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lunedì 24 febbraio 2025

Häxkapell - Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp

#FOR FANS OF: Black/Folk
The Scandinavian music scene is full of talented musicians, which explains the quantity and quality of projects in the metal scene. The musicianship, displayed in these projects, proves how crucial it is to teach young people to play and love music. It also shows how a single member can create a very competent project with little or no help from other musicians. Today, we focus on one of these intriguing projects, called Häxkapell. It was founded in the northern lands of Sweden by the musician Oraklet, who plays all the instruments except for the drums, with some guest appearances.

After its remarkable debut 'Eldhymmer', and as a celebration of its ten years of existence, the interesting Swedish solo project is back with its sophomore effort, entitled 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp'. I like the fact that the lyrics are written in Swedish as it gives authenticity and personality to Häxkapell’s music. I have always considered that the black metal genre, where this project is firmly rooted, gives a great room to sing in each own's language, as the genre has proven to be a great portrait of different cultures’ expression. Häxkapell’s musical approach does make a strong connection between this metal subgenre, as its music has an influence from Sweden’s folklore and cultural heritage. Häxkappel’s compositions are not a generic black metal collection of songs, but compositions that have an intimate connection to that land and its history. The wise use of atmosphere and resources like acoustic guitars or folk instruments reinforce this idea. For example, a song like "Vindar Från Förr" successfully combines a strong folk touch thanks to the violin and clean vocals, with the trademark high-pitched screams and the traditional black metal riffing. This essence is also immediately felt in the album opener "Satans Rötter". Its riffs and vocals remind me of the traditional approach of pagan black metal bands, with this barbaric and powerful riffing, hammering drumming, and a great combination of aggressive vocals, which are dominant, and the clean ones. All in all, the purest black metal essence is clearly present in many sections, which sound darker and more aggressive, thanks to the well-known use of tremolo picking. There are many moments to choose, but the listener will easily appreciate it in a quite straightforward composition like "Metamorfos".

The way an album ends is essential, as it leaves you with a greater or worse impression of it. Häxkapell surely was conscious of this fact, and it closes this second album with a magnificent track called "Den Sanna Modern Talar". This is the longest and most epic piece, with an excellent combination of all the elements used by this project throughout 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp'. It’s a fast, yet varied track that combines folk and black metal elements in a very inspired way, achieving a majestic and energetic tone that makes you headbang like a beast. I personally love how powerful riffs are combined with the violin or the acoustic guitars, and the result sounds so well fused. The excellent clean vocals are also an interesting addition, as they enhance the majestic yet mature tone of this track. This is certainly a tasteful way to end an album.

In conclusion, 'Om Jordens Blod Och Urgravens Grepp' is a step forward as it successfully continues with the fundamentals seen in the first album, but with improved compositions and a great variety, which results in a phenomenal album. (Alain González Artola)


Tritonica – Per Grazia Ricevuta

#PER CHI AMA: Math/Prog Rock
Quale sia il confine che ancora deve essere valicato non è dato sapersi per il nuovo corso dei Tritonica, dove l'assidua ricerca dell'indefinito e del multi forma è divenuta una ossessione, un graal fatto di note da ricercare a ogni costo, una scatola sonora piena zeppa di idee, colori e umori di ogni tipo. Quindi, dopo un cambio di formazione che ha visto l'innesto del sax - che ha giovato molto a questa band - e conseguente radicale svolta stilistica, i nostri si ripresentano sul mercato con questo album dal titolo quanto mai azzeccato, ovvero 'Per Grazia Ricevuta'. Questo nuovo EP spinge ulteriormente verso nuovi orizzonti la band capitolina che, senza riguardi trita e macina generi di diversa natura. Così, in maniera naturale, ci si avvia a un intruglio sonoro che vede le basi ritmiche nell'alternative rock, che sia di stampo metal, rock, jazz core o prog è indifferente o meglio, con l'aggiunta di quel modo folle di vedere il jazz, come poteva essere visto da James White e i suoi Contortions, e in tempi moderni il riferimento va all'intramontabile Zorn, anche se la musica dei Tritonica nasconde molto di più tra i suoi ricercati intrecci sonori. C'è infatti un'attitudine che mi ricorda il rock in opposition nella sua sostanza. Questo però non è tutto, perché l'intro di basso di "Coagula pt.3", ad esempio, potrebbe essere perfettamente l'inizio di un brano dei Tool, anche se poi ci si inoltra in terre sperimentali e frastagliate dal sapore free jazz, rivisto in una matrice math rock. Questo disco farà veramente la felicità dei cultori del crossover (se ancora possiamo usare nel 2025 questa etichetta) alla ZU o Mr Bungle, un caleidoscopio di motivi e generi musicali da inseguire, il cui unico intento è quello di liberare la fantasia delle composizioni, che in "Suqutra" tocca perfino sentori del prog rock dei 70's in tinta barocca, senza perdere mai di vista il lato più duro, metallico e rumoroso della faccenda, e senza peraltro mai cadere nella banale riproposizione di un genere o di uno stile compositivo. Fantasia libera tutti! Sembra questo il leitmotiv che porta la band romana ad alzare l'asticella dei suoi brani, peraltro con notevoli risultati di qualità e tecnica, così da ottenere un sound variopinto e indefinibile, per un disco tutto da ascoltare e godere fino all'ultima nota. Un disco prevalentemente strumentale, dove la voce è usata solo a tratti e alla maniera degli esperimenti vocali di Joan la Barbara. Un album infine che ha la pretesa e la magia di farti ascoltare tra le note dei suoi soli quattro pezzi, un'infinità di influenze musicali, illudendo vanamente l'ascoltatore di essere a conoscenza, nota dopo nota, di quale musica questo disco tratta. Pirotecnico e fantasioso, un gioiellino sonoro che magari non sarà consono con le tendenze attuali, ma che fa riscoprire un modo di fare musica e ascoltarla, ancora carico di fascino e curiosità. Da ascoltare e riascoltare, ottima uscita! (Bob Stoner)
 
(GPL Music Corporation - 2025)
Voto: 75
 

martedì 18 febbraio 2025

Oranssi Pazuzu - Muuntautuja

#PER CHI AMA: Psych Black Sperimentale
Converrete con me che gli Oranssi Pazuzu siano un unicum nel panorama estremo. 'Muuntautuja' è il loro sesto album sempre focalizzato a mescolare elementi black metal, psichedelia ed elettronica, in un'opera che sfida ancora una volta, ogni tipo di convenzione. Con questo lavoro, la band finlandese riesce a mantenere la propria identità unica esplorando nuovi territori sonori mantenendo comunque intatta quell'atmosfera oscura e ipnotica, marchio di fabbrica del combo di Tampere. I brani oscillano tra momenti di intensa aggressività (come nell'iniziale "Bioalkemisti" o nell'ancor più sghemba "Voitelu") e sezioni più tranquille e riflessivo (come accade nella title track, che segna una transizione verso un sound più minimalista e fluido, con l'elettronica che gioca un ruolo centrale, ove dominano sintetizzatori inquietanti e ritmi pulsanti), creando comunque un flusso sonoro avvolgente. I brani possono passare da esplosioni di rumore a momenti di calma quasi meditativa (ascoltare l'angosciante "Hautatuuli"). Un break rumoristico ("●") e siamo già proiettati verso un finale apocalittico con un trittico di song che vede in "Valotus" un esempio di umorale rumoristica espansione primordiale, song straniante dotata di un finale in cui il black sfocia in un puro noise dronico. "Ikikäärme", la traccia più lunga del disco, ha un incipit inquietante e un carattere comunque assai stralunato, quasi stessimo assistendo a un incubo a occhi aperti; il pezzo alterna comunque parti aggressive a sezioni atmosferiche che evocano immagini di paesaggi alieni. La conclusiva e ambientale "Vierivä Usva" conferma l'audacia di un lavoro che si configura a essere come una vera e propria odissea sonora, capace di condurre l’ascoltatore attraverso territori sconosciuti al di là delle Colonne d’Ercole. (Francesco Scarci)

Evoking Winds - Your Rivers

#PER CHI AMA: Black/Epic/Folk
L'album 'Your Rivers' degli Evoking Winds si è rivelato per il sottoscritto una delle sorprese più entusiasmanti del 2024, consolidando il talento di questa band bielorussa che continua a stupire con la sua capacità di fondere black metal e folk in un equilibrio impeccabile. Giunto al loro sesto lavoro, il gruppo dimostra una maturi artistica notevole, spingendosi verso nuove direzioni sonore senza tradire il proprio stile distintivo. Questo disco, composto da dieci tracce per un totale di 51 minuti, si distingue per la sua atmosfera incredibilmente evocativa e malinconica, un viaggio musicale che intreccia riff di chitarra possenti con melodie folk ricche di profondità e intensità emotiva. Brani come l'opener "Verily Said" o le straordinarie "The Lights of Skellige" e "Lilac and Gooseberries" sono perfetti esempi della versatilità della band: momenti di feroce aggressività si alternano a sezioni melodiche e contemplative, intrise di una magia eterea che deve molto anche alla presenza di vocalizzi femminili sognanti. La strumentazione usata dalla formazione a otto elementi, è un vero punto di forza dell’album: flauti, arpe, cornamuse e ben tre chitarristi creano un senso dinamico e stratificato, arricchendo ogni traccia con contrasti affascinanti. Questo connubio tra strumenti acustici e parti elettriche si fa particolarmente evidente in episodi come "Brotherhood of Brenna" o la title track, dove soluzioni orchestrali amplificano l'aspetto epico e cinematografico del disco. La produzione è impeccabile, riuscendo a valorizzare ogni dettaglio senza mai sacrificare l’impatto emotivo o l’intensità dei brani. Blast beat furiosi, tremolo picking raffinati e arrangiamenti curati convivono in un insieme che non stanca mai, offrendo un’esperienza sonora a dir poco immersiva. I testi affrontano con sensibilità e profondi temi universali come i mutamenti del mondo, i conflitti, l’amore, la morte e il ciclo perenne della vita, conferendo ulteriore spessore a un’opera già straordinaria sotto il profilo musicale. Seppure disponibile solo in versione digitale unico piccolo rammarico 'Your Rivers' si guadagna, senza esitazione, un posto tra i migliori album dell’anno, almeno per il qui presente. È un lavoro imprescindibile per chi cerca autenticità, innovazione e una freschezza rara nel panorama musicale contemporaneo. Una scoperta che merita tutta l’attenzione possibile. (Francesco Scarci)

giovedì 13 febbraio 2025

Hippotraktor - Stasis

#PER CHI AMA: Post Metal/Djent
Io non gli avevo dato molto credito all'inizio ma 'Stasis', dei belgi Hippotraktor, è uno di quegli album che ha ricevuto un'accoglienza entusiasta da parte della critica e dei fan, consolidando la band come una delle nuove promesse nel panorama post-metal. Alla fine anche il sottoscritto si è ricreduto, e non è rimasto immune al fascino emanato dal secondo album del quintetto di Mechelen, per un disco che si distingue per la sua fusione di generi, combinando elementi djent (l'opener "Descent", cosi come la title track, con il loro groove sincopato alla Meshuggah, ne rappresentano il manifesto programmatico), post-metal (palesi, a tal proposito, le influenze di scuola The Ocean in "The Reckoning") e progressive metal (e qui, "Echoes" e "The Indifferent Human Eye", potrebbero essere dei buoni esempi della combinazione di questi ultimi due generi). In questo modo, la band riesce a mantenere un equilibrio tra complessità e accessibilità, con brani che si sviluppano in modo dinamico e coinvolgente, mantenendo la componente melodica una parte importantissima nell'economia del disco. Questo approccio diretto è, alla fine, una delle caratteristiche distintive dei nostri, che sembrano non amare le introduzioni lente, privilegiando l'immediata immersione dell'ascoltatore nel cuore dell'azione, in cui a primeggiare sono le vocals pulite del chitarrista Sander Romi (che strizza l'occhiolino al bravissimo frontman dei The Ocean), a cui fanno da contraltare i grugniti di Stefan de Graaf, mentre la ritmica è un macigno che si muove talvolta sinuosa ("Renegade"), e in altri casi più robusta ("Silver Tongue"), comunque garantendoci alla fine un ascolto coinvolgente, ispirato, e certamente destinato a lasciare il segno nel panorama post moderno, soprattutto tra tutti quelli che amano un sound più ricercato e originale, io in primis. (Francesco Scarci)

(Pelagic Records - 2024)
Voto: 80

https://hippotraktor.bandcamp.com/album/stasis

martedì 11 febbraio 2025

Unreqvited - A Pathway to the Moon

#PER CHI AMA: Post Black/Shoegaze
Il buon William Melsness (aka 鬼), nonostante la sua giovane età (30 anni compiuti da poco), è arrivato al ragguardevole traguardo del settimo album con gli Unreqvited, senza contare poi EP, split sotto lo stesso moniker e altri album sotto il nome H V N W R D ., The Ember, the Ash, il fantasy dungeon dei Ilúvatia o l'emo dei Write Home. Insomma, un artista a tutto tondo che in 'A Pathway to the Moon' trova, a mio avviso, la sua consacrazione. Il nuovo album si presenta come un'opera audace e intensa, che esplora le profondità dell'emozione umana attraverso sonorità ricche e stratificate che portano avanti il marchio distintivo del blackgaze/post black degli Unreqvited. Dopo l'intro di rito, ecco esplodere, quasi inaspettatamente, il black di "The Antimatter", un brano che sembra coniugare l'orchestralità dei Dimmu Borgir con atmosfere più eteree, mescolando splendide melodie con passaggi più violenti (quasi djent), creando un contrasto in grado di destabilizzare chi conosce bene la one-man-band canadese, tra cui il sottoscritto. Riconosco invece il marchio di fabbrica del polistrumentista nord americano in "The Starforger", un pezzo onirico, dannatamente malinconico, quasi straziante nelle sue melodiche linee di chitarra e nel dualismo vocale tra voci pulite e scream. Un brano, subito eletto come il mio preferito, che avvolge come un tenero abbraccio da cui sarà difficile staccarsi. Ma il disco è un susseguirsi di emozioni in grado di indurre una profonda analisi introspettiva. Pezzi come "Void Essence/Frozen Tears" e "Into the Starlit Beyond", offrono altri esempi ineccepibili di un sound incentrato su uno shoegaze evocativo, coinvolgente, delicato che merita di essere ascoltato e soprattutto vissuto, con tutto quell'impatto emotivo che da essi ne deriva. 'A Pathway to the Moon' è un gioiello che vede ancora in "Departure: Everlasting Dream", l'ideale colonna sonora del nuovo capitolo della saga di Avatar, 'Fuoco e Cenere', di prossima uscita, per quella sua capacità di creare paesaggi sonori complessi ed evocativi. Un lavoro questo che, enfatizzato da una produzione spettacolare, permetterà di accogliere nuovi adepti tra i fan degli Unreqvited, per un viaggio sonoro che merita di essere esplorato da chiunque. (Francesco Scarci)

Volt Ritual - Swamp Lake City

#PER CHI AMA: Stoner/Doom
Giusto un paio di pezzi per il nuovo EP dei polacchi Volt Ritual, intitolato 'Swamp Lake City'. Quello, da pochi giorni uscito, dovrebbe essere (almeno stando a Bandcamp) il secondo EP per i nostri (all'attivo peraltro anche un full length), che s'inserisce nel filone stoner/doom rock, un lavoro che segna un passo in avanti nella carriera musicale del terzetto di Bielsko-Biała. Il sound della band è caratterizzato dai classici riff pesanti, accompagnati da sonorità distorte tipiche di un certo occult doom rock, coadiuvato dalle altrettanto classiche influenze stoner, in grado di aggiungere anche un pizzico di psichedelia ai due brani qui contenuti. Ecco, quanto certificato almeno nell'iniziale "The Giant Awaits", una song piuttosto canonica per il genere, in cui la produzione risulta comunque solida ed equilibrata, esaltando la pesantezza sonora, senza perdere la chiarezza necessaria per apprezzare le diverse sfumature musicali. Ovviamente, non siamo di fronte a nessuna evoluzione sonora o invenzione di chissà quali nuove sonorità, in quanto il disco si muove sulla combinazione di momenti aggressivi con fasi più riflessive e atmosferiche. La voce grungy (a volte un po' troppo in ombra) di Mateusz è tesa a flirtare con quella del vocalist dei Fu Manchu. Un bel chitarrone apre "Miasto Wśród Bagien", una traccia cantata in polacco che sembra evocare, nelle sue note piuttosto lineari e dirette, anche spettri garage/punk rock, al pari di derive di scuola Electric Wizard. Il brano alla fine sciorina un orecchiabile bridge ma l'acme del brano, si registra esattamente a metà con una deliziosa parte atmosfera ricca di riverberi di grande efficacia. La chiusura percussiva, dotata di una tribalità coinvolgente, chiude un EP che sembra promettere interessanti sviluppi futuri ma che verosimilmente, necessita di un'ulteriore sgrezzata per permettere al trio di indossare il giusto abito per le grandi cerimonie. (Francesco Scarci)

lunedì 10 febbraio 2025

The Bottle Doom Lazy Band - Clans Of The Alphane Moon

#PER CHI AMA: Doom/Stoner/Psichedelia
Ci hanno impiegato ben nove anni i doomsters francesi The Bottle Doom Lazy Band a tornare sulle scene con un nuovo full length, sebbene in mezzo siano usciti un EP nel 2020 e un live album, l'anno successivo. E cosi a squarciare questo lungo silenzio, ecco 'Clans of the Alphane Moon', nuovo album pubblicato dalla Sleeping Church Records. Un lavoro che combina gli elementi pesanti del doom di Pentagram e Trouble (aver detto Black Sabbath sarebbe stato troppo scontato) con influenze spaziali e psichedeliche, andando a creare un'atmosfera coinvolgente che sicuramente ridarà entusiasmo ai vecchi sostenitori della band. Il disco, come da tradizione, è caratterizzato da riffoni belli tosti che, sin dall'iniziale "Ride the Leviathans", fondono nelle loro note, stoner e doom. Ispirandosi alla cultura fantascientifica degli anni '60 e '70, il disco, nel suo litanico incedere, va aumentando i giri del motore con la sinistra "Crawling End", e un giro di chitarra ripetitivo e per questo, parecchio ansiogeno, su cui si andrà a porre la teatrale voce di Bottleben. Poi è ancora l'opprimente sezione ritmica a prendere il sopravvento, con una porzione percussiva davvero impressionante che ci accompagnerà fino a "To the Solar System". Un altro brano intenso che mi ha fatto pensare ai Candlemass di Messiah Marcolin, e comunque a un genere dotato di un canovaccio ben preciso, dal quale fuggire sembra essere compito assai arduo, se non affidandosi a una componente solistica imprevedibile, strumento che sembra non mancare ai nostri e gli consenta di prendere le distanze dai vari mostri sacri del genere. Un bel basso pulsante apre "Castle Made Of Corpses", un brano oscuro che ricorda storie di orrore, e che vede le chitarre intrecciarsi con il basso, lungo il suo ardimentoso cammino. La successiva "The Technosorcerer" (il brano più lungo del lotto) non è da meno per tenebrose ambientazioni e una ridondanza, nella sua componente ritmica, che vede sviluppare, in psichedelici giochi di luce, una significativa evoluzione della narrazione sonora. Quasi dodici minuti di sonorità asfissianti che vanno, grazie a Dio, via via crescendo fino a un finale chiuso, in realtà, un po' in sordina. "Flames of Sagitarius" vira verso suoni decisamente più classici e se da un lato, è un piacere rievocare certe sonorità, dall'altro, sembra anche voler dire che 70 minuti per un disco sono forse un po' troppi per rimanere ad alto livello tutto il tempo. E stancamente (sfiancato già da oltre un'ora di musica), mi appresto ad abbracciare "The Dying Earth", ultima e gustosa traccia di un lavoro mastodontico che magari non brillerà in originalità, ma comunque ci restituisce una band dotata di buon gusto e sfumature innovative, capace di incorporare elementi psichedelici e sperimentali nel proprio sound. (Francesco Scarci)