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domenica 30 marzo 2025

Octoploid - Beyond The Aeons

#PER CHI AMA: Melo Death/Folk
Se sei un appassionato degli Amorphis, preparati a essere travolto da 'Beyond The Aeons', il fantastico album di debutto degli Octoploid! Questa si configura come una sorta di side project di Olli-Pekka Laine (bassista degli Amorphis) includendo anche un altro ex, Kim Rantala, il vecchio tastierista che ha lasciato il segno ai tempi di 'Elegy'. E inevitablmente, le influenze non tardano a farsi sentire, in un'opera che si distingue per la combinazione di elementi di death progressivo con influenze folk e sonorità psichedeliche. Vi ricorda niente? L'apertura è un vero colpo al cuore con "The Dawns in Nothingness", dove si fa sentire l’incredibile voce di Mikko Kotamäki degli Swallow the Sun (che ritroveremo anche in "The Hallowed Flame" e nella meno convincente "Concealed Serenity"). Questo brano, come opener, cattura immediatamente l’attenzione con i suoi riff potenti e melodie irresistibili, rievocando il fascino degli anni '70, mostrando una notevole abilità nel mescolare sonorità diverse, creando transizioni fluide tra momenti di pura aggressività e sezioni più melodiche. "Coast of the Drowned Sailors" è un inno agli Amorphis di 'Tales from the Thousand Lakes'. Qui, la voce di Tomi Koivusaari, che mi ha fatto innamorare delle melodie avvolgenti dei finlandesi, si unisce a quella di Janitor Muurinen degli Xysma, creando un connubio di ricordi e nuova magia. L’affinità con gli Amorphis è palpabile: entrambe le band sanno come incantare con la melodia e atmosfere psichedeliche, ma gli Octoploid si divertono a esplorare un approccio più giocoso e variegato. Andando avanti nell'ascolto, cambiano le performance dietro al microfono, con la comparsata di Tomi Joutsen (attuale frontman degli Amorphis) nell'inizialmente allegra - prima di addentrarsi in territori più oscuri e death oriented - "Human Amoral", Petri Eskelinen (dei Rapture) nell'inizialmente vivace - poi più tetra - "Shattered Wings". Infine, Jón Aldará, il talentuoso cantante degli Iotunn, arricchisce con la sua voce "A Dusk of Vex", dando un ulteriore tocco a questo debutto impressionante che, pur richiamando gli Amorphis, conquista per la sua freschezza unica e irresistibile. (Francesco Scarci)

(Reigning Phoenix Music - 2024)
Voto: 80

https://octoploid.bandcamp.com/album/beyond-the-aeons

sabato 29 marzo 2025

Vola - Friend of a Phantom

#PER CHI AMA: Djent/Groove Metal
'Friend of a Phantom', il quarto album in studio dei danesi Vola, consolida ulteriormente – se mai ce ne fosse stato bisogno – il loro sound unico, un mix eclettico di sonorità djent/progressive arricchite da sfumature pop che creano un insieme sonoro vibrante e complesso. L'apertura affidata a "Cannibal" incarna alla perfezione questa formula: un riff djent vigoroso squarcia l’oscurità, accompagnato da melodie accattivanti e dalla voce pulita di Asger Mygind, che si contrappone al growl iconico di Anders Fridén (In Flames). Questo dinamico equilibrio tra aggressività e melodia, già evidente nell'opener, diventerà un leitmotiv dell'intero disco, rappresentando uno dei tratti distintivi del quartetto di Copenaghen. Consapevoli della loro identità e delle loro capacità, i Vola confezionano una serie di tracce irresistibili, arricchite da chitarre incisive e melodie indimenticabili. Basti ascoltare "Break My Lying Tongue", il cui riff iniziale si imprime nella mente al primo ascolto, o lasciarsi catturare dall'intensità emotiva della ballad "Glass Mannequin". L’album si distingue anche per l’abilità nel creare contrasti evocativi, come nelle atmosfere sognanti di "We Will Not Disband" (e della bellissima e malinconica "I Don't Know How We Got Here") o nei synth lussureggianti che avvolgono "Paper Wolf". La versatilità della band emerge inoltre nelle derive post-rock di brani come "Bleed Out", che richiama vagamente l'approccio sperimentale di The Ocean. La qualità produttiva è eccezionale: ogni strumento emerge con una nitidezza impressionante in un mix curato nei minimi dettagli. L’effetto complessivo è un’esperienza immersiva che valorizza ogni sfumatura dell’opera e dimostra la maturità raggiunta dalla band. 'Friend of a Phantom' non è soltanto una conferma del talento dei Vola, ma anche un piccolo capolavoro che merita di essere esplorato e ammirato fino in fondo. (Francesco Scarci)

giovedì 27 marzo 2025

Disinter - Welcome Oblivion

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zin
#PER CHI AMA: Thrash/Death
Questo gruppo di Chicago mescola tecnicamente, grazie anche ai sia pur pochi interventi del basso, e più spesso nel classico incedere death, parti lente, brutali e accelerazioni isteriche. La voce passa da cavernosa a urlata e psicotica, in pochissimo tempo. Diversificati gli arrangiamenti e gli stacchi di batteria che appesantiscono e aumentano l’impatto anche negli stralci lenti. Numerose melodie, che si esplicano attraverso assoli e ritmiche, compongono questo album in modo non monotono, assieme anche a molti intermezzi parlati e alcune intro più cupe. Diversamente, le canzoni colpiscono alternando oscure vesti ad approcci più secchi e sincopati, in una sorta di thrash/death assai ritmate. Una buona registrazione chiude un disco che non rimarrà certo negli annali della musica ma che comunque si lascia gradevolmente ascoltare.
 
(United Guttural Records - 2000)
Voto: 65
 

lunedì 24 marzo 2025

Panzerfaust - The Suns of Perdition - Chapter IV: To Shadow Zion

#PER CHI AMA: Black/Death
Ignoravo l’esistenza dei Panzerfaust, e ora mi maledico per questo abisso di ignoranza! È stata una casualità, un inciampo su Spotify, a condurmi tra le spire di 'The Suns of Perdition - Chapter IV: To Shadow Zion', l’ultimo atto dei canadesi, e sono rimasto pietrificato, la bocca spalancata davanti a un’oscurità che mi ha divorato l’anima. Questo disco non è solo un album: è il capitolo finale, trionfale e funereo, che sigilla l'oscura tetralogia iniziata nel 2019, un’opera monumentale che mi ha trafitto con la sua cupezza fin dalle prime note. “The Hesychasm Unchained” mi ha ghermito con ritmiche iniziali che stillano disperazione, mentre i vocalizzi dei due cantanti – simili a lamenti di dannati – s'incastrano in una struttura ritmica che soffoca, un mélange spaventoso e irresistibile di black e death, brutale eppure melodico, marchio di fabbrica di questo quartetto dell’Ontario. È un’epopea macabra, una cavalcata di cinque capitoli che si dipana per tre quarti d’ora, un viaggio nelle tenebre dove l’opener brilla come un faro nero, ma dove ogni traccia pulsa di un’energia maledetta. “When Even the Ground Is Hostile” irrompe con sincopi che tagliano come lame arrugginite, mentre “The Damascene Conversions” si erge più lenta, quasi solenne, con una dinamica che intreccia cambi di ritmo, graffi acustici che lacerano il silenzio e armonie strumentali che affascinano come un rituale proibito. Niente interludi, stavolta: il flusso è inesorabile, un torrente di desolazione sorretto da atmosfere che ti avvolgono come nebbia su un camposanto abbandonato, amplificando una narrazione che stringe il cuore in una morsa. E poi, l’apice del terrore: “Occam's Fucking Razor” è una lama di black/death sghembo e martellante, un assalto che squarcia ogni speranza, seguito dalla conclusiva “To Shadow Zion (No Sanctuary)”, un monolito opprimente che cala il sipario su questo disco come una sentenza di morte. Non ho scampo: questo lavoro mi ha incatenato, obbligandomi a scavare nelle viscere degli altri capitoli della saga. I Panzerfaust sono una rivelazione oscura, e io sono condannato a seguirli nell’abisso!(Francesco Scarci)

sabato 22 marzo 2025

Saor - Amidst the Ruins

#PER CHI AMA: Folk/Black
Dalle nebbie delle Highlands, dove il vento canta inni di un passato dimenticato, i Saor, guidati dal visionario Andy Marshall, hanno rilasciato un nuovo capitolo sonoro in grado di scuotere le fondamenta del tempo. 'Amidst the Ruins', sesto capitolo della loro discografia, si manifesta come un portale verso l’anima selvaggia della Caledonia. Cinque brani, cinque torri di suono che si ergono tra le rovine di un mondo perduto, intrecciando black atmosferico a melodie folkloriche, in un arazzo di tragica bellezza che risuona tra le valli e i glen della Scozia, un inno alla terra e ai suoi spiriti ancestrali. La title track è il primo brano e si presenta, travolgendoci con i suoi riff possenti e i tamburi che rullano come un esercito in marcia, mentre le melodie delle tastiere soffiano come brezze lontane. La voce di Marshall stride come un corvo sopra le rovine, mentre flauti e cornamuse si levano in un canto di gloria e rovina. È un viaggio in epoche lontane tra le pietre spezzate di antichi castelli, dove ogni nota è un colpo di spada e ogni melodia, un’eco di un regno caduto. Ma non scopriamo certo oggi il valore di una band che adoro da sempre. Questo è quanto possiamo godere già dall'opening track e dalle sue eccelse melodie cinematiche, ma anche dalla successiva "Echoes of the Ancient Land", che esplode sin dall'inizio con ritmiche che galoppano come cavalli selvaggi su e giù per le colline. Poi, un’orgia di fiati e archi succede al caos, dipingendo visioni di foreste fiabesche. L’atmosfera è maestosa, un’ode ai tempi in cui gli dèi camminavano tra gli uomini, con un crescendo musicale e vocale - complice per quest'ultimo le splendide clean vocals di Marshall - che spinge verso cime nebbiose, ma solo per lasciarci poi cadere in un abisso di malinconia che si concretizzerà sul finale del brano. Non ci sono parole. E in "Glen of Sorrow", il tono si fa più cupo e solenne inizialmente, per poi lasciar viaggiare melodie folk e fantasie in un sound che sembra evocare anche un che degli Alcest. La voce eterea di una gentil donzella (Ella Zlotos) si affianca a quella del mastermind scozzese in un maestoso tripudio sonico. Arpeggi acustici e i tiepidi sussurri di Andy caratterizzano invece "The Sylvan Embrace"; presto la voce di Ella lo raggiungerà in questo momento di pace inquieta, dove un'ombra sembra tuttavia suggerire l'imminente ritorno del caos. Presto accontentato, visto che "Rebirth" divampa con il suo assalto di chitarre e blast-beat in un titanico inno di rinascita. Quattordici minuti di pura trascendenza in un brano che si muove in realtà su un mid-tempo malinconico e in un'atmosfera che richiama una fenice che risorge dalle ceneri, un ciclo di morte e vita che si chiude con un ruggito eterno. 'Amidst the Ruins' è un album notevole, un black metal atmosferico che non si limita a sfogare oscurità, ma la eleva con melodie folk che colpiscono l’anima. Ogni traccia è un capitolo di un’epopea, un ponte tra il passato glorioso della Scozia e un presente che ne reclama l’eredità. (Francesco Scarci)

giovedì 20 marzo 2025

Sólstafir - Hin Helga Kvöl

#PER CHI AMA: Alternative Rock/Folk
'Hin Helga Kvöl' è il nuovo album dei Sólstafir, un viaggio sonoro che si snoda come una strada polverosa attraverso un paesaggio desolato, dove il sole tramonta su un orizzonte di emozioni contrastanti. Come da sempre la band islandese ci ha abituato, nel loro sound riusciamo a trovare un mix di post-rock, metal e influenze folk, che cattura l'essenza di una terra antica e misteriosa. L'album si apre con "Hún Andar," un brano che introduce l'ascoltatore a un'atmosfera quasi mistica. Le chitarre vibrano come il canto di una chitarra acustica suonata attorno a un fuoco, mentre la voce di Aðalbjörn Tryggvason si erge come una figura solitaria in un vasto deserto, in un canto antico rafforzato dall'utilizzo delle liriche in islandese, ormai vero marchio di fabbrica per i nostri. La produzione è curata, permettendo a ogni strumento di risaltare senza sopraffare l'emozione trasmessa dalle liriche incentrate su temi emozionali. La title track ha un incipit oscuro che dà ampio spazio alla tribalità possente delle sue percussioni (in certi punti mi ha evocato addirittura gli Slayer), lasciando poi il posto a un riffing serrato, epico che evoca immagini di battaglie passate e paesaggi maestosi, in cui oltre a brandire le spade, è la voce del frontman a ergere il suo grido in cielo. La varietà stilistica è uno dei punti di forza del quartetto di Reykjavík e "Blakkrakki" dimostra la capacità di variazione del tema con la più classica impostazione alternative southern rock della band. "Sálumessa" incarna, con le sue melodie lente e soffuse, quello spirito magico e ancestrale che caratterizza le composizioni dei nostri. "Vor ás" prosegue in una dimensione ultraterrena, aggiungendo addirittura la voce femminile di tal Erna Hrönn Ólafsdóttir in una song oscura e non so ancora, se realmente ben riuscita. Un malinconico pianoforte introduce a "Freygátan", in cui troviamo un altro ospite, Borgar Magnason, al doppio basso, per una song dal forte sapore depressive rock. E a proposito di forza, ecco arrivare "Nú Mun Ljósið Deyja", traccia rabbiosa e ricca di intensità emotiva. In chiusura, la ritualistica "Kuml (Forspil, Sálmur, Kveðja)" offre l'ennesima dimostrazione della sapienza dei nostri nel trasportare l'ascoltatore in luoghi lontani, grazie all'utilizzo di sax e voci pulite all'interno di una elegante cornice atmosferica. Sicuramente, 'Hin Helga Kvöl' non è la migliore opera dei Solstafir, ma comunque è un buon lavoro atto a sancire l'originalità della band nordica. (Francesco Scarci)

martedì 18 marzo 2025

Isleptonthemoon - Only the Stars Know of My Misfortune

#PER CHI AMA: Blackgaze/Depressive Black
Per gli amanti di sonorità depressive/blackgaze, ecco 'Only the Stars Know of My Misfortune', ultimo album della band statunitense Isleptonthemoon. Il tutto è confermato sin dall'iniziale "Safety", che ci permette di inserirci nella trame oscure e introspettive (direi post-rock) della one-man-band di Atlanta, prima delle esplosioni post black che ci accompagneranno invece nella seconda parte della traccia, tra screaming vocals e furenti blast beat. Questo sarà un canovaccio che vedremo ripetersi in più occasioni all'interno del disco, già a partire dalla furiosa ritmica di "Dimming Light", che lascia comunque aperta la porta ad aperture melodiche ed eteree, per quanto, a un primo ascolto, potrebbe suonare come una song caustica e caotica, che trova anche modo di evocare i Deafheaven degli esordi. Sublime per le mie orecchie, tanto che ho già ordinato il vinile. E si prosegue con le chitarre acustiche di "Maybe I Don’t Know It Yet, but Good Things Are Coming Soon", e uno slowcore che ben s'incastra in un contesto più allargato del disco. Il finale è puro depressive/suicidal black metal con un melodico tremolo picking da lacrimoni. Ancora poesia per le mie orecchie con "I Belong to the Void" e le sue atmosfere soffuse che vanno via via crescendo in una evoluzione sonora tesa tra blackgaze (scuola Alcest), luci soffuse post rock e un'emozionalità intensa, immensa. "Like Dying" sembra iniziare con modalità affini ai nostri Klimt 1918 per poi evolvere invece verso sonorità post black di grande impatto e una coda dal piglio ambient. La chiusura affidata alla malinconica "Keep Hidden", ci dice che quella che abbiamo nelle nostre mani è una piccola gemma da tenerci stretti, un lavoro dove ogni traccia è un tassello di un mosaico emotivo complesso e autentico. (Francesco Scarci)
 
(Bindrune Recordings - 2024)
Voto: 80
 

domenica 16 marzo 2025

Deicide - Banished By Sin

#FOR FANS OF: Death Metal
The only LP I like post-Hoffman brothers is featuring Ralph Santolla (RIP 2018) & Jack Owen on 'The Stench of Redemption' (2006). Even that one was tough for me! Jack ended up ghosting them since Steve was modifying his riffs merely to take credit for the songwriting!

Well, yes we have AI generated graphics on the cover & insert artwork, but why am I not surprised!? Cool graphics are on the first 4 LP's, after that, nah!

To be totally honest, the only LP I think Glen is OK on is 'Deicide' (1990). His vocals even on 'Legion' (1992) are so dull. The guy has a hard time hacking it live for more than 45 minutes! And from my understanding, he's a complete jerk to people he tours with (ask Broken Hope band members). I'm glad he hates the Hoffman brothers more than anyone in this world because he's so blind to see that they made the band successful! Pretty much everything thereafter sucks!

These riffs are generic & so repetitive, I have a hard time listening to yet another recycled Deicide LP. To quote 'The Color of Money' (1986): "It's like a nightmare, isn't it? It just keeps getting worse & worse, doesn't it?" That's how I feel sitting through a whopping 38+ minutes of this! Glen is just monotonous as usual & really I don't want to read the lyrics anymore to their shit, it's a gimmick anyway. Oh, and the quote "if we've offended you, we've done our job!" Wow man, so creative!

How can people like this? The vocals are monotonous, the riffs are anything BUT creative, the leads are generic & the only thing that's halfway decent is the recording of this garbage, it's not music. This is NOT music! They're not has-beens, Glen has been a has-been since forever! The guy is just a DISGRACE to the death metal community! I can't believe there are actual Deicide documentary(s) or "an interview with death metal legend, Glen Benton." What?!

Sorry, but being a former Deicide fan, I've turned absolutely so cynical & disgusted towards this current band since the talent has been long gone & the online fighting between Glen & Eric Hoffman just needs to stop! Deicide is dead & will remain dead because 'Banished By Sin' is another 40% post-Hoffman's to me! (Death8699)


(Reigning Phoenix Music - 2024)
Score: 40

https://www.facebook.com/OfficialDeicide/