, ma poco importa se il feeling che respiro è di quelli da dischi acustici dei favolosi anni ’70. E 70 sarà anche il mio voto finale, come forma di incitamento per il terzetto sud americano a continuare su questa tecnica, affinando di sicuro la tecnica, per quello che potrebbe rischiare di diventare un sensazionale lavoro finale. Gli undici minuti e passa di “Aesthetic Hallucination of Reality” sono belli lunghi, un po’ grezzi e rappresenta alla perfezione quello su cui i nostri dovrebbero lavorare maggiormente per non rischiare di dilungarsi troppo nelle loro elucubrazioni mentali. Menzione conclusiva per l’ultima traccia, “Embroided in Reflections” che palesa invece le influenze più spiccatamente post della band, con un sound notturno. Ve lo dico io ragazzi, non siete una band doom, potete essere tranquillamente qualcosa di più, pertanto non vi nascondete dietro un riff trito e ritrito per farvi apprezzare dalle masse di doomsters, basti ricordare gli esordi degli Anathema e di quell’”Eternity” che li ha portati oggi ad essere quello che sono. L’esperienza insegna e se il nostro bel trio proveniente dal Brasile, sarà bravo a giocarsi le proprie carte, sono certo che potremo sentir parlare di loro molto presto… Audaci ma ancora un po’ troppo timidi (Francesco Scarci).
(Solitude Productions)
Voto: 70
Voto: 70